Uruguay 2013: schiaffo della giustizia ai desaparecidos

Il meglio del blog-bottega /212…. andando a ritroso nel tempo (*)

di David Lifodi

Alla fine di febbraio la Corte Suprema de Justicia (Csj) ha deciso che l’Uruguay sarebbe dovuto tornare indietro di quaranta anni: prima ha dichiarato incostituzionale una norma che stabiliva il carattere dei crimini di lesa umanità, poi ha tolto dalle mani della giudice Mariana Mota una cinquantina di casi relativi a omicidi e sparizioni avvenuti durante la dittatura militare. Tutto questo è avvenuto grazie al voto a maggioranza di quattro dei cinque giudici che compongono la Csj, che ha ordinato il trasferimento di Mariana Mota dalla sezione penale a quella civile.

In Uruguay i militari sono stati al potere dal 1973 al 1985: fino al 1976 a capo del governo è rimasto Juan María Bordaberry, un “eroe” secondo la destra del piccolo paese  del Cono Sur. Grazie a Mariana Mota il dittatore era stato condannato a 30 anni di carcere e a 15 di arresti domiciliari, ma la sua morte, nel luglio 2011, ha fatto si che Bordaberry non si facesse nemmeno un giorno di prigione. Da allora Julio María Sanguinetti, alla presidenza del paese tra il 1984 e il 1989, l’ha accusata più di una volta di non essere obiettiva e l’ha definita “marxista” per la sua vicinanza con i familiari dei desaparecidos. Sui libri di storia Sanguinetti viene descritto come un moderato che guidò il paese alla transizione dopo il regime di Bordaberry e Aparicio Méndez, ma in realtà è stato l’artefice della Ley de Caducidad, quella che ha permesso finora ai militari di godere dell’amnistia nonostante le violazioni dei diritti umani compiute durante la dittatura. La gravità della sentenza della Corte Suprema de Justicia sta nell’aver rovesciato la legge che sanciva l’imprescrittibilità dei reati commessi dal regime militare. La motivazione riguarda l’impossibilità di applicare la legge in maniera retroattiva. Alle proteste del Frente Amplio si contrappone la soddisfazione dello stesso Sanguinetti, di Luis Alberto Lacalle, presidente del paese agli inizi degli anni Novanta, sostenitore dei piani di aggiustamento strutturale della Banca Mondiale e amico di Pinochet, e del colorado  Jorge Batlle, alla guida dell’Uruguay tra il 2000 e il 2005. I tre sono stati gli autori di una lettera  in cui hanno respinto le proteste contro il verdetto della Corte. Molti sottolineano che sia l’annullamento dei processi contro gli ex militari sia la rimozione di Mariana Mota erano solo questione di tempo. I fogliacci della peggior destra uruguayana hanno dato ampio risalto agli attacchi a mezzo stampa degli ex militari, tutti volti a sostenere che la giudice era responsabile di ogni tipo di irregolarità. Il 20 maggio di ogni anno, a Montevideo, si svolge una marcia in memoria dei desaparecidos. La marcia, istituita per la prima volta nel 1995, intende ricordare, tra gli altri, Zelmar Michelini ed Héctor Gutierrez (rappresentanti di spicco del Frente Amplio e del Partido Nacional) e i tupamaros Rosario Barredo e William Whitelaw, uccisi il 20 maggio 1976 durante il loro esilio a Buenos Aires. Spesso Mariana Mota ha partecipato alla marcia, quindi il trasferimento dal penale al civile appare come una vera e propria punizione. In un’intervista rilasciata di recente al quotidiano argentino Pagina 12, Mariana Mota, di passaggio a Buenos Aires per un incontro sul tema “Hacer Justicia: nuevos debates sobre el juzgamiento de crímenes de lesa humanidad”, ha tenuto a sottolineare che quella uruguayana non era una dictablanda, cioè una dittatura soft, solo perché il numero dei morti e il livello di repressione è stato minore rispetto al Cile o all’Argentina.  Durante i dodici anni di regime militare, ha spiegato Mariana Mota, l’Uruguay deteneva il poco invidiabile record del paese latinoamericano con il maggior numero di prigionieri politici in relazione al numero di abitanti: circa settemila, il 32% dei cittadini dell’intera nazione”. La condanna di Bordaberry nel 2010, ricorda Mota, precedette di poco il ritrovamento dei primi resti dei desaparecidos, tra cui quello del sindacalista Ubagesner Chávez Sosa, militante del Partito Comunista.  “Non c’è attenzione ai diritti umani violati durante gli anni della dittatura”, ha ammesso con amarezza Marina Mota, “a differenza dell’Argentina”. In effetti, per ben due volte, la maggioranza degli uruguayani si è espressa, tramite referendum, contro la possibilità di abrogare la Ley de Caducidad (nel 1989 e nel 2009) e lo stesso Congresso, nel 2011, l’aveva mantenuta in vigore proprio grazie all’astensione di un deputato frenteamplista. Il 20 maggio di quell’anno, dopo un dibattito di oltre 14 ore, 49 congressistas erano schierati a favore dell’annullamento della legge e 49 contro, sebbene la maggioranza, allora come oggi, fosse nelle mani del Frente Amplio, la coalizione che dal 2005 è alla guida del paese. Victor Semproni, il deputato frenteamplista che, come l’attuale presidente Pepe Mujica, è stato imprigionato e torturato dai militari, spiegò la sua scelta sostenendo che non se la sentiva di esprimersi contro la volontà popolare già emersa chiaramente in due referendum. L’allontanamento di Mariana Mota dalla sezione penale è una vergogna, hanno sottolineato gli Hijos e l’Asociación Familiares de Uruguayos  Detenidos  Desaparecidos, accusando l’intero sistema giudiziario di inadeguatezza. Il presidente Mujica, che peraltro ha sempre seguito con grande attenzione le richieste dei familiari dei desaparecidos, non ha potuto far altro che prendere atto della decisione della Csj su Mariana Mota. Finora, gli unici progressi legati alle violazioni dei diritti umani sotto la dittatura hanno riguardato il caso di Juan Carlos Blanco, ex ministro degli Esteri uruguayano condannato a venti anni di prigione per l’assassinio della maestra Elena Quinteros, avvenuto nel 1976.

Mariana Mota è stata rimossa dall’incarico per aver cercato di inchiodare alle proprie responsabilità i militari e i civili che tra il 1973 e il 1985 si resero responsabili di torture,sequestri  e traffico dei neonati  nati in carcere e figli dei prigionieri politici. Pagina 12 riporta il commento di un professore di diritto alla notizia che la giudice Mota era stata destinata alle cause civili: cuando tengan que optar entre el derecho y la justicia, no duden, opten por la justicia.

(*) Anche quest’anno la “bottega” ha recuperato alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché oltre 17mila e 700 articoli (avete letto bene: 17 mila e 700) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. [db]

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *