Un pianeta sempre più a rischio

di Alberto Castagnola (*)

siccitaLe notizie riportate confermano la drammatica coesistenza di fenomeni di siccità e di alluvioni; l’emergere di eventi estremi come gli incendi e i danni alla salute connessi al cambiamento climatico; l’accentuarsi negli ultimi mesi del riscaldamento globale. Finito El Niño, i danni arrecati da un fenomeno “naturale” molto accentuato riguardano almeno cento milioni di persone. Infine, molti studi altamente scientifici continuano a stabilire specifiche correlazioni tra l’andamento del clima e fenomeni apparentemente lontani o ritenuti diversi.
Le nostre letture del mondo che ci circonda devono essere approfondite e moltiplicate, pena essere trascinati in situazioni mai immaginate o assolutamente non previste.

Vorremmo poi ricordare ai lettori che queste schede sono in realtà un po’ meno di una rassegna stampa, in quanto sono faticosamente redatte sfogliando un numero piuttosto ridotto di giornali e di settimanali. Rappresentano solo un tentativo di dare le maggiori informazioni in circolazione sugli eventi che caratterizzano il cambiamento climatico, accostandole però una all’altra e seguendole per alcuni mesi. Abbiamo cioè sentito il bisogno di sopperire, almeno in parte, ad una grave mancanza della stampa quotidiana, che continua a fornire sul clima e sull’ambiente solo delle notizie brevi e sporadiche, in genere non contestualizzate o commentate se non in modo superficiale e con qualche raro e scarso approfondimento molto casuale.

La maggior parte delle popolazioni, specie nei paesi maggiori inquinatori, non riesce quindi  a percepire nella loro complessità e drammaticità l’evolversi dei più gravi fenomeni che devastano il pianeta. Speriamo sia evidente negli articoli e nei saggi la massima priorità che Comune attribuisce agli eventi di rilevanza ambientale; accanto ad essi abbiamo ritenuto opportuno mettere a disposizione queste schede che vogliono solo rappresentare un ulteriore, modesto  strumento al quale tutti possono accedere per conseguire una maggiore consapevolezza della vita di un pianeta a rischio.

fort-mcmurray1. Cortina di fumo. Il fumo provocato dagli incendi scoppiati a Fort McMurray nello stato dell’Alberta, in Canada. Le autorità locali hanno dichiarato lo stato d’emergenza e tutti gli abitanti della città (novantamila persone) sono stati costretti a lasciare le case. Le fiamme coprono una superficie di oltre 1500 chilometri quadrati e ci vorranno settimane, forse mesi, per spegnerle. L’incendio è scoppiato il primo maggio e si è diffuso rapidamente a causa del clima secco, delle temperature superiori alla media stagionale e del forte vento. (Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, con foto del 4 maggio).

2. Italiani sempre più in sovrappeso, sono il 36%. – Nel 2014 più di un terzo della popolazione adulta (36,2%) é in sovrappeso, mentre poco più di una persona su 10 é obesa (10,2%). Complessivamente, il 46,4% dei soggetti di età uguale o superiore a 18 anni é in eccesso ponderale. In Italia, nel periodo 2001-2014, é aumentata la percentuale delle persone in sovrappeso (33,9% contro 36,2%), soprattutto é aumentata la quota degli obesi (8,5% contro 10,2%). È quanto emerge dalla XIII edizione del Rapporto Osservasalute 2015, l’analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell’assistenza sanitaria nelle Regioni italiane presentata oggi a Roma all’Università Cattolica.

3. Le differenze rilevate sul territorio sono considerevoli e si conferma il divario Nord-Sud e Isole: le regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone obese (Molise 14,6%, Abruzzo 13,1%; Puglia 11,9%) e in sovrappeso (Campania 41,5%, Calabria 39,6% e Puglia 39,4%) rispetto alle regioni settentrionali, che mostrano i dati più bassi di prevalenza (obesità: Pa di Trento 7,5% e Pa di Bolzano 8,1%; sovrappeso: Pa di Trento 28,5% e Valle d’Aosta 31,5%). Il problema dell’eccesso di peso è cresciuto molto nelle regioni settentrionali: confrontando i dati con quelli degli anni precedenti e raggruppando per macroaree (Nord-Ovest: Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia; Nord-Est: PA di Bolzano, PA di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna; Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio; Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria; Isole: Sicilia, Sardegna) si osserva che, dal 2001, nella ripartizione con livelli più bassi di persone in sovrappeso (il Nord-Ovest) si è registrato il maggior aumento di persone con eccesso ponderale (in sovrappeso e obese). Diversamente, nelle Isole la percentuale è rimasta abbastanza stabile negli ultimi anni.

sovrappeso4. Il fenomeno del sovrappeso aumenta con l’età. Nello specifico, il sovrappeso passa dal 14,9% della fascia di età 18-24 anni al 46,5% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità dal 2,4% al 15,7% per le stesse fasce di età. Nel 2014 i bambini di 8-9 anni in sovrappeso sono il 20,9%, i bambini obesi sono il 9,8%, compresi i bambini gravemente obesi che da soli sono il 2,2%. Complessivamente, i bambini che presentano un eccesso ponderale (comprendente sia il sovrappeso sia l’obesità) raggiungono il 30,7%. Il dato è in diminuzione rispetto al periodo 2008-2009 al 2014 quando si registrava una quota di bambini in condizioni di obesità pari al 12%; diminuzione anche per il sovrappeso, nel biennio 2008-09 erano il 23,2% dei bambini. Il rapporto Osservasalute sottolinea che se mamma e papà hanno studiato, i bimbi sono più in forma: all’aumentare del grado di istruzione dei genitori, infatti, diminuisce la quota di figli in eccesso ponderale e nelle famiglie in cui vi è almeno un genitore obeso la prevalenza di bambini in eccesso di peso è maggiore. Si conferma una spiccata variabilità interregionale, con percentuali tendenzialmente più basse nell’Italia settentrionale e più alte nel Meridione: dal 13,4% di sovrappeso nella Pa di Bolzano al 28,6% in Campania; dal 4% di obesità nella Pa di Bolzano al 19,2% in Campania. Si stima che nella popolazione di 6-11 anni il numero di coloro che presentano un eccesso ponderale sia pari a circa 1 milione e 50.000 bambini, di cui 336 mila obesi. (Agenzia DIRE, 5 maggio 2016)

3. Pesticidi nei fiumi, quali sono i rischi? Più pesticidi in fiumi, laghi e torrenti italiani. La presenza di sostanze chimiche in acque di superficie è in crescita ed è stata riscontrata anche in quelle estratte dal sottosuolo per l’irrigazione. Sono i dati contenuti nell’ultimo rapporto pubblicato da Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che lo invia ai Ministeri competenti affinché costituisca eventuale spunto di interventi. Ma gli esperti tranquillizzano: “ Non ‘è rischio per la salute, siamo molto al di sotto della soglia di sicurezza per l’uomo”. I pesticidi sono presenti nel 63,9% dei punti controllati e nel 21,3% si registrano concentrazioni superiori agli standard di qualità ambientale. Aumentati soprattutto fungicidi e insetticidi. Residui di pesticidi sono stati rinvenuti in profondità protette da strati geologici difficilmente permeabili. L’aumento è del 20% nelle acque superficiali, del 10% nelle acque sotterranee; queste ultime risultano inquinate nel 31,7% dei casi; glifosato e altri agenti chimici contaminano il 64% di laghi e ruscelli. (Corriere della Sera, 10 maggio 2016, pag. 23, con grafici e tabelle)

4. Incendi. Almeno il 10% degli edifici di Fort McMurray , nella provincia canadese dell’Alberta, è stato distrutto dagli incendi che hanno causato l’evacuazione dei 90.000 abitanti. Le fiamme hanno bruciato 200.000 ettari di vegetazione. (Internazionale n. 1153, 13 maggio2016, pag. 108)

fort-mcmurray5. Clima incendiario. Un inverno secco e temperature incredibilmente superiori alla media hanno preparato il terreno all’enorme incendio, ancora in corso, che ha colpito la provincia canadese dell’Alberta. La città canadese di Fort McMurray, a circa 650 chilometri da Calgary, è cresciuta molto in fretta sulle sponde del fiume Athabasca. Negli anni settanta la popolazione è triplicata, e da allora è quasi triplicata di nuovo. La crescita è stata alimentata da un’unica attività: l’estrazione di petrolio da una formazione rocciosa di sabbie bituminose grande quanto la Florida. Quando il prezzo del greggio era alto a Fort Mc Murray circolavano tanti di quei soldi che la città è stata soprannominata Fort McMoney. (…) Nessuno conosce con esattezza le cause dell’incendio- forse un fulmine o una scintilla provocata da una persona – ma è chiaro perché, una volta innescato, sia divampato così in fretta.
L’Alberta ha avuto un inverno insolitamente secco e mite. Le precipitazioni sono state circa la metà della norma e la poca neve si è sciolta presto. Aprile è stato un mese eccezionalmente caldo, con temperature sempre al di sopra dei 20 gradi. : due giorni fa il termometro segnava 32 gradi, una quindicina in più della massima normale di maggio. Pur essendo difficile collegare direttamente un disastro ambientale al cambiamento climatico, nel caso di Fort McMurray il nesso è piuttosto evidente. In Canada, come negli Stati Uniti, e in gran parte del mondo, l’aumento delle temperature prolunga la stagione degli incendi.
L’anno scorso il fuoco ha bruciato quattro milioni di ettari negli Stati Uniti, la superfice più vasta mai colpita. I cinque anni più devastanti sono stati tutti nell’ultimo decennio. In base a uno studio della guardia forestale statunitense pubblicato ad aprile, “il cambiamento climatico ha protratto le stagioni degli incendi , che ora sono in media di 78 giorni più lunghe rispetto al 1970”. Negli ultimi trent’anni, l’area distrutta ogni anno dal fuoco è raddoppiata e per la forestale è probabile che “raddoppierà ancora entro la metà del secolo”.
Secondo alcuni scienziati, che hanno analizzato i sedimenti lacustri dell’Alaska per ricavare informazioni sugli incendi boschivi degli ultimi diecimila anni, negli scorsi decenni il fuoco è stato sia insolitamente frequente sia insolitamente dirompente. “Questa combinazione indica la transizione a un regime di attività senza precedenti” hanno concluso. Siamo tutti responsabili.
Un commentatore ha sintetizzato bene la situazione, definendo “ironia nera” l’incendio che ha colpito Fort McMurray. La città, si è sviluppata grazie alle sabbie bituminose, che producono un carburante ad alta emissione di anidride carbonica. Quanta più ne viene rilasciata nell’atmosfera, tanto più caldo diventa il mondo e tanto più probabili saranno gli incendi devastanti. Sollevare questioni ambientali nel bel mezzo di una tragedia umana significherebbe passare per insensibili. E sarebbe senz’altro sbagliato imputare agli abitanti di Fort McMurray il disastro che li ha colpiti.
Come ha detto Andrew Weawer, climatologo canadese e parlamentare dei Verdi nell’assemblea legislativa della Colombia  Britannica: “La verità è che siamo tutti consumatori di derivati del petrolio”.  Non ammettere il legame, però, significherebbe passare per ben altro. Siamo tutti consumatori di petrolio, per non parlare di carbone e gas naturale, quindi abbiamo tutti contribuito all’attuale inferno. Dobbiamo riconoscere le nostre responsabilità  e rimediare. Il prossimo incendio sarà stato annunciato e nessuno potrà lavarsene le mani e non sentirsi complice.(Elizabeth Kolbert, New Yorker, Stati Uniti; Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, pag. 105, con foto)

6. In bicicletta tra lo smog. Muoversi in bicicletta o a piedi a Londra e a New York fa bene alla salute, tanto da compensare ampiamente i rischi legati allo smog che si respira. A Delhi, invece, che è dieci volte più inquinata, basta pedalare cinque ore alla settimana per cancellare gli aspetti positivi. E’ quanto emerge da una ricerca dell’Università di Cambridge, che ha simulato le conseguenze dell’attività fisica regolare all’aperto, tenendo conto dell’intensità e della durata, in relazione ai livelli di polveri sottili registrati in 1662 aree del mondo. In media i rischi superano i benefici dopo sette ore di bici e 16 ore di camminata al giorno. Solo nell’1% delle città i livelli di inquinamento sono così elevati che è meglio non pedalare per più di mezz’ora al giorno. A conti fatti, concludono i ricercatori su Preventive Medicine, è più che giustificato incoraggiare le persone a camminare e a usare la bici in città. (Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, pag.106)

siccita-etiopia7. Sfuggire al deserto. Nel corso di questo secolo alcune regioni del Medio Oriente e del Nordafrica diventeranno troppo calde e spingeranno molte persone ad emigrare. Una ricerca dei Max Planck Institutes  pubblicata su Climate Changes, prevede, nella migliore delle ipotesi, un aumento di quattro gradi centigradi delle temperature, che nelle notti d’estate supereranno i 30 gradi e raggiungeranno i 46 gradi di giorno. Saranno sempre più frequenti le ondate di calore e le tempeste di sabbia. Se le emissioni di gas serra continueranno ad alimentare il riscaldamento globale, chi vive in queste regioni dovrà aspettarsi 200 giorni molto caldi all’anno. (Internazionale n.1153, 13 maggio2016, pag. 106)

8. Siccità. Secondo le Nazioni Unite, nello Zimbabwe 4,5 milioni di persone sono a rischio a causa della siccità. Internazionale n.1153, 13 maggio 2016, pag. 108). (Internazionale n.1153, 13 maggio 2016, pag.108)

9. Mare. Le acque marine hanno sommerso una parte delle isole Salomone. Secondo Environmental Research Letters, le foto aeree e satellitari relative e a33 isole, scattate tra il 1947 e il 2014, mostrano che sono scomparse cinque isole coralline dotate di vegetazione. In altre sei l’avanzamento del mare ha distrutto due villaggi. L’erosione è maggiore nei punti dove l’innalzamento del mare, legato al cambiamento climatico, interagisce con la forza delle onde. (Internazionale n.1153, 13 maggio 2016, pag.108)

antilopi-addax10. Antilopi. Le antilopi addax, note anche come antilopi dalle corna a vite, sono a rischio di estinzione in Niger, la loro regione d’origine e nel resto dell’Africa a causa della riduzione dell’habitat e del bracconaggio. (Internazionale n. 1153, 13 maggio 2016, pag.108)

11. Spegnere davvero. “Una volta c’era una differenza tra acceso e spento, ora è più complicato”, scrive il New York Times. Gli apparecchi che assorbono energia elettrica quando sono in stand by o spenti fanno aumentare le bollette e consumano di più, contribuendo al cambiamento climatico. Secondo una stima del Berkeley Lab, in una tipica casa statunitense ci sono una cinquantina di dispositivi. Nel complesso, questo spreco energetico può arrivare a rappresentare un quarto della bolletta domestica. Per esempio, una lavatrice moderna assorbe sette watt quando è accesa ma non sta lavando e quattro watt quando è spenta. Un computer portatile assorbe 48 watt quando è in carica e 27 quando è spento e collegato alla linea elettrica. Può sembrare poco, ma sul lungo periodo gli sprechi aumentano. In una settimana il portatile consuma 4,5 kilowattora  di elettricità, in un anno circa 235. Il consumo energetico è elevato anche perché molti dispositivi vengono spenti raramente. Un esempio tipico è il router che assorbe circa 4 watt, oppure il frigorifero o la macchina del caffè. Tutti gli elettrodomestici che sono connessi a internet, che hanno un orologio interno o che possono memorizzare la programmazione consumano continuamente piccole quantità di energia.
Contro questo spreco sarebbe utile misurare il consumo nascosto dei propri apparecchi. E poi usare le multiprese con interruttore, per scollegare tutti i dispositivi con un gesto solo quando non si usano. (Internazionale n.1153, 13 maggio2016, pag.108)

12. Un budget extraterrestre. Australia. “La settimana scorsa il ministro del Tesoro Scott Morrison ha presentato un budget che sembra riferirsi ad un altro pianeta”, scrive Michael Lucy su The Monthly. “Nel suo discorso ha insistito sui posti di lavoro, la crescita e il futuro ma non ha fatto alcun accenno al clima e all’ambiente. I laburisti hanno fatto un pò di più. Bill Shorten almeno ha parlato di cambiamento climatico e si è impegnato a portare il paese, entro il 2030, al 505 di energia ricavata da fonti rinnovabili. I Verdi si sono spinti un po’ più in là, promettendo di arrivare al 90% entro quell’anno. Ma nessuno dei due obiettivi è sufficiente: nel 2016 la riduzione drastica delle emissioni dovrebbe essere l’impegno primario di ogni budget e piano di governo. Un bilancio serio sul lavoro e la crescita tratterebbe il cambiamento climatico come una minaccia seria. E i politici che pensassero davvero al futuro anche oltre le elezioni ammetterebbero che gli impegni presi finora (come l’accordo di Parigi) sono inadeguati. (Internazionale n.1153,13 maggio 2016, pag. 32)

schiavi-bambini-svizzera13. Risarciti gli ex schiavi bambini. Strappati alle famiglie, sfruttati e abusati, fino al 1971.
Ora ottengono un rimborso. Difficile pensare che in un Paese civile e democratico, incistato nel cuore dell’Europa, possa essere esistita la schiavitù. Eppure anche la libera e pacifica Svizzera ha nel suo armadio un simile scheletro. E non stiamo parlando di una storia vecchia di qualche centinaio di anni, buona per i libri di storia. Una forma di schiavitù, che ha riguardato i bambini, è stata realtà fino a qualche decennio fa, precisamente fino al 1971. Per decenni, diecine di migliaia di bambini furono prelevati a forza dalle loro case e costretti a lavorare, a volte furono vittime di abusi sessuali, in molti casi vennero utilizzati come cavie per testare nuovi farmaci, e non si sa quanti furono sottoposti a sterilizzazione. Erano soprattutto orfani, o figli di famiglie povere per diverse ragioni considerate non in grado di mantenerli, oppure erano  figli di madri nubili o di padri alcolizzati.
Operazioni che seguivano un preciso schema, chiamate “collocamenti coatti” e definite “misure coercitive a scopo assistenziale”. Molti avrebbero voluto seppellire questa parte della storia del Paese, girare pagina e dimenticare. Nel 2013 il governo ha ufficialmente chiesto alle vittime sopravvissute e chissà, forse sperava di mettere così la parola fine. Ma l’anno successivo un’iniziativa popolare, chiamata “Per la compensazione “ e promossa da un uomo d’affari, Guido Fluri, raccolse circa 110mila firme che chiedevano al governo la creazione di un fondo di 500 milioni di franchi per risarcire almeno sul piano economico, le vittime di schiavitù ancora in vita.
Ci sono voluti quasi due anni di discussioni, ma ora il governo sembra  orientato ad accettare la compensazione, anche se per una cifra inferiore, 300 milioni di franchi. Un compromesso che non piace a socialisti e Verdi, ma che dal governo può essere considerato un successo visto che le posizioni iniziali dell’Unione Democratica di Centro erano di totale chiusura: “Non è corretto utilizzare fondi pubblici per sopperire alle sofferenze del passato”, era la motivazione del loro no. E poi: “Si rischia di sommare ingiustizia a ingiustizia, perché chi può stabilire chi  ha davvero sofferto?”. Logiche che però non hanno prevalso, dato che ora un accordo pare proprio essere stato raggiunto e i circa 12mila ex “bambini collocati” ancora in vita riceveranno 25.000 franchi ciascuno. Basteranno a chiudere le ferite? (SETTE n.19, 13 maggio 2016, pag.58)

(Continua)

(*) Tratto da Comune.info.

 

 

alexik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *