Viaggiare non è facile per un africano… anche in Africa

di Karim Metref

Un cittadino africano ha difficoltà a entrare in molti Paesi. Non solo gli africani fanno fatica a viaggiare regolarmente attraverso il mondo ma la loro mobilità resta molto limitata anche tra i Paesi africani. E’ il risultato di un report (nota 1) pubblicato dal Gruppo Bancario Africano per lo sviluppo  – AfDB – e questo è un freno importante allo sviluppo e all’integrazione regionale.
Il 3 giugno 1991 ad Abuja in Nigeria, si teneva il Summit dell’Organizzazione dell’Unione Africana (OUA). Al termine del summit, i 51 capi di stato africani presenti firmarono un trattato detto il Trattato di Abuja che istituiva la Comunità Economica Africana (CEA). Nel testo del trattato si parla di creare le condizioni per una migliore cooperazione intra-africana e per uno sviluppo integrato del continente: il rafforzamento delle comunità economiche regionali, l’unificazione delle leggi doganali e fiscali, la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali…  L’articolo 43 del Trattato di Abuja prevede addirittura la “libera circolazione dei cittadini e il diritto di residenza e di sistemazione”, di tutti i cittadini della CEA in tutti i Paesi aderenti all’accordo.

Abuja Nigeria

Abuja Nigeria

Ma 25 anni dopo il Trattato di Abuja, e 15 anni dopo la fondazione dell’Unione Africana con un ambizioso programma di creazione di una vera unità africana entro il 2063 intitolato Agenda Africa 2063, la situazione – ci dice il report della AfDB – non si avvicina nemmeno un po’ a qualcosa che assomigli alla libera circolazione. Anzi, in molti casi la situazione è peggiorata negli ultimi anni.

Il rapporto «Africa Visa Openness Report 2016» di recente pubblicato dalla AfDB è uno studio sul livello di apertura dei Paesi africani verso i cittadini di altri Paesi del continente. Lo studio si basa sulla comparazione delle politiche relative all’ingresso nei vari Paesi.

I livelli di apertura sono in genere 3:

1. Basso: ingresso solo con visto da richiedere prima della partenza.

2. Medio: ingresso con visto concesso alla frontiera o all’aeroporto o porto di arrivo,

3. Alto: ingresso senza nessun visto richiesto.

L’indice di apertura è calcolato con una valutazione da 0 a 10 in cui l’indice 10 vuol dire che il Paese è molto aperto cioè tutti entrano senza visto di nessun tipo mentre l’indice 0 vuol dire che è chiuso dunque nessuno può entrare senza aver ottenuto il visto nel Paese di partenza.

Il risultato della ricerca è assai illustrativo del livello di chiusura della maggior parte dei Paesi africani verso cittadini africani. In genere un africano ha bisogno di un visto per andare in 55% dei Paesi africani. In 22% dei Paesi ha bisogno di chiedere il visto nel Paese d’origine prima di intraprendere il viaggio, mentre in 33% può richiederlo alla frontiera o nel porto/aeroporto di arrivo. Di 55 Paesi africani, solo 13 hanno una politica di accoglienza molto aperta verso gli africani, cioè non prevedono visto oppure, se previsto, lo concedono facilmente all’arrivo.

Il Paese che ha l’indice di apertura più alto sia relativamente che in assoluto (10/10) è la Repubblica delle Seychelles che non chiede il visto a nessun cittadino di qualsiasi Stato africano, né prima della partenza né all’arrivo.

Invece nella top 4 dei Paesi più chiusi troviamo l’Egitto, la Guinea Equatoriale, São Tomé e Príncipe e il Sahara Occidentale. Tutti con 0/10 quindi l’obbligo di visto prima della partenza per i cittadini di ogni Paesi africano.

«Come risultato della loro apertura – dice Akinwumi Adesina, direttore dell’AfDB, nella sua prefazione – Paesi come Seychelles, Mauritius e il Ruanda hanno avuto un grande impatto sul turismo, investimenti e servizi finanziari.»

Ovviamente il gruppo bancario, partendo da un punto di vista liberista considera la libera circolazione della mano d’opera, dei capitali e delle merci come fattore molto importante per la crescita economica. «La libera circolazione per le persone è il segno distintivo di una integrazione economica regionale, agevola il commercio e la crescita economica in tutto il continente – si legge nell’introduzione del report -.  La Libera circolazione delle persone ha notevoli impatti benefici, sia a breve che a lungo termine, per le economie della regione. Oltre ai settori tradizionali come il turismo, gli immigrati aumentano l’efficienza economica e colmano le lacune nel mercato del lavoro, riducendo le carenze di manodopera, sia per i lavori non qualificati che per le mansioni altamente qualificate. Gli immigrati rimettono anche una notevole quantità di denaro per la sussistenza dei loro famigliari e gli investimenti nei loro Paesi d’origine.»

Di conseguenza queste limitazioni frequenti alla libera circolazione dei cittadini africani è vista come grave freno alla crescita economica e quindi allo sviluppo del continente.

Ma anche chi non condivide l’entusiasmo per la libera circolazione dei capitali e delle merci, concorda sul fatto che la chiusura dell’Africa verso se stessa è un grave problema.

Mi ricordo che negli anni 70-80, il governo socialista dell’Algeria aveva sospeso ogni importazione di frutta “esotica”. Le banane e l’ananas erano diventati un lusso assoluto nel Paese. La motivazione era però giusta, ai miei occhi. “Compreremo banane e ananas – diceva l’allora presidente Houari Boumedienne il giorno in cui potremo prenderle direttamente dai contadini della Costa d’Avorio e del Camerun. Ma fin che bisogna passare dalle multinazionali occidentali per averli, noi faremo a meno di questi beni che non sono necessità”.

Boumedienne non era un santo e aveva preso il potere con mezzi poco puliti. Ma aderiva chiaramente al progetto di totale decolonizzazione politica ed economica del continente. Un progetto condiviso con molti uomini politici africani. Qualche anno dopo, Boumedienne moriva assassinato, come furono uccisi quasi tutti i leader indipendentisti africani. Alla loro epoca la circolazione delle merci era molto difficile, ed era ostacolata da leggi e dazi doganali. Ma almeno i cittadini potevano recarsi dove volevano.

La classe politica africana rimasta al potere, dopo la scomparsa dei leader indipendentisti, a parole ha fatto molti progetti. Sulla carta l’unità africana è già una realtà e l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) nel 2001, sotto la spinta di Moammar Gheddafi – grande “panafricanista a parole”, ma nella realtà grande schiavista dei popoli subsahariani –  è stata ribattezzata in Unione Africana. Da quel giorno è diventato più che mai difficile spostarsi tra un Paese africano e l’altro.

 

  1. Africa Visa Openness Report 2016
Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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