Tutte le nostre nuvole

Ora che la nube islandese non fa più paurissima sarebbe tempo di bilanci seri: per esempio se fanno più danni i vulcani o le compagnie aeree, se dormire alcune notti in aeroporto sia una super-catastrofe o un piccolo inconveniente e così via. Ma su questo blog si lascia spazio alla (buona) fantascienza ed è dunque l’occasione per ragionare di cosa si cela nelle nubi – concrete  e/o metaforiche – della cosiddetta letteratura d’anticipazione.

Negli anni ’60 Robert Zinneman, che i più conoscono come Bob Dylan, cantava: «non occorre essere un metereologo per sapere dove soffia il vento». Molto poetico e molto politico. Così quando accadde prima il grave incidente di Harrisburg e poi il disastro, la tragedia di Chernobyl in molti sapevano già non solo che il vento soffia ma che, fra l’altro, non rispetta i confini o i blocchi decisdi dalla geopolitica.

Qui si inserirebbe qualche accenno alla fantascienza detta catastrofica, ai suoi pregi e limiti, ma… perbacco-baccone questo è un articolo mica un saggio. Perciò corro veloce, quasi come il vento.

In ogni modo soprattutto dopo Chernobyl anche in Italia molti alzano gli occhi al cielo e si chiedono: arriverà anche qui? E come? Verrà sotto forma di nuvola nera, minacciosa (una pessima simbologia, serie B o C siete d’accordo?) o risulterà invisibile, impalpabile? Probabilmente se si fosse intervistata un po’ di gente la simbologia della nube fosca sarebbe risultata vincente. Ci possiamo immaginare il signor Ahsaperlo e la signorina Vediunpo: hanno una vaga idea delle nuvole, idee ancor meno precise sulla fantascienza e quasi il buio a proposito di radiazioni, energia, scienze. Vanno in libreria o in biblioteca per informarsi. I loro occhi cadono sul titolo «La nuvola nera». La copertina non fa capire subito che si tratta di fantascienza, nel retro si legge che l’autore – Fred Hoyle – è uno scienziato, un famoso astrofisico inglese. Perfetto no?

In realtà il signor Ahsaperlo e la signorina Vediunpo stanno commettendo un errore: quel romanzo – molto bello – non parla di radiazioni e centrali (o armi) nucleari. Lo riassumo? Molti di voi strablogghisti, cioè visitatori di questo strano blog, siete appassionati di fantascienza e dunque non avete bisogno che io vi sintetizzi un così straordinario romanzo. Ma riducendo «La nuvola nera» a un bignami per pigri farei un torto anche a chi non lo ha letto … e dovrebbe; e mi farei odiare da chi ama i colpi di scena stile bazooka (qui almeno tre).

Così mi limito a qualche suggestione, poco più di una classica quarta di copertina. Avvisandovi che nel romanzo (pubblicato nel 1958) la vicenda inizia il 7 gennaio 1964 ma a noi arriva da una missiva scritta il 19 agosto 2020.

D’improvviso ai bordi del sistema solare viene avvistata una enorme nuvola nera, molto anomala. Nella volta stellare ci sono strani mutamenti. Sul pianeta Terra si diffonde il panico. Gli scienziati però hanno altri problemi: se quella nube così stramba fosse senziente? O per dirla con uno dei protagonisti: «Animato e inanimato sono termini di comodo. Ci paiono tautologici se li spingiamo troppo avanti. Parliamo in termini più scientifici: io ritengo che la chimica dell’interno della Nuvola sia estremamente complessa: molecole complicate, attività nervosa complicata. Io ritengo che la Nuvola abbia un cervello». Siamo a mezza strada, il bello (o il brutto?) deve ancora venire e più non dirò. Se non per raccomandarne la lettura agli amanti della musica e sconsigliarla a chi vive su tempi da tartaruga.

C’è un’altra nube letteraria che forse fa capolino nella memoria, nell’immaginario di qualcuno. Il colore è diverso: «La nube purpurea» di Matthew Shel è ben più antica. Il purpureo è un colore inquietante, io per esempio lo sconsiglierei per i calzini dei giudici, soprattutto se antipatici al signor P21816, alias  Silvio Berlusconi. Nel romanzo l’arrivo di una spedizione al Polo nord coincide con la catastrofe con la C maiuscolissima. Il protagonista, Adam Jefferson (ho detto Adam… è chiaro?) non è uno scienziato: pensa di compiere il bene e invece si ritrova a essere l’eroe nero di una storia apocalittica, sorprendente, necrofila e megalomane, contaminata dalle idee di “razze degenerate” che allora andavano per la maggiore. Nel passaggio fra ‘900 e ‘900 quante panzane si sono dette sulle razze: c’era anche un italiano (un progressista, un socialista) un certo Lombroso, avete presente? Pretendeva di riconoscere i criminali dalla fronte o dal cranio. E di riconoscere le prostitute dai piedi. Questo è interessante vero?

Faccio un inciso. Quando io e Hamid Barole Abdu lo raccontiamo nel nostro cabaret (o quel che l’è…) «Le scimmie verdi» con la coda dell’occhio vedo – o mi pare – che alcuni uomini stiano scrutando i piedi femminili nei dintorni per verificare. Però mannaggia sono calzati e invece per individuare una donna predisposta alla prostituzione – scriveva Lombroso – occorre esaminare il piede nudo. Se le dita dei piedi sono insolitamente attaccate fra di loro… eccola, una escort  g-a-r-a-n-t-i-t-a. Lo ripeto: uno scienziato e un progressista. Quest’anno il quotidiano «La stampa» ha ripubblicato alcuni suoi testi. Era il centenario della morte o una cosa del genere. Credo che vi sia ancora qualche scuola intitolata a lui. Siamo un Paese che sa apprezzare i veri pensatori.

Torniamo al romanzo, va. La terribile nube purpurea esce da un vulcano, emerso dal mare. All’epoca quasi nulla si sapeva di atomi da spezzettare e rimbalzare ma l’autore ci chiarisce che siamo di fronte a una energia ben superiore al massimo di quell’epoca. Le città cadono una dopo l’altra: Londra, Parigi, Bordeaux, Pechino, Bombay, San Francisco, Costantinopoli e… Nagasaki. La nube è ben visibile, quel suo colore si contrappone al bianco del Polo, forse allegoria di una purezza perduta. Non è colpa mia se questa simbologia del nero cattivo e del bianco buono è un po’ banalotta, infatti ogni volta che qualcuna/o la ripete la Lega Nord di Treviso gli offre due fiaschi di vino.

Sto andando fuori tema. Ma torno a bomba, anzi a nube. Quando la fantascienza, a partire dagli Stati Uniti, inizia a raccontarci storie di energia nucleare, radiazioni, fallout…siamo ancora nel cosiddetto mondo reale cioè lontani dai primi funghi sperimentali a Los Alomos.

Un famoso romanzo che qualcuno definisce profetico è «Incidente nucleare» , uscito nel 1942. Lo scrisse Ramon Felipe San Juan Mario Silvio Enrico Smith Sierra y Alvarez de Rey y De Los Verdes non sto scherzando… che però, per ragioni comprensibili, abbreviava il suo nome in Lester Del Rey. Non guerra atomica dunque ma incidente. Con il passare degli anni e il progresso delle conoscenze scientifiche quella paura di un “incidente” possiamo metterla in soffitta? Questa fu, all’incirca, la domanda posta a Lester Del Rey nel 1975 da un giornalista (Darrel Shweitzer, se vi interessa) e lui rispose no, tutt’altro che anche fra 100 anni gli incidenti saranno possibili, soprattutto nel tentativo di risolvere il problema più grosso di tutti, cioè come sbarazzarsi di scorie radioattive.

Questo Del Rey è un tipo pessimista ma soprattutto beffardo. Così in un altro suo famoso romanzo, «L’undicesimo comandamento» anche la catastrofe atomica militare non avviene per una scelta ma per incidente, anzi durante un’azione quanto mai meritoria. Cito: «la Terra non era mai impazzita fino al punto di dare inizio deliberatamente a una guerra atomica. Era stato un incidente. Un grande papa, Clemente XV, aveva convinto le nazioni al disarmo (…) Ma vi fu un incidente, dovuto all’imprudenza, in uno dei luoghi in cui le armi atomiche venivano smantellate. C’era stata una gigantesca esplosione in un Paese dell’Europa centrale, quel Paese si era ritenuto attaccato a tradimento… L’equivoco era stato chiarito in meno di due ore» ma era tardino: «due terzi del mondo erano stati distrutti. Fra i morti anche Clemente XV».

Errori umani dunque. Come a Chernobyl.

Non sappiamo invece se accade per errore o per dolo la catastrofe di cui ci parla un grande scienziato, Leo Szilard, che si dilettò con la fantascienza. In uno dei suoi racconti, gli extra-terrestri (eccoli finalmente) sono richiamati verso la Terra, un pianetino insignificante appunto, notando misteriosi “lampi”. Ma quando gli extra-terrestri arrivano qui – ci mettono 5 anni –  non trovano più nulla di vivo. Ve ne scriverò un’altra volta, d’accordo?

Alle radiazioni, a quella simbolica nube nera (o purpurea) possiamo sopravvivere? Come forse sapete, la fantascienza – sia quella buona, vispa che quella cattiva, banale –  si è molto arrovellata su questo punto, dando risposte assai diverse. Mi piacerebbe riassumervi alcune di queste storie, a partire da «Solo una madre» di Judith Merrill ma le lancette dell’orologio mi mordono i polpacci (insomma: ho fretta).

Forse sapete che Urania  è la collana di fantascienza più antica in Italia. E che tuttora, nonostante il calo di vendite, continua a riempire le edicole. E a ristampare vecchi libri: per esempio nell’ottobre scorso ha ripubblicato il romanzo di tal Mordechay Roshwald, «Livello 7». Mi pare che valga la pena prendere molto sul serio la tesi di fondo cioè che per quanto ci nascondiamo nel fondo del pianeta… le radiazioni ci beccheranno.

Sembrano invece reggere meglio i super-rifugi atomici, detti “formicai” nel romanzo «La penultima verità» – attenzione, ho scritto “la penultima” – di Philip Dick. Spero lo conosciate.

Finali possibili a questo articolo?

Potremmo terminare con una nota di humor nero, in «Funzionò», un purtroppo dimenticato fumetto (sto rubando il mestiere al mio omonimo) di Jules Feiffer.

Oppure potremmo concludere con un famoso racconto, scritto da Richard Wilson: ironico e/o  ottimista. Vi dirò il titolo solo alla fine.

Succedono cose strane. Per dirne solo una: un ragazzino va a comprare un regalo per la mamma e il gioielliere gli regala un ninnolo da miliardi. Intanto un giornalista è alle prese con un pezzo , moooooolto difficile da scrivere, e che non sa se qualcuno leggerà per la semplice ragione che il giorno dopo forse non sarà rimasto persona in grado di leggere, anzi… viva sulla Terra intera. Infatti la notizia fino ad allora tenuta segretissima (ma qualcuno sapeva e ciò spiega alcune stranezze nelle ore precedenti) è che una «nube di gas tossici» sta viaggiando verso il nostro pianeta. Quando passerà nei nostri dintorni sarà l’olocausto: lì dentro ci sono troppi veleni, dicono gli scienziati, non c’è speranza.

Ma il racconto si intitola «Effetto Carson» in omaggio a una ecologista ante litteram, quella Rachel Carson che è stata (con il suo «Pianeta silenzioso») fra le prime persone a rendersi conto dei danni di quelle nuvole nere o di altri colori, a volte grandi e talaltra piccine come gli spruzzi del Ddt,  perlopiù non visibili a occhi nudi, che respiriamo ogni giorno, in tempi di pace.

Nel racconto di Wilson si avanza la tesi (troppo bella per essere vera) che a forza di respirare veleni ci siamo immunizzati.  Insomma che la nuvola sia nera o purpurea, islandese o extragalattica, la sfangheremo pure stavolta.

In effetti ci si assuefà a (quasi) tuto. Guardate quel buffo Paese europeo, a forma di stivale nel mar Mediterraneo. A forza di respirare merda lì si sono convinti che è buona: ora la mangiano, la lodano, la votano.

Da parte mia ho una preghiera per la nuvola: sorellina, se passi da queste parti portami via, grazie.

Ho ripreso, con molte modifiche, un lungo articolo scritto per il quotidiano «il manifesto» nel 1984 (cioè dopo Chernobyl) con Riccardo Mancini. Sulla stessa traccia nell’ottobre 2009 mi sono divertito (a Cagliari) a intrecciare le nuvole fantascientifiche con le nuvolette dette “fumetti” e in quella occasione ebbi il piacere (e soprattutto il divertimento, la inquietudine, lo spiazzamento) di avere come interlocutore un tipo che si chiama proprio come me, Daniele Barbieri. (db)

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