«Undici»: morire in barca con i sogni

Il meglio del blog-bottega /196…. andando a ritroso nel tempo (*)

Recensione di Christiana de Caldas Brito al romanzo di Savina Dolores Massa

Immaginate una barca in fondo al mare dei Caraibi. Un pescatore avvista la barca affondata e vede dentro undici cadaveri. Dà l’allarme. Il giorno dopo i morti diventano notizia, una funesta notizia in un giornale. Il giornale era «Repubblica» del 4 giugno 2006. Il giornalista si chiamava Giovanni Maria Bellu. In comode poltrone, leggiamo la notizia, diamo un sospiro di sollievo: meno male che non è toccato a noi. Già. Pensiamo solo e sempre alla propria pelle. Per molti di noi quella era e continuerà a essere solo una notizia. Forse ha pure provocato un’emozione. Ma chiuso il giornale, chiusa l’emozione.

Savina Dolores Massa (ah, nomen omen, questo “Dolores” già faceva presentire una sensibilità aperta alla sofferenza altrui) è una scrittrice speciale: ha delle antenne che la rendono capace di dialogare con il dolore.

La barca affondata avrebbe portato in Italia quegli undici uomini partiti insieme a quarantasei altri africani pieni di speranza. E con tanti sogni, anch’essi annegati.

Quegli uomini volevano una vita più dignitosa. Ognuno di loro aveva pagato mille e cinquecento euro per approdare in Italia, Paese dove – avevano detto – c’era lavoro ed era facile sbarcare. Ma la barca era stata mandata alla deriva dalla barca trainante che si staccò e lasciò gli africani in alto mare, senza guida.

Con «Undici» l’autrice entra in sintonia con quegli 11 giovani africani traditi e mai arrivati a destinazione. Savina Dolores Massa, di Oristano, che con il suo libro è giunta finalista al Premio Calvino del 2007, ridà vita agli 11 annegati rimasti in fondo alla barca. Con uno stile assolutamente lirico ricostruisce la storia di ognuno degli uomini rimasti confinati nello spazio angusto del paragrafo di un quotidiano.

L’autrice sa che i morti continuano a esistere nella memoria dei vivi: prende uno a uno gli 11 e, prima che sopraggiunga la morte, li fa raccontare la sua storia. Ci dicono il loro nome, rivelano il loro vissuto quotidiano con i loro desideri e aspettative. Veniamo a capire i sogni che li accompagnano nell’abbandonare il loro villaggio.

Sono undici storie diverse, tutte raccontate a Saroyo, un griot, anche lui sulla barca. A sua volta, il griot, poeta conta-storie che mantiene viva la tradizione orale della sua terra, parla alla kora, il suo strumento musicale.

Negli undici capitoli del suo libro, la Massa riesce a restituire la dignità ai morti; 11 anonimi diventano persone con un nome, con una provenienza (Senegal e Mali) persone che vengono ricordate. Acquistano, grazie alla scrittrice, una propria individualità che vibra nelle pagine del libro.

Uno dei compiti della letteratura è proprio questo: dare visibilità agli esseri che non esisterebbero se non venissero raccontati. La loro storia lascia la profondità del mare e si trasforma nel libro-testimonianza di Savina, la scrittrice che essendo sarda vive circondata dal mare. Lei va oltre la notizia del giornale, non fa tacere la sua emozione quando chiude il giornale perché deve esprimere la sofferenza del morire in una barca che affonda, lei che non era in barca.

Che libro intenso! Chi legge «Undici» non potrà dimenticare la luce che emana dalla scrittura di Savina Dolores Massa. Le sue parole scivolano nello spazio bianco delle pagine come se respirassero quell’aria che era venuta a mancare a Baba, Amdy, Ibra, Djibril e gli altri.

Dice Savina: «So che non è semplice definire “Undici, in molti ci hanno provato. Qualcuno ha voluto paragonarlo a un dipinto. Altri a Omero. Altri a Edgar Lee Master. Molti dicono che è scontroso e difficile. Altri che è troppo lirico. Altri che è indefinibile. Ma io sono convinta che ogni libro, conclusa la scrittura, smetta di appartenere al  suo “creatore”. Divenendo proprietà del lettore, ogni cosa si può dire su di esso. Così come un quadro o una musica. “Undici” cammina di mano in mano, io raramente dico cos’è stato per me. A parte il mio personale “divenire” morto in mare per 11 volte, e soffrirne le pene. In pochi comprendono questo».

Savina-griot-kora ha salvato questi 11 africani dalla vera morte che è l’oblio.

«Undici»

di Savina Dolores Massa

Il Maestrale, Nuoro, 2008, 14 euro

In “bottega” abbiamo parlato spesso di (e con) Savina Dolores Massa. Quella qui sopra è la copertina del suo nuovo bellissimo romanzo… ne parleremo presto.

LIBRI VECCHI SEMPRE NUOVI?

In blog avevo già parlato di questo bellissimo libro ma sono felice che Christiana lo riproponga. Chi passa spesso da qui avrà notato che a volte segnaliamo (noi della piccola redazione e chi decide di collaborare) libri “vecchi”. E’ forse utile ripetere ancora una volta – poi basta – il perchè. E’ un segnale di stupidità e di sudditanza al mercato che i media (presunti grandi) informino (ah-ah) quasi solo dei libri nuovi pur se brutti e/o così vecchi per contenuti e forme che chi legge sa già tutto prima di aprirli mentre invece i “re-censori” considerino disdicevole invitare a libri vecchi che però sono sempre belli e nuovi pur se il tempo passa. Per fortuna lettori e lettrici (non milioni in Italia, ma qualche tribù di panda resiste) sono più intelligenti di quel che certe case editrici pensino: così vanno in biblioteca, fanno prestiti, acquistano i libri un po’ invecchiati – magari quando escono in edizione economica – basandosi sul passaparola anzichè sugli spot o sulle recensioni prepagate (intendo compensate dagli editori un-tanto-a-lode). Queste veloci considerazioni sono anche un invito a chi passa da qui per recuperare vecchie letture (fantascientifiche, realistiche, di saggistica o quel che vi pare) e magari proporle qui. Riletture ma anche testi impolverati e mai aperti, scoperte tardive (io per esempio prima o poi leggerò «Don Chisciotte») che però cambiano la vita. Un po’ come in questa bella frase di Elias Canetti: «Ci sono libri che si posseggono da 20 anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno porta con sdi cittin citt di Paese in Paese, imballati con cura anche se abbiamo pochissimo tempo, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule. Tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo 20 anni, viene un momento in cui d’improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: come una rivelazione». Chi vuole tentare? (db)

L’IMMAGINE QUI SOPRA E’ di JACEK YERKA

(*) Anche quest’anno la “bottega” ha recuperato alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché quasi 16mila articoli (avete letto bene: 16 mila) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. [db]

 

Redazione
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