Un’isola da cui scrivere di Enrico Caravita-Ponteradio

Venerdì sera all’ EIS 36, gelateria di Kreuzberg (quartiere di Berlino).
In programma c’è la proiezione del film “Il cammello che piange” (un film del 2003 diretto da Luigi Falorni e Byambasuren Davaa).
Io, da parte mia, incalzo Gonzalo dicendogli: – come?… “Il cammello che piange”? in tedesco senza un sottotitolo manco in spagnolo? Ma vàaa … –
Lui ride e va in cucina.
A seguire i fumetti di Samir Harb (fumettista palestinese di Ramallah – Cisgiordania) e lui in persona per presentare il suo lavoro.

Samir si trova qui per aprire gli occhi su un mondo che non conosce se non per voce degli internazionali con cui è in contatto nella sua terra … e da artista qual è si confronta con Berlino. Come? … tenendo un workshop sul fumetto con i ragazzini della scuola turco-tedesca Aziz Nesin di Kreuzberg e appunto presentando i suoi fumetti di realtà, poi … incontra i presenti …

… infine musica.

Il bar o la gelateria o il ristorantino a seconda dei momenti della giornata … o la famiglia che ci trovi … è unica, non particolare.
Lei è Maria Albertina una italo argentina, nata o solo cresciuta a Berlino, dal sorriso irradiante e dalla voce squillante, dagli occhi vivi che ti ravvivano, lui è Gonzalo, della selva ecuadoregna, catapultato a Berlino all’età di 10 anni … rimpiange il suo villaggio dove ha appena portato suo figlio di pochi anni per incontrare la sua famiglia e la sua selva.
Hanno 3 figli … non so molto di loro, li ho conosciuti questa primavera e le volte che torno a Berlino torno a salutarli. Qui e’ come essere a casa. In tutti i sensi e … come quando torni a casa ti chiedono come stai ma anche cosa è cambiato.
… l’EIS 36 non è il posto delle bugie! Così ognuno con la sua faccia risponde, se vuole, alle domande … ma ripeto, l’EIS 36 non è il posto delle bugie che qui si vedono e si sentono come si sente la differenza che passa tra una torta fatta in casa ed una confezionata.
L’Eis 36 è una grande casa per la gente che ci passa.
È uno spaccato latino aperto per chi passa e ha voglia di ridere di conoscere o solo stare.
Ci sono argentini, spagnoli, cubani, italiani ma anche tedeschi e turchi. Le lingue che si parlano sono tutte queste e un inglese come collante generale.

Anche in questa Berlino le cose vanno come nel resto dell’occidente, dietro la copertina patinata e tirata a lucido delle zone turistiche o dei quartieri “bene” … , le parole che la riempiono hanno i colori dei volti e i tratti decisi delle vite che si fanno vita, a Kreuzberg come a Neukolln.
C’è un allegria di fondo in questa gelateria della fredda Berlino che come un motivetto di un vecchio juke-box viene accesa di tanto in tanto per scaldare e scaldarsi, così trovi un ragazzo italiano partito da Latina e arrivato qui per fare il dj che dorme da un mese in un ostello e trova dei lavoretti saltuari per tirare avanti mentre cerca la sua strada. Ti dice che gli è bastato bersi un bicchiere di latte e una fetta di pane con burro de leche per sentirsi a casa e … si è fermato qui e non vuole tornare a casa senza aver concluso qualcosa.
Erano partiti in due, dice. Uno ha mollato ed è tornato indietro. Qui è dura – continua – ma non mollo e quando sento un po’ di nostalgia vengo qui da Albertina e da Gonzalo e … riparto –
… c’è Sofia che viene da un piccolo paese argentino, figlia di un tedesco e di una argentina. Figlia di quel mondo hyppie che è andato a nascondersi in paradisi (?) naturali che poi diventano stretti per i figli che semmai vogliono vedere quel mondo da cui sono scappati i loro genitori.
C’è quel simpatico matto di Giovanni scappato da Iglesias … oppure c’è il cubano, un po’ irruente che ha disegnato la bandiera del suo paese senza capire che all’EIS 36 non c’è bisogno di bandiere.
Poi trovi i turisti così come i berlinesi come i gruppi di spagnole, no, devo dire che la fauna non è per niente male.
La poesia è sempre dietro, davanti e a fianco alla bellezza, le gira intorno come un abito, a volte si stringe al corpo e a volte si rilassa come una tunica.
Poi a un certo punto con l’avanzare della sera che diventa notte le luci diventato più soffuse, la musica cala il suo volume per consentire agli abitanti del condominio soprastante di dormire e finalmente si accendono le sigarette e il fumo avvolge tutti i presenti in un abbraccio, così i tavoli si appoggiano al muro e chi balla la salsa si fa più stretto per meglio sentire.
Mentre Albertina serve ai tavoli e Gonzalo cucina capita che ti chiedano di andare al supermercato per comprare le birre che scarseggiano o di sistemare la finestra che bloccata non si chiude, allora il posto diventa in un qualche modo tuo.
Entri, non passi e in qualche modo resti.
Sono queste le parole che si stanno perdendo nel nostro mondo sempre pronto a inseguire un successo che non riconosco e che sopratutto non so per chi sia, a parte contabili e uomini ciechi che non vedono il cielo.
Stiamo correndo super veloci senza guardare nello specchietto retrovisore e non ci accorgiamo di essere sempre più soli.

Mi torna in mente un detto popolare, una leggenda, una storia della città dove sono cresciuto (Ravenna), scoperto per caso in un bar del centro chiacchierando con un cliente. Una storia ormai scomparsa come tante altre storie di cui stiamo perdendo la memoria.
Nella torre pendente del centro storico, nascoste dietro alla struttura necessaria ad impedire il crollo della torre stessa ci sono due statue, una di spalla all’altra.
Una è la statua di un guerriero, l’altra è quella di una donna mascherata.
Di questa storia che è leggenda che è detto popolare ne parla pure il Cervantes nel “Don Chischiotte”.
Ci tengo a scrivere di questo perché Ravenna come tante altre città è sempre più provinciale e chiusa.
Eppure è stata prima capitale di un impero (non da esserne fieri … ) poi “internazionalmente” famosa per le sue storie come … splendida è stata Teodora (che non era di Ravenna) …. prima rifiutata dalla città per quello che era e per quello che portava, poi venduta come attrazione museale. Così come Teodora Ravenna ha perso il suo splendore per colpa di pochi che l’hanno venduta per i loro interessi invece di aprirla agli altri per sé stessa e per il mondo che la circonda. Così Ravenna sprofonda … non per subsidenza ma per egoismo, ignoranza e paura.
Mi chiedo allora più in generale dove si vuole arrivare se non si sa da dove si proviene.
Come potremo un giorno confrontarci con chi incontreremo se perdiamo le nostre storie. Cosa baratteremo al mercato quando i soldi saranno finiti e passati di mano?
Diventeremo più curvi sotto il peso della fatica e guarderemo per terra seguendo il sentiero che qualcuno avrà disegnato per noi, il sudore e il sangue renderanno la terra ancora più umida delle lacrime versate e solo dopo km di fatica qualcuno troverà la voce per intonare un canto che diventerà un coro.
Dobbiamo aspettare che accada tutto questo per aprire gli occhi e agire?

Tornando al detto popolare, alla leggenda o alla storia …
… il detto locale vuole che si chieda a chi è perso e sta cercando: – ma cosa stai cercando? La tua Maria? –

Mi domando: – chi è Maria?-
– E’ una donna? è il diverso da te? è la tua metà mancante?-
… la stai cercando forse nella direzione sbagliata, forse la tua Maria si trova proprio dietro di te. Forse basta solo guardare bene, guardare meglio.
Forse la maschera non è sul suo viso ma nei tuoi occhi.
Forse…
Allora penso e ri-penso a quello che mi gira intorno, qui a Berlino, a Ravenna come a Jenin (Cisgiordania), o a Tuzla (Bosnia-Erzegovina) o anche solo nella Correggio della via Emilia … una mare di persone differenti da ognuno di noi e ognuno con storie differenti …

Vorrei un giorno poter fermare il mondo delle cose e delle persone in movimento, aspettare che si calmi il vento e proferir parola.
Una parola!
Allora una leggera brezza, sempre nel mio sogno ad occhi aperti, solleverebbe la mia parola e la porterebbe un po’ più in là all’orecchio di un’altra persona che come me l’ascolta e la passa nuovamente. Così di bocca a orecchio, di persona in persona, attraverso città, selve, mari, montagne, sui treni come sugli aerei o grazie a un autostoppista … le parole si bagnano come panni in acqua o si seccano come pozze nel deserto … perdendo forma ma conservando un’impronta.
Vorrei sapere tanto che parola, o che parole, mi tornerebbe all’orecchio.
Magari … : – ma cosa stai cercando? la tua Maria? –
– C’era una volta …

biglietto nella bottiglia …
RACCONTAMI UNA STORIA

per ponte radio Enrico Caravita
www.ponteradio.org


DUE RIGHE SU PONTE RADIO

Oggi sul mio blog due scritti di “strani teatranti-bipedi pensanti”: questo e il successivo di Giancarlo Biffi. Ho un bel rapporto con Ponte radio (fra l’altro sono stato con loro in Palestina) e spero di poterne riparlare. Li amo incondizionatamente. Anzi no, una condizione ci sarebbe: Enrico non abusare dei puntni di sospensione quando scrivi. Lo sappiamo tutte/i che la vita è sempre un po’ sospesa. O no? (L’asinone d’Imola)

Redazione
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Un commento

  • leonardo tancredi

    questo post per dimostrare a daniele che conosco il suo blog e per ringraziare per la segnalazione del bar di kreuzberg che visiterò appena possibile
    l.

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