Venezuela: tutti contro Maduro

Gran parte dei paesi europei riconoscono l’usurpatore Juan Guaidó come legittimo presidente, mentre non si arresta nemmeno la campagna di stampa ostile al chavismo.

di David Lifodi (*)

Il vecchio continente ha deciso di voltare definitivamente le spalle al Venezuela bolivariano. Il primo paese a riconoscere Juan Guaidó è stata la Spagna. Poi si sono accodati tutti gli altri: Francia, Inghilterra, Austria, Paesi bassi, Portogallo ecc… . Mentre l’Italia è ancora indecisa sul da farsi, l’usurpatore che si è autoproclamato presidente senza alcuna legittimità dal punto di vista elettorale, ripete che Maduro ha i giorni contati e convoca nuove mobilitazioni di piazza apparentemente spontanee, ma in realtà cavalcate dalla vecchia destra.

Maduro si è rivolto direttamente sia a Papa Francesco sia al popolo statunitense per far capire che il paese è vittima di una vera e propria aggressione (ancora una volta, oggi, Trump ha ripetuto che l’opzione militare non è da scartare), ma su gran parte della stampa la narrazione è un’altra. Giorni fa, il Corriere della Sera ha sottolineato l’ospitalità dell’ambasciata cilena di Caracas, che ha accolto dei dirigenti di Voluntad Popular, senza dire però che questo è un partito parafascista né precisare che l’attuale governo cileno non sia proprio il massimo campione di democrazia, considerando i molti simpatizzanti del presidente Piñera tra le fila del partito pinochettista Udi e le enormi responsabilità del suo ministro degli Interni negli ultimi episodi di repressione ai danni dei mapuche. Per questi fatti, però, nessuno si è mai sognato di invocare un “intervento umanitario” – leggi aggressione militare – contro un presidente democraticamente eletto.

Se una critica va mossa a Maduro è quella di aver tollerato fin troppo la cosiddetta boliborghesia (la borghesia bolivariana), che ha allontanato in parte la popolazione da Miraflores, ha tarpato le ali al processo di potere popolare in corso  (a partire dalle comunas) ed ha avuto un certo peso, insieme alle sanzioni imposte dagli Stati uniti, nel far sprofondare l’economia venezuelana. In un’intervista rilasciata al quotidiano il manifesto lo scorso 8 gennaio, alla domanda della giornalista Claudia Fanti sul motivo per cui i governi progressisti avessero in gran parte ceduto, il teologo della Liberazione Frei Betto ha risposto: “I governi progressisti hanno avuto il merito di adottare importanti misure a favore delle fasce più povere, ma non sono riusciti ad approfittare degli alti prezzi delle materie prime sul mercato internazionale per intraprendere le riforme strutturali tanto necessarie all’America latina. Né hanno saputo combattere la corruzione…”, su cui, in Venezuela, la boliborghesia ha prosperato.

Nonostante il paese sia effettivamente spaccato, Guaidó rappresenta in pratica un solo partito di estrema destra, Voluntad Popular, e gode dell’appoggio di “democratici” del calibro di Trump, Bolsonaro, Macri, Duque e di gran parte di coloro che prima si riconoscevano nel puntofijismo (a partire dagli adecos responsabili del Caracazo del 1989) e ora non vedono l’ora di tornare ad essere una colonia Usa. Certo, anche il Parlamento europeo è dalla parte dei golpisti, a grande maggioranza, ignorando, o fingendo di farlo, che le violenze di piazza (addebitate acriticamente sul conto di Maduro) sono state sempre scatenate dall’opposizione e dalle guarimbas, non a caso l’Onu, per il momento, si è guardato bene dal riconoscere Guaidó come presidente legittimo.

Eppure, la campagna di stampa contro il Venezuela bolivariano non perdona. Ormai, quando si parla di Maduro, sembra che sia lui il presidente illegittimo o che, comunque, per colpa sua, il paese abbia due presidenti, ma in realtà Guaidó non ha alcun argomento costituzionale per proclamarsi presidente. La Costituzione venezuelana, a questo proposito, è molto chiara: anche in mancanza del presidente tocca alla vice assumere la presidenza e convocare le elezioni, ma non è questo il caso. E poi, siamo sicuri che Guaidó voglia davvero le elezioni? Se lui, come tutta l’opposizione, avesse voluto sconfiggere Maduro per via elettorale (legittimamente), non avrebbe insistito con le guarimbas, il tentativo della salida per via anticostituzionale e il boicottaggio (di almeno una parte delle destre) delle urne lo scorso 20 maggio.

Anche sulla presunta assenza di democrazia in Venezuela ci sarebbe molto da opinare. Negli ultimi venti anni si sono tenute 23 elezioni (5 presidenziali, 4 parlamentari, 6 regionali, 4 municipali, 4 referendum costituzionali e una consulta nazionale), eppure la comunità internazionale spinge per un intervento umanitario. In Colombia, dove è in corso da anni una guerra sporca contro comunità indigene, sindacalisti, contadini, attivisti per i diritti umani ecc… non risulta che ci sia lo stesso interesse, per non parlare della democratura honduregna o dell’attuale Brasile, solo per fare alcuni degli esempi più eclatanti.

Di fronte alle innegabili difficoltà del governo nel far uscire il Venezuela da una drammatica crisi economica, gli oppositori interni ed esterni al paese hanno buon gioco nel proporsi come i restauratori della democrazia, ma in realtà è evidente che tra i principali interessi per far cadere Maduro figurino le ricchezze petrolifere e minerarie del Venezuela, l’indebolimento dei pochi paesi latinoamericani ancora non allineati a Washington e una politica destinata, una volta di più, alla spoliazione totale delle risorse naturali di cui è ricco lo stato bolivariano.

Pur essendo sostenuto principalmente dalla classe media, Guaidó può contare sull’odio della popolazione contro la boliborghesia e intende sfruttarlo al meglio per far retrocedere il Venezuela ad una situazione pre-chavista. Per questo motivo, Maduro cerca nuove alleanze, dentro e fuori l’America latina, da Uruguay e Messico, che avevano avanzato la proposta di mediare, a Russia e Cina. La salida violenta di Maduro, se il colpo di stato avrà successo, è già stata definita un plan de muerte per quel continente latinoamericano aggrappato con le unghie e con i denti al socialismo del XXI secolo.

(*) articolo tratto da Peacelink – 4 febbraio 2019

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

4 commenti

  • A proposito della posizione italiana sul Venezuela, segnalo questo articolo di Marinella Correggia pubblicato sul quotidiano il manifesto:

    “Dalla Libia al Venezuela, ma la Costituzione italiana con chi sta?”

    Il 30 marzo 2011, un gruppo di pacifisti protestava sotto il Quirinale quando il presidente Napolitano e il Pd spingevano l’Italia del governo Berlusconi a partecipare appieno alla devastante guerra Nato contro la Libia. Napolitano disse: «Non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo». Dopo molti mesi, il presidente Hugo Chávez – che invano si era speso per scongiurare le bombe – spiegava che il Venezuela non poteva riconoscere un governo di transizione con componenti terroristiche e razziste, portato al potere dall’interventismo bellico. Altro che Risorgimento.
    Otto anni dopo, il presidente Sergio Mattarella a proposito di Venezuela spiega che «nella scelta non può esserci né incertezza né esitazione tra volontà popolare e richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della forza e le sofferenze della popolazione civile».

    Ma il presidente, garante della Carta costituzionale italiana, non dovrebbe essere rispettoso anche di quella venezuelana? La quale, come sottolinea al manifesto Attilio, cittadino italiano residente in Venezuela, «prevede che il presidente dell’Assemblea legislativa possa sostituire il presidente della Repubblica solo in caso di morte, malattia, abbandono, destituzione per colpe gravi da parte del Tribunale supremo».

    Ma poi perché si è convinti che il governo italiano «stia» con Maduro? È vero che – in base al principio di non ingerenza – l’Italia non ha riconosciuto il golpista Guaidó. Tuttavia, nella nota di palazzo Chigi del 1 febbraio «si ricorda che l’Italia non ha mai riconosciuto le elezioni del maggio 2018 e ribadisce la necessità di nuove elezioni presidenziali quanto prima». È quel che chiede Guaidó. Pochi giorni prima al Senato, il ministro degli Esteri Enzo Moavero ribadiva: «Appoggiamo la dichiarazione Ue per nuove elezioni presidenziali libere, democraticamente riconoscibili». Sempre il 1 febbraio, il vice-premier Luigi di Maio dichiara: «L’Italia non riconosce soggetti che non sono stati votati. Per questo non riconosciamo neppure Maduro».

    Il 31 gennaio, i parlamentari europei della Lega e dei 5 Stelle sul voto sul riconoscimento di Guaidó si astenevano e non votavano contro (come hanno fatto invece la Gue e parte dei Verdi). Il vicepresidente pentastellato del Parlamento europeo Fabio Castaldo spiega: «Non siamo né pro né contro Maduro». Ben diversa la posizione leghista – ministro Salvini, sottosegretari Picchi e Merlo – contro il «dittatore Maduro che affama e tortura il popolo». Praticamente le stesse parole usate da Matteo Renzi.

  • La Bottega del Barbieri

    La redazione della Bottega segnala due articoli sull’aggressione di Stati uniti e gran parte dell’Unione europea al Venezuela:

    – “Prendete posizione”, di Alessandro Ghebreigziabiher https://www.storieenotizie.com/2019/02/prendete-posizione.html

    – Caracas. Nell’era dei golpe al rallentatore, di Maurizio Matteuzzi, https://ytali.com/2019/01/31/venezuela-golpe-al-rallentatore/

  • La Bottega del Barbieri

    Altri articoli scelti dalla redazione della Bottega sulla “questione venezuelana”.

    Il primo, di Luciana Castellina, pubblicato sul quotidiano il manifesto di oggi, 7 febbraio:

    “No presidente Mattarella, davvero no. Io sono fra quelli che hanno sempre avuto per lei massima stima, ma credo che questa volta lei sia davvero in errore.

    Dare legittimità a Guaidò è contro ogni regola democratica, significa opporsi alla posizione assunta dalle Nazioni unite che, con tutte le sue debolezze, è però tutt’ora una delle poche istituzioni che ci garantiscono il rispetto, almeno formale, di qualche diritto internazionale.

    Significa rifiutare la ragionevole proposta di dialogo avanzata da papa Francesco che è uno che l’America latina la conosce molto bene.

    Temo ci sia, sul Venezuela e la sua crisi, una grande disinformazione.

    Bisognerebbe forse ricordare che quelli che oggi sostengono questo signore autoproclamatosi presidente (fra cui la notoriamente pessima rappresentanza della comunità italiana) sono stati coloro che un golpe l’hanno fatto nel 2002 contro il presidente democraticamente eletto del Venezuela, Hugo Chavez. Lo arrestarono, addirittura, e c’è un bel documentario trasmesso allora dalla Bbc, che consiglierei di proiettare al Parlamento europeo a Bruxelles, in cui si vedevano i golpisti su un palchetto, un insieme che sembrava tratto dal famoso affresco di Diego Rivera nel Palazzo del governo di Città del Messico: l’oligarchia del paese, le signore in cappellino, il vescovo, gli alti gradi dell’esercito, l’ambasciatore americano, a sigillare un’altra delle consuete operazioni «nel cortile di casa» (guarda caso, affidata in questo caso proprio allo stesso uomo cui adesso è stato rinnovato l’incarico da Trump, Abrams.). In strada una immensa folla scesa dalle poverissime favelas di Caracas a difesa del loro presidente, il primo in questo disgraziato paese che avesse collocato al primo posto del suo programma la lotta alla miseria. E che così riuscirono a liberarlo. Mentre tutte le emittenti tv del paese, da sempre in mano ai golpisti, proiettavano, per occultare l’accaduto, Tom e Jerry. Già allora l’ambasciatore spagnolo, per conto dell’Ue, si era precipitato a riconoscerli.

    Da allora tutte le elezioni del Venezuela sono state monitorate da commissioni internazionali, ma sui muri dei quartieri eleganti della capitale, ho avuto modo di vedere coi miei occhi le scritte insultanti contro un ex presidente degli Stati Uniti che aveva diretto una di queste missioni per conto dell’Onu e le aveva giudicate corrette: «Carter uguale Chavez, e, peggio, «Carter Kgb».

    LO SCONTRO di classe in America latina è asprissimo, la sfacciataggine con cui le sue élites operano dipende dalla secolare convinzione che esse nutrono di essere padrone del continente, per discendenza imperiale. Esser stati sfidati da un povero indio, figlio di maestri elementari dell’estrema Amazonia, che ha osato bloccare la privatizzazione della Pdvsa, l’azienda petrolifera, avviare la riforma agraria e distribuire i dividendi della più importante ricchezza del paese nelle favelas (dotate anche di emittenti radio gestite localmente) è stato considerato inammissibile.

    NESSUNO di chi oggi si schiera in favore di un decente dialogo fra le parti sottovaluta gli errori commessi da Maduro, un personaggio che non ha certo la statura di Chavez, purtroppo strappato alla vita ancora giovane da un maledetto cancro. Questo stesso giornale li aveva segnalati in dettaglio pubblicando un articolo (giugno 2017 ), scritto, l’indomani di una sua visita a Caracas, dal compianto Francois Houtar, lo straordinario sacerdote belga purtroppo ora defunto che da anni viveva in Amerca latina. Il quale, pur denunciando con forza le illegalità della opposizione e la sua violenza, rimproverava giustamente il presidente di aver sottovalutato il rischio di varare una nuova Costituzione, pur legittimata da un regolare voto popolare, e però senza la partecipazione dell’opposizione che aveva boicottato il voto astenendosi; la marginalizzazione dei critici della stessa propria parte; di rivolgersi solo ai propri sostenitori come un agitatore anziché parlare a tutto il paese, come è d’obbligo per un presidente, che deve cercare di interpretare le ragioni dei suoi pur ristretti ceti intermedi. E, soprattutto, di aver redistribuito la ricchezza petrolifera (l’80% della valuta straniera che entra nel paese) ma di non aver saputo impostare un diverso modello di sviluppo economico, meno dipendente dalle fluttuanti sorti dei barili di oro nero. Ma questo è, purtroppo, un problema generale di tutti i governi di sinistra che hanno tentato in questi anni di operare una svolta in America latina. Perché uscire dalle rigide regole imposte dai potenti al sistema mondo è difficilissimo.

    PROPRIO Chavez ci aveva provato avviando l’Alleanza bolivariana, il tentativo di unire i paesi che stavano cercando di spezzare le catene – l’Argentina di Kirschner, la Bolivia di Morales, l’Uruguay di Vasquez, il Brasile di Lula – per acquisire la forza necessaria a resistere. Purtroppo il sistema oppressivo si è dimostrato più forte, e quei governi di sinistra sono caduti uno a uno. Salvo in Bolivia e nell’Uruguay, dove non a caso si tiene la riunione che tenta la via della mediazione nello scontro venezuelano, impegnando nel negoziato il suo leggendario ex presidente, Pepe Mujica, ex guerrigliero e anche il solo politico invitato dal papa all’ultimo raduno dei movimenti popolari, a Roma, nel 2016. Su questa vicenda la si può naturalmente pensare come si crede, ma sarebbe d’obbligo interrogarsi su quale sarebbe l’alternativa ove vincesse Guaidó. Sono davvero sicuri i parlamentari europei che, da Bruxelles, l’hanno nominato presidente del Venezuela, che nelle favelas si vivrebbe meglio se a vincere fosse lui? Basta andare addietro nella storia per sapere cosa è stato fatto, in passato, dai governi venezuelani. Persino quelli pur ipermoderati che avevano cercato di avviare qualche misura popolare sono stati travolti; oggi i partiti che li avevano incarnati sono stati spazzati via: non sono loro dietro all’opposizione attuale.

    CERTO CHE c’è miseria oggi in Venezuela e che per questo parte della popolazione anche povera protesta (ma non sarebbe male se la tv italiana mostrasse anche le immagini di coloro, tutt’ora tantissimi, che manifestano a Caracas in favore di Maduro ). All’origine della crisi drammatica del paese ci sono infatti certamente gli errori di Maduro,la rozzezza della sua leadership, e anche la corruzione di troppi funzionari statali, ma il primo responsabile della crisi è proprio il boicottaggio internazionale.

    HO LETTO poco fa un tweet di infervorato sostegno a chi ha adottato verso il Venezuela la posizione di Trump : di Matteo Renzi. È la posizione ufficiale del Pd? Davvero non avrei mai pensato che arrivasse ad opporsi all’ attuale governo da posizioni di destra”.

    Il secondo, di Gennaro Carotenuto: http://www.gennarocarotenuto.it/28359-zitto-zitto-juan-guaido-in-venezuela-si-e-gia-allungato-il-mandato/

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