Un esempio, Louis Armstrong

di Giorgio Cùscito (*)

È di tempi recenti il ritrovamento di alcuni documenti chiarificatori della mentalità del grande trombettista Louis Armstrong. 

Persona schietta, semplice ma per niente superficiale, il suo atteggiamento – al di là di alcune esigenze tipiche del mondo dello spettacolo per come era concepito un po’ di tempo fa – non ha mai lasciato spazio al benché minimo sospetto di “ziotomismo” o di accondiscendenza, e mai ha confermato quelle brutte ipotesi di naturalismo delle quali si è sempre autoalimentata tanta sguaiata letteratura sul jazz, dagli inizi del secolo scorso fino a oggi.

Ad esempio, è sempre piaciuta agli estimatori del jazz (più che ai detrattori) la favoletta che i musicisti del primo jazz di New Orleans non sapessero leggere la musica. Questa narrazione arcadica quanto deleteria piaceva sia a chi la scriveva che a chi se la è voluta sentir raccontare tutte le sere prima di addormentarsi, proprio come i bambini. Peccato che basti leggere invece alcune ricerche accurate di musicologi seri – uno per tutti, e per limitarsi all’Italia: Stefano Zenni – per scoprire che uno come Armstrong, la propria musica, la scriveva. E come lui tanti altri musicisti neri e creoli di New Orleans avevano ricevuto una educazione musicale di tutto rispetto e anzi, a giudicare dai risultati, di livello superiore e di grande efficacia anche pratica. 

Però è vero che spesso la scolarizzazione musicale, a quei tempi, in quei luoghi e per certe persone, poteva arrivare da strade abbastanza imprevedibili. Colpisce, proprio sotto capodanno, leggere il trafiletto di giornale che racconta come a 12 anni il povero Louis sia stato tradotto alla “Waif’s Home”, un carcere minorile, per aver sparato alcuni colpi di pistola in aria per festeggiare l’arrivo del nuovo anno.

Questo il documento, nel quale viene definito “old offender”:

E intenerisce il cuore vedere un filmato di tanti anni dopo, una trasmissione televisiva di Steve Allen nella quale un Armstrong già famosissimo incontra in una carrambata incantata e meravigliosa il suo primo insegnante, quel Peter Davies che proprio alla Waif’s Home seppe intuire le potenzialità del ragazzo, gli mise nelle mani la prima cornetta e gli impartì le primissime lezioni di musica. Il grande Louis, l’adulto Louis, la stella planetaria Louis, qui torna semplicemente bambino. Lo si vede chiaramente dal linguaggio del corpo, ipercinetico e bioenergetico come sempre ma stranamente imbarazzato, gongolante, innocente.

Questo il filmato: https://youtu.be/VFzI5DusyEU

L’ultimo documento ci riguarda più da vicino: un dattiloscritto nel quale Armstrong racconta la propria esperienza con la pandemia del 1918. Traspare, da quelle righe, l’ansia di un diciassettenne conscio del proprio valore, che già suonava professionalmente e che vede interrotta forzatamente la propria attività. Racconta esattamente le cose che stiamo vivendo noi oggi, musicisti e non: le restrizioni, l’impossibilità di ballare e di suonare, il governo che prima allenta la stretta e poi richiude con più forza. A questo racconto così attuale dopo tanti anni, a questa ansia di fare, a questa giovanile impazienza, Armstrong aggiunge però un altro elemento, fondamentale per comprendere l’artista e l’uomo che era: la consapevolezza. Egli si rende conto – e ce ne rende conto – che oltre ai problemi pratici personali, come l’esigenza di saltare da un lavoro all’altro per sopravvivere, la gente attorno a lui stava soffrendo. E a quel punto il giovane artista promettente, il futuro genio del jazz, si rimbocca le maniche e si dà da fare come fosse una specie di paramedico, mettendosi a curare e ad aiutare parenti e amici. Alla fine, con l’orgoglio tipico dell’artista di rango, dichiara pure di averlo fatto bene! 

Questo il prezioso dattiloscritto:

Da questi documenti – resi pubblici dal Louis Armstrong House Museum – traspare un esempio di umanità senza pari, e poi di forza, determinazione e fiducia. 

In fondo, le stesse caratteristiche della sua musica: a chi gli chiedeva “come si fa a suonare così” Louis Armstrong rispondeva semplicemente “Ama!”.

 

(*) ripreso da www.diatomea.net

 

 

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