Un ricordo di Dario Paccino
di Peppe Sini (*)
Dario Paccino, «I senzapatria. Resistenza ieri e oggi», Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2006, pp. 136, euro 13 (per richiedere il libro alla casa editrice: Biblioteca Franco Serantini, via I. Bargagna 60, 56124 Pisa, tel. e fax: 050 9711432, e-mail: acquisti@bfs-edizioni.it, sito: www.bfs-edizioni.it).
In quest’opera postuma di Dario Paccino (curata dall’Assemblea spazi autogestiti di Lucca, con contributi di Giorgio Ferrari e Sirio Paccino, e una presentazione di Vauro Senesi) senti ancora la sua voce, il suo rovello, la sua energia, l’impegno suo di militante e di intellettuale. L’ho letto d’un fiato questo libro appena l’ho avuto tra le mani (grazie a Gian Marco Martignoni, compagno prezioso di tante riflessioni e di tante esperienze) e d’un fiato avrei voluto scriverne per segnalarlo alle persone amiche. Poi ho sempre rinviato, sentendo troppo inadeguate le poche righe che buttavo giu’ e cancellavo, buttavo giu’ e cancellavo.
Sono mesi e mesi che mi dico che vorrei scrivere un degno ricordo di Dario Paccino, e sincero un omaggio, e franca una rievocazione, un’esposizione e una disamina critica della sua azione, delle sue ricerche, delle sue riflessioni e proposte teoriche e pratiche; ma sempre rinvio, come accade di fare con le scritture che senti piu’ necessarie e quindi impegnative, piu’ urgenti e quindi sofferte, in cui si fondono e colluttano e fanno nodo la critica e la nostalgia, il dibattito senza reticenze e la gratitudine, il fuoco della controversia e l’amista’. E sono anni che vorrei cercar di ritrovare le sue lettere che spero di non aver perso nei successivi traslochi della mia vita.
Veniva dalla Resistenza, e per tutta la vita aveva continuato a resistere.
Fu tra i primi a farci conoscere le nuove lotte degli indiani d’America, fu netto nello smascherare quanto di totalitario vi era in esperienze postrivoluzionarie in tempi in cui erano assai celebrate da giovani allora tanto generosi quanto ingenui e ambigui e presto traviati; fu tra i primi a svolgere un discorso ecologico non ingenuo e non subalterno, fu tra coloro che sulla scienza e le tecnologie seppero dire cose vere e decisive. Nella lotta antinucleare fu un compagno prezioso e generoso; e nell’opposizione alla guerra, ai suoi strumenti, ai suoi apparati, alle logiche e ideologie sue.
I giovani di oggi ubriacati dalle ciance – che io trovo superficiali, ambigue e infine stupide e complici – di certi sciatti e presuntuosissimi cosiddetti e autoproclamati “guru no global”, non immaginano neppure la ricchezza, la complessita’ e la profondita’ di analisi del marxismo critico, quel marxismo di sinistra antitotalitario che in Italia fu dei Fortini e dei Timpanaro, dei Panzieri e dei Maccacaro – e di molte e molti altri – e che s’intrecciava con tutte le piu’ feconde tradizioni di pensiero e di azione della cultura contemporanea, e con le piu’ vive esperienze di lotta di liberazione (anche quelle che si opponevano ai regimi totalitari e fin genocidi che marxisti si proclamavano). E quanto ci sarebbe bisogno invece che conoscessero e riconoscessero quella tradizione di pensiero: una tradizione di pensiero che io credo pensata profondamente (nelle sue verita’ e nelle sue aperture, ma anche nei suoi limiti e nei suoi errori) porti – come altre tradizioni del resto, massime il femminismo – a questa scelta e proposta e prassi che da anni chiamo nonviolenza in cammino e che per quanto mi concerne non e’ altra cosa da quel comunismo in cammino di cui Fortini scrisse una volta – se non forse in quanto piu’ chiara e profonda, piu’ nitida e piu’ intransigente nel ripudio di ogni menzogna e di ogni oppressione, nella rigorizzazione del rapporto tra teoria e prassi, tra mezzi e fini, nel riconoscimento (nel rispetto che ascolta, nella cura che accoglie e protegge ed invera, nella schiudente, dialogante sollecitudine) dell’umanita’ di ogni altra persona, nel piu’ nitido rivendicare e difendere la dignita’ umana e gli umani diritti di tutti gli esseri umani. Nel vivo del conflitto, nel fuoco della contraddizione, nel crogiuolo di un mondo di relazioni da mutare e salvare ad un tempo.
Non era un compagno facile, Dario Paccino; ruvido nelle polemiche fino all’unilateralita’ piu’ accesa, quante volte leggendone gli scritti mi dicevo: ecco che l’indignazione lo porta ad espressioni non sufficientemente meditate, ecco che la rivendicazione orgogliosa delle nostre ragioni gli occlude l’accesso all’intellezione piena e al riconoscimento franco delle ragioni altrui, ed ecco che qui un suo limite – di volontarismo, di difesa a oltranza di un punto di vista, di lealta’ con le persone sentite piu’ vicine, di schieramento comunque con una visione del mondo (quella visione del mondo che insegna a diffidare di tutte le visioni del mondo e a riconoscere che ogni ideologia e’ sempre anche falsa coscienza: ma che pure era stata ossificata e trasmutata finanche nel suo ignobile e feroce contrario) – gli impedisce di cogliere un nodo, una complessita’, la necessita’ di una lettura con altri, ulteriori occhiali, con diverso sguardo. Ma sono cosi’ queste nature di combattenti, che per nulla concedere a cio’ che avvertono come intollerabile, talora – o sovente – neppure ascoltano cio’ che invece ascoltato e inteso andrebbe.
E talune sue posizioni ho duramente avversato laddove mi pareva fossero corrive a errori e subalternita’ inaccettabili: cosi’ con i nostri maestri e compagni dobbiamo condurci, io credo: valorizzando tutto e tutto criticando, e confliggendo e contrastando senza esitare ove cattiva retorica o malintese solidarieta’ recavano a posizioni non vere e non giuste.
Talvolta io stesso da Dario sono stato forse non lievemente frainteso (ma mi capita spesso, ed essendo ormai un vecchio militante dalla lunga barbaccia bianca e la zucca che va facendosi pelata non mi duole piu’ granche’: ne ho viste tante, sono ancora vivo); ma ho sempre saputo che nell’ora delle scelte e del bisogno, nell’ora del pericolo e della resistenza – quell’ora che arriva come ladro di notte, quell’ora che non cessa mai – Dario sarebbe stato il primo ad accorrere in aiuto, senza esitazioni. Era fatto cosi’.
Valevano davvero per lui le parole che Brecht scrisse in quella cantata in cui il soldatino rosso s’accosta al cadavere di un gia’ mitizzato capo rivoluzionario e gli grida all’orecchio “arrivano gli sfruttatori!”, e avendo constatato l’immobilita’ della salma conclude che solo ora e’ certo che sia morto, poiche’ non fosse morto si sarebbe levato alla lotta, perche’ “tutta la sua vita aveva lottato / contro gli sfruttatori”.
(*) ripreso da «TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO» (nr 2198 del 16 dicembre 2015) proposti dal «Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo». Dello straordinario impegno di Dario in “bottega” abbiamo scritto qui: Ricordando Dario Paccino – 3, Ricordando Dario Paccino – 2 e qui Ricordando Dario Paccino – 1. Nei giorni delle bugie all’incontro di Parigi sul clima avevo ripensato al suo bellissimo «L’imbroglio ecologico» cercando in rete qualche pagina da riproporre: non l’ho trovata ma se qualcuna/o si offre di “ricostruire” quella sua analisi, ancora così attuale, ovviamente la “bottega”… è sempre aperta. (db)
“I giovani di oggi ubriacati dalle ciance – che io trovo superficiali, ambigue e infine stupide e complici – di certi sciatti e presuntuosissimi cosiddetti e autoproclamati “guru no global”, non immaginano neppure…”
Eh certo, NOI invece eravamo migliori, NOI abbiamo fatto il 68 il 77 e anche il 79 barrato, e NOI eravamo piu’ a sinistra degli altri, e cosa vogliono questi che puzzano ancora di latte, e non ci sono piu’ le manifestazioni di una volta, e qui un tempo era tutta campagna, e una volta a Sanremo presentava Pippo Baudo e anche la Nutella non è più la stessa cosa..
E che palle però!
Perché questi ragazzi
accettan tutto?
Perché la loro noia
è solo un rutto?
Si comprano il biglietto
maggiorato
per viaggiar su tradotte
dello Stato
conciate ancora peggio
-e ce ne vuole-
delle Aule Magne
delle loro scuole!
E per dare l’esame
-poverini!-
all’assistente leccano
i piedini
quello stesso assistente
-perlopiù-
al quale dopo al bar
danno del tu;
e allo scritto magari
le domande
se le passan da dentro
le mutande
ma se poi son scoperti
immantinente
arrossiscono solo
mollemente
Ma dov’è l’infantile
ribellione
su politica sesso
religione?
E l’adolescenziale
intransigenza
che dell’adulto vuole
fare senza?
Mica saran finite
le sue schegge
dentro i fiori di bach
della “niu egge”?
Mica sarà ribelle
quel ragazzo
che dice sogghignando
ficacazzo,
che spara ormoni
col mitragliatore
per tremare davanti
al Professore?
Non sarà mica
rivoluzionario
scriver “tranchi ragà”
sopra ad un diario
Non sarà mica
sovversivo atto
scoreggiare su un treno
dello Statto?
Dov’è finita
quella gioventù
che giurava
di non poterne più?
Dove sono finiti
quei ragazzi
che sognavano un mondo
solo di pazzi?
O forse siamo noi
che siam finiti
poveri vecchi
incartapecoriti?
E scriviamo poesie
-ma questa poi!-
solo perché i ragazzi
non siam noi?