Venezuela: Juan Guaidó l’usurpatore

L’autoproclamato presidente del paese agisce su ordine di Trump (e del Gruppo di Lima) e ripete il copione già recitato da Carmona Estanga l’11 aprile del 2002. Siamo di fronte ad un colpo di stato

di David Lifodi

Juan Guaidó è il nuovo presidente venezuelano: si è presentato così, giurando su quella Costituzione che l’opposizione ha sempre rifiutato di riconoscere, ma alla quale adesso si è appella, questo trentacinquenne descritto improvvisamente come il salvatore della patria e appartenente al partito Voluntad Popular, a sua volta presentata come una formazione politica perseguitata, ma composta in realtà da picchiatori fascisti e guarimberos della prima ora. Tra loro vi è quel Leopoldo López che per anni è stato artefice di manifestazioni violente di ogni tipo, e per questo è stato incarcerato, ma che passa incredibilmente come un lottatore per i diritti umani insieme alla moglie Lilian Tintori.

Il colpo di stato in Venezuela si è sviluppato così, nel corso della giornata del 23 gennaio, ma era stato preparato da tempo. Adesso, per la gioia degli Stati uniti e di gran parte dei paesi latinoamericani che hanno subito riconosciuto questo presidente fantoccio, il Venezuela ha due capi di stato, ma si omette di sottolineare sia che Guaidó è un usurpatore sia che le violenze conseguenti al colpo di stato, attribuite acriticamente a Maduro e alla parte bolivariana del paese, sono in realtà colpa di questa manovra azzardata che ha autorizzato il giovane di Voluntad Popular ad autoproclamarsi presidente.

Nelle elezioni del 20 maggio scorso, che tutti hanno definito erroneamente come illegittime, Maduro aveva vinto sfruttando soprattutto l’inconsistenza delle destre, litigiose tra loro e con un programma così contraddittorio da spingerle prima ad invocare le urne e poi a boicottarle perché esigevano la salida immediata di Maduro senza passare dal confronto elettorale. Se la sempre più divisa opposizione avesse partecipato alle elezioni, forse sarebbe anche riuscita a vincerle, chi può dirlo? Al tempo stesso, le accuse di elezioni fasulle sono facilmente smentibili. Nel dicembre 2015 la destra vinse le elezioni parlamentari con quello stesso sistema elettorale che adesso mette sotto accusa e ritiene la causa dei brogli. Henry Falcón, lo sfidante di Maduro riconobbe la legittimità della consultazione elettorale del maggio 2018, raggiungendo quasi due milioni di voti, in un contesto politico in cui parteciparono 16 partiti e 4 pretendenti a Miraflores. Gli osservatori internazionali non notarono niente di irregolare. Al contrario, a sollevarsi dovrebbe essere il governo legittimo, quello bolivariano, di fronte alla nomina di un “presidente di transizione”, una figura non riconosciuta dalla stessa Costituzione.

Tra coloro che hanno celebrato il colpo di stato, in America latina, oltre al sorprendente (quanto inatteso, se confermato) giubilo del Messico, paesi come Argentina, Brasile, Colombia, Perù, Ecuador e tutto il resto dell’agguerrito Gruppo di Lima (di cui fanno parte, tra gli altri, anche Honduras, Guatemala, Panama, Cile, Paraguay e Costarica), che da tempo, sotto la guida degli Stati uniti, cercava il pretesto giusto per far cadere Maduro e minare definitivamente il già traballante integrazionismo latinoamericano, ormai in pezzi a seguito del vento di destra prevalente in tutto il continente.

Sul quotidiano messicano La Jornada, Ángel Guerra Cabrera ha definito Guaidó un pagliaccio ed ha sottolineato la dignità di Maduro, che di fronte alla mafia mediatica e ad un governo parallelo ha dato un ultimatum di 72 ore ai diplomatici statunitensi affinché abbandonino il paese. La situazione attuale è molto simile a quella del tentato golpe dell’11 aprile 2002, quando il presidente della Confindustria venezuelana Carmona Estanga si autoproclamò presidente del paese, ma rimase a Miraflores solo 72 ore, prima che la popolazione riportasse Hugo Chávez alla guida del paese. Maduro e il governo bolivariano, in questi mesi, si sono adoperati in ogni modo per cercare di raggiungere la pacificazione di un paese realmente diviso a metà, soprattutto partecipando ai negoziati promossi sotto la guida dell’ex premier spagnolo Zapatero e del presidente Danilo Medina nella Repubblica dominicana, ma l’opposizione ha sempre preferito scegliere la violenza delle guarimbas e dei gruppi paramilitari.

La farsa del giuramento di Guaidó, che Trump ha rivendicato con orgoglio di aver riconosciuto dopo soli venti minuti, aggiunge benzina sul fuoco di un paese nel pieno di un conflitto politico rispetto al quale urgerebbe invece il dialogo e il rispetto della sovranità territoriale e della Carta costituzionale.

Adesso è molto difficile pronosticare ciò che accadrà. Si vocifera anche di un intervento militare Usa, i cui esiti potrebbero essere imprevedibili, o di forze armate latinoamericane guidate dalla vicina Colombia, che da anni si immischia nella situazione politica venezuelana. Tuttavia, una cosa è certa: Guaidó non ha alcun mandato democratico dai cittadini venezuelani, come invece ha dichiarato il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk, né Maduro è un presidente illegittimo, secondo quanto hanno ripetuto più volte Donald Trump e Mike Pence. L’autoproclamato presidente del paese non aveva riconosciuto, il 10 gennaio scorso, l’insediamento di Maduro a Miraflores, dimenticando però che sólo el pueblo pone, sólo el pueblo quita.

Il don nadie Guaidó, così lo ha definito lo scrittore e intellettuale argentino Atilio Borón, si è posto alla guida del paese come un piccolo Trump tropicale tradendo quella Costituzione a cui si appella e svendendo la sovranità territoriale del proprio paese. Il presidente illegittimo è proprio lui.

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David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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