Università for profit in America Latina

di David Lifodi

Durante la rivoluzione messicana del 1910 Emiliano Zapata sosteneva che le scuole, invece di unire il Messico, contribuivano ad aumentare la divisione tra le classi sociali: da un lato coloro che potevano permettersi di frequentare gli istituti di istruzione e si sentivano superiori, dall’altro i campesinos. Fu in questo contesto che nacquero le escuelas normales rurales, tra di loro la Raúl Isidro Burgos, passata tristemente alla storia perché i suoi studenti, quasi un anno fa, furono uccisi dalla polizia messicana e dai cartelli del narcotraffico in quello che è noto come il massacro di Ayotzinapa. In precedenza, tra il 1952 e il 1958, ci aveva pensato il governo di Ruiz Cortines a tentare di chiuderle, sostenendo che le escuelas rurales erano covi di comunisti.

Alcuni mesi fa la rivista Proceso, riferendosi all’ateneo privato ultraconservatore spagnolo “Nuestra Señora del Pilar”, lo aveva definito come un colegio que alimenta al poder. Quello che sta succedendo in Spagna, la crescente diffusione delle università private come think-thank del potere, da anni è già in corso in America Latina. In Messico, solo il 50% degli studenti arriva al termine della scuola primaria e coloro che raggiungono l’università sono una minoranza privilegiata in un paese dove il livello d’istruzione è molto sotto la media: solo il 20% dei messicani possiede un livello d’istruzione medio-superiore. Se fino agli anni Settanta il 90% della popolazione messicana si era istruita attraverso il sistema pubblico, adesso, a causa dell’ondata neoliberista, la percentuale tra l’istruzione pubblica e quella privata è in perfetta parità, al 50%. In questo contesto non si può far a meno di evidenziare che buona parte degli ex presidenti del paese, tra cui Salinas de Gortari, Zedillo e Calderón hanno frequentato università statunitensi, come del resto alcuni dei mandatarios peruviani, tra cui Toledo e García. Le università private si sono trasformate, nel tempo, in strutture piene di soldi grazie ai finanziamenti di politici e imprenditori. In Perù l’unico requisito per creare un’università privata è quello di essere un politico. Emblematico il caso della Universidad Tecnológica peruviana, le cui azioni sono state acquistate in maggioranza dal colosso bancario Interbank, ma che è stata fondata dall’ex congressista fujimorista Roger Amuruz. È evidente come la principale intenzione dei proprietari degli atenei privati non è quello di ampliare le possibilità di accesso all’istruzione per i giovani latinoamericani, bensì ottenere guadagni per se stessi e le loro lobbies, con buona pace della qualità dell’istruzione, spesso di livello molto basso. Del resto, l’interesse delle università private è solo quello di consolidare il pensiero unico della futura classe dirigente: dalla stessa “Nuestra Señora del Pilar” è emersa una generazione di quadri apertamente franchista, tra cui, in ordine di tempo, l’ex presidente spagnolo Aznar. Eppure le università pubbliche latinoamericane provengono da una storia lunga e gloriosa: le prime sono state fondate tra il 1538 e il 1551, ben prima della statunitense Harvard, nata soltanto nel 1636. Le cose sono peggiorate nel corso del XX secolo, quando le università latinoamericane si sono adeguate al modello di esclusione classista tipico dell’Occidente e poi nel XXI secolo, poiché gli atenei sono divenuti delle strutture al servizio del mercato, dove il lucro ha assunto il ruolo principale e il modello di universidad empresarial si è imposto sul diritto all’istruzione, indipendentemente che fosse pubblica o privata. L’intento di trasformare le università in luoghi destinati solo allo studio delle teorie di mercato, in ossequio ai principi neoliberisti, è servito per imporre il nuovo ordine sociale nei confronti di tutti quegli atenei che erano divenuti, tra gli anni Settanta e Ottanta, il fulcro delle lotte politiche e sociali di un intero continente. Il problema più grande, e attuale, delle università latinoamericane, è che si sono trasformate in centri colonizzati, dipendenti e subordinati ad una visione eurocentrica, globalizzata e capitalista dove i saperi sono orientati dal mercato, a scapito dell’identità, della storia e della conoscenza del proprio paese che ogni studente dovrebbe avere il diritto di conoscere. Nell’ultimo decennio la percentuale di studenti laureati nelle università private latinoamericane è passato dal 20% al 35%, mentre gli stessi atenei pubblici stanno seguendo le logiche di quelli privati: secondo la teoria capitalistica tutto ciò che non è fonte di guadagno deve essere scartato, e allora si alzano le rette e pazienza se la maggior parte delle famiglie degli studenti non se le può permettere. È questa la nuova frontiera della selezione. Tra le università che finora hanno resistito alla privatizzazione, mantenendosi al tempo stesso eccellenti dal punto di vista dell’istruzione, ci sono quelle cubane, ma in tutto il continente latinoamericano la battaglia è impari: la cosiddetta istruzione for profit, che parte già dalle scuole superiori, segna una tendenza difficile da invertire.

Dagli anni Ottanta e Novanta il neoliberismo si è dedicato anche alla sistematica distruzione dell’istruzione e il rischio principale è che ci riesca benissimo.

 

 

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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