Venerdì 17, romper vetri porta bene ma…

… solo a Forlì

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Diciamolo nel modo più complicato possibile: eptacaidecafobia ovvero la paura del numero 17. Però in alcuni Paesi latini; altrove invece è il 13 a portar sfiga. Una ragione non c’è, ipotesi tante: di 17 cominciò il Diluvio universale e morì Gesù Cristo; i pitagorici disprezzavano questo numero imperfetto; e nell’antica Roma sulle tombe si leggeva «VIXI» che è anagramma di XVII, cioè 17. Complicato vero?
Se in Italia abbinate questo numero al venerdì è catastrofe. A ogni V17 c’è chi si chiude in casa. Ma dal 2009, in molte città e sui social, il Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze) proprio il V17 organizza pratiche anti-superstizione: passare sotto una scala, rompere specchi, familiarizzare con gatti neri, versare sale… «Con queste iniziative vogliamo sottolineare la pochezza di credenze che, se prese sul serio, condizionano negativamente la vita di molte persone» spiega Marta Annunziata del Cicap.

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C’è però un capannone alla periferia di Forlì dove non hanno paura dei vetri rotti, anzi. Se digitate «Camera della Rabbia: Spacca tutto senza che ti possano dire niente!» scoprite che si può scegliere fra una stanza zeppa di ceramica e un’altra con bottiglie di vetro. Ci si protegge con maschera, guanti, ginocchiere, casco, scarpe e tuta anti-infortunio. Poi si impugna la mazza. Colonna sonora heavy metal. E’ consigliato urlare. Filmato in omaggio. Costa 25 euro per 20 minuti. Gran successo: molti genitori regalano questo “vai e sfascia” per i compleanni di figli e pare soprattutto di figlie. Il proprietario, Cristian Castagnoli, avvierà un franchising in tutta Italia.
L’idea non è nuova. Per l’urlo forse ricordate Liza Minelli nel film «Cabaret». Le bastonate liberatorie negli anni ’60 si usavano nelle fabbriche giapponesi per rilassarsi durante la pausa. Lo stesso Castagnoli (castagna in gergo sta per un gran pugno) cita il racconto «Il palazzo da rompere» di Gianni Rodari.
Ovviamente l’idea di “distruggere tutto” – ma in sicurezza per sé e per gli altri – si presta a considerazioni non banali. Ma per quel che ci interessa in occasione del V17 resta la stranezza che a Forlì rompere vetri porta bene o almeno un relativo benessere.
C’è chi attribuisce le superstizioni al Meridione ma invece sono diffuse anche nel resto d’Italia. A quelle “classiche” se ne aggiungono di locali: rischioso ascoltare civette o gufi, aprire ombrelli in casa, posare cappello o grucce sui letti. Regalare fazzoletti porta il pianto e donare spille facilita i dolori. Vedere i bottoni in terra porta sfortuna; in tavola mai mettere il pane alla rovescia; sventura certa se si mangia in 13; disdicevole incrociare le mani o le posate; vivamente sconsigliato fermarsi sotto l’albero di noci; meglio cambiar strada incrociando le suore; il neonato non va baciato sul collo; far cadere le forbici porta jella.

Una delle più curiose, nella “moderna” Emilia-Romagna, è il terrore per lo «zompagalletto»: i bottoni della camicia messi nelle asole sbagliate portano gran sventura alle donne che li vedono, non solo di V17 ma tutto l’anno. Insomma chi si veste sbadatamente semina, senza volerlo, paura fra donne e fanciulle. Le quali però possono subito andare a Forlì e sfasciare tutto.

ALTRE DUE PAROLE SU V17
L’articolo qui sopra è uscito – al solito, parola più e/o parola meno – ieri sul quotidiano «L’unione sarda». Mi capita spesso di scrivere del V17 (in “bottega” trovate un paio di post, fra il serio e il divertente) anche per un dato familiare; ogni venerdì 17 che capitasse mio padre si chiudeva in casa ed era così spaventato… da farsi male col “niente”: tipico meccanismo di profezia che si auto-avvera. Ma sono cresciuto in una città dove in molti uffici pubblici si passava dalla stanza (o sportello, ufficio) 16 al 18: a me pareva intollerabile ma se protestavo mi rispondevano “non si sa mai” oppure “lei può non crederci però è in minoranza”. Chi vuole saperne di più guardi anche http://www.queryonline.it/2016/06/10/la-maledetta-sfortuna-del-venerdi-17/ che tratta le origini – poco chiare – di queste paure. NELL’IMMAGINE DI APERTURA forse avete riconosciuto TOTO’, versione iettatore: è nel film, a episodi, del 1954 «Questa è la vita», diretto da 4 registi; «La patente», ispirato a una breve commedia di Luigi Pirandello, era l’episodio migliore per la regia di Luigi Zampa e la magistrale interpretazione appunto di Totò. (db)

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

Un commento

  • …17, 18, 19…
    ma quella che, per un pugno di euro, puoi diventare un urlante sfascia tutto e pure con relativo video mi sembra una idea da new economy. Mi riferisco al pagare per sfasciare.
    Io sfasciavo e mi pagavano pure.
    La cosa che dava più soddisfazione sfasciare?
    Senza dubbio i tubi catodici dei televisori.
    Li mettavano in fila a mo di birilli e si tiravano martelli contro. Sai che BOTTI! Esplodevano e vetro da tutte le parti.
    Si scommetteva anche.
    Bei tempi, irripetibili. No, non è nostalgia dei tempi che furono, è proprio che di tubi catodici non se ne trovano più e se ne trovi devi fare la “raccolta differenziata”. Se ti beccano a tirare martelli, se va bene, ti arrestano.

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