10 febbraio (1947): il treno della … Menzogna

Le falsità sul «Treno della vergogna». Così la storia viene piegata ad arte
di Christian Riamo (*). A seguire i link della “bottega”.

UNO STUDIO DEL «COLLETTIVO NICOLETTA BOURBAKI» SMENTISCE LA RICOSTRUZIONE RIGUARDO L’ACCOGLIENZA DEGLI ESULI ITALIANI DALL’ISTRIA

Qualche giorno fa è venuta fuori una notizia straordinariamente importante per la storia pubblica e per l’uso pubblico della storia in Italia. La differenza tra l’uno e l’altro termine non è scontata, potremmo definirla così: la storia pubblica fa riferimento alla possibilità che la storia esca dall’università e dal mondo degli specialisti per incontrare il bisogno di conoscere e ricostruire il passato da parte di un pubblico composto non solo di addetti ai lavori; l’uso pubblico della storia è volto invece a creare una narrazione anch’essa pubblica del passato, ma per conservare e legittimare il potere nel presente e nel futuro.
Comunque la notizia è questa: si è scoperto che un episodio del 1947, considerato storicamente certo ed entrato a far parte di moltissime commemorazioni pubbliche, è invece stato inventato, per fondare una propaganda di tipo nazionalista senza fondamento storico. L’episodio è quello del cosiddetto Treno della vergogna, un convoglio che portò esuli in Italia alcuni istriani di origine italiana dopo il trattato di Parigi che consegnava alla Jugoslavia i territori che andavano da Trieste a Fiume: il cosiddetto esodo giuliano-dalmata.

La ricostruzione
La definizione di vergogna attribuita a questo treno è derivata dal modo con cui gli esuli sarebbero stati accolti
alla stazione di Bologna il 18 febbraio 1947: bandiere rosse e insulti, lanci di pomodori, e latte raccolto dalla Croce rossa e destinato ai bambini versato sui binari come sfregio. Un atto di rappresaglia impietosa da parte dei comunisti emiliani nei confronti di profughi affamati, ritenuti colpevoli di complicità con il regime fascista.
Questo è quanto riportavano tutte le fonti, istituzionali e no, compresa anche la voce di Wikipedia, almeno fino a qualche giorno fa. Ed è quello che viene pedissequamente ripetuto, con commozione ovviamente, in decine di commemorazioni pubbliche e istituzionali, in particolare
per il 10 febbraio, dal 2004 il Giorno del ricordo. Dal comune di Bologna alla presidenza del Consiglio: Giorgia Meloni, per esempio, il 10 febbraio 2024 davanti alla foiba di Basovizza pronunciava queste parole: «Quando quel treno si fermò nella stazione di Bologna, venne preso a sassate. Il latte che era destinato ai bambini, che erano già in stato di disidratazione, venne buttato sulle rotaie. Gli esuli vennero insultati, fu impedito loro di scendere da chi aveva come patria un’ideologia e considerava un tradimento preferire la propria appartenenza nazionale a quella ideologia».

Lo studio

Il 14 ottobre scorso è uscito sul sito Giap della Wu Ming Foundation un dossier a firma di Nicoletta Bourbaki (un gruppo di storici che da anni svolgono un lavoro di
demistificazione degli usi e degli abusi pubblici della storia) che smentisce in modo molto articolato e affidabile questa ricostruzione.
Queste le argomentazioni:

  1. Non esistono fonti documentali coeve o immediatamente successive che confermino l’episodio così come è comunemente narrato (giornali locali, registri di questura/prefettura non riportano nulla di analogo).
  2. L’unica testimonianza diretta non recente dell’episodio è quella di Lino
    Vivoda. È del 1957, e non riporta tutti i dettagli che poi la narrazione popolare ha aggiunto (ad esempio: sassate contro il treno, latte versato sui binari), anzi, Vivoda stesso in una pubblicazione successiva ne nega alcuni.
  3. La storia risulta arricchita nel corso del tempo con particolari (data errata, luogo diverso, azioni più violente) che sono contraddittori tra loro e con le fonti disponibili.
  4. Alcuni elementi centrali della versione corrente (i ferrovieri comunisti che impediscono l’accesso, i sassi lanciati, il latte versato sui binari) non trovano nessun riscontro nelle fonti storiche: né nei giornali, né negli archivi locali, né nella testimonianza originaria.
  5. La narrazione del Treno della vergogna per come si trova nel dibattito pubblico e istituzionale è nata e si è diffusa solo dagli anni Novanta del Novecento; una delle voci che hanno dato credito a questa storia è purtroppo quella di Claudio Magris.
  6. La maggior parte delle versioni dell’episodio riprese da testi recenti non cita nessuna fonte affidabile e aggiunge dettagli completamente privi di verifica.
  7. Le immagini, i video, gli audio che vengono associati all’evento sono manipolazioni, errate o fuori contesto.

 

Gli effetti della mistificazione

Cosa produce questa mistificazione?
Che la narrazione che oggi viene reiterata all’infinito in discorsi istituzionali o commemorativi senza che ne venga verificata la fondatezza storica produce mitologia e non storia. È la tesi, sempre più condivisibile, che lo studioso delle destre Furio Jesi aveva elaborato in Cultura di destra già nel 1979 (oggi il libro è ristampato da Nottetempo).
La questione capitale è che non è facile smascherare questo genere di falsa storiografia, soprattutto quando è ormai invalsa nei libri, nel  dibattito pubblico, nella comunicazione istituzionale, nella memoria collettiva. Persino il libro più autorevole di debunking dell’uso strumentale del racconto delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata,
E allora le foibe? di Eric Gobetti (Laterza 2021), avrà una ristampa a breve in cui modificherà il brano dedicato, che dava per buona la storia del Treno della vergogna.

Ma ci sono due effetti gravi che questo tipo di impostura produce. La prima e più pericolosa è che ci fa disimparare cosa sono la storia e il  metodo storico. Nelle nuove Indicazioni nazionali per la primaria e le medie,  pubblicate pochi mesi fa dal ministero dell’Istruzione e del merito di Valditara, nella parte dedicata all’insegnamento della storia viene scritto: «Anziché mirare all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce delle diverse interpretazioni storiografiche, è consigliabile percorrere una via diversa. E cioè un insegnamento-apprendimento della storia che metta al centro la sua dimensione narrativa in quanto racconto delle vicende umane nel tempo. La dimensione narrativa della storia è di per sé affascinante e tale deve restare nell’insegnamento, svincolato da qualsiasi nozionismo».
È evidente, nel testo e nel sottotesto, che questo genere di svalutazione del lavoro sulle fonti e questa esaltazione acritica della dimensione narrativa sia una piaga per la didattica della storia, e possa avvalorare, anche presso adulti, studiosi e rappresentanti politici, mitologie frankensteiniane come quella del Treno della vergogna.
L’iniziativa e la narrazione
L’altro effetto detestabile è quello per cui da parte delle istituzioni viene prodotto una sorta di storytelling riparativo come compensazione. Da due anni esiste infatti il
Treno del ricordo, nato da una risoluzione approvata all’unanimità (sic) in commissione Cultura della Camera presieduta da Federico Mollicone, suo acceso sponsor.
Con la collaborazione del ministro per lo Sport e i giovani e Fondazione delle Ferrovie dello stato e delle varie amministrazioni locali coinvolte, in occasione del 10 febbraio, un treno ripercorre e in qualche modo riscrive le tappe, vere e simboliche, del treno del 1947, compresa ovviamente Bologna, dove ci sono commemorazioni pubbliche e targhe che dovrebbero lavare l’onta della presunta ferocia ideologica scatenata allora contro i profughi. La cerimonia civile del Treno del ricordo e tutto lo storytelling a corredo hanno avuto ampia risonanza anche sui canali tematici della Rai, Rai cultura e Rai storia, dove si possono trovare un paio di imbarazzanti documentari storici di tv piegata alla comunicazione istituzionale
che si identifica con quella governativa che si identifica con quella partitica che si identifica con quella ideologica della destra postfascista.
Per queste ragioni il lavoro del collettivo Nicoletta Bourbaki e dei Wu Ming e di molti storici attenti a questo genere di adulterazioni sulla storia della frontiera adriatica, da Giulia Albanese a Eric Gobetti, è encomiabile, e soprattutto un modello di ricerca storica che può essere utile anche al lavoro in classe, persino con i bambini della primaria che, guidati, sanno imparare a leggere e interpretare le fonti.

(*) ripreso dal quotidiano “Domani”.

Qui l’articolo integrale di GIAP: https://www.wumingfoundation.com/giap/2025/10/treno-della-vergogna-nessuna-fonte/

LE IMMAGINI SONO STATE SCELTE DALLA REDAZIONE DELLA “BOTTEGA”: LE DUE VIGNETTE SONO DEL “NOSTRO” BENIGNO MOI.

In “bottega” sulla «Giornata del ricordo» abbiamo scritto più volte: Foibe e menzogne, 31 luglio (1942) e dintorni: i falsi sulle foibe, Porzus: la verità contro il revisionismo storico, Troppe le scor-date proprio nel 10 febbraio, «giorno del ricordo» e Le mani della destra sulle foibe: con l’appoggio di PD e M5S. Ma cfr anche Trieste 1966: la rivolta operaia e l’operazione Delfino

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *