Walmart: quando i lavoratori diventano schiavi

Dal Messico al Brasile, fino agli Stati uniti, cresce il movimento di protesta contro la catena di distribuzione più grande del mondo

di David Lifodi

 

Nel 2013 il portale ecologista Ecoosfera definiva la catena di grande distribuzione Walmart come la “terza transnazionale più nociva del pianeta” per le sue pratiche ambientali insostenibili e per lo sfruttamento del mercato globale. Da allora la sua reputazione non solo non ha fatto altro che peggiorare, ma a scapitarci sono stati i lavoratori. È così che, dall’America latina e in particolare dal Messico, i dipendenti si sono mobilitati per protestare contro le pessime condizioni di lavoro e l’assoluta mancanza di tutele e diritti.

All’inizio dell’estate, nello stato messicano di Morelia, hanno incrociato le braccia i lavoratori di Sam’s e Aurrerá, di proprietà del marchio Walmart, e la protesta si è estesa rapidamente prima nel Michoacán e poi nello stato di Jalisco. Il motivo dello sciopero è sempre lo stesso: salari da fame. Non più di duecento euro, a scendere, per i dipendenti, ai quali non è permesso organizzarsi in sindacati di fronte alla controparte padronale. Walmart, di proprietà della famiglia statunitense Walton, è tra le più voraci multinazionali del pianeta ed ha alle sue dipendenze oltre due milioni di lavoratori in tutto il mondo. Solo negli Stati uniti possiede più di quattromila esercizi commerciali, ma anche nel cuore dell’impero le organizzazioni sindacali sono vietate. Inoltre, in gran parte del mondo, Walmart è rimasta coinvolta in casi di corruzione, a partire dal Messico, dove ha fatto carte false per costruire un supermercato nella zona archeologica di Teotihuacán (stato di México). Di fronte alle minacce, ai licenziamenti di massa e alla concorrenza sleale che porta inevitabilmente alla chiusura i piccoli esercizi commerciali a conduzione familiare, Walmart ha dovuto accettare anche qualche sconfitta. È successo nel municipio di Cuetzalan (stato di Puebla), dove da anni le grandi imprese tentano di costruire miniere a cielo aperto e centrali idroelettriche sfruttando le risorse del territorio. Walmart non poteva certo rimanere indietro ed ha provato ad espandersi sul territorio, ma le cooperative riunite sotto il nome di Tosepan Titataniske bloccarono la grande catena di distribuzione. La battaglia si protrasse dal 2010 al 2012, ma la popolazione rifiutò la presenza di un supermercato targato Walmart nella propria città.

Tuttavia, la guerra tra la transnazionale della grande distribuzione e i messicani non è finita qui. Di recente, un gruppo di lavoratori ha dato vita all’Organización de Trabajadores del Grupo Walmart de México (Otgwm), denunciando le pratiche antisindacali dell’impresa, a partire da quella di assegnare un piccolo incentivo, malgrado la scarsa retribuzione, ai lavoratori più produttivi. Inoltre, secondo l’Otgwm, nella sola Città del Messico si registra una media di cento cause al mese nei confronti di Walmart che, in tutto il paese, ha alle sue dipendenze circa 230mila lavoratori, costretti ad orari massacranti, a vedersi sempre cambiati i turni di lavoro e a non ricevere quasi mai il pagamento delle ore di straordinario. Sfruttamento e distruzione delle piccole economie familiari sono due tra le principali colpe di cui si è macchiata Walmart in Messico, ma è in tutta l’America latina, e non solo, che la più grande catena di distribuzione mondiale tratta i suoi dipendenti alla stregua di veri e propri schiavi. In Brasile, nei mesi scorsi, la chiusura di 60 negozi ha provocato la perdita del lavoro per centinaia di dipendenti con conseguenze catastrofiche per molte famiglie e lo stesso è successo in Cile e a Portorico. Di fronte alla politica di Walmart, apertamente antioperaia, negli Stati uniti è nato il movimento FightFor15 per protestare contro il licenziamento di diecimila lavoratori. Composto soprattutto da neri e latinoamericani immigrati, FightFor15 si è guadagnato ben presto la simpatia dei cittadini statunitensi, soprattutto per le battaglie a favore degli aumenti salariali.

Di recente Walmart, è stata paragonata alle multinazionali minerarie e a quelle che lucrano gestendo le imprese tessili (ad esempio Zara): zero diritti per i dipendenti e sfruttamento al 100%. Anche negli abusi della più grande catena di distribuzione al mondo emergono le vene aperte dell’America latina raccontata da Eduardo Galeano.

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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