«Vincenzina e le altre»

db racconta lo spettacolo del Paola Sabbatani Trio e rivolge una “supplica” a chi sta leggendo

«Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina il foulard non si mette più.
Una faccia davanti al cancello che si apre già.
Vincenzina hai guardato la fabbrica,
Come se non c’è altro che fabbrica
E hai sentito anche odor di pulito
E la fatica è dentro là…
Zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui,
‘Sto Rivera che ormai non mi segna più,
Che tristezza, il padrone non c’ha neanche ‘sti problemi qua.
Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina vuol bene alla fabbrica,
E non sa che la vita giù in fabbrica
Non c’è, se c’è com’è?».

Così cantava Enzo Jannacci. E intorno a questa piccola-gigantesca storia e una dozzina altrettanto emozionanti la bravissima (e non esagero) Paola Sabbatani ha costruito la scaletta di uno spettacolo con due complici di eccezione: il chitarrista Daniele Santimone e il contrabbassista Roberto Bartoli. Un concerto – con brevi contestualizzazioni storiche – su «il lavoro e la sua fatica, il suo sfruttamento, la vita quotidiana e le lotte, le speranze e gli amori».

Ho avuto la fortuna di ascoltarlo sabato scorso al circolo culturale (pieno oltre ogni limite) La Rimbomba di Bertinoro: chi era presente ha fatto andar via il trio solamente per una forma di empatia con musicisti che … avevano dato tutto. Chiedere il quarto “bis” – chi ha studiato latino forse ricorda che sarebbe meglio dire «quadri» – sarebbe stato un attentato alla salute del trio.

Lo spettacolo si è snodato intorno a «I treni per Reggio Calabria» (di Giovanna Marini), «Duerme negrito» (di Mercedes Sosa), «Vincenzina», la straziante bellezza di «Costruzione» (di Chico Buarque), «Como es duro trabalhar» (di Toquinho e Vinicius de Moraes), «Prendeva il treno» (ancora Jannacci), «Te recuerdo Amanda» (di Victor Jara)… e ancora «Malarazza», fra rabbia e ironia, una canzone da corteo.

Malarazza è il «lamento di un servo a un Santo crocifisso», inventato dal miglior Domenico Modugno. Con il Cristo che suggerisce al servo: «Ti lamenti, ma che te lamenti? Piglia sto bastune e tira fora li denti…».

Non poteva mancare Factory di Bruce Springsteen.

La conoscete?

Come ha scritto Alessandro Portelli: «Factory mette insieme in tre strofe essenziali tre idee durissime.
Primo: la fabbrica ti distrugge per darti da vivere.
Secondo: il tempo della fabbrica è sempre uguale a se stesso, ciclico – suona la sirena, l’uomo si alza la mattina, prende il portapranzo, va in fabbrica; la sera suona la sirena, torna a casa, e la mattina dopo la sirena suonerà ancora e tutto ricomincia.
Terzo: il mito americano della mobilità sociale non ha niente a che vedere con queste vite sempre uguali – e con queste generazioni condannate a ripeterle, perché “qui nella valle ti insegnano a rifare quello che ha fatto tuo padre”».

Potete ascoltarla – e leggere la traduzione italiana – su www.antiwarsongs.org che (in “bottega” siamo parecchi a riepterlo sin quasi allo sfinimento) è un meraviglioso archivio di testi e contesti.

Prima del finale ancora altre canzoni per l’instancabile trio. Un po’ cambiando la scaletta… fors’anche per motivi di spazio: così minuscolo il palco e tanto numeroso e a ridosso il pubblico da temere che qualcuno abbracciasse il contrabbasso o si sedesse sulla fisarmonica.

La chiusura è con «Bread and Roses»: fu scritta da James Oppenheim, ispirandosi al famoso sciopero delle operaie tessili a Lawrence, nel 1912, e al discorso di Rose Schneiderman, leader femminista e socialista della WTUL, durante un discorso nel quale rivendicava il diritto di voto femminile ma anche tutto il resto – il pane e le rose – di fronte ad una platea di suffragette benestanti a Cleveland. Questa poesia/canzone fu ripresa negli anni ’70 e ormai circola in così tante versioni (anche italiane) da non poterle contare.

Tra i bis e i fuori programma arrivano Rosa Balistreri, Gianmaria Testa e persino “la (divertente) fatica” di insegnare un ritornello al pubblico.

Vi ho raccontato abbastanza nei dettagli perchè vorrei che, alla prima occasione possibile, chi sta leggendo andasse ad ascoltare – meglio ancora: ne organizzasse una “replica” dove vive – il Paola Sabbatani Trio in «Vincenzina e le altre».

Ripensandoci il “vorrei” usato qua sopra è un po’ debole. Lo cambio. Sono molto d’accordo con Domenico Starnone – lo ha scritto sull’ultimo numero di «Internazionale» – che in certi casi invece di lodi (talora fasulle, spesso esagerate) bisogna tirar fuori «una preghiera accorata». Starnone sognava una rubrica «di suppliche» a lettori/lettrici «perchè non lascino cadere nel dimenticatoio piccoli e grandi libri». Giustissimo, ma deve valere anche per i migliori spettacoli: perciò VI SUPPLICO cercate di vedere (e ripeto: di portare in scena… dovunque abitiate) «Vincenzina e le altre». Grazie.

QUI PER ASCOLTARE JANNACCI:

ENZO JANNACCI – VINCENZINA E LA FABBRICA (LIVE …

 

QUI PER ASCOLTARE VEDERE QUALCOSA DEL TRIO

https://youtu.be/5SIi8wPTNTM

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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