Un Anello per smentirli

di Riccardo Dal Ferro

Schermata 2015-05-13 alle 14.22.22Da molto tempo desideravo parlare de “Il Signore degli Anelli” in Bottega.

Per prima cosa in quanto si tratta di un’opera che amo infinitamente, così come tutto il ciclo tolkeniano, una delle produzioni più notevoli della creatività umana di ogni epoca. In secondo luogo soprattutto perché in Italia la razzia politica e culturale che si è compiuta intorno a questa saga è inaccettabile.

Essendo la Bottega un luogo di dialogo e intelligenza, non posso esimermi dal ragionare insieme a voi sullo scempio culturale che del povero Tolkien si è fatto.

Si parla ancora troppo poco dello splendido saggio “In difesa della Terra di Mezzo” di Wu Ming 4, nel quale finalmente vengono allo scoperto le mistificazioni ideologiche operate intorno all’Unico Anello e ai suoi portatori. Fascisti e tradizionalisti, fondamentalisti cattolici e fanatici del paganesimo celtico, studiosi da strapazzo e ideologi dell’ultima ora, tutta la schiera dei peggiori lettori del mondo, quelli che “usano” i libri per giustificare le proprie nefandezze culturali, hanno creato una buia giurisdizione intorno alla Terra di Mezzo, rovinando per quarant’anni l’aura magica che Tolkien ha così minuziosamente costruito.

Ma che cos’è in realtà il Signore degli Anelli?

Alle 12 di oggi uscirà in Bottega un video intitolato “Filosofia del Signore degli Anelli” e nel quale sarò più dettagliato. Ma ciò su cui voglio puntare l’attenzione ora è la totale e incontestabile modernità di questa narrazione, alla faccia di chi la vorrebbe relegare a una tradizione ammuffita e medievalista.

“Molti uomini in vita meriterebbero la morte. E molti altri che sono morti meriterebbero la vita. Chi sei tu per decidere il destino di costoro?” chiede Gandalf a Frodo, nelle miniere di Moria dove dominano le ombre, redarguendo la facilità con cui lo Hobbit aveva dispensato giudizi su Gollum, vittima dell’Anello. E se andiamo a ritroso nella narrazione, ci accorgiamo che i pretesi “eroi pagani” della saga non sono certo votati alla bella morte, in quanto la temono come ogni uomo; disobbediscono al proprio signore ogniqualvolta gli ordini ricevuti siano iniqui; evitano lo scontro fino all’ultimo e usano la spada solo come difesa, mai come giustizia. I pretesi “eroi della romanità”, come li definisce capziosamente Furio Jesi, sono spaventati e fragili di fronte alle strade da intraprendere, non hanno certezze nei confronti del proprio destino, sono umanamente attaccati alla vita e l’ultima cosa cui anelano è la morte.

Se andiamo ancora a ritroso arriviamo al Silmarillion, cosmogenesi dell’universo tolkeniano, nel quale la creazione del mondo è affidata alla “musica di Eru, l’unico” a cui le melodie degli Ainur (che potremmo definire cristianamente, gli angeli) devono accordarsi. E Melkor, figlio di Eru e primo malvagio del mondo, è parte di quella stessa musica.

L’immagine che abbiamo del bene e del male nell’opera tolkeniana è di una modernità sconcertante, altro che paganesimo celtico! Il male non ha un’esistenza a sé, ma è prodotto della stessa musica creatrice (e risuonano le parole di Nietzsche: “Il diavolo è frutto del riposo di dio al settimo giorno”) e, sotto questa logica anti-manicheista, ogni malvagio della narrazione è responsabile delle proprie azioni perché non è nella sua natura compiere il male!

Compassione, solidarietà e pietà impregnano l’opera di Tolkien, senza lasciare alcun dubbio intorno al preteso esoterismo magico che troppi interpreti hanno cercato di infilare a forza nella lettura di queste storie. Non ci sono elementi esoterici, non ci sono “segreti” interpretativi che riducano a una piccola élite di illuminati i veri lettori delle vicende ambientate nella Terra di Mezzo. Non c’è fobia per il diverso, ma c’è differenziazione e solidarietà tra uomini diversi in tutto e per tutto. C’è la collaborazione tra diverse specie (specie! Altro che razzismo tolkeniano!) e ci sono amicizie che superano le divisioni storiche. L’opera è profondamente anti-aristocratica, ogni “lignaggio” è relegato all’immagine della decadenza e della depravazione, e non è la linea di sangue che predestina il successo degli individui, ma la loro forza d’animo e la capacità di unire le forze con quelle di altri individui virtuosi.

Basterebbero solo questi accenni, senza entrare nelle profondità dei testi, per far capire quanto l’opera dello studioso inglese sia molto più vicina alle favole di Esopo che al tradizionalismo evoliano cui troppo spesso viene accostato. E l’immagine del male, della responsabilità, dell’etica, della libertà che ne deriva è moderna e completamente priva di simbolismi beceri. Simbolismi che peraltro, prescindendo da qualsiasi contenuto, potrebbero essere infilati in qualsiasi opera, persino in quella di Calvino, di Manzoni, di Gide (per questo io ripeto sempre: diffidate dal simbolismo!).

Per concludere questa piccola arringa, che assomiglia molto più a un consiglio di lettura critica e consapevole, voglio riflettere su una cosa: come si può definire “élitaria” e classista un’opera in cui il destino del mondo è affidato alla “più improbabile e ridicola delle creature, una creatura della quale il mondo sembra essersi dimenticato, tanto sembra ininfluente di fronte alla storia: un hobbit”?

“Il Signore degli Anelli” è la grande storia delle coincidenze, delle frammentarietà, delle casualità che, messe tutte insieme, producono una storia sicuramente non unitaria né certa, le cui vicende sono intrecciate alle vite degli uomini insignificanti, ai tradimenti per capriccio, alla disobbedienza verso i potenti, alla libertà di sbagliare. Aragorn, Gandalf e Theoden, grandi uomini ed eroi della saga, cadono in errore e mettono a repentaglio il destino dei piccoli uomini, sulle cui spalle poggia inaspettatamente il peso della storia.

Tolkien ci racconta il momento di passaggio dal mondo degli eroi al mondo degli uomini, dall’universo dell’epica all’universo della storia, e lo fa con una favola che definire “umana” è eufemistico. Le figure che vi si intrecciano sono moderne, impregnate di attualità, e di certo non intendono riportare il mondo a un supposto stato arcaico che, in ogni pagina delle opere citate, altro non è se non un fantasma privo di consistenza.

Leggere “Il Signore degli Anelli” significa proiettarsi nel nostro presente e comprendere che nelle mani di ogni uomo, seppur piccolo e insignificante, è racchiusa la responsabilità per la storia universale.

E il nostro agire, scevro da qualsiasi alibi, è ciò che condiziona le vicende del mondo futuro.

C’è qualcosa di più moderno, rivoluzionario e umano di questo?

Riccardo DAL FERRO

3 commenti

  • Tu mi piaci, Riccardo…
    E se non l’hai letto, ti consiglio la bellissima lettura del saggio “La filosofia di J.R.R. Tolkien” oltre al bellissimo saggio “L’anello della fantasia”, che dedica a Tolkien un ponderoso capitolo.
    Diffido da sempre dal simbolismo, proprio perchè i simboli non possono in alcun modo essere sciolti dal loro contesto, pena un colossale fraintendimento e uno snaturamento e fraintendimento dell’opera.
    C’è da dire che troppo spesso tali opere, non parlo solo del fantasy, sono state oggetto di religiosa venerazione e di nascite più o meno incontestate. Molti giovani, tra i quali mi annovero anch’io che giovane ormai non lo sono più (sono quasi un quarantenne e purtroppo non me li sento), hanno sempre affrontato lo snobismo nemmeno tanto velato della cultura ufficiale, che bollava Tolkien e i suoi emuli semplicisticamente come letteratura di consumo.
    Cosi, lasciati solo a protezione degli appassionati, la saga di Tolkien è diventata quantomeno un “libro sacro” per molti ragazzi, che ne hanno dato diverse interpretazioni, tra i quali quelle che oggi dipingono Tolkien come apostolo del fascismo. Altri ancora, invece, ne hanno compreso la valenza metaforica, più che simbolica. In effetti, Tolkien è una tragica metafora della prima guerra mondiale, che egli ha combattuto nelle retrovie, come marconista, un periodo per lui fondamentale e nel quale inventò il linguaggio elfico, ampiamente usabile e con il quale si dilettava cantando, come ricordano spesso i suoi amici. Tolkien, nelle sue intenzioni, come di tutto il circolo degli Inklngs, di cui faceva parte l’amico Clive Staples Lewis, era creare un’opera che andasse a tappare una falla nella letteratura cavalleresca anglosassone e che potesse risvegliare le coscienze nel periodo del dopo guerra. Non è un caso che proprio Pipino e Merry, i due hobbit che accompagnano Frodo insieme all’inseparabile Sam, si pongano la domanda fondamentale:”Come potremo ritrovare la felicità dopo tutto questo orrore?”. E sarà compito di Sam, non di Frodo, riportare la pace nella contea, scontrandosi per l’ultima volta contro il corrotto mago Saruman, anch’egli un Ainur come Gandalf, ma decaduto. Ecco quindi la libertà attraverso la dura lotta di ogni giorno, dove la felicità è una conquista tutt’altro che scontata.
    Una stupenda metafora, che di sicuro non può appartenere al fascismo, semmai fascisti potrebbero essere proprio gli abitanti di Mordor, dove l’ombra cupa scende. Orchi che si nutrono di carne umana, un occhio divino iniettato di sangue e che vuole solo più potere per il potere stesso.
    Sono proprio i guerrieri o altri lignaggi, come giustamente fai notare, che si perdono nelle brame del potere che corrompe sempre. In questo Tolkien ripercorre non a caso molta materia cavalleresca, non solo dal ciclo arturiano ma da molte altre fonti, senza dimenticare mai la propria modernità. L’aver creato un linguaggio nuovo, lui professore di lingua e letteratura inglese antica, non è un caso. Un nuovo linguaggio porta a comprenderci tutti, in una fratellanza linguistica universale.
    Cosa c’è di meno fascista in questo?
    Bravo, bel commento e ti dico anche bel video.
    Una sola precisazione: da master e giocatore in vari giochi di ruolo, ispirati o calati nelle ambientazioni tolkieniane, da appassionato di fantasy e da lettore di Tolkien, ti confermo che non lo amo. E questo per mettere le cose in chiaro sul valore che ha il mio commento nei confronti del tuo bellissimo scritto.

    • Ti ringrazio per la tua risposta, sono felice tu abbia apprezzato il pezzo e il video! 🙂
      “La filosofia di Tolkien” è uno splendido saggio, ma ora mi recupero anche “L’anello della fantasia” che mi manca! Grazie! 🙂

  • Grazie Riccardo hai parlato con realismo e anche con dolcezza del mio amato Tolkien. È sempre difficile riuscire a confrontarsi quando si parla di lui.Gli scritti i suoi libri i brevi racconti che cambiano si trasformano sono vivi si muovono in terre che assomigliano molto alla nostra a questo presente in cui ogni giorno mi capita di incontrare sempre piu’ spesso orchi e purtroppo difficilmente hobbit elfi o maghi.
    Il professor Tolkien ha creati un mondo…l’ha costruito ogni giorno..ne ha creato le lingue ( Più di 24 dialetti) ha creato piante fiori animali ed esseri due gambe….se non l’hai letto ti consiglio Rover andom. …veramente magico.
    ti saluto con la luce…Elena Sila Lumen OmentIelvo !!!!
    Che una stella brilli sull’ora del nostro incontro !
    Vanja

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