Un appello per lo Yemen

di Marco Magnano (*)

  Per quella che è diventata, secondo l’Onu, «la più grande crisi umanitaria al mondo» c’è l’urgenza di arrivare alla pace e riportare condizioni di vita accettabili ma anche di conoscere la verità

Con un appello pubblicato martedì 29 agosto, 62 realtà che si occupano di difesa dei diritti umani in tutto il mondo chiedono che le Nazioni unite aprano un’inchiesta sugli abusi della guerra in Yemen, affermando che si sia già perso troppo tempo di fronte a un conflitto per procura che in due anni e mezzo ha creato una crisi umanitaria ormai fuori controllo.

Come siamo arrivati qui

Il percorso dello Yemen verso il disastro attuale ha vissuto un’accelerazione nel 2014, quando la tensione politica che già si respirava dalla rivolta del 2011 è tornata a crescere. Tre anni fa, i ribelli Houthi, politicamente vicini all’Iran e fedeli all’ex presidente Saleh, avevano occupato parte della capitale yemenita, Sana’a, inclusi gli edifici governativi, annunciando di voler cancellare al-Qaeda dallo Yemen. Un obiettivo quasi impossibile, in un Paese che rappresenta la principale base mondiale per il movimento jihadista. Questa occupazione aveva però alimentato la preoccupazione dell’Arabia Saudita, che teme da sempre la nascita di un forte centro di potere sciita nella penisola arabica. Quando, il 20 gennaio 2015, gli Houthi hanno occupato anche il palazzo presidenziale, il presidente Hadi è riuscito a fuggire e a rifugiarsi ad Aden, la seconda città del Paese e sua roccaforte politica, dichiarata in quel momento capitale transitoria.

Il conflitto ha poi vissuto la sua decisiva escalation nel marzo dello stesso anno, quando una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, composta da 150.000 uomini delle forze di terra e da oltre 100 aerei militari, è intervenuta in modo diretto e massiccio avviando una campagna militare in tutto il Paese, la più grande mai portata avanti da Riyadh. Questo intervento, oggi ancora in corso, ha reso più profonda una crisi che da allora ha portato milioni di persone sull’orlo della carestia e centinaia di migliaia ad ammalarsi di colera.

Un Paese in caduta libera

La guerra ha peggiorato le già pessime condizioni sanitarie dello Yemen trasformando il Paese in un ambiente ideale per la diffusione di malattie. A rendere tutto ancora più precario, lo scorso maggio, durante la stagione delle piogge, il sistema fognario yemenita è stato distrutto: i bombardamenti e la cronica mancanza di manutenzione lo avevano indebolito a tal punto che non è stato in grado di reggere all’aumento nell’afflusso di acqua e nessuno, al momento, è in grado di ripararlo. Nel paese non ci sono più tecnici che possano fare manutenzione, né fondi necessari a investire per ampliarlo.

Del resto, niente nel Paese funziona come in un vero Stato. Lo Yemen di oggi è infatti una nazione divisa in due lungo confini molto simili a quelli precedenti all’unificazione del 1990: i sauditi e i loro alleati controllano il sud e l’est del Paese, mentre gli Houthi rimangono saldi nella capitale San’a’ e sulle montagne nel nord. A complicare ulteriormente il quadro va poi aggiunta al-Qaeda, che ha sfruttato il caos del conflitto per rifiorire e prendere il controllo in un’ampia fascia che attraversa da nord a sud la parte centrale del territorio.

Secondo Human Rights Watch, che ha firmato l’appello insieme alle altre organizzazione, durante questi 30 mesi di guerra sono state compiute «numerose violazioni del diritto umanitario internazionale e di leggi da parte di tutte le parti in causa. Inoltre, queste violazioni sono continuate impunemente». Nello specifico, la coalizione a guida saudita avrebbe condotto «una grande quantità di attacchi aerei illegittimi», alcuni dei quali potrebbero essere considerati crimini di guerra, visto che hanno ucciso migliaia di civili e colpito scuole, ospedali, mercati e case. Allo stesso modo, i ribelli Houthi e i loro alleati avrebbero «utilizzato in modo indiscriminato le armi contro i civili, uccidendo e mutilando grandi quantità di persone». Anche per loro l’accusa è quella di aver commesso crimini di guerra.

I fallimenti della politica

La prima richiesta di una commissione indipendente d’inchiesta su questi abusi risale addirittura al 2015, nei primi mesi del conflitto, ma già allora l’Alto Commissario Onu per i diritti umani non aveva ottenuto nessun risultato. Da allora, sono almeno 9.000 le persone uccise e circa 50.000 i feriti. Come detto, a complicare il tutto è l’epidemia di colera che da mesi sta colpendo il Paese. Oltre ai numeri già citati, sono quasi 2.000 gli yemeniti morti da aprile a causa della malattia e si pensa che siano 600.000 quelle che verranno contagiate entro la fine dell’anno. Anche se secondo una dichiarazione di Unicef di martedì 29 agosto l’epidemia di colera sta rallentando grazie agli sforzi delle migliaia di volontari locali, la situazione è molto lontana dall’essere sotto controllo.

Le Nazioni Unite ritengono che oggi quella yemenita sia «la più grande crisi umanitaria al mondo». Eppure, sembra che questo non sia abbastanza per spingere le stesse Nazioni unite, in questo caso nella figura del Consiglio di Sicurezza, a prendere in mano la situazione e porre fine al disastro. È impossibile pensare che gli alleati dell’Arabia Saudita non siano consapevoli di questa situazione umanitaria, eppure l’Occidente sta chiudendo un occhio, se non entrambi, di fronte a quelli che i sauditi chiamano “errori”, ovvero i bombardamenti su strutture sanitarie e sui civili. Uno degli ultimi esempi è quello della scorsa settimana, quando è stato colpito un piccolo hotel a nord della capitale Sana’a. Le agenzie stampa, che si basano su testimonianze che difficilmente riescono a essere imparziali, parlano di un bilancio compreso tra le 35 e le 60 persone uccise, ma non è chiaro se si tratti di ribelli Houthi, come dichiarato da Riyadh, oppure di civili. Inoltre, si teme che il bilancio non sia definitivo.

L’obiettivo dichiarato dei sauditi è riportare al potere in tutto il territorio dello Yemen il governo internazionalmente riconosciuto guidato dal presidente Hadi, ma la sensazione è che il vero scopo sia quello di cancellare definitivamente i ribelli Houthi, considerati una minaccia soprattutto per la loro vicinanza all’Iran, che si ritiene stia cercando di accrescere la propria influenza nella penisola. La crisi diplomatica con il Qatar, che pure è alleato dei sauditi nella guerra in Yemen, sembra proprio dimostrare che il livello dello scontro vada cercato a livello regionale.

Nonostante le promesse di sconfiggere gli Houthi nel giro di poche settimane, Riyadh per ora non sta neppure lontanamente mantenendo fede ai suoi obiettivi, al punto che dopo oltre due anni di attacchi aerei sembra che l’unico risultato ottenuto sia quello di alimentare il desiderio di vendetta nelle popolazioni colpite dagli attacchi.

Tra i protagonisti di questo conflitto non vanno dimenticati neppure Stati Uniti e Regno Unito, che stanno fornendo sin dall’inizio supporto logistico e di informazioni alla coalizione saudita. Proprio questa partecipazione e collaborazione viene citata nell’appello per l’avvio di un’inchiesta indipendente, nel quale si chiede anche che i due Paesi, membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu, si tirino indietro da un conflitto che continua a crescere in intensità. Lo Yemen, infatti, è stato colpito da più attacchi aerei nella prima metà del 2017 che in tutto il 2016, e questo significa solo una cosa: più vittime civili e più sfollati costretti a lasciare le proprie case.

Il numero di attacchi aerei nei primi sei mesi del 2017, secondo le Nazioni Unite, è di 5.676, un netto aumento rispetto ai 3.936 totali del 2016. Secondo Human Rights Watch, «Le vittime degli abusi in Yemen non si possono più permettere di aspettare ancora».

Immagine: via flickr

 

QUESTE LE FIRME SULL’APPELLO (**)

  1. ALQST Advocating for Human Rights in Saudi Arabia
  2. Americans for Democracy & Human Rights in Bahrain (ADHRB)
  3. Amnesty International
  4. Arab Program for Human Rights Activists
  5. Arabic Federation for Democracy, Palestine
  6. Arabic Network for Human Rights Information (ANHRI)
  7. Association for Human Rights in Ethiopia (AHRE)
  8. Avaaz
  9. Bahrain Institute for Rights and Democracy (BIRD)
  10. Cairo Institute for Human Rights Studies
  11. CARE
  12. CIVICUS
  13. Conectas, Brazil
  14. Control Arms
  15. Corporación Humanas
  16. Defend Defenders (the East and Horn of Africa Human Rights Defenders Project)
  17. Dove Tales
  18. English PEN
  19. European-Saudi Organisation for Human Rights (ESOHR)
  20. Friends Committee on National Legislation, US
  21. Global Centre for the Responsibility to Protect
  22. Gulf Centre for Human Rights
  23. Human Rights and Democracy Media Centers (SHAMS)
  24. Human Rights Defenders Network, Sierra Leone
  25. Human Rights Law Centre, Australia
  26. Human Rights Watch
  27. InterAfrica Group
  28. International Federation for Human Rights (FIDH)
  29. International Platform against Impunity
  30. International Service for Human Rights (ISHR)
  31. MADRE
  32. Marib Dam Foundation for Social Development, Yemen
  33. Medecins du Monde
  34. Migrant Forum in Asia
  35. Mwatana Organisation for Human Rights, Yemen
  36. NGO Working Group on Women, Peace and Security
  37. Oyu Tolgoi Watch, Mongolia
  38. Pan African Human Rights Defenders Network
  39. Partnership for Justice, Nigeria
  40. PAX
  41. PEN International
  42. Physicians for Human Rights
  43. Reprieve
  44. Rivers Without Boundaries, Mongolia
  45. Saferworld
  46. Sisters Arab Forum for Human Rights (SAF)
  47. Society for Threatened Peoples, Germany
  48. Win Without War, US
  49. World Organisation Against Torture (OMCT)
  50. Yemen Humanitarian Forum
  51. Yemen Peace Project, US
  52. [Name withheld], Yemen*
  53. [Name withheld], Yemen*
  54. [Name withheld], Yemen*
  55. [Name withheld], Yemen*
  56. [Name withheld], Yemen*
  57. [Name withheld], Yemen*
  58. [Name withheld], Yemen*
  59. [Name withheld], Yemen*
  60.  [Name withheld], Yemen*
  61. [Name withheld], Yemen*
  62. [Name withheld], Yemen*

*Eleven other Yemeni organizations endorsed the letter, but asked for the names of their organizations to be withheld from the public list due to fears of retaliation. Their names are on file with Human Rights Watch.

UPDATE: The original letter had listed 57 organizations and has since been updated to reflect an additional five signatories, now totaling 62. 

 

(*) testo ripreso da www.riforma.it/it/ che è «Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia».

(**) le firme sono in www.hrw.org

IN “BOTTEGA” ABBIAMO PIU’ VOLTE SCRITTO SUL VERSANTE ITALIANO – armi e appoggio politico – DEI MASSACRI IN YEMEN; QUI I LINK AGLI ULTIMI DUE ARTICOLI: Banca Valsabbina e RWM Italia: chi finanzia le bombe… e Armi: strani viaggi fra Domusnovas, Piombino e Port Said… [db]

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

5 commenti

  • Ottimo! L’ho già girato ad un’amico yemenita. Ne sarà contento.

  • Un appello delle Ong piu’ grandi e “istituzionali”.

    Ma dopo il corteo di Barcellona con i moltissimi cartelli contro la vendita di armi spagnole ai sauditi,

    cartelli in questo caso anche degli indipendentisti Cup e della sinistra alternativa,

    la vendita di armi ai sauditi e’ sempre piu’ impopolare.

    Ricordo che alla ripresa dei lavori della Camera si voterà in aula sulle mozioni sulla guerra in Yemen e le armi della Rwm di Domusnovas ai Saud.

    La discussione e’ iniziata in aula il 17 luglio……

  • Da Avvenire di oggi, i ministri degli esteri di Svizzera e Svezia e un esponente ONU.
    Denuncia della crisi umanitaria e cosa fare per contrastarla, senza entrare nel merito dei torti e ragioni, ma chiedendo la fine della guerra.
    Repetita iuvant: Il nostro contributo di pacifisti italiani dovrebbe essere chiedere con forza la fine della vendita di armi costruite in Italia all’ Arabia saudita-

    M.P.

    ONU Crisi umanitaria. Quattro azioni urgenti per lo Yemen e la sua gente
    Stephen O’Brien*, Margot Wallström** e Didier Burkhalter*** venerdì 1 settembre 2017

    Lo Yemen registra due tristi primati: la maggiore crisi alimentare al mondo e la peggiore epidemia di colera, oltre 500mila persone colpite. Accrescere la risposta umanitaria è un imperativo morale
    Quattro azioni urgenti per lo Yemen e la sua gente
    Caro direttore, Saleh, un bimbo di quattro mesi, lotta contro la morte a causa del suo stato di profonda malnutrizione in un ospedale di Al Hudaydah. Il conflitto che affligge il Paese impedisce a sua mamma Nora, 22 anni, di procurarsi abbastanza cibo o acqua per tenere in vita i suoi sei figli. In Yemen oggi, la triplice minaccia di conflitto, colera e carestia sta distruggendo la vita di 21 milioni di persone.

    Lo Yemen registra ora due tristi primati: la maggiore crisi alimentare al mondo e la peggiore epidemia di colera, che tocca più di mezzo milione di abitanti. La crisi in Yemen è causata dall’uomo, generata da un conflitto le cui modalità implicano sofferenza inflitta ai civili e distruzione di istituzioni essenziali. Il colera si è ormai propagato in quasi tutte le regioni del Paese, e ha già ucciso duemila persone, il 40% delle quali bambini. Il sistema sanitario è al collasso, alle prese con l’epidemia e con cliniche e ospedali a corto di personale, medicine e apparecchiature.

    Come in molti altri conflitti, anche in questo sono i civili a pagare il prezzo della violenza. Dal marzo 2015, l’Ufficio Onu dei diritti umani ha documentato 13.829 vittime tra i civili, di cui 5.110 mortii e 8.719 feriti. Il numero totale è tuttavia probabilmente molto maggiore. Milioni di persone hanno visto le loro case, scuole, mercati, villaggi distrutti dai bombardamenti, che hanno costretto intere famiglie a mettersi in salvo fuggendo verso un futuro incerto. Metà degli ospedali e cliniche in Yemen sono stati distrutti o chiusi. L’economia locale è stata decimata da restrizioni sui flussi di beni commerciali e umanitari nel Paese. Infrastrutture vitali per il trasporto di merci sono state danneggiate. Il 70% degli esercizi commerciali ha cessato le attività. Da più di dieci mesi, un milione di impiegati pubblici non riscuote lo stipendio, anche se la Banca centrale ha reso disponibile il denaro. Due milioni di bimbi non possono andare a scuola, mettendo così a repentaglio un’intera generazione. Il livello di violenza sessuale è cresciuto in maniera drammatica. A fronte di tali immani sfide, 122 organizzazioni umanitarie – due terzi delle quali Ong nazionali – hanno ampliato la portata delle proprie attività e stanno operando in tutti i governatorati dello Yemen, raggiungendo ogni mese 4,3 milioni di persone con aiuti umanitari.

    Tuttavia, ciò non è abbastanza. Chiediamo dunque quattro azioni prioritarie per aumentare il sostegno allo Yemen, garantire accesso a quanti ne abbiano bisogno e pore fine alla sofferenze del popolo. Innanzitutto, per proteggere e salvare vite e restituire dignità, le organizzazioni umanitarie necessitano di libero accesso per raggiungere chiunque sia in una situazione vulnerabile. Il Consiglio di Sicurezza ha ripetutamente chiesto alle parti in conflitto in Yemen – con la propria dichiarazione presidenziale del 15 giugno scorso – di garantire le condizioni per un accesso umanitario sicuro e di rispettare il diritto internazionale umanitario. Come i membri del Consiglio hanno sottolineato il 12 luglio, è imperativo che tutte le parti convertano ora in azione queste parole.

    In secondo luogo, i donatori internazionali devono tradurre in atto i propri impegni finanziari. Nell’aprile di quest’anno, i governi di Svizzera e Svezia, insieme all’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari, hanno organizzato una conferenza di donatori sulla crisi in Yemen, aperta dal segretario generale Antonio Guterres, nella quale i partecipanti si sono generosamente impegnati a contribuire con 1,1 miliardi di dollari. Tre quarti della somma sono stati già versati. Tuttavia, le esigenze sono aumentate a causa della crescente epidemia di colera, portando la somma necessaria a 2,3 miliardi, con un ammanco di quasi il 60% rispetto ai bisogni. Questa differenza è quella che c’è tra la vita e la morte. Il Programma alimentare mondiale, che ha l’obiettivo di consegnare cibo a sette milioni di persone affamate, non potrà proseguire la propria attività se entro un mese non vengono versate nuove risorse.

    Terzo: tutte le parti in conflitto devono assicurare che non ci siano restrizioni all’importazione in Yemen di beni essenziali, quali trattamenti nutrizionali e medicinali, nonché cibo di prima necessità. È di fondamentale importanza che il porto di Al Hudaydah rimanga aperto e sicuro, in quanto principale punto di ingresso per la maggior parte degli aiuti umanitari. Occorre inoltre rimuovere le limitazioni al libero movimento dei civili in cerca di assistenza, tra l’altro aprendo immediatamente l’aeroporto internazionale di Sana’a e lo spazio aereo sullo Yemen. Infine, la sofferenza in Yemen terminerà soltanto con la fine del conflitto. Il bisogno di pace è stato ribadito dal Segretario Generale e da tutti i membri del Consiglio di Sicurezza. Sollecitiamo, dunque, quanti hanno voce in capitolo nel conflitto a progredire nella ricerca di una soluzione pacifica e inclusiva, in un processo che includa anche le donne.

    *Vicesegretario generale dell’Onu per gli Affari Umanitari

    **Ministro degli Esteri della Svezia

    ***Ministro degli Esteri della Svizzera

    © RIPRODUZIONE RISERVATA
    ARGOMENTI:

  • Il 12 settembre il Pd voterà al Parlamento europeo contro la vendita di armi ai sauditi, lo stesso giorno il governo Gentiloni confermerà a Montecitorio la vendita di armi ai sauditi ?

    Si, avete letto bene.

    La commissione esteri del Parlamento europeo ha approvato una proposta di risoluzione sull’ esportazione di armi da proporre al voto dell’assemblea del Parlamento. Hanno votato a favore i gruppi Socialisti e Democratici, Verdi, Sinistra Europea-GUE, Alde, M5S. Ha votato a favore anche Brando Benifei, giovane esponente spezzino del partito democratico.

    La lunga risoluzione che sarà votata il 12 settembre ribadisce “la necessità urgente di embargo sulle armi per l’ Arabia saudita” come già chiesto da una risoluzione approvata dal Parlamento Europeo il 25 febbraio 2016.

    Il 12 settembre, alla riapertura della Camera dei Deputati, è prevista anche a Montecitorio la votazione di una mozione sulla guerra in Yemen, con particolare attenzione alle armi fabbricate in Sardegna e vendute all’ Arabia saudita.

    Nello stesso giorno, o in giorni vicini, il Pd si esprimerà sulla vendita di armi all’ Arabia Saudita nel Parlamento Europeo e nel parlamento italiano. Voterà in modo diverso ?

    Vedremo, ma intanto diffondiamo la notizia del voto quasi contemporaneo dei due parlamenti sullo stesso tema.

    Di seguito uno stralcio della risoluzione approvata dalla commissione esteri dell’ UE con il voto dei Socialisti europei e del Pd.

    Proposta di risoluzione del parlamento europeo
    sull’esportazione di armi: attuazione della posizione comune 2008/944/PESC
    2017/2029(INI)
    ………
    N. considerando che il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen, ha invitato il vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (VP/AR) ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita;
    O. considerando che la situazione nello Yemen, da allora, si è ulteriormente deteriorata anche a causa delle azioni militari portate avanti dalla coalizione guidata dai sauditi; che alcuni Stati membri hanno interrotto la fornitura di armi all’Arabia Saudita in ragione delle azioni da essa perpetrate nello Yemen, mentre altri hanno continuato a fornire tecnologie militari in violazione dei criteri 2, 4 6, 7 e 8;……..

    17. ritiene che le esportazioni all’Arabia Saudita violino almeno il criterio 2 visto il coinvolgimento del paese nelle gravi violazioni del diritto umanitario accertato dalle autorità competenti delle Nazioni Unite; ribadisce il suo invito del 26 febbraio 2016 relativo alla necessità urgente di imporre un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita;…….
    19. osserva che, in base a quanto riportato nelle relazioni annuali, il criterio 4 è stato invocato 57 volte nel 2014 e 85 volte nel 2015 per rifiutare il rilascio di licenze; deplora che la tecnologia militare esportata dagli Stati membri venga utilizzata nel conflitto nello Yemen; esorta gli Stati membri a conformarsi alla posizione comune in maniera coerente sulla base di un’approfondita valutazione ………
    22. esprime preoccupazione per i possibili sviamenti delle esportazioni di armi all’Arabia Saudita e al Qatar verso attori armati non statali in Siria, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, ed esorta il COARM ad affrontare la questione con urgenza; riconosce che la maggior parte delle armi nelle mani dei ribelli e dei gruppi terroristici proviene da fonti non europee;…..

  • Completo il capitolo della mozione estiva sulla guerra in Yemen e sulle bombe sarde vendute ai sauditi alla camera dei deputati con il testo della mozione governativa approvata

    L’assurda mozione Pd sullo Yemen, firmata anche da Marazziti, storico esponente di sant’Egidio, presentatore anche della mozione Marcon.

    La mozione governativa sullo Yemen,
    nelle premesse:

    non si ferma la vendita di armi ai paesi in guerra,
    si cita la risoluzione del parlamento Europeo che chiede l’ embargo all’ Arabia saudita,
    si citano le accuse alle parti in conflitto di violazione diritti umani,

    si chiede al governo

    di adeguarsi ad eventuali embarghi alla vendita di armi che provenissero dall’ ONU o dalla UE

    La mozione è firmata anche da Mario Marazziti, storico esponente della Comunità di Sant’Egidio, come il viceministro agli esteri Giro. Marazziti aveva firmato a luglio la mozione Marcon .

    M.P.

    Atto Camera

    Mozione 1-01695presentato daQUARTAPELLE PROCOPIO Liatesto diMartedì 19 settembre 2017, seduta n. 853
       La Camera,

       premesso che:

        il territorio dello Yemen, è stato culla di civiltà millenarie e anche per questo custodisce un patrimonio immenso in termini di arte, cultura, storia. Oggi purtroppo, dopo anni di instabilità politica, lo Yemen è diventato uno dei Paesi più poveri del mondo. Stante questa situazione è necessaria e urgente una presa di responsabilità da parte dei paesi e soprattutto delle organizzazioni internazionali;
        lo scontro in atto, una guerra civile che si protrae da più di due anni ma che vede la partecipazione anche di diverse potenze regionali, ha generato un alto numero di vittime (al 30 agosto 2016, secondo fonti ONU, oltre 10.000 persone sono state uccise), delle quali circa un terzo sarebbero civili e 1.540 bambini, con accuse alle parti in conflitto di condotte che configurerebbero crimini di guerra;
        il conflitto è peraltro all’origine di un gravissimo deterioramento delle condizioni umanitarie nello Yemen, classificato come la peggiore crisi del mondo dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) che indica in 18,8 milioni le persone bisognose di assistenza umanitaria o di protezione, di queste 10,3 milioni necessitano di assistenza immediata a causa della grave carestia e dell’epidemia di colera che ha già fatto più di 1.500 vittime e che potrebbe diffondersi rapidamente mettendo a rischio la vita di oltre 300 mila persone;
        il conflitto in corso colpisce in particolare donne e bambini; secondo i dati dell’Unicef la crisi yemenita conta più di 1,6 milioni di bambini sfollati che soffrono di malnutrizione acuta, mentre sarebbero addirittura 14,5 milioni i minori in condizioni igienico-sanitarie gravemente precarie tra cui 4,5 milioni privati di accesso all’istruzione e che rischiano di essere reclutati per i combattimenti; più di 2,6 milioni di donne e di bambine sono a rischio di violenze, aumentate peraltro del 65 per cento dall’inizio del conflitto;
        già prima della guerra civile lo Yemen risultava totalmente dipendente dagli aiuti esterni e il 90 per cento dei prodotti alimentari di base del Paese sono importati; il blocco aereo e navale imposto dalle forze della coalizione a guida saudita dal marzo 2015 ha rappresentato una delle principali cause della catastrofe umanitaria, mentre la violenza e la diffusa carenza di carburante hanno reso meno utilizzabili le reti interne di distribuzione dei generi alimentari;
        l’Ocha ha lanciato un appello per fronteggiare la crisi umanitaria nello Yemen per l’anno 2017 stimando una spesa di 2,1 miliardi di dollari, di cui i donatori hanno fino ad ora finanziato soltanto un terzo (688 milioni di dollari);
        l’Italia si è attivata sin dall’inizio della crisi per soccorrere la popolazione civile; in occasione della Conferenza dei donatori di Ginevra del 25 aprile 2017 il Governo italiano ha annunciato un contributo pari a 10 milioni di euro di aiuti umanitari nel biennio 2017-2018; finora sono stati finanziati – per il tramite della cooperazione italiana – progetti di emergenza per un valore di 4 milioni di euro per realizzare interventi nei settori della sicurezza alimentare (PAM), dell’assistenza sanitaria (Croce Rossa Internazionale), della prevenzione della violenza di genere (UNFPA) e dell’istruzione a favore degli sfollati interni (OIM);
        lo Yemen è da un lato vittima e dall’altro causa di un possibile inasprimento delle tensioni regionali con gravi rischi per la stabilità e per la sicurezza internazionale anche per la crescente presenza e il consolidamento delle organizzazioni terroristiche che nel Paese hanno già intensificato il numero e la portata degli attacchi, uccidendo centinaia di persone;
        non si fermano le vendite internazionali di materiali di armamento ai Paesi coinvolti nella guerra civile in Yemen;
        l’amministrazione Usa, nella fase finale della presidenza Obama aveva «espresso alcune preoccupazioni molto significative circa l’alto tasso di vittime civili» nel conflitto yemenita e nel dicembre 2016 aveva deciso di sospendere temporaneamente alcune forniture di munizioni di precisione all’Arabia Saudita, con particolare riguardo alla vendita da parte di Raytheon di circa 16.000 kit di munizioni guidate per un valore di 350 milioni di dollari, avendo valutato che l’aviazione saudita si è più volte mostrata non in grado di individuare correttamente i suoi obiettivi;
        la legge 9 luglio 1990, n. 185, recante «Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 14 luglio 1990, n. 163 ed è stata poi modificata dal decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 105, e seguita dal regolamento di attuazione – decreto ministeriale 7 gennaio 2013, n. 19;
        la legge n. 185 del 1990 prevede un sistema di controllo e di autorizzazione scrupoloso ed articolato in materia di armamenti convenzionali;
        la risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)), in particolare contiene l’invito «al VP/AR Federica Mogherini ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all’Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008»;
        un’ulteriore risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 (2017/2727(RSP)) rinnova gli impegni e le responsabilità dell’Unione per fronteggiare la crisi umanitaria in Yemen e per promuovere un processo di pace negoziato nella consapevolezza che la soluzione della crisi non potrà che avvenire per via negoziata e non per via militare;
        già il Consiglio dei ministri degli esteri dell’Unione europea del 3 aprile 2017 aveva ribadito nelle conclusioni che «non c’è soluzione militare al conflitto in corso in Yemen» e che «la gestione della crisi passa necessariamente attraverso un processo negoziato che coinvolga tutte le parti interessate, cui le donne devono dare un contributo fondamentale e che conduca ad una soluzione politica inclusiva» per ricostruire un clima di fiducia attraverso un «cessate il fuoco» duraturo, un meccanismo monitorato di ritiro delle forze in conflitto, la predisposizione di canali umanitari e commerciali, nonché la liberazione dei prigionieri politici;
        il 13 settembre 2017 il Parlamento europeo ha adottato la relazione approvata dalla Commissione affari esteri già nel mese di luglio 2017 sull’export di armi e sull’implementazione della posizione comune 2008/944/CFSP dove si denuncia la mancanza di un approccio comune in situazioni quali Siria, Iraq e Yemen e si incoraggiano gli stati membri e il Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE) ad «avviare una discussione sull’estensione del criterio 2 per includere gli indicatori di governance democratica, in quanto tali criteri di valutazione potrebbero contribuire a creare ulteriori garanzie contro le conseguenze negative involontarie delle esportazioni»;
        anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che nelle sue risoluzioni 2201/2015 e 2216/2015 ha deplorato le azioni unilaterali degli Houthi, ha attivato meccanismi di monitoraggio della crisi e promosso una serie di iniziative diplomatiche volte a favorire il raggiungimento di una composizione negoziata e inclusiva della controversia;
        dal 10 gennaio 2017 l’Italia è membro non permanente del consiglio di sicurezza dell’Onu, organo che ha la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale; inoltre, nel 2018 l’Italia assumerà la presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE),

    impegna il Governo:

    1) a continuare nel monitoraggio della crisi umanitaria in corso in Yemen sensibilizzando gli altri donatori sulla gravità della situazione e sostenendo gli sforzi in corso da parte delle Nazioni Unite, affinché vengano mobilitate le necessarie risorse per finanziare l’azione di soccorso internazionale;
    2) a proseguire e a rafforzare le attività di assistenza umanitaria alla popolazione in linea con l’impegno finanziario assunto in occasione della Conferenza dei donatori tenutasi, su iniziativa delle Nazioni Unite, il 25 aprile 2017 a Ginevra;
    3) a continuare ad attivarsi presso il Consiglio di sicurezza dell’Onu e negli altri fori internazionali dove è presente il nostro Paese, per promuovere iniziative internazionali volte a fare rispettare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani e a favorire le condizioni per una soluzione negoziata del conflitto, per la stabilizzazione del Paese e per la costruzione di una pace duratura e inclusiva di tutte le risorse disponibili, compreso il contributo che le donne possono dare come previsto dalla risoluzione ONU 1325 (2000);
    4) a favorire, nell’ambito delle regolari consultazioni dell’Unione europea a Bruxelles, una linea di azione condivisa in materia di esportazioni di materiali di armamento dando sostegno concreto alle iniziative internazionali per la cessazione delle ostilità e adeguandosi immediatamente alle prescrizioni o ai divieti che fossero adottati nell’ambito delle Nazioni Unite o dell’Unione europea.

    (1-01695) «Quartapelle Procopio, Alli, Marazziti, Locatelli, Garavini, Tacconi, Carrozza, Tidei, Zampa, Nicoletti, Porta, Andrea Romano, Patriarca, Cova».

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