Violenza contro le donne, l’inutile iniziativa dei camper della polizia

di Simona Lanzoni (*)

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Gentile ministro dell’Interno Angelino Alfano, qualche giorno fa guardavo il tg serale da Tallin, dove mi trovavo per partecipare ai lavori della conferenza del Consiglio d’Europa sulla parità di genere. Lei è comparso sullo schermo, sorridente, dentro a un camper gestito dalla Polizia di Stato, in piazza Montecitorio, mentre presentava la campagna “Questo non è amore!“, un’iniziativa promossa dal suo stesso dicastero. Era in compagnia della presidente della Camera Laura Boldrini, della ministra per i rapporti con il Parlamento e le deleghe alle Pari opportunità Maria Elena Boschi e della neo sindaca pentastellata di Roma Virginia Raggi, che si contendevano con lei la ripresa del miglior sorriso.

Mi sono documentata sul vostro sito internet in che cosa consista la campagna: «Il progetto ha come finalità la creazione di un contatto diretto tra le donne e una equipe di operatori specializzati, pronti a raccogliere le testimonianze dirette di chi, spesso, ha paura a denunciare o a varcare la soglia di un ufficio di Polizia. Il primo e il terzo sabato del mese, a partire da luglio, in 14 Comuni italiani, sarà presente una postazione mobile della Polizia di Stato che ospiterà un gruppo di esperti costituito da un medico/psicologo della Polizia di Stato, un operatore della Squadra Mobile e un rappresentante della rete antiviolenza locale».

Non posso resistere dal farle alcune domande per facilitare la comprensione, soprattutto ai lettori e alle lettrici, tra cui me stessa. Le chiedo: l’iniziativa dei camper nasce perché siete ormai consapevoli che i commissariati di polizia non riescono, nei quasi 8000 Comuni, ad accogliere e proteggere le vittime di violenza in base ai loro diritti e alle diverse forme di violenza chesubiscono (stupro, violenza fisica, psicologica, stalking, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili, aborto selettivo, etc.)? Mi sembra quasi ci sia una sorta di dichiarazione di rinuncia dello Stato a compiere il proprio mandato nei confronti di tutte e tutti. Se non fosse così, allora, invece dei camper opterei per una formazione specifica di tutte le forze dell’ordine (dagli ultimi arrivati ai dirigenti) sul fenomeno della violenza. Una formazione che permetta a tutta la Polizia di intervenire adeguatamente su come prevenire, accogliere, proteggere le vittime ovunque. Per garantire i loro diritti e la loro tutela in un momento così fragile e disperato. Per perseguire i maltrattanti (non le vittime). Come chiede la Convenzione di Istanbul  sottoscritta dall’Italia.

Perché dite che i femminicidi sono in diminuzione se poi platealmente scendete in piazza con i camper stile “dell’esercito della salvezza” come se fosse una emergenza estiva? Sembra che questa decisione nasca dall’esigenza di mostrare alla popolazione italiana – emotivamente colpita dalla raffica di orrendi femminicidi e violenze che riempiono le cronache nere del Paese – che lo Stato c’è, “s’indigna e s’impegna” e lo dimostra così. Dite che la violenza è statisticamente in diminuzione, ma allora perché 3 mesi di azione “strombazzante” dei pulmini quando c’è bisogno di una silenziosa e ponderata azione sistemica? Che fine ha fatto il piano nazionale antiviolenza e i fondi che dovevano essere per questo stanziati? Chi copre il costo dei camper e del personale? La scelta di un camper davanti Montecitorio, al di là della visibilità, è stata fatta perché si verificano molti casi di violenza nelle aule del Parlamento più che in altre aree d’Italia? Di Roma? Come per esempio in via della Magliana dove è stata uccisa e poi bruciata Sara? E le donne che non si trovano nei 14 Comuni prescelti cosa devono fare? Continueranno a rivolgersi ai loro “classici”commissariati di polizia. E se la polizia non le accoglie bene? E per bene intendo con competenza, non con una semplice – seppur volenterosa – sensibilità. Avete un numero verde dove le donne possano denunciare i comportamenti sgradevoli e inadeguati delle forze dell’ordine? Sarebbe interessante capire se siete disposti a valutare anche questa possibilità.

Potreste monitorare come vengono applicati nei fatti i diritti delle vittime di violenza. Monitorare come e se la cultura sessista e machista è presente tra le forze dell’ordine che, raccontano le donne vittime, troppo spesso non prendono in seria considerazione la volontà delle stesse di denunciare, di proteggersi, di chiedere aiuto. Di conseguenza le donne sono rimandate dritte dritte in mano al proprio aguzzino. E come la mettiamo con la questione della privacy? E se il maltrattante mi seguisse e mi vedesse entrare nel pulmino? Forse non ci andrei proprio. E dopo essermi confidata cosa mi succederebbe? Scatta una denuncia e la messa in sicurezza? Non si risolvono situazioni di violenza parlando una sporadica volta in un camper con qualcuno. Non banalizziamo. Davvero. Anzi, il seguito lo scriva lei, caro ministro, o legga sui giornali cosa accade il giorno dopo.

(*) Simona Lanzoni è vice presidente di Fondazione Pangea; questo articolo è ripreso dal suo blog su «Il fatto quotidiano» on line. L’immagine invece l’ho trovata in rete (db)

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