Venezuela bolivariano in mezzo alla tempesta

Le fake news contro il Venezuela, l’aggressione degli Stati uniti, l’identikit dell’usurpatore Juan Guaidó e una riflessione critica da sinistra su Maduro: un aggiornamento sulla crisi in corso nel paese bolivariano.

Contro il golpe in Venezuela: le «fake news» e la posta in gioco

di Gianmarco Pisa (*)

Si è riunito ieri, martedì 26 febbraio, su richiesta degli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per discutere della situazione in Venezuela. Nella sua relazione, Rosemary Di Carlo, Vicesegretario Generale dell’Organizzazione per le questioni politiche ed il peace building, ha riferito che la situazione di crisi in Venezuela ha portato ad una «allarmante escalation di tensione», notando, in particolare, che il supporto alla popolazione venezuelana avvenga in accordo con i principi di «neutralità, imparzialità e indipendenza», un supporto che deve essere libero da «obiettivi politici e basato sulle effettive condizioni di bisogno».

Una relazione, peraltro, criticata dal governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, che, attraverso le parole del Ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, ha riferito come diverse informazioni sulle quali tale rapporto si è basato fossero unilaterali e parziali, sottolineando, in particolare, imprecisioni e lacune nella informativa. Relazione, d’altra parte, lontana anni luce dalla posizione espressa dagli Stati Uniti, che, attraverso il rappresentante speciale del governo statunitense per il Venezuela, Elliot Abrams, si è spinto a chiedere di «costringere il regime illegittimo a dimettersi». Appena poche settimane prima, lunedì 18 febbraio, ancora dalla sede delle Nazioni Unite a New York, era stata annunciata la formazione di un Gruppo di Stati in difesa della Carta delle Nazioni Unite: il tentativo di rovesciare il governo e le autorità legittime della Repubblica Bolivariana del Venezuela e la richiesta di imporre con la forza un intervento internazionale o, nello specifico, l’ingresso non concordato di beni nel Paese, costituiscono, infatti, una palese violazione della Carta dell’ONU, specificamente in relazione al rispetto del principio di pari diritti e di autodeterminazione dei popoli (art. 1.2 della Carta delle Nazioni Unite), al rispetto per l’uguaglianza sovrana degli Stati (art. 2.1 della Carta), all’obbligo di ogni Stato di astenersi dalla minaccia dell’uso della forza o dall’uso della forza contro uno Stato (art. 2.4 della Carta), al rispetto dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di tutti gli Stati (art. 2.4 della Carta) e, ovviamente, alla non ingerenza negli affari interni dei singoli Stati (art. 2.7 della Carta).

Peraltro, le Nazioni Unite non possono che riconoscere nel presidente Maduro e nelle autorità bolivariane le uniche autorità costituzionali e legittime del Venezuela e la stessa consegna di beni e prodotti nel Paese non può che avvenire attraverso canali riconosciuti e legittimi: ancora nella sessione del Consiglio di Sicurezza, infatti, la stessa Di Carlo non ha potuto mancare di osservare come «i beni consegnati da Russia e Cina sono entrati regolarmente nel Paese, in coordinamento con il governo venezuelano». Quanto alla questione di legittimità delle autorità bolivariane, è appena il caso di notare che le elezioni presidenziali in Venezuela, del 20 maggio 2018, si sono tenute in forma anticipata proprio su richiesta delle opposizioni, vi hanno partecipato sedici schieramenti politici di tutto lo spettro parlamentare, vi hanno concorso quattro distinti candidati alla carica di presidente (Nicolas Maduro, Henri Falcon, Javier Bertucci, Reinaldo Quijada) e, alla fine, Maduro è risultato vincitore, con un ampio margine, ma non con un “plebiscito” come talvolta si vorrebbe fare credere, ottenendo poco più di 5.8 milioni di voti, pari a quasi il 68%. Le elezioni si sono tenute, come tutte le 19 elezioni svolte in Venezuela dal 2004 in avanti, con un sistema di voto che lo stesso Centro Carter ha definito trasparente ed affidabile, ampiamente automatizzato, basato su una procedura a tre livelli, il suffragio elettronico, il suffragio diretto e la possibilità di controllare le procedure elettorali sia prima sia dopo il voto.

Lo stesso sistema elettorale, peraltro, con il quale le opposizioni vinsero le elezioni parlamentari nel 2015: come ha scritto Attilio Folliero, «una strana dittatura, dove si vota spesso (almeno 22 elezioni negli ultimi 18 anni) e l’opposizione vince anche: ha vinto le ultime elezioni parlamentari del 2015, vinse un referendum costituzionale, ha eletto governatori, sindaci, consiglieri». Come se non bastasse, circa 150 persone hanno seguito le elezioni presidenziali, tra cui 14 commissioni elettorali provenienti da otto Paesi; due missioni tecnico-elettorali; giornalisti da ogni parte del mondo; un parlamentare europeo. L’accusa, rivolta a Maduro, di avere «esautorato il parlamento», è destituita di fondamento, perché omette di ricordare che, dopo le elezioni parlamentari del 2015, la Corte Suprema dichiarò nulla l’elezione di quattro deputati, tra cui tre dell’opposizione, e ciononostante la maggioranza parlamentare, in mano alla opposizione, decise di non sottostare alla deliberazione, insediando ugualmente i tre deputati, ponendosi, di conseguenza, secondo un successivo deliberato, in oltraggio alla Corte e rendendo quindi il Parlamento «illegittimamente costituito».

In linea con la Costituzione Bolivariana, le successive elezioni del 2017 hanno eletto anche una Assemblea Nazionale Costituente, per aggiornare la Costituzione Bolivariana, a sua volta approvata con un referendum popolare costituzionale, il 15 dicembre 1999, cui hanno partecipato quasi cinque milioni di venezuelani, con quasi il 72% di voti a favore. Il Venezuela Bolivariano si è incamminato, con la sua Rivoluzione, su una strada «bolivariana e socialista», contraria agli interessi degli USA e delle potenze occidentali nel subcontinente; e siede sulla più grande riserva di petrolio al mondo, oltre ad avere risorse ingenti, di minerali, acqua, bio-diversità. Che ci siano forse ben altri interessi, dietro questo fuoco di fila di minacce, ingerenze, e fake news?

(*) articolo tratto da Pressenza

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Il Venezuela sotto attacco

Mininotiziario America latina dal basso di Aldo Zanchetta – 26 febbraio 2019

In realtà sotto attacco è l’intera area caraibica, per non parlare del resto dell’America Latina. I tre paesi ‘canaglia’ da sovvertire sono: Venezuela, Cuba, Nicaragua, ma anche Haiti, dove sono in corso da giorni violente manifestazioni, non va dimenticato[1].

La personale opinione critica sull’attuale governo del Venezuela, motivata più volte, non è cambiata ma la attuale recrudescenza degli illegittimi attacchi imperiali esterni a questo paese, quali che siano le contraddizioni interne, mettono questa aggressione in primo piano ed è contro di essa che qui si rivolge la nostra attenzione.

Esistono ancora diritto internazionale e nazionale nonché semplice buon senso?

La farsa dell’auto-nomina a presidente ad interim del Venezuela proclamata da parte del presidente (di turno, non effettivo) dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidó, rasenta il grottesco. Come grottesca è stata la corsa di molti paesi a riconoscerlo come tale. Chi sia Guaidó  è stato ricostruito da un’inchiesta giornalistica contundente[2]. Nel 2005 egli fu uno dei cinque «leader studenteschi» venezuelani che si recarono a Belgrado per imparare le tecniche insurrezionali praticate dai giovani militanti di Otpor (in serbo Resistenza, gruppo fondato nel 1998) che iniziarono le proteste contro il presidente serbo Slobodan Milosevic (e poi fecero scuola per “Rivoluzioni colorate” in alcuni paesi ex comunisti come Ucraina e Georgia). L’addestramento proseguì negli Usa e in Messico e si concretizzò nelle sanguinose guarimbas (lotte di strada) del 2014, 2016 e 2017.

I due autori dell’inchiesta, Max Blumenthl e Dan Cohen, sottolineano come Guaidó sia «presidente dell’Assemblea nazionale, controllata dall’opposizione, ma mai è stato eletto a questa carica. I quattro maggiori partiti di opposizione che formavano la Mesa de Unidad Democrática avevano deciso una presidenza a rotazione. Quando toccò a Voluntad Popular, la componente più violenta fra le quattro, il suo fondatore, López, era agli arresti domiciliari (accusato appunto di guarimbas che avevano causato la morte di vari cittadini) e il suo secondo, Guevara, si era rifugiato presso l’ambasciata cilena. Un tal Juan Andrés Mejía avrebbe dovuto essere il terzo nella linea di comando, però, per ragioni che solo oggi sono chiare, fu selezionato Guaidó». Selezionato per sviluppare i piani appresi e concordati con gli States.

«Nel dicembre 2018 – proseguono i due autori dell’inchiesta – Guaidó si recò clandestinamente a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare un piano che prevedeva massicce manifestazioni nel corso dell’assunzione della presidenza da parte di Maduro (il 10 dicembre). La notte prima della cerimonia, il vicepresidente Usa Mike Pence e la ministra degli Esteri del Canada, Chrystia Freeland, telefonarono a Guaidó per confermargli il loro appoggio. Una settimana dopo i senatori Marco Rubio e Rick Scott e il deputato Mario Diaz-Balart – tutti parlamentari della lobby anticastrista in Florida – si riunirono con il presidente Trump e il vice Pence alla Casa Bianca. Su loro richiesta, Trump fu d’accordo ad appoggiare Guaidó, se questi era disposto ad autoproclamarsi presidente». Anche il segretario di Stato, Mike Pompeo, «secondo il Wall Street Journal si riunì con Guaidó il 10 gennaio…».

Illustrata brevemente la biografia di Guaidó, torniamo alle conseguenze drammatiche di questa farsa, che rischia di essere la premessa di una guerra civile o addirittura di una ben più grave conflagrazione, visto che Maduro è sostenuto da Russia, Cina, Turchia e Iran. Ma su questo tornerò.

Personalmente ho preso atto con stupore e sdegno del voto largamente maggioritario espresso dal Parlamento europeo per il riconoscimento di Guaidó. Si deve però sottolineare l’astensione, fra i parlamentari italiani, dei parlamentari del M5S, della Lega e di alcuni del PD. Come non si può non notare la differenziazione della posizione italiana sul piano diplomatico, con il rifiuto di avallare, assieme a Grecia ed alcuni altri paesi minori, la posizione dei principali paesi europei (Germania, Francia, Spagna) e della dirigenza europea di Bruxelles. Questo rifiuto, fuori dall’U.E., è stato espresso anche da paesi come la Svizzera, la Norvegia, la Corea del Sud, l’India, l’Indonesia. Come si vede sono tempi turbolenti ma anche interessanti per il rimescolamento di carte in atto. Saltano infatti i tradizionali schieramenti. Anche le Nazioni Unite hanno respinto la richiesta rivolta loro da Guaidó di essere riconosciuto come presidente. E la Stessa Organizzazione degli Stati Americani (detta ironicamente “ministero delle colonie” degli USA) non ha raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi necessaria al riconoscimento.

Anche se il tutto è avvenuto in un clima di non completa chiarezza, dovuto alle divergenze fra le due componenti del governo, il diverso percorso dell’Italia rispetto agli ‘alleati’ europei che contano è un fatto nuovo, fra l’altro stigmatizzato da una indebita ingerenza, a mio parere, del Presidente Mattarella che ha invitato il governo italiano a “ricollegarsi” agli alleati europei. La posizione italiana, con quella greca, cipriota e di pochi altri, ha impedito che l’Unione Europea potesse dichiarare ufficialmente il riconoscimento di Guaidó[3], che invece è stato riconosciuto dagli Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, artefici dell’operazione, e da 11 dei 12 paesi latinoamericani facenti parte del Gruppo di Lima[4]. Non ha aderito il Messico, che del gruppo faceva parte, grazie al nuovo corso della presidenza Obrador ed anzi il Messico, pur restando formalmente parte del gruppo, ha promosso assieme all’Uruguay una iniziativa di mediazione (detta Meccanismo di Montevideo) cui ha aderito il gruppo di paesi caraibici del Caricom, elaborando un progetto di dialogo in 4 fasi (“Dialogo Immediato”, “Negoziazione”, “Accordi” e “Loro implementazione”) che è stato accettato come base di discussione dal governo venezuelano ma non da Guaidó[5]. Contemporaneamente, in un incontro sempre a Montevideo, gli 8 paesi dell’Unione Europea favorevoli a Guaidò, coordinati da Federica Mogherini[6], con altri 5 paesi, fra cui Bolivia e Ecuador, hanno costituitosi  un altro gruppo (detto Gruppo di Contatto), gruppo che invece, favorevole a Guaidó, sostiene l’illegittimità del governo Maduro e chiede nuove elezioni presidenziali da convocare al più presto[7]. Di questo gruppo fa parte anche l’Italia che seppur non riconoscendo Guaidó, ritiene illegittimo il governo Maduro… …

L’azione dei due gruppi è un po’ confusa e non giurerei, coi cambiamenti di fronte estemporanei che avvengono, di avere descritto con chiarezza la situazione. Infatti: l’Uruguay, co-estensore col Messico del piano in 4 fasi, in un incontro fra i due gruppi citati,  ha poi votato la proposta europea di elezioni subito, mentre il Messico ha precisato di non poter essere formalmente considerato come componente del Gruppo di Montevideo, di cui è promotore, dati i  precedenti legami col Gruppo di Lima …!

Lo “chavismo critico”

Una cosa di cui le cronache non parlano e che quasi tutti sembrano ignorare, è l’esistenza in Venezuela, oltre all’opposizione di destra, di una opposizione da sinistra di “chavisti critici”. Persone, deluse e critiche, espulse e/o che hanno abbandonato il PSUV, il partito di governo guidato verticisticamente e clientelarmente. L’esistenza di questa opposizione da sinistra sembra ignorata anche da quella parte della sinistra italiana amica del Venezuela di Maduro e pro-chavismo ufficiale. Lo ‘chavismo critico’’ è articolato in alcune realtà come Marea Socialista, o la Piattaforma Cittadina in Difesa della Costituzione (PCDC). Ne fanno parte intellettuali stimati come Edgar Lander, ex-ministri di Chávez e semplici militanti di base delusi da questo governo. Abbiamo così un governo che si dichiara disposto a dialogare con l’opposizione di destra (come del resto aveva già fatto, con la mediazione dello spagnolo Zapatero) ma non con gli “chavisti critici”, negando loro anche il diritto di presentarsi alle elezioni con una propria lista, ricorrendo a una legge che curiosamente consente questo abuso. La loro posizione in questo momento è rappresentata dallo slogan:  “A Maduro el pueblo no le quiere y a Guaidó nadie lo eligió” (Maduro il popolo non lo vuole e Guaidó non lo ha eletto nessuno).

Non intendo liquidare con queste poche parole l’esistenza di questa realtà su cui torneremo. Solo per ricordarne le posizioni metto in calce una delle loro ultime dichiarazioni.

Riporto, perché riassuntiva della situazione, una sferzante titolazione di un articolo della rivista Sin Permiso:

Maduro non sarà la sinistra, pero Guaidó è l’Imperialismo

Per rilassarmi, termino con una nota gustosa e al contempo significativa: il responsabile della sicurezza del governo degli Stati Uniti, John Bolton, nella conferenza stampa in cui riconosceva Guaidò come ‘unico interlocutore’, ha sbagliato il nome di Guaidó chiamandolo ‘Guiadó’, che in spagnolo significa ‘guidato’, ‘pilotato’. Da parte sua il segretario di stato Mike Pompeo lo ha storpiato in Guidó, completando la farsa (che farsa però non è, bensì tragedia). Segno di quanto il personaggio-marionetta fosse poco conosciuto ai suoi stessi padrini politici.

Ultima ora: la farsa umanitaria

Tre giorni fa doveva essere il giorno decisivo per far scoppiare, grazie all’entrata dalla frontiera colombiana, quella brasiliana e via mare di ingenti aiuti alimentari  (e non anche armi?), una guerra interna e per mettere alla prova la fedeltà dei militari al governo Maduro (in realtà anche loro perché ne occupano molti dei più importanti ministeri). L’operazione è stata un flop perché le colonne con gli ‘aiuti’ non sono riuscite ad entrare e le manifestazioni contrarie al governo sono state contenute in violenze localizzate e limitate. Da parte sua il governo brasiliano si è astenuto dal tentare di fare entrare gli aiuti ammassati alla sua frontiera mentre la Croce rossa Colombiana e quella internazionale si erano rifiutare di collaborare ad una operazione che “nulla aveva di umanitario”. Molti osservatori hanno dedotto che, fallita anche questa operazione, appare sempre più vicina l’opzione militare. In una riunione del Gruppo di Lima tenutasi ieri è stata respinta la richiesta di Guaidó, presente alla riunione, in una dichiarazione precisa che la cosiddetta “transizione alla democrazia” deve essere promossa dagli stessi venezuelani pacificamente e “nel quadro della Costituzione” e del diritto internazionale, con sostegno diplomatico e senza uso della forza. Tutti questi paesi, pur avversari del Venezuela, sembrano titubanti a avallare dei precedenti che domani potrebbero rivolgersi contro di loro.

Per finire, un intervento militare diretto da parte degli Stati Uniti o del suo lacché Colombia rischierebbe di creare un nuovo Vientnam dato che in Venezuela, oltre ad un apparato militare che ha larghissimi privilegi economici e quindi interessato a mantenere il governo Maduro, esiste una milizia civile armata che conta un milione e mezzo di componenti e che è in via di ampliamento a due milioni. Una delle possibilità alternative è la penetrazione di consistenti gruppi di paramilitari colombiani, del resto da tempo infiltrati lungo l’estesa frontiera fra i due paesi e che possono costituire dei centri di guerriglia nel paese.

La situazione è calda e per gli Stati uniti, dopo tante minacce, è in gioco anche il prestigio internazionale.

A.Z.

26 febbraio 2019

 

APPENDICE

DICHIARAZIONE POLITICA DI UN GRUPPO CHAVISTA CRITICO

 

Il popolo venezuelano ha tutte le ragioni per scendere in piazza a protestare contro questo governo e  per volere che non continui in carica; la maggioranza della classe operaia e i settori popolari ripudiano questo governo che non ci offre altro che continuare con la miseria, la repressione, la straripante corruzione  e la consegna “controllata” delle risorse del paese al capitale transnazionale. Un governo che si sostiene  non con l’appoggio del popolo, bensì con la proscrizione, la frode e il sostegno delle Forze Armate, includendo anche la carcerazione di lavoratori la cui colpa è lottare. Per questo lo affrontiamo e lo continueremo ad affrontare.

Tuttavia, una cosa sono gli interessi del popolo lavoratore che non sopporta più questa situazione, e un’altra, molto diversa,  gli interessi che muovono l’opposizione, i suoi partiti e l’imperialismo statunitense, che ha fatto passi sempre più aperti verso un’ ingerenza golpista, esortando direttamente i militari a rovesciare Maduro e a riconoscere un nuovo governo attorno al presidente dell’Assemblea Nazionale.

Per questo, quelli che siamo sempre stati l’opposizione di sinistra a Chávez ( e poi a Maduro) lottando per l’indipendenza politica dei lavoratori, sosteniamo che la classe operaia, i giovani e le donne , che  soffriamo l’attuale tragedia sociale, abbiamo   ragioni d’avanzo per rifiutare di essere il fanalino di coda di coloro che pretendono di   arrampicarsi sulle spalle dello scontento popolare  per accomodarsi nel potere ed essere loro quelli che ci scarichino addosso la crisi e la repressione. Il piano politico ed economico di questa opposizione consiste nel continuare a far pagare al popolo la crisi e nel continuare ad usare la forza autoritaria dello Stato contro le lotte.

Di fronte al persistere di una crisi così severa che sembra non avere fine, ad  un governo  che risponde con autoritarismo a chiunque gli si opponga, incluso lavoratori e comunità popolari, e senza nessun’altra alternativa politica, lo scontento popolare tende a mescolarsi con gli appelli dell’opposizione. Tuttavia, siamo in presenza di un ulteriore episodio della lotta tra due fazioni reazionarie, dove ciascuno cerca di usare il popolo come semplice base di manovra per i suoi interessi, approfittando dell’assenza di un intervento con forza e in modo indipendente dei lavoratori e del popolo povero.

(Traduzione di Elisa Frediani)


[1] Per chi volesse approfondire suggerisco: Spaventosa futura distruzione del Bacino dei Caraibi, www.voltairenet.org/article204653.html

[3] In politica estera l’Unione Europea può assumere una posizione solo se c’è l’unanimità dai consensi.

[4] Il Gruppo di Lima, nato ad hoc per mettere sotto accusa il Venezuela, fu promosso dagli Stati Uniti nell’agosto del 2017. Il numero di 14 riportato in alcuni scritti è dovuto al conteggio includente il Canada nonché, addirittura, il Venezuela di Guaidó!. Ma già due giorni or sono ne sembrano voler uscire: Guiana e Costa Rica.,

[5] Maduro ha dichiarato la disponibilità ad anticipare il rinnovo della Assemblea Nazionale, che scade nel 2021, controllata dall’opposizione di destra e il cui disconoscimento da parte del governo è stato uno dei principali motivi di conflitto interno al paese ma ha respinto la richiesta delle elezioni presidenziali a tamburo battente.

[6]  Federica Mogherini, “Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”. Sconosciuta agli italiani, oggi 45enne, dopo una carriera di partito, Democratici di Sinistra poi Partito Democratico,  fu tirata fuori dal cappello un po’ fracido di Renzi quando nel gioco di equilibri l’Italia ebbe l’opportunità di occupare uno degli alti scranni di Bruxelles. Ho letto sul web la sua grigia biografia. Non so se esista una analisi critica della sua carriera, ma sarebbe benvenuta finalmente una ricerca di un serio giornalista di inchiesta per informare gli italiani su questa loro sconosciuta alta rappresentante.

Redazione
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