Ttip, acqua, Barilla, Expo, movimenti e…

 … politica mondiale (*)   

di Emilio Molinari

 

Il Ttip – Transatlantic Trade Investment Partnership, il trattato in discussione fra Usa e Ue – è la prefigurazione di un nuovo ordine mondiale nel quale il ruolo della politica e di tutte le istituzioni elettive viene marginalizzato e di fatto: esternalizzato.

La sostanza di quanto verrà ratificato con il Ttip è un enorme processo di privatizzazione di tutto ciò che è pubblico, è bene comune e di ciò che è politica e istituzione. Questa è già una tendenza in atto. E forse le riforme dell’Europa e quelle di Renzi andrebbero lette come una anticipazione del Ttip.

Un esempio sono gli organismi extraistituzionali preposti all’acqua. Già oggi le grandi imprese multinazionali, attraverso organismi privati esterni, delegati o partecipati dalle istituzioni internazionali come l’Onu, sono diventati i soggetti primari (li chiamano stakeolder o portatori di interessi) delle decisioni che poi le istituzioni dovranno ratificare con leggi, direttive e sono diventati attori ufficiali nella “Governance”, termine che oggi sostituisce il “governo politico e rappresentativo.”

Nell’acqua a esempio: il «Consiglio Mondiale dell’acqua», partecipato dall’Onu e presieduto da Suez e Veolia (a loro volta controllate da Goldnan Sachs) indice il Forum Mondiale dell’acqua che ogni 3 anni stabilisce le linee guida della politica mondiale dell’acqua.

La Water Partnership – istituita da Obama dopo l’indagine dei “servizi” promossa da Hyllary Clinton sui futuri conflitti idrici nel mondo – è un organismo paritario (fra governo e multinazionali) teso a tutelare gli interessi delle imprese Usa dalla crisi idrica.

Il Ceo Water Mandate è un altro Forum internazionale delegato dall’Onu al quale fanno capo più di 100 aziende multinazionali di tutti i comparti produttivi: Nestlè, Coca Cola, General Elettric, Monsanto, Wall Mart, Unilever, Barilla, Carefur, Levi Straus, ecc…. le cui finalità sono promuovere tutte quelle azioni tese ad assicurare acqua per lo sviluppo delle loro produzioni.

Ecco. Dietro a questo trattato ci stanno queste lobby e questa politica. Gli Usa hanno già delegato ben 600 esperti indicati dalle loro multinazionali a tutelare gli interessi statunitensi nei negoziati Usa–Ue del Ttip.

E’ una cultura che si irradia nella società, è un rovesciamento del ruolo della politica. Non più preposta ad affermare diritti universali mediando fra i diversi interessi ma chiamata dagli organismi privati a legiferare in linea con quanto espresso da loro. Un esempio è Barilla, che nell’ambito di Expo detta e lancia le linee guida di un “protocollo mondiale” sull’alimentazione e l’acqua chiamando la politica ad aderire e a tradurla in leggi. Ma ciò che sorprende è che oggi una simile iniziativa susciti interesse anche fra le ong e le associazioni della società civile più impegnate.

Il pragmatismo fa perdere di vista che con il Ttip e con l’uscita della politica pubblica dalle proprie responsabilità avverrà un salto epocale nel passaggio di sovranità dalle istituzioni alla governance dei poteri finanziari e con particolare vigore si formalizzeranno le forme con le quali già ora avviene lo sfruttamento e l’accaparramento (land grabbing e water grabbing) dei beni comuni essenziali alla vita (acqua, terra, energia).

Esempi.

Già oggi in Africa un territorio pari all’Inghilterra è stato comprato/concesso allo sfruttamento privato. E 1/5 del territorio cambogiano è stato venduto o concesso. Con il risultato che in Africa la quantità di acqua necessaria a coltivare i terreni acquistati nel 2009 è, da sola, ben due volte il volume usato per l’agricoltura in tutta l’Africa nei 4 anni precedenti.

L’acqua nel Ttip.

Ciò premesso, per quanto riguarda l’acqua per prima cosa occorre dire che il Ttip (e il Tisa, trattato parallelo sui servizi pubblici) rischia di diventare un accordo per privatizzare tutti i servizi pubblici comprese le reti idriche, quelle fognarie e la depurazione.

Per intendere la portata di tale prospettiva occorre leggerla avendo presente lo scenario del 2030:

  • con l’estendersi della crisi economica e dell’impoverimento
  • con l’estendersi dei conflitti per l’acqua (a partire dal 2022 come sostiene il documento della Cia), per il pane e per l’energia
  • con il dilagare dei profughi di guerre ed ambientali; ogni anno per effetto della liberalizzazione dello sfruttamento delle aree tipo le dighe, le miniere ecc. 15 milioni di persone si spostano nel mondo
  • con l’aumento della domanda globale di acqua a cui, sostengono i “panel” dell’ONU, verrà a mancare il 40%;
  • con il 70% della popolazione mondiale nelle città e più della metà degli abitanti dei grandi centri urbani che vivrà in baraccopoli e la difficoltà d’accesso all’acqua potabile, ai servizi igienici, allo smaltimento dei rifiuti e alle reti energetiche.

Con il Ttip, alla privatizzazione classica dell’acqua potabile del rubinetto da parte delle grandi utility (Suez, Veolia, Rwe ecc) farà seguito la differenziazione dei prezzi della qualità delle acque, da lavarsi, da bere ecc e l’equiparazione commerciale e concorrenziale fra acqua potabile del rubinetto e acqua in bottiglia (minerale o purificata) prodotta delle grandi multinazionali delle bevande: Nestlè, Coca Cola, Danone, San Benedetto…

Guardate che ciò è già possibile intravederlo nelle scelte di Expo. L’acqua buona e pubblica di Milano e Provincia (Mm e Amiacque) non ha potuto diventare l’acqua di Expo perché la “gara” è stata “vinta” da Nestlè, alla quale è stata affidata niente meno che la piazzetta tematica dell’acqua.

Mentre Coca Cola è diventata “official soft drink partner” di Expo con grande e dichiarata soddisfazione del presidente Sala.

Una seconda ricaduta sull’acqua, sul suo consumo, sul suo accesso e sul suo degrado qualitativo, avverrà:

1° – per effetto dell’impulso che darà il Ttip alla accentuazione della concorrenza fra gli usi che farà perdere ogni criterio di priorità, quello umano, e al diffondersi delle forme di produzione energetica più distruttrici di acqua: gas da frantumazione su modello Usa e Canada, apertura europea al carbone e alle trivellazioni, l’equiparazione agli Usa della normativa per i biocombustibili, ecc… gli stessi OGM avranno una ricaduta negativa sull’acqua.

2° – per effetto della rimozione dei vincoli in materia ambientale con l’uso di pesticidi vietati dalla normativa Ue (già ora nella Ue il 57% delle acque di superficie e il 28% di quelle di falda sono fortemente inquinate da pesticidi) e inoltre per il venir meno, come negli Usa, del principio di precauzionalità.

3° – per la definitiva applicazione anche per quanto riguarda l’acqua e i servizi sanitari dei princìpi: del “full recovery cost” (il recupero attraverso tariffe dei costi e dei profitti) e la sospensione dell’accesso per chi non paga le tariffe.

Nella città di Detroit ormai in degrado dopo la crisi dell’auto, ben 90.000 persone sono state private dall’accesso all’acqua.

Il mercato dell’acqua.

Ma ciò che è veramente in gioco con il Ttip e con la privatizzazione delle istituzioni pubbliche è la monetizzazione e la finanziarizzazione globale dell’acqua, non più solo della gestione dei servizi ma dell’acqua in quanto tale. Non sarà più intesa come elemento naturale e simbolico della vita bensì come materia prima e prodotto industriale: da produrre, da trattare, vendere, comprare e trasportare da un posto all’altro. Un prodotto distribuito da imprese detentrici delle tecnologie depurative, di trasporto, di grandi opere, di desalinizzazione e di sistemi di risparmio per unità di prodotto.

L’acqua pulita o potabile scarseggia? Ebbene sarà la tecnologia a riprodurla, trattandola, desalinizzando i mari, trasportandola, deviando i fiumi e canalizzandola.

Oppure depurandola e rimettendola in circolo: Los Angeles e Singapore immettono nei rubinetti, già ora, l’acqua delle reti fognarie depurata.

Da qui nasce, per le multinazionali, la necessità di definire il prezzo mondiale dell’acqua per qualità e usi, l’istituzione di una Borsa e di un Mercato mondiale dell’acqua.

I diritti allo sfruttamento dell’acqua.

Da qui la necessità per il libero mercato di introdurre la compravendita dei diritti allo sfruttamento, già in atto in Paesi come Usa, Cile, Australia, Spagna ecc… Diritti allo sfruttamento energetico, agricolo alimentare, industriale, minerario e all’imbottigliamento.

Con il Ttip questa totale liberalizzazione di un bene comune come l’acqua è destinato a estendersi all’Europa.

Anzi – siccome il Canada tramite il trattato nord americano Nafta è già sottoposto al regime dei diritti allo sfruttamento in atto negli Usa e siccome l’Europa ha approvato il Ceta, il trattato con il Canada – le imprese canadesi o i ricchi magnati potrebbero già rivendicare tali condizioni.

Per dare una idea della compravendita dei diritti allo sfruttamento basta ricordare il magnate texano Boone Pickens (ma anche l’ex presidente Bush è sulla stessa lunghezza d’onda) che ha comprato un lago in Alaska e che ne rivende acqua all’Arabia Saudita e alla Cina; o il Cile dove l’acqua dei fiumi è lottizzata e venduta all’asta.

Chi compra la concessione ha la priorità sui bisogni umani essenziali degli abitanti del luogo.

I crediti idrici.

Sono gli strumenti finanziari “derivati” di questo sistema della compravendita dei diritti e si rifanno al modello dei crediti per la CO2.

Danno una immagine ambientale all’accaparratore, affermano il criterio del chi inquina paga ma non fermano l’inquinamento e il suicidio idrico in atto.

Le maggiori banche del pianeta si vanno attrezzando in tal senso. Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suis, Carlyle Group ecc sostiene il «New York Times» hanno raccolto 250 miliardi di dollari per raccogliere titoli idrici.

Fermare il trattato Ttip

Per il movimento mondiale dell’acqua questo obiettivo è una necessità assoluta.

Sarebbe la definitiva liquidazione della propria missione, del senso della vittoria referendaria e della possibilità di concretizzare il più grande successo che il movimento ha realizzato sul piano mondiale: aver ottenuto che l’assemblea generale dell’Onu nel 2011 abbia dichiarato che l’acqua e i servizi sanitari (e questo è ancor più determinante) sono un diritto umano.

Per questo il movimento dell’acqua deve fermare il Ttip: la lotta per il No al trattato (cosa da fare assolutamente) è una premessa.

Dovremmo avere un orizzonte altrettanto forte e ambizioso come quello di contrastare il trattato Usa-Ue prefigurando un trattato che concretizzi il diritto umano all’acqua e ai servizi sanitari. Il diritto, la quantità di acqua potabile necessaria ad una vita decente e quella per coltivare il proprio campo. Affermando questa cultura fra la gente e nelle istituzioni, nel mondo associativo. Partendo da quelle più vicine i Comuni, le università.

Riempiendo di contenuti la lotta al Ttip è possibile ricostruire movimenti mondiali forti, capaci di misurarsi anche con la sfida di riportare nella sfera pubblica le istituzioni. Senza il timore di parlare, noi – dal basso – di trattati e protocolli mondiali che dettaglino tali diritti umani e i beni comuni. Parliamo di Costituzioni con al centro i beni comuni, di Autorità mondiali, politiche e pubbliche che lo affermino e lo difendano e di tribunali che sanzionino chi non li rispetta.

Un compito di prospettiva, a lungo termine, che può e deve essere sostenuto da alcuni governi, gli stessi che hanno promosso la risoluzione dell’Onu (Bolivia, Ecuador, Uruguay, ecc), dai municipi, dal mondo della cultura e delle università, dagli artisti, dal mondo religioso, per arrivare alle grandi istituzioni ostili e alla politica. Un orizzonte che dovrebbe impegnare in tale compito il movimento che si sta determinando contro il Trattato.

Un compito a lungo termine ma che può, da oggi, nella nostra città di Milano, avvalersi di una occasione universale – screditata e tradita nelle sue iniziali intenzioni – come Expo 2015 per cominciare il cammino. Per far sì che proprio da Milano e dal suo Comune arrivi la proposta e la disponibilità di candidare una sede per il confronto internazionale.

So che la proposta troverà molte ostilità anche nella sinistra del movimento. Molti pensano che è meglio che Expo e le istituzioni milanesi affondino una volta per tutte nei loro peccati mortali. Che noi tutti dovremmo tirarci fuori, in un fronte del NO evitando contatti o confronti. Io penso invece che il compito di Tsipras e del movimento che ho cercato di prefigurare debba ambire a far sì che Milano, la nostra città e il nostro Comune possano essere guardati come la città e l’istituzione da cui è partito il messaggio al mondo del diritto umano all’acqua, alla salute primaria, al cibo necessario e sano, al calore per tutti.

E con questo senza perdonare a nessuno i suoi peccati.

(*) Devo ringraziare Amalia Navoni (del coordinamento Nord-Sud del mondo) per avermi fatto conoscere questo intervento di Molinari al seminario del 13 settembre sul Ttip, organizzato dalla lista «L’altra Europa» di Milano. Un seminario con relazioni molto interessanti che hanno dato un quadro terrificante della situazione che si verrebbe a creare se il Ttip dovesse andare in porto. Si stanno preparando due giornate di mobilitazione per l’11 e il 12 ottobre in tutti gli Stati europei. ovviamente il blog è aperto ad altre informazioni e discussioni (db)

 

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