Tre donne (e una piccola isola) contro la Danimarca

Daniela Pia racconta la rivolta di Saint Croix del 1878

A seguire una breve nota sul colonialismo danese

Era il 1° ottobre 1878 quando gli uomini e donne dell’isola di Saint Croix, stanchi per le condizioni oppressive in cui li tenevano i colonizzatori danesi, si ribellarono dando alle fiamme le piantagioni di canna da zucchero.

Artefici di questa rivolta – la più significativa nella storia coloniale danese – furono tre donne: Regina Mary, all’anagrafe Mary Thomas, la “capitana” Regina Agnes e Regina Mathilda.

I danesi erano giunti in quei luoghi nel 1733: fra i loro possedimeti c’erano già Saint Thomas e Saint John. Anche St.Croix entrò definitivamente a far parte dell’impero coloniale delle «Indie Occidentali» della Corona Danese, rimanendo tale per 251 anni.

I colonizzatori spezzarono la rivolta. Le tre “regine” più una quarta donna, Susanna Abrahamson, subirono un processo farsa: condotte nella prigione femminile di Copenaghen dovettero pagare «la colpa» di aver osato infrangere la “legge” di Creonte, il colonizzatore.

Eppure – come tanti Paesi colonialisti – anche la Danimarca aveva proibito, sin dal 1792 (sotto l’evidente influsso della Rivoluzione francese) il traffico di esseri umani da ridurre in schiavitù. Nonostante la legge danese fosse resa effettiva 11 anni dopo, la schiavitù rimase in vigore per altri cinquant’anni.

Trascorsero due secoli e il 3 marzo 1917 la Danimarca vendette St. Croix , St. John e St. Thomas agli Stati Uniti per 25 milioni di dollari, un commercio che diede origine alle Virgin Islands.

Le «regine del fuoco» Mary Thomas, Agnes Salomon e Mathilda McBean furono donne consapevoli delle tradizioni dell’Africa Occidentale (a cui risalivano le radici di molti lavoratori del Caribe) ed erano incaricate di eseguirne i rituali. Furono queste competenze che le fecero eleggere leader della rivolta. «Regine del fuoco» perchè agirono ponendosi al comando dei rivoltosi con torce in mano. Una luce anche simbolica per illuminare la ribellione.

Mary Thomas fu condannata a morte, pena poi commutata in ergastolo. Condotta nel 1882 a Copenaghen, tornò nel 1887 a St Croix (a Christiansted, nome ovviamenye imposto dai colonizzatori) per scontare la sentenza. Morì nel 1905.

I nomi di queste tre combattenti sono stati poco conosciuti al di fuori delle Isole fino al 2018 quando, in Danimarca, una scultura le ha restituite al ruolo di antesignane di una lotta giusta. Si tratta di un’opera, alta più di sette metri, intitolata “I am Queen Mary” ed è stata creata da due artiste di discendenza africana, Jeannette Ehlers e La Vaughn Belle: è stata inaugurata sabato 31 marzo 2018 presso il Danish Indian Indian Warehouse a Copenaghen.

L’opera rappresenta Mary Thomas con la classica torcia e un attrezzo usato dagli schiavi per tagliare la canna: è stata collocata davanti al Magazzino delle Indie Occidentali, dove un tempo venivano stipati lo zucchero, il rum e tutto quanto proveniva dalla colonie danesi nei Caraibi.

Si tratta della prima opera d’arte che commemora il tragico impatto coloniale della Danimarca sulle terre sottomesse.

La regina” è anche la prima opera danese dedicata a una donna nera. Un tributo al sacrificio compiuto dai tanti lavoratori e lavoratrici che subirono uno sfruttamento disumano. Un riconoscimento tardivo ma importante che restituisce alle donne di quelle terre il ruolo che la storia ha cercato a lungo di negare loro.

COLONIALISMO DANESE?

Ance se pochi lo ricordano, la Danimarca costruì un impero, fra il Trecento e l’Ottocento, con possedimenti in Nord America (Groenlandia e quelle che ora si chiamano Isole Vergini americane), Africa (per breve tempo nell’attuale Ghana), Asia (nel sud dell’India e nel Bengala) e in Europa (Fær Øer, Norvegia, Islanda). Oggi la Danimarca mantiene la sovranità su Groenlandia e sulle Isole Fær Øer, pur avendo assicurato a questi territori una larga autonomia.

La Costa d’Oro danese faceva parte della regione della Costa d’Oro (il Ghana di oggi, grosso modo) che si trova sul Golfo di Guinea in Africa occidentale. Sulla “costa d’oro” lo scrittore danese Thorkild Hansen scrisse una scinvolgente trilogia: «La costa degli schiavi» (1967), «Le navi degli schiavi» (1968) e «Le isole degli schiavi» (1970) tutti tradotti in italiano da Iperborea. In “bottega” ne abbiamo scritto qui: «La nave degli schiavi» di Thorkild Hansen.

NOTA SULLE FONTI

In rete pochissimo si trova e dunque Daniela Pia non si vergogna (anzi) dicendo che per questa “scordata” ha saccheggiato Io sono la Regina Mary dal bellissimo blog Lunanuvola di Maria G. Di Rienzo.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

2 commenti

  • serenella angeloni

    grazie del racconto e grazie anche della leggerezza e dell’auto ironia con cui ci invitate a collaborare

  • Gianluca Ambrogetti

    Uno scatto in avanti, costi quel che costi. Bello ricordare queste “poche” donne. Bello scriverne. Bello sapere che qualcuno ne ha fatto un simbolo e le istituzioni cittadine hanno accettato di trovargli un posto “giusto”. – Grazie.

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