Uruguay: la pesante eredità del Plan Condor

di David Lifodi

Lo scorso 22 maggio, in occasione della 162° sessione della Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), riunitasi per la prima volta a Buenos Aires, sono state accolte le udienze pubbliche di diverse organizzazioni della società civile in merito alla violazione dei diritti umani in Brasile, Cile, Paraguay, Perù e Uruguay all’epoca del Plan Condor.

In particolare, la Cidh ha ricevuto l’Observatorio Luz Ibarburu, che ha denunciato l’impasse delle cause giudiziarie legate ai crimini per lesa umanità commessi dalla dittatura militare al potere in Uruguay tra il 1973 e il 1985. Ciò che ha sorpreso, in negativo, è stata l’assenza, di fronte alla Commissione interamericana per i diritti umani, dello Stato uruguayano e dei suoi organismi istituzionali, ad esempio del Grupo de Trabajo Verdad y Justicia. La Cidh ha paragonato il comportamento dell’Uruguay a quello del presidente Donald Trump: da Montevideo non hanno inviato alcun rappresentante a partecipare alla sessione della Commissione interamericana per i diritti umani, così come il presidente Usa ha negato che esponenti del suo governo assistessero a delle udienze sulle tematiche relative ai migranti. Tutto ciò, in effetti, lascia perplessi, se pensiamo, ad esempio, alla sentenza emessa lo scorso gennaio a Roma, che aveva assolto ben 13 dei 14 torturatori uruguayani coinvolti nel Plan Condor. In quella circostanza, il vicepresidente Raúl Sendic espresse tutta la sua contrarietà ad un verdetto che “aveva defraudato tutto lo Stato uruguayano”. In ogni caso, l’Observatorio Luz Ibarburu aveva già deciso che un suo rappresentante avrebbe letto un documento in cui si sottolineava l’empantanamiento dei processi a carico dei torturatori. L’inattività dello Stato e del Grupo de Trabajo Verdad y Justicia è dovuta, secondo l’ Observatorio Luz Ibarburu, sia al trasferimento troppo frequente dei giudici sia alla classificazione dei casi di sparizione di persone per motivi politici come semplici omicidi, senza contare che finora, in Uruguay, non c’è stata alcuna condanna per l’appropriazione dei minori ad opera di famiglie che simpatizzavano con i militari, i quali avrebbero strappato almeno una dozzina di neonati ai prigionieri politici. E ancora, l’Observatorio Luz Ibarburu punta il dito contro i troppi organismi governativi ufficialmente dediti a lavorare nel campo dei diritti umani, e in particolare sul caso dei desaparecidos, che però finiscono per essere inattivi.

In Uruguay, segnala l’organizzazione delle Madres y Familiares de Uruguayos Detenidos Desaparecidos, nessuno degli imputati per violazione dei diritti umani è stato condannato per aver commesso omicidi politici nell’ambito del Plan Condor, ma soltanto per assassinio. “Omicidio aggravato” è invece la motivazione che ha condannato gli ex dittatori Juan María Bordaberry e Gregorio Álvarez. Il primo, al potere tra il 1973 e il 1976, è stato processato nel 2006 per l’omicidio di quattro uruguayani esiliati in Argentina nel maggio 1976: i legislatori Zelmar Michelini ed Héctor Gutiérrez Ruiz e i tupamaros William Whitelaw e Rosario Barredo. Quanto a Gregorio Álvarez, alla guida del paese dal 1981 al 1985, è stato condannato a 25 anni per l’uccisione di prigionieri politici trasferiti da Buenos Aires a Montevideo nell’ambito del Plan Condor.

Durante il regime militare uruguayano scomparvero nel nulla circa duecento oppositori politici, in gran parte in Argentina, sempre nell’ambito del piano di repressione coordinato tra tutte le dittature del Cono Sur dell’America latina.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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