Troppe le scor-date proprio nel 10 febbraio, «giorno del ricordo»

«Sulle Foibe un giorno per tutti i ricordi»

di Giacomo Scotti (*)   1o febbraio, Giorno del Ricordo. Ecco il racconto del contesto che gli italiani non conoscono: dal «fascismo di frontiera» degli anni ’20, dai crimini dell’Italia in Jugoslavia, dai 100.000 jugoslavi deportati e internati, alle violenze jugoslave del settembre ’43 e maggio ’45, fino all’esodo italiano

Inizio con brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»

«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche».

Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana. Dalle terre annesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale – cioè all’ampliamento ad est dei territori di Trieste e di Gorizia, all’Istria intera, alla provincia di Fiume detta del Quarnaro e all’enclave dalmata di Zara – le violenze fasciste e la snazionalizzazione forzata costrinsero ad andarsene più di 80.000 sloveni, croati, tedeschi e ungheresi, ma anche alcune migliaia di italiani antifascisti.

Nel 1939, un anno prima che l’Italia fosse gettata nella seconda guerra mondiale, le autorità fasciste della Venezia Giulia attuarono in segreto un censimento della popolazione di quelle terre annesse venti anni prima, accertando che in esse vivevano 607.000 persone, delle quali 265.000 italiani e cioè il 44%, e 342.000 slavi detti allogeni, ovvero il 56%. Una cifra notevole nonostante l’esodo degli ottantamila, nonostante che agli slavi fossero stati italianizzati i cognomi, fosse stato vietato di parlare la loro lingua, fossero state tolte le scuole e qualsiasi diritto nazionale. Nonostante le persecuzioni subite, nonostante che migliaia di loro fossero finiti nelle carceri o al confino, e che alcuni dei loro esponenti – Vladimir Gortan, Pino Tomazic e altri – fossero stati fucilati in seguito a condanne del Tribunale speciale fascista oppure uccisi dalle squadre d’azione fasciste a Pola (Luigi Scalier), a Dignano (Pietro Benussi), a Buie (Papo), a Rovigno (Ive) e in altre località istriane.

Emblematici di queste persecuzioni contro slavi e antifascisti italiani in Istria e Venezia Giulia sono i sistemi coercitivi per inviare i contadini al lavoro nelle miniere di carbone di Arsia-Albona dove, per duplicare la produzione senza però adeguate protezioni dei minatori sui posti di lavoro, nel 1938 ci fu una tragedia (allora taciuta dalla stampa) in cui persero la vita 180 minatori, lasciando oltre mille vedove e orfani. Emblematica di quel periodo in Istria è anche una canzoncina cantata dai gerarchi che diceva:

A Pola xe l’Arena/ la Foiba xe aPisin: butaremo zo in quel fondo/ chi ga certo morbin.

E alludendo alle foibe, un’altra poesiola minacciava chi si opponeva al regime:

la pagherà/ in fondo alla Foiba finir el dovarà.

Aprile 1941, l’aggressione

Nell’aprile del Quarantuno, infine, si arrivò all’aggressione alla Jugoslavia senza dichiarazione di guerra, seguita dall’occupazione di larghe regioni della Slovenia e della Croazia, dall’intero Montenegro e del Kosovo, infine dall’annessione al Regno d’Italia di una grossa fetta della Slovenia ribattezzata Provincia di Lubiana, di una lunga fascia della costa croata che formò il Governatorato della Dalmazia con tre provincie da Zara fino alle Bocche di Cattaro, e la creazione della nuova provincia allargata di Fiume detta “Provincia del Quarnaro e dei Territori annessi della Kupa” comprendente tutta la parte montana della Croazia alle spalle del Quarnero più le isole di Veglia ed Arbe che si univano a quelle di Cherso e Lusino. Così l’Italia incorporò nel proprio territorio nazionale regioni abitate al 99% da sloveni e croati con una popolazione di oltre mezzo milione di persone che si aggiungevano al 342.000 “allogeni” già assoggettati all’Italia e al fascismo italiano da due decenni. Il Montenegro intero fu trasformato a sua volta in un Governatorato italiano. Il Kosovo, territorio della Macedonia, fu annesso invece alla cosiddetta Grande Albania che già dal ’39 era una colonia dell’Italia.

Le violenze contro i civili dei territori annessi o occupati furono compiuti in base a “una ben ponderata politica repressiva” come ci rivela una ben nota circolare del generale Roatta del marzo 1942 nella quale si legge: “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente”. A sua volta il generale Robotti, ordinando rastrellamenti a tappeto nel giu­gno e agosto 1942, indicava queste soluzioni alle truppe dell’XI Corpo d’Armata: “internamento di tutti gli sloveni per rimpiazzarli con gli italiani” e per “far coincidere le frontiere razziali e politiche”: “esecuzione di tutte le persone responsabili di attività comunista o sospettate tali”. Infine, “Si ammazza troppo poco!”.

Mi limiterò a un piccolo territorio alle spalle di Fiume e a un solo mese, luglio del 1942. Nelle borgate di Castua, Marc­gli, Rubessi, Viskovo e Spincici furono incendiate centinaia di case e fucilate decine di persone come «avvertimento». Nel Comune di Grobnik, il villaggio di Podhum fu completamente raso al suolo per ordine del prefetto Temistocle Testa. All’alba del 13 luglio, per “vendicare” due fascisti scomparsi il giorno prima da quel villaggio, furono dapprima saccheggiate e poi incendiate 484 case, portati via mille capi di bestiame grosso e 1300 pecore, deportati nei campi di concentramento in Italia 889 persone (412 bambini, 269 donne e 208 uomini anziani) e fucilate altre 108 persone. Uno sterminio.

I fascisti italiani, passati al servizio del tedeschi dopo il settembre 1943, continuarono a battersi “per l’italianità” dei territori ceduti al Terzo Reich. Fra tanti sia ricordato l’episodio di Lipa (30 aprile 1944) dove 269 vecchi, donne e bambini sorpresi quel giorno in paese, furono sterminati: parte fucilati, parte rinchiusi in un edificio e dati alle fiamme. Di tali eccidi ve ne furono a centinaia in Istria, nel territorio quarnerino, in Slovenia, in Dalmazia, in Montenegro, ovunque arrivarono i militari fascisti e le altre formazioni inviate da Mussolini.

Nei miei scritti ho documentato lo sterminio di 340.000 civili slavi fucilati e massacrati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre 1943 nel corso dei cosiddetti “rastrellamenti” e operazioni di rappresaglia contro le forze partigiane insorte. Ho anche scritto, ma non sono stato il solo in Italia, di altri 100.000 civili montenegrini, croati e sloveni deportati nei campi di concentramento approntati dalla primavera all’estate del 1942 dall’esercito italiano per rinchiudervi vecchi, donne e bambini colpevoli unicamente di essere congiunti e parenti dei “ribelli”. In quei campi disseminati dalle isole di Molat e Rab/Arbe in Dalmazia fino a Gonars nel Friuli e altri in tutto lo Stivale, morirono di fame, di stenti e di epidemie circa 16.000 persone nel giro di poco più di un anno di deportazione. Tutto questo viene taciuto nella Giornata del Ricordo che si celebra in Italia da una decina d’anni. Si ricordano soltanto le nostre perdite: il dolore dei nostri connazionali costretti a lasciare le terre concesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale, il dolore delle famiglie degli infoibati nel settembre 1943 in Istria e nel maggio 1945 a Trieste, Gorizia e Fiume subito dopo l’ingresso delle truppe di Tito. È giusto, è doveroso ricordare foibe ed esodo, le nostre vittime, i nostri dolori, ma non si dovrebbero tacere il contesto storico, le colpe del fascismo che portarono alla sconfitta e alla perdita di quelle regioni. Non si dovrebbero tacere o volutamente ignorare le vittime delle popolazioni slave oppresse, martoriate e decimate dapprima nel ventennio fascista in Istria e a Zara, ma soprattutto nella seconda guerra mondiale. Sulla bilancia e nel contesto storico vanno messi, dunque, anche i dolori che noi abbiamo arrecato agli altri.

La retorica e la canea mediatica

In un saggio sul Giorno del Ricordo pubblicato nel 2007, l’autorevole storico italiano Enzo Collotti scrisse sull’argomento parole da non dimenticare, denunciando l’enfatizzazione di «una retorica che non contribuisce ad alcuna lettura critica del nostro passato, né a elevare il nostro senso civile, ma– cito –alimenta ulteriormente il vittimismo nazionale», dando «ai fascisti e post-fascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili». Collotti condanna in particolare la «canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi responsabili», che non permette di «fare chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello per relativizzare altri e più radicali crimini» compiuti dai fascisti.

Per Colottti, le vicende delle foibe e dell’esodo ci riportano «alle origini del fascismo nella Venezia Giulia», una regione definita italianissima da chi non vuole accettare la realtà di un territorio multietnico e «trasformato in un’area di conflitto interetnico dai vincitori» della prima guerra mondiale, «incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi», anzi decisi a estirpare anche con lo spargimento di sangue qualsiasi presenza non italiana. Calpestando le tradizioni della cultura italiana, il fascismo impose alle nuove terre — così come tentò di fare nei territori balcanici occupati nella seconda guerra mondiale – «una italianità sopraffattrice», rivelando il suo volto criminale, suscitando la legittima rivolta di quei popoli e trascinando l’Italia nel dramma della sconfitta. Un dramma di cui non fu vittima, ma protagonista. «I paladini del nuovo patriottismo d’oggi, fondato sul vittimismo delle foibe – cito sempre Collotti – farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della superiore razza italica».

«Che cosa tuttora sa la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo contro le minoranze slovena e croata… addirittura da prima dell’avvento al potere: della brutale sua generalizzazione (…) come parte di un progetto di distruzione dell’identità nazionale e culturale delle minoranze?». E della sciagurata annessione al regno d’Italia di una parte della Slovenia e della Dalmazia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediatisi nel cosiddetto Litorale adriatico, sullo sfondo dei forni crematori della Risiera di Trieste e degli impiccati di via Ghega sempre a Trieste, delle stragi in Istria, nel Quarnero, a Pisino e altrove?

I «lembi della Patria»

Poco sanno gli italiani perché da dieci anni, nelle scuole e fuori si parla soltanto di foibe e di esodi, di crimini compiuti dagli «slavi», e nulla dei crimini compiuti dai fascisti italiani la cui documentazione è tuttora chiusa negli «armadi della vergogna», insieme ai documenti delle conseguenze pesanti di una guerra scellerata, di una guerra perduta. Lo scotto fu pagato dalle popolazioni delle provincie del confine orientale, le più esposte sui cosiddetti «lembi della Patria».

La verità non chiede nulla, soltanto il coraggio di trovarla e dirla. Ma ora per impedirla si chiede una legge che condanni al carcere gli storici indicati da essi come riduzionisti e negazionisti, definiti tali solo perché si battono per far conoscere tutta la verità, insorgendo anche contro chi – con le menzogne – getta il fango sulle stesse vittime italiane – e mi riferisco agli infoibati ed esodati dalle terre perdute per colpa di Mussolini. Bisognerebbe smetterla di gonfiare all’infinito, con volgari falsità, il numero di queste nostre vittime e di speculare politicamente oggi sulle tragedie vissute dai nostri fratelli dell’Istria, di Fiume e di Zara. Sì, dico Zara perché in Dalmazia di terra concessa all’Italia nel 1920, c’era soltanto l’enclave di Zara e non tutta la Dalmazia. Perché parlare oggi di Dalmazia italiana? Va bene se si ricorda la cultura italiana seminata da Venezia dal Quattro al Settecento, ma se si vuole alludere alla Dalmazia occupata e annessa da Mussolini dall’aprile 1941 al settembre 1943, allora no, quella non era terra italiana, altrimenti non sarebbe stata messa a ferro e fuoco per spezzarne la resistenza. Basta con l’esaltazione del colonialismo fascista! Basta con le menzogne e le speculazioni sulle tragedie dei nostri fratelli di Zara, di Fiume, del Quarnero e Istria, senza nascondere le vittime croate, slovene, montenegrine, cioè di quei popoli che, da sempre nostri vicini di casa, vogliono essere nostri amici nell’Unione Europea, con i quali dobbiamo commerciare, costruire ponti comuni, un mondo senza guerre e senza rancori. Basta con le omissioni, con le ricostruzioni disinvolte dei fatti letteralmente inventati dalla destra neofascista che sta costruendo una specie di controstoria da tramandare per coprire la vergogna del fascismo, e per rinfocolare le pretese territoriali sulla costa orientale dell’Adriatico.

L’«era» Mussolini

Il mio sogno, che non è soltanto il mio, è l’istituzione di una Giornata dei Ricordi, al plurale, nella quale poter unire nei loro dolori italiani e slavi, indicando nel fascismo e nel nazionalismo di ambedue le parti i veri colpevoli delle guerre, delle distruzioni, degli eccidi, delle vendette e degli esodi del passato, additando in essi i pericoli che incombono sul comune futuro di amicizia e cooperazione.

Oggi, quando l’Italia, Slovenia e Croazia stanno insieme nell’Unione europea, quando i confini sono caduti. Ricordiamo che in Slovenia e Croazia vivono ancora trentamila italiani sui quali non devono cadere l’ombra e il peso degli odi del passato. Perché essi, in gran parte discendenti da matrimoni misti e adusi ormai da settant’anni alla convivenza, al plurilinguismo e al multiculturalismo, vanno considerati l’anello che unisce le due sponde dell’Adriatico; essi svolgono e ancor più in futuro sono chiamati a svolgere il doppio ruolo di conservare la cultura e la lingua italiana nella regione istro-quarnerina e di esercitare la funzione di cordone ombelicale fra i Paesi confinanti o dirimpettai. Riposta ogni rivendicazione territoriale da parte italiana su Capodistria, Pola, Fiume, Zara eccetera, condannate le colpe dell’imperialismo fascista e le velleità revansciste, ma anche le colpe di coloro che nei giorni burrascosi del settembre 1943 e dell’immediato dopoguerra degli anni Quaranta del secolo scorso scrissero le vergognose pagine delle foibe; ricordando sempre che l’esodo degli italiani dalle terre perdute fu conseguenza di una guerra voluta e perduta dal fascismo, oggi i figli degli esuli e dei rimasti si ritrovano per quello che sempre furono: fratelli. Ma non basta. Gli italiani rimasti sulla sponda orientale dell’Adriatico, per lunghi anni accusati dall’estrema destra italiana di tradimento, indicati come titoisti, potranno restare nel cuore di tutti gli italiani dello Stivale soltanto se si coltiverà l’amicizia con i popoli in mezzo ai quali essi vivono e se saranno rispettati e riconosciuti il loro ruolo e il loro merito di aver mantenuto vive le radici in quelle terre quali cittadini della Slovenia e della Croazia, perpetuando la lingua materna e coltivando l’amore per la madrepatria.

Dai massimi vertici negli ultimi tre anni, è stato dato l’esempio da seguire, a cominciare dal vertice dei presidenti sloveno, croato e italiano avvenuto a Trieste nel 2010. Con l’incontro dei presidenti italiano e croato, Napolitano e Josipovic, all’Arena di Pola, nel 2011. Ci sono stati nel 2013 altri due vertici: gli incontri fra Josipovic e Napolitano alla fine di giugno a Zagabria e all’inizio di dicembre a Roma. Napolitano ha auspicato il «superamento di un passato che ha portato purtroppo ingiustizie e sofferenze alle popolazioni dei nostri due Paesi»; Josipovic ha ricordato a sua volta la frattura apertasi nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, che, coinvolgendo italiani esuli e rimasti insieme ai croati (e sloveni), si può considerare ormai rimarginata: «Con il presidente Napolitano– ha detto ancora – abbiamo riconosciuto le sofferenze di entrambi. Ora i nostri rapporti sono diversi». Hanno sempre partecipato i massimi esponenti dell’Unione Italiana, cioè degli italiani d’oltre confine, i «rimasti» appunto.

Per concludere: i circoli della destra filofascista in Italia devono smettere di manipolare la storia per rinfocolare odi e rancori. Basta con le accuse degli estremisti al cosiddetto «sanguinario conquistatore» croato, sloveno e slavo in genere, perché non furono quei popoli ad aggredire e invadere l’Italia nel Quarantuno, né a occupare larghe fette dell’Italia come fecero le truppe di Mussolini in Jugoslavia fino al settembre 1943. Basta con il fascismo di frontiera, antislavo da sempre, ieri come oggi. Basta con il negazionismo aggressivo del neofascismo che cerca di nascondere i crimini della cosiddetta «era» di Mussolini, il periodo peggiore subìto dagli istriani, dai fiumani e dai dalmati. Vogliamo rispetto per quelle terre e per le loro popolazioni che ci insegnano la convivenza basata sul reciproco rispetto delle sofferenze passate e sulla reciproca volontà di costruire un migliore futuro comune. Non possiamo accettare atteggiamenti rancorosi di chiusure al futuro, né cedere a un camuffato neoimperialismo — anche culturale — di ritorno che cerca di essere amnistiato con il Giorno del Ricordo delle foibe e dell’esodo delle terre perdute. Auspico che in avvenire, in una plurale Giornata dei Ricordi non si insista sulla contabilità falsata di esodati e vittime, ma si consideri tutto il male del passato, e si agisca perché non si ripeta in futuro in queste terre e nella stessa Italia quella barbarie che ha fatto parte del lungo «secolo breve» qual è stato il Novecento.

(*) Riprendo questo articolo dal quotidiano «il manifesto» del 5 febbraio. Giornalista, scrittore e storico, «sono un pacifista militante, uomo di sinistra fuori dai partiti tradizionali», Giacomo Scotti ha scritto su questo argomento decine di libri. Odiato dai fascisti italiani e croati che anche di recente lo hanno minacciato.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 10 febbraio fra l’altro avevo ipotizzato: 1898: nasce Brecht; 1903: nasce Abel Meerepoz alis Lewis Allan; 1918: muore Ernesto Moneta. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • SEGNALO ANCHE QUESTO (*)
    Il lager del duce
    Italiani brava gente, sì, ma non solo. Italiani pessimi, anche. Con
    tanto di lager, come quello dell’isola di Arbe (Rab, in croato) nel
    Golfo del Quarnero, dove la mortalità fra i detenuti era del tutto
    simile a quella dei campi nazisti. Un lager che l’Italia preferisce
    dimenticare. Il 12 e 13 settembre cade il cinquantacinquesimo
    anniversario della liberazione degli internati (15 mila, soprattutto
    sloveni provenienti dalla “Provincia di Lubiana”, ovvero il territorio
    sloveno annesso all’Italia dal 1941 al 1943, e poi croati ed ebrei):
    alle cerimonie di commemorazione non parteciperà alcun rappresentante
    ufficiale dell’Italia. Come non ha mai partecipato in passato.
    Quest’anno, per la prima volta, ci sarà una delegazione della
    Fondazione Ferramonti che collocherà anche una lapide in italiano:
    sarà l’unica tra le tante in sloveno, croato, ebraico. (…).
    Carlo Spartaco Capogreco – da «La Voce del Popolo», Fiume (Croazia), 12 settembre 1998
    AGGIUNGO DUE NOTE
    Ferramonti è un paesino nei pressi di Cosenza dove durante la guerra era in funzione il più grande campo di concentramento per ebrei e dove, durante il 1942 e il 1943, sono stati rinchiusi anche numerosi sloveni.
    Riprendo questo messaggio da «R-esistiamo»: vi sono circa 1000 iscritti e da maggio 2006 è luogo di dibattiti, diffusione o ricerca di notizie fra persone impegnate nel fare in modo che gli orrori commessi dai nazi-fascisti non si ripetano o che sono interessate a argomenti storici o battaglie civili. Per postare messaggi in questo gruppo bisogna inviare un’email a deportatimaipiu@googlegroups.com.

  • Il tempo tra la Giornata della Memoria ed il Giorno del Ricordo è un’opportunità per ricordare. Il ricordo al servizio della verità storica, sempre rivoluzionaria secondo Gramsci, e dell’ azione politica, che deve andare oltre le due date ufficiali.
    NI OLVIDO NI PERDON, dicono gli argentini, come le madri e le nonne di Plaza de Mayo che ancor’ oggi combattono per trovare figli e nipoti e per trascinare in giudizio criminali fascisti della dittatura militare del 1976–1982.
    Non va ricordato, quindi, solo l’olocausto del popolo ebraico, ma tutte le pulizie etniche ed i genocidi i genocidi avvenuti il secolo scorso, quello del popolo armeno, quello dei Tutsi in Ruanda, quello tuttora in corso del popolo palestinese ed altri, non ultimo quello, rimosso e dimenticato, di oltre un milione di comunisti, avvenuto in Indonesia nel 1965.
    Moni Ovadia, ebreo, la scorsa giornata della memoria, ha detto:
    «La giornata deve diventar delle memorie, per rilanciare attraverso l’edificio della memoria, un’azione comune per portare pace, uguaglianza sociale ed applicazione vera dei diritti. Una condizione universale dell’esistere dove ogni persona sia libera di circolare nel mondo senza restrizioni di diritti e di dignità.»
    Parole che valgono anche per il 10 febbraio, giorno del ricordo, che deve diventare giorno dei ricordi.
    L’istituzione, il 10 febbraio di ogni anno, di una «giornata della memoria dell’esodo dall’Istria, dall’Istria, da Fiume e dalle coste dalmate» – con la legge 92 del 30 marzo 2004, approvata dalla Camera con il voto favorevole del “centro-sinistra” guidato dagli allora Ds (che nel maggio 2003 avevano presentato una proposta di legge in tal senso, firmatari il segretario Piero Fassino, Luciano Violante e il deputato Alessandro Maran eletto nel Friuli-Venezia Giulia) – è un oltraggio alla Resistenza. Una «memoria condivisa» che in realtà cancella ogni distinzione storica e politica fra fascismo e antifascismo. La storia non si può eliminare, né strumentalmente riscrivere a colpi di leggi; si può anche rinnegare, certo, ma cambiare no.
    Non va ricordato solo la fuga dall’Istria e dalla Dalmazia di qualche decina di migliaia di italiana o le foibe, ma anche tutti i crimini fascisti in Africa ed in Europa. Tra questi l’ oppressione con massacri del popolo slavo. Emblematico di quello che avvenne nelle terre poi acquisite dal trattato di Rapallo (quello del novembre 1920) fu il discorso di Benito Mussolini, tenuto a Pola il 22 settembre 1920 :«Di fronte ad una razza inferiore e barbara come quella slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone … i confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».
    Seguirono giorni di terribile umiliazione per il popolo sloveno attraverso la cancellazione dei suoi simboli, della storia e della cultura, la repressione con esecuzioni e torture delle proteste e della ribellione di chi si opponeva a questa pulizia etnica. Infine gli anni terribili della seconda guerra mondiale con l’ invasione della Jugoslavia. Ma per avere una prima idea è sufficiente la sintesi, fornita dallo storico Angelo Del Boca, del bilancio delle vittime civili in 26 mesi (1941 – 1943) di terrore italo-fascista nella sola “provincia di Lubiana:
    Ostaggi fucilati per rappresaglia:1.500
    Fucilati sul posto durante rastrellamenti:2.500 Deceduti per sevizie:84
    Torturati e arsi vivi: 103
    Uomini, donne e bambini morti nei campi di concentramento: 7.000
    Totale: 11.100 Se si contano i circa 900 partigiani catturati e “passati per le armi” sul posto, nonché le 83 sentenze di morte emesse dal tribunale militare di guerra di Lubiana (che comminò anche 434 ergastoli e 2695 altre pene detentive per un totale di 25.459 anni) le vittime furono più di 12.000. I villaggi completamente devastati furono 800 e più di 3000 le case saccheggiate e distrutte col fuoco. Tutta la Slovenia, il Friuli Venezia Giulia ed anche il Veneto vennero disseminati di campi di concentramento per sloveni e slavi. Il campo di concentamento dell’ isola di Arbe aveva una mortalità giornaliera superiore al lager di Buchenwald.

  • UN PAIO DI PERSONE MI CHIEDONO UNA BIBLIOGRAFIA…. Oltre a quello che già trovate in blog io posso soltanto dirvi quali sono i libri – tre – che io ho comprato e letto (un paio d’altri li ho scorsi in biblioteca), trovandoli molto documentati. Eccoli in ordine di pubblicazione:
    1. Giacomo Scotti «Dossier Foibe», Manni 2005
    2. Alessandra Kersevan «Lager italiani: pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943», Nutrimenti editore, 2008
    3. Giacomo Scotti «”Bono italiano”: militari italiani in Jugoslavia dal 1941 al 1943, da occupatori a “disertori”», Odradek 2012.
    Mi riprometto di leggere, quando trovo il tempo, «Il dolore e l’esilio. L’Istria e le memorie divise d’Europa», pubblicato da Donzelli nel 2005, e un paio di volumi editi da Kapp Vu, in particolare «La “banda Collotti”: storia di un corpo di repressione al confine orientale d’Italia”» di Claudia Cernigoi, pubblicato l’anno scorso.

  • Vedo adesso che su «il manifesto» di oggi Tommaso Di Francesco pubblica una lunga intervista allo scrittore Predrag Matvejevic per tracciare un bilancio (a 10 anni dall’istituzione) della «giornata del ricordo». Fra l’altro dice Matvejevic: «Il bilancio non è positivo se a celebrare il Giorno della memoria alla Risiera di San Sabba, il lager nazista al confine ttra due popoli, accorrono anche post-fascisti abili a cancellare i crimini del fascismo italiano nelle terre slave». Ma tutta l’intervista è da leggere, stra-piena di fatti che purtroppo in Italia vengono dimenticati dai media e dai presunti “opinion leader”. Perchè dimenticati? Il ritorno del nazionalismo si mescola all’ignoranza e più spesso alla malafede ma a volte è anche una strizzata d’occhio a quel mix di razzismo e neofascismo che, anche a sinistra, purtroppo si considera innocuo folklore.

  • Alla BIBLIOGRAFIA aggiungerei:

    Davide Conti “Criminali di guerra italiani. Accuse, processi,impunità
    nel secondo dopoguerra”,
    http://www.odradek.it/Schedelibri/criminalidiguerra.html.

    Aut Aut n. 349 – Il postcoloniale in Italia. http://libridibordo.noblogs.org/post/2012/06/03/aut-aut-n-349-il-postcoloniale-in-italia/

    DAL WEB

    I campi italiani. Le esecuzioni capitali a Roma e la frontiera orientale (1939 – 1943) . L’elenco dei caduti slavi a Forte Bravetta
    http://www.bibliolab.it/landolfi_shoah/shoahitalia/deportazionecampi2.htm

    I campi italiani in Jugoslavia 1941-1943
    http://www.liceograssi.it/storia%20del%20novecento/didattica/2009-10%20esodo/Erodoto/Erodoto/Erod4-5.pdf

    Immagini di fucilazioni di ostaggi e partigiani in Jugoslavia

    http://www.criminidiguerra.it/immagini.shtml

    VISIONI

    Cosa c’è stato prima delle foibe?
    http://it.youtube.com/watch?v=z0EkUlgHAe4&feature=related

    Fascist Legacy – Un’eredità scomoda

    Fascist Legacy (“L’eredità del fascismo”) è un documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Il documentario, diretto da Ken Kirby, ricostruisce le terribili vicende che accaddero nel corso della guerra di conquista coloniale in Etiopia – e negli anni successivi – e delle ancora più terribili vicende durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia tra gli anni 1941 e 1943. Particolarmente crudele la repressione delle milizie fasciste italiane nella guerriglia antipartigiana in Montenegro ed in altre regioni dei Balcani. Tali azioni vengono mostrate con ottima, ed esclusiva, documentazione filmata di repertorio e con testimonianze registrate sui luoghi storici nella I puntata del film. Il documentario mostra anche i crimini fascisti in Libia e in Etiopia. Nella II puntata il documentario cerca di spiegare le ragioni per le quali i responsabili militari e politici fascisti -colpevoli dei crimini- non sono stati condannati ai sensi del codice del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Conduttore del film è lo storico americano Michael Palumbo, autore del libro “L’olocausto rimosso”, edito -in Italia- da Rizzoli. Nel film vengono intervistati -fra gli altri- gli storici italiani Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Claudio Pavone e lo storico inglese David Ellwood

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