Umanoidi e dintorni

Come diavolo è arrivata lì, in un assolato deserto, quella bambina? Se lo chiede «l’arcigno sergente di guardia» al segretissimo osservatorio scientifico. Perchè quella pupetta «dall’aria patita e con i piedi nudi sull’asfalto bollente» vuole parlare con Clay Forester, il direttore? E perchè (ma soprattutto come) quando le dicono – è ovvio – di no sparisce all’improvviso rinunciando persino a un gelato?
Sono le prime righe di «Gli umanoidi» di Jack Williamson. Nonostante abbia letto il libro chissà quanti anni fa (è datato 1949 però escludo di averlo rubato a un adulto per leggerlo in culla) ricordavo l’inizio quasi perfettamente. La via del mistero è ben progettata e dunque io mi sono incamminato volentieri a rileggerlo. Il romanzo di Williamson mi pare un buon modo per festeggiare quota 100 della Collezione Urania (che però ogni tanto dà l’impressione di muoversi a casaccio). Per tutto maggio trovate «Gli umanoidi» in edicola (5,50 euri per 320 pagine). Fresco di rilettura, ve lo consiglio di cuore nonostante qualche pagina sia invecchiata per scrittura e alcune idee – innovative nel 1949 – oggi risentano del tempo passato.
Williamson è uno dei tutori – più che dei padri – della nostra fantascienza, quella moderna e di massa, morto nel 2006 alla bella (o brutta?) età di 98 anni. Prolifico (certo meno di Asimov), qua e là geniale, con una discreta doppia (cioè umanistica e scientifica) cultura coniugata con la fantasia e la faccia tosta necessarie a coprire qualche buco nella trama e/o nella coerenza.
Qui ci porta su Starmont: 100 secoli dopo il ‘900 e dopo l’espansione umana «su migliaia di pianeti abitabili nel raggio di cento anni luce dalla Terra».
Sta per scoppiare una guerra interplanetaria ma la misteriosa bimba viene ad avvisare Clay Forester (lo scopritore della rhodomagnetica) che è in arrivo un pericolo ben più grande. Per combattere gli umanoidi (una sorta di robot perfettissimi e… così buoni da apparire minacciosi) serve sì la scienza ma anche – come spiegherà Mark White all’esterefatto Forester – un’accozzaglia dei «più geniali abitanti di questo pianeta, li ho pescati nel fango della strada, in prigione, al manicomio». Perchè proprio loro il recensore non può dirvelo… ma solo darvi qualche indizio.
Sul petto dei luccicanti umanoidi spicca un numero e la frase «servire e ubbidire e proteggere l’uomo dal male». Ma siccome anche la conoscenza può causare dolore (ricordate un certo albero biblico?) l’idea degli umanoidi è farci regredire, anche grazie alla droga «euforide», in uno stato di fanciullezza senza ricordi troppo dolorosi e/o stressanti interrogativi etici, scientifici o magari amorosi. Per capirsi: mentre noi facciamo «ghirighì, uè, anghè» a tutto il resto pensano loro.  Come ricorda Williamson esiste un «antico proposito secondo cui un dispotismo benevolo è il miglior governo possibile»; i più cattivi lo chiamano “la finta democrazia del Welfare State” ma lasciamo perdere che  Williamson non credo fosse così estremista.
La lotta contro queste macchine luccicanti sarà difficile, sporca e sorprendente. Occhio alla claustrofobia e persino (ma qui Williamson potrebbe esagerare) all’eccesso di pacifismo. Prima di arrivare a metà libro provate a riflettere sull’etimologia della parola «malocchio» e a chiedervi se potrebbe essere una strategia utile. Senza troppo svelare, il recensore (re censore?) può suggerire che contro il nemico non è bene usare i suoi strumenti o, come “martella” Monica Lanfranco su codesto blog (citando Audre Lorde) «Non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone»… Dunque se quei metalli lucenti sono razionali al massimo noi per per batterli seguiremo la strada della stranezza.
E qui mi fermo.
Se non avete mai letto Williamson recuperate anche «Il figlio della notte» (del 1940, il titolo originale era «Darker than You Think») che, scoprirete subito, è stato saccheggiato da molti romanzieri e registi successivi. Se lo leggete con un occhio iper-ideologico potrebbe apparire una giustificazione, anzi quasi un invito, al massacro delle streghe. Ovviamente è solo un romanzo e Williamson – come ogni autore o autrice – non è sempre d’accordo con i personaggi (o i mondi o i licantropi…) che crea.
A giugno la Collezione Urania manda in edicola «Vita con gli automi», un altro classico, dell’inglese James White. Nel frattempo l’Urania “normale” propone il divertente romanzo – volutamente in stile “avventura per ragazze/i” – del di solito serioso Joe Haldeman: «Dula di Marte» (260 pagine per 4,20 euri) si ispira al vecchio «Una famiglia marziana» di Robert Heinlein. Certo gli anni passano e la ragazza ha esperienze sessuali impensabili nella fantascienza degli anni ’50 per tacere di altre complicazioni. Una storia a due denti: sorri-dente e ogni tanto sorpren-dente.
Adesso però immaginate un rullare di tamburi e uno squillar di trombe (o per restare alla fantascienza un rimbombare di atomi e il trillo delle galassie nane): a giugno Urania pubblica «Www 1: risveglio» di Robert Sawyer che io considero (come sa, quasi fino alla nausea, chi frequenta questo blog) l’autore più importante della nuova leva. E siccome Sawyer proprio a giugno sarà in Italia chissà che non esca anche qualche bella chiacchierata con lui. Sembra un tipo simpatico oltre che un bravo scrittore. Quasi quasi lo ingaggio per codesto blog: non c’è lucro ma la gloria è certa.

Redazione
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Un commento

  • Ciao Daniele, a suo tempo (millenni orsono) lessi anche io “Gli umanoidi” e mi piacque moltissimo. Certo, oggi va letto con un occhio, o forse due, o tre (siamo tutti marziani) a ciò che si scriveva allora. La mia prima lettura di fantascienza (Urania) fu il romanzo “La Legione dello spazio”, anche questo di Jack Williamson: un tipico romanzo di quei tempi (primi anni ’50), con un manipolo di astronauti che si impegolavano in avventure intricate e originalissime (allora) per salvare la Terra dai mostruoni alieni (Meduse giganti), avventure poi largamente copiate anche nel film Star Wars, e che però – ahimé – mi ifettarono il morbo per sempre:-)
    Ciao,
    V.

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