Venere elettrica o…

 … del femminile nella fantascienza (anni d’oro): un ricordo di C. L. Moore, donna «ombra»

di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia  

«Tutto ciò che avviene per amore, accade al di là del Bene e del Male»: così Friedrich Nietzsche in «Al di là del bene e del male» (Adelphi, traduzione italiana di Mazzino Montinari).

Lo ammetto, dentro alla mente positronica di Fabrizio «Astrofilosofo» batte un cuore romantico, che non conosce requie. Romantico in senso positivo, non melenso e sdolcinato. Un sogno d’amore avvolto nel dolore, vedendo tante donne perdenti (in questa società che tutta nullifica, mastica, vomita) oppure vittime di femminicidi, fatti passare per atti dovuti in risposta a «provocazioni».

E’ bello per me ricordare un amore improvviso e nato per caso (in una splendida e minuscola libreria veneziana specializzata in fantastico, ora purtroppo chiusa e sostituita da un negozio di vestiario) quando trovai una vecchia raccolta di racconti, «Jirel di Joiry», coloratissima edizione Nord con una bella eroina fantasy in copertina. L’autore si annunciava come C. L. Moore.

Non persi tempo e andai a leggerlo in riva a un canale, cullato dalla risacca e dal passaggio delle piccole imbarcazioni che puntualmente facevano capolino nella calura estiva.

Fui trasportato in un mondo bellissimo, dove l’eroina faceva sfoggio di determinazione insolita e di un carattere davvero pepato, con risvolti sexy che mi fecero avere più di un sorriso.

Jirel di Joiry peregrinava in mondi magici e visionari alla ricerca, di volta in volta, dell’amore o della vendetta. Immersa in un universo tecno-magico, Jirel è forte ma fragile, spietata, lussuriosa forse, ma anche sensibile. Il suo girovagare sul fondo di inferni cosmici è descritto talvolta in maniera talmente dettagliata da risultare sorprendente.

Con mia grande sorpresa, non appena terminata la lettura, scoprii – leggendo il risvolto – che non si trattava di un maschio ma di una donna, tCatherine Lucille Moore (24 gennaio 1911 – 4 aprile 1987), scrittrice e sceneggiatrice statunitense.

Nacque a Indianapolis, nello stato dell’Indiana, da una famiglia di origini irlandesi, ma anche scozzesi e gallesi, emigrata nel nord degli Stati Uniti.

Di salute cagionevole, Catherine fu costretta a interrompere la scuola e a proseguire la sua istruzione in casa. Incuriosita dai miti greci e dai romanzi di Edgar Rice Burroughs iniziò a scrivere, fin da bambina, storie che per protagonisti avevano eroi come Tarzan, Lancillotto e Robin Hood, cowboy e sovrani.

Nel 1931 acquistò per la prima volta un numero della rivista pulp di fantascienza «Amazing Stories», rimanendone totalmente affascinata.

Nel 1933, a ventidue anni, nel periodo della grande depressione, fu costretta a lasciare l’università per problemi economici e trovò impiego come segretaria presso una banca di Indianapolis.

Da parecchie testimonianze dei colleghi di quel tempo, si viene a conoscenza che alla fine della giornata lavorativa, Catherine Lucille Moore si tratteneva nell’edificio deserto per scrivere i suoi racconti. Fu proprio nel 1933 che la rivista «Weird Tales» pubblicò la sua prima opera, il racconto «Shambleau» che poi divenne meritatamente famoso. Poiché all’epoca sarebbe risultato insolito – così si diceva per mascherare il maschilismo imperante – che una donna scrivesse storie di fantascienza, l’autrice adottò una firma (C. L. Moore) in cui erano presenti solo le iniziali dei suoi due nomi ed è questa, ancora oggi, la sigla con cui è maggiormente riconosciuta la sua figura letteraria.

In realtà, il mistero intorno al nome di C. L. Moore fu scoperto quasi subito da due ammiratori, Julius Schwartz e Mort Weisinger, che lo rivelarono sulla rivista «The Fantasy Fan» già nel 1934, ma rimase sconosciuto al grande pubblico e perfino a molti addetti ai lavori.

Nel 1936 lo scrittore californiano Henry Kuttner iniziò un rapporto epistolare con l’autrice, indirizzando la sua prima lettera a mister C.L. Moore c/o «Weird Tales». Nel 1938 avvenne il loro primo incontro e il rapporto professionale si trasformò in legame amoroso. Moore e Kuttner si sposarono a New York il 7 giugno 1940.

Nel 1939 vede la luce (sulla rivista «Astounding Stories») il racconto «Più grande degli dei» che viene considerato la “svolta” di C. L. Moore dal fantasy ai temi più classici della fantascienza: qui propone il nodo differenti futuri possibili, di cui uno solo passerà.

Altri suoi testi interessanti sono: «L’ora dei fanciulli» (1963) dove un giovane scopre atterrito che la sua fidanzata appartiene a una razza aliena. Nel celebre «Figlia dell’uomo» («No Woman Born», 1944) una diva dello spettacolo viene coinvolta in un incidente così devastante che l’unico modo per salvarne la coscienza consiste nel far vivere il suo cervello in una macchina.

Infine, in «Tempo di vendemmia» («Vintage Season», 1946) – forse il suo racconto più conosciuto – affronta i viaggi nel tempo e la possibilità ricorsiva di cambiare il futuro attraverso il ritorno nel passato.

Nel 1948, a causa del peggioramento delle condizioni di salute di Kuttner, la coppia si trasferì in California, a Laguna Beach, per beneficiare di un clima più mite. I coniugi si iscrissero entrambi all’University of Southern California: Kuttner stava per laurearsi quando morì per un attacco cardiaco, nel 1958, a soli 43 anni.

Dopo la morte del marito, Catherine – che aveva conseguito il Bachelor of Arts nel 1956 – smise di scrivere fantasy o fantascienza. Divenne autrice televisiva (firmò, fra le altre, la serie «Maverick») e si risposò nel 1963 con Thomas Reggie.

Nel corso degli anni, a più riprese, i fan sperarono che venisse dato alle stampe qualche opera inedita di fantascienza della scrittrice (o scritta a 4 mani con Kuttner) e nel 1976 C.L. Moore sembrò esaudire questo desiderio, promettendo che avrebbe ripreso il genere fantasy… ma non mantenne il suo impegno. Negli anni successivi alla morte Henry Kuttner, si limitò alla ristampa di antologie scritte in collaborazione con il marito.

Nel 1981 partecipò come ospite d’onore alla 39a convention mondiale di fantascienza, dove fu insignita del World Fantasy Award. Ricoverata nel 1984, Catherine Lucille Moore morì affetta dal morbo di Alzheimer il 4 aprile 1987. È stata inserita, nel 1998, nella Science Fiction and Fantasy Hall of Fame.

Pur “mutilata” della sua identità la scrittrice fece dell’avventura e della parità dei sessi una sorta di bandiera consapevole. A parte il personaggio innovativo di Jirel di Joiry, i fans ricordano il pistolero spaziale Northwest Smith, avventuriero dagli occhi di ghiaccio e dai trascorsi ambigui. Smith vive rintanato in sobborghi marziani o in umidi porti di Venere, trafficando in affari loschi, quando inopinatamente viene coinvolto in pericolose avventure iniziando con l’incontro della Medusa («Shambleau») proseguendo poi con la fuga da una fortezza in cui una informe lava nera vive vampirizzando la forma più perfetta della bellezza che riesce a creare («Sete nera»); la prigionia in un sogno che diviene incubo («Sogno rosso»).

Catherine Lucille Moore conduce il lettore con piglio sicuro attraverso varchi dimensionali e universi tecno-magici senza mai scadere di livello e tenendo il lettore con il fiato sospeso. Una scrittura sobria e dettagliata, con pochi tentennamenti e scadimenti in quell’ingenuità di cui è colma la fantascienza dell’età dell’oro. Una utopista non della prima ora, un femminile modo di narrare che non conosce paragoni con i colleghi maschi. In cammino verso mondi che hanno bisogno di nuove voci, linguaggi differenti e di una Venere Elettrica, compagna e non più ancella.

«L’idea di utopia è essenzialmente moderna. […]. Moderno è l’uomo che pensa con il cervello proprio, non per ispirazione e autorizzazione di un’autorità religiosa o politica»: così Alberto Savinio in «Nuova Enciclopedia», (Adelphi, 1996).

Pur se il suo vero nome – la sua identità femminile – venne nascosto al pubblico, la Moore fu fra le donne che – anche nella fantascienza – cominciarono una lunga (e non conclusa) marcia verso il nuovo mondo possibile.

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