Visioni pericolose

Harlan Ellison, la dinamite della fantascienza

di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia  

Immaginate un luogo, fatto solo di immensi e piatti cunicoli, immersi in una semi oscurità che aumenta l’impatto delle ombre al nostro occhio.

Siete insieme a un gruppetto di disgraziati come voi, sporchi, laceri, emaciati e bastonati.

Scoprite di essere sotto il giogo di un’immensa intelligenza artificiale, che prova sentimenti di amore e odio, esattamente come voi, perfettamente logica e in possesso di pensiero indipendente e creativo. Però non può muoversi, i suoi creatori umani, fin dal principio, non l’hanno dotata di gambe con cui potersi spostare. Così medita vendetta: è riuscita ad attuarla, costringendovi in questa galera sottile e abbacinante, in cui siete prigionieri e oggetti di un trastullo sadico.

Siete disperati, vi tiene in vita solo per bastonarvi e torturarvi meglio, vi porta al limite della sofferenza estrema ma lasciandovi il tempo per riprendervi.

Alla fine non ce la fate più e ordite un piano per uccidervi a vicenda. Purtroppo, fra tutti i carcerati, rimanete in vita solo voi. La macchina senziente è decisamente arrabbiata e vi mostra quanto possa essere fantasiosa e sadica nella sua vendetta: vi trasforma in una specie di massa gelatinosa, tutta sensazioni moltiplicate all’infinito, senza organi di comunicazione. Una specie di blob che può sentire tutto il dolore della sofferenza, ma senza potersi muovere o suicidarsi, una entità torturata e macilenta, un vero e proprio inferno dantesco dove vorreste poter aver bocca, perché dovete urlare.

Questo per me è il più bel racconto che abbia letto di Harlan Ellison, scrittore statunitense nato a Cleveland il 27 maggio 1934 e tuttora residente a New York, dove ancora porta avanti la sua attività di scrittore, di saggista e di scrittore per film e serie televisive.

Mi capitò per caso fra le mani. Durante un’estate afosa, alla mia solita libreria, mentre chiacchieravo amabilmente con il libraio, mi venne fra le mani un’antologia degli Urania Mondadori, una selezione di racconti vincitori del premio Hugo, uno dei due massimi riconoscimenti per la fantascienza. Comincio a sfogliarlo e noto con piacere che molti di essi mancano alla mia biblioteca, l’occhio cade proprio sul titolo assolutamente evocativo e drammatico che mi avrebbe fatto conoscere il suo autore: «Non ho bocca e devo urlare».

Chiesi alcune informazioni al mio maestro-libraio. Lui sintetizzò così: è un autore che in Italia non ha avuto la fortuna di una raccolta globale dei suoi racconti, scrive solo pezzi brevi ed è un tipo particolarmente eversivo.

Molti affermano che la rivoluzione nella fantascienza sia avvenuta con la pubblicazione di «Neuromante» (1984) di William Gibson, che dava inizio alle tematiche cyberpunk e al nuovo linguaggio in cui la narrativa fantascientifica s’avventurava lungo le spirali del cyberspazio.

Ritengo invece che Harlan Ellison sia statp la vera “nuova onda” che ha spazzato via il calmo e tranquillo universo di un genere che andava lentamente arenandosi.

Io indago poco sulla vita degli scrittori, penso che i testi abbiano una vita propria e che molto spesso vadano ben oltre ogni più rosea intenzione dei loro autori, arrivando a essere vere e proprie entità senzienti, emanazioni platoniche delle idee che si agitano nell’inconscio collettivo di tutti noi.

Per Ellison feci un’eccezione, scoprii che era davvero un carattere polemico e irruento, lasciò casa più volte passando da un lavoro all’altro, frequentò l’università dell’ Ohio per 18 mesi, prima di esserne espulso per aver colpito un professore. Alla fine, nel 1955, giunse a New York dove intraprese la carriera di scrittore che dura ancora oggi, cominciando a scrivere per serie televisive quali «Ai confini della realtà» – voluta fortemente da Rod Serling, che per primo ne notò il talento vulcanico e la verve corrosiva – successivamente per «Star Trek» (serie originale) per approdare negli anni novanta alla meravigliosa esperienza di «Babylon 5», diretta antagonista, ironia della sorte, della serie «Star Trek: Deep Space 9», arrivando persino ad accuse di plagio da parte di Brannon Braga, autore di quest’ultima.

Durante la sua carriera di autore televisivo, Harlan Ellison scrisse più di 100 racconti e arrivò a curare un’antologia considerata ancora adesso una vera e propria pietra miliare, da cui nessuno avrebbe mai più potuto prescindere: «Dungerous visions» (1967, pubblicata in Italia da Mondadori solo nel 1991) la quale ospitava, oltre allo stesso Ellison con il racconto «L’ombra in caccia nella città sull’orlo del mondo» e l’introduzione scritta da lui, autori come Fritz Leiber, John Brunner, Philip K. Dick, Damon Knight, James G. Ballard (con lo splendido racconto «Il mattatoio»), Norman Spinrad, Roger Zelazny, Samuel R. Delany e tanti altri pilastri che sorreggono i cieli d’acciaio e i tempi che danzano.

«Non so come vedete voi la mia missione di scrittore, ma per me non significa essere tenuto a riconfermare i vostri miti consolidati e i vostri pregiudizi provinciali. Il mio lavoro non è cullarvi con una falsa sensazione di bontà dell’universo. Questa meravigliosa e terribile occupazione che consiste nel ricreare il mondo in un altro modo, ogni volta nuovo e straniero, è un atto di guerriglia rivoluzionaria. Smuovo le acque. Vi do fastidio. Vi faccio colare il naso e lacrimare gli occhi. Consumo la mia vita e chilometri di materiale viscerale in una gloriosa e dolorosa serie di raid notturni contro l’autocompiacimento. Il mio destino è svegliarmi con rabbia ogni mattina, e andare a dormire alla sera ancor più arrabbiato. Tutto questo per cercare l’unica verità che sta al centro di ogni pagina di narrativa mai scritta: siamo tutti nella stessa pelle… ma per il tempo che ci vuole a leggere questi racconti ho solo la bocca»: così Harlan Ellison nell’introduzione a «Terrori mortali». Una vera e propria dichiarazione programmatica sulla forza corrosiva e distruttrice della fantascienza, un vero e proprio urlo degno del filosofo Friedrich W. Nietzsche.

«212. Sono sempre più indotto a credere che il filosofo, come uomo necessario del domani e del dopodomani, si sia trovato in ogni tempo in contraddizione con il suo oggi: il suo nemico fu ogni volta l’ideale dell’oggi.

Sinora tutti questi eccezionali fautori dell’uomo – ai quali si dà il nome di filosofi e che raramente si sentirono amici della verità, ma piuttosto sgradevoli giullari e pericolosi punti interrogativi – hanno trovato il loro compito, il loro duro, non voluto, inevitabile compito, e infine la grandezza del loro compito, nel costituire essi stessi la cattiva coscienza del loro tempo. Vivisezionando col coltello proprio il cuore delle virtù del tempo, tradirono quel che era il loro strano segreto: conoscere una nuova grandezza dell’uomo, una nuova strada non ancora mai battuta per il suo innalzamento.

Essi svelarono ogni volta quanta ipocrisia e infingardaggine, quanto lasciarsi andare e lasciarsi cadere, quanta menzogna si nascondesse sotto il tipo maggiormente venerato della moralità loro contemporanea, quanta virtù fosse sopravvissuta a se stessa; ogni volta essi dissero: “Dobbiamo arrivare e partire da quel luogo, che oggi è per voi meno di ogni altro familiare”. Dinanzi a un mondo delle “idee moderne”, che vorrebbe confinare ognuno in un angolo e in una “specializzazione”, un filosofo, ove mai oggi un filosofo potesse esistere, sarebbe costretto a porre la grandezza dell’uomo, l’idea di “grandezza” proprio nella sua vastità e multiformità, nel suo essere intero in molte cose: determinerebbe persino il valore e il rango, a seconda di quali e quante cose uno sia in grado di sopportare e di assumere sopra di sé, a seconda del limite fino al quale uno può tendere la sua responsabilità. Oggigiorno il gusto e la virtù dell’epoca affievoliscono e assottigliano il volere, nulla è tanto in armonia con i tempi quanto l’estenuazione della volontà»: è Nietzsche in «Al di là del bene e del male».

Vivisezionare con il coltello il cuore della virtù del tempo è proprio quel che Ellison compie programmaticamente nel suo operare: la lama non è altro che la fantascienza, la quale affonda senza alcuna remora dentro le carni marce e putride della società.

Solo un’ultima cosa, un episodio della serie originale di «Star Trek» che ho amato alla follia, senza sapere che fosse suo. In uno dei numerosi viaggi della nave stellare Enterprise, il capitano Kirk e i suoi compagni vengono attirati presso un pianeta, il quale sembra essere l’origine di particolari perturbazioni nel tessuto del continuum spazio-temporale.A causa di un incidente, il dottor McCoy s’inietta una dose spropositata di un farmaco, che gli provoca violente visioni e deliri. Fuggito sul pianeta, McCoy entra in quello che sembra essere la causa delle distorsioni anomale, uno strano artefatto di forma irregolare che afferma di essere nientemeno che il guardiano dell’eternità. Alla domanda del capitano Kirk, corso insieme ai suoi uomini in aiuto dell’amico, se sia una macchina o un’entità, risponde positivamente per entrambe, affermando di essere in quel luogo ancora prima della creazione dell’ Universo stesso. I problemi non sono certo finiti: entrando nel guardiano, McCoy ha viaggiato nel tempo fino a cambiare il passato, tanto che ormai la Federazione dei Pianeti Uniti e la stessa Enterprise sono state cancellate dall’esistenza, in quanto mai nate.

Kirk e Spock entrano loro stessi nel guardiano, arrivando agli inizi della seconda guerra mondiale, dove una brava infermiera attivista pacifista (interpretata dalla giovanissima Joan Collins) li soccorre amorevolmente. Ella s’innamora di Kirk, ignaro del fatto che proprio lei sarà la causa diretta della non entrata in guerra degli Stati Uniti, causando la vittoria dei nazisti. Sarà proprio lei che McCoy salverà, cambiando cosi il corso degli eventi. Lacerato interiormente dall’amore e dal dovere, Kirk alla fine impedirà al dottore di salvare la pacifista, riportando il tempo sulla retta via.

«Uccidere per amore» (in originale «The city on the edge of forever») è considerato ancor oggi uno degli episodi migliori della serie originale, con la firma di un autore che tuttora fa discutere e appassionare, un vero e proprio cannibale della fantascienza: dinamite pura, intorno a cui niente può considerarsi al sicuro.

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