Una donna in codice rosso

di *

Sai che significa essere una donna in codice rosso? Spesso mi rispondono «significa che hai coraggio».

Coraggio? Il coraggio della disperazione, il coraggio di avere paura di uscire di casa, il coraggio di guardare mio figlio e sentirmi in colpa perché ho paura anche per lui, il coraggio di un dolore che è un fardello che mi porto dietro giorno e notte.

E io sono fortunata. Fortunata perché sono una donna in codice rosso solo grazie alle persone che mi sono intorno che hanno accolto me e il mio fardello e mi hanno convinta che potevo essere ancora libera. Mi hanno spinto con tutte le loro forze a denunciare e hanno lottato contro la mia paura. La paura di fare quello che è giusto.

Ma la paura non se ne va… non se ne è mai andata. Ogni volta che lui me lo trovo davanti, ogni volta che mi segue, ogni volta che segue mio figlio. La paura che ti paralizza le gambe, la paura che fa tremare le mani, che non ti lascia respirare e ti fa solo desiderare di scappare. Lontano. I miei amici me ne dicono tante ogni volta che succede. «Smettila di farti vittima. Devi reagire. Chiama i carabinieri. Ti è andata bene stavolta la prossima potresti non essere così fortunata da raccontarlo. Non voglio assistere al tuo suicidio». Tutto questo mi dicono. Ma io ho paura. Paura che questa paura non se ne andrà mai. Paura che non vincerò mai. Paura di non avere speranza di uscirne mai.

Ma sentire le loro voci che mi dicono di reagire mi serve. Mi prende l’ansia, tremo, ho paura ma l’ho fatto.

La prima volta i carabinieri mi hanno fermato per la strada mentre passavano con la volante. Durante il lockdown, quando non si poteva neanche uscire di casa. Ma io dovevo riprendere mio figlio. Che tardava a uscire da casa di lui. Mi hanno chiesto chi ero e che facevo in mezzo alla strada. Ero sola, sotto la pioggia.  Ho vinto la mia paura e ho chiesto «mi date una mano? Sono in codice rosso» la risposta è stata agghiacciante: «che vuole che siano 20 minuti di ritardo». Hanno ingranato la marcia, se ne sono andati e mi hanno lasciato là, sotto la pioggia. Non c’era un’anima. Manco un cane.

Ho fatto il maledetto 112. Li ho chiamati. Due volte. Lui mi ha seguito di nuovo. Due volte. E io li ho chiamati.

Ma tremo, piango, mi tremano le mani. Mo’ torna mio figlio e non può trovarmi così. I carabinieri non vengono. Non intervengono. Non c’è sentenza definitiva. Niente di scritto. Mi hanno chiuso il telefono e non sono venuti. Due volte. La paura è ancora più forte. E quel senso del dolore si impossessa di me.

Devo imparare a difendermi da sola. Come faccio a difendermi da sola? E se mi blocco? Riuscirò mai a reagire?

(*) Il msg, arrivato da un’amica, spiega: «Non abbiamo messo lo pseudonimo, né una iniziale perchè è troppo pericoloso. Nessuno – neanche le cosiddette forze dell’ordine – sa se il putrido ha o meno un profilo in qualche social. Di sicuro ha una posta elettronica. Ti posso dire che riguarda aprile-maggio 2020 e il Sud Italia».

 

Redazione
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Un commento

  • E’ molto pesante leggere questa richiesta di aiuto, la denuncia per non essere stata ascoltata, e non potere fare niente.
    Chi ha scritto questa segnalazione, l’amica di cui si parla nella parte finale o altre persone, possono intervenire con una denuncia alla magistratura per mancato soccorso da parte delle “forze dell’ordine”?
    Oppure chiamare il 1522 (mi pare) citato spesso come tel a cui ci si può rivolgere?

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