Il non detto sul Pci

di Gianluca Cicinelli

Tra le tante parole spese sul Partito Comunista Italiano da molte settimane a questa parte (*) ne mancano alcune fastidiose per il tempo che viviamo: stava dalla parte dei ceti deboli. Dà fastidio mettere l’accento su questo aspetto mentre nel mondo i ceti deboli preferiscono Trump e Salvini a Zingaretti e Sanders. Devo però chiarire che la storia del Pci non è la mia storia e il Pci l’ho sempre considerato un avversario politico, anche e forse soprattutto culturalmente, dei movimenti di lotta a cui ho partecipato. Per quel quasi assolutamente nulla che conto mi sono riconosciuto in un’area luxemburghiana libertaria assolutamente minoritaria al tempo dei katanga dei partitini m-l degli anni ’70, di una consistente parte di prevaricatori violenti dell’autonomia e degli ottusi spara spara dei gruppi armati. Molti miei amici sono finiti in galera innocenti – uno su tutti è Luigino Scricciolo (**)  – e ci sono rimasti per anni, con processi farsa basati su leggi speciali sostenute dal Pci, facendo scempio del diritto e inaugurando la stagione del trasferimento del potere politico alla magistratura che pesa ancora oggi sulla politica italiana. Probabilmente sarebbe stato diverso se anzichè nel 1962 fossi nato nel ’52 o prima ancora, ma così non è stato e questo rimane il mio punto di vista. Però …

Però il Pci stava dalla parte dei ceti deboli. Mediando sempre più al ribasso con il potere democristiano fino a farsene assorbire, inventando una improbabile terza via tra capitalismo e socialdemocrazia che non ha mai capito nessuno cosa fosse e nemmeno loro, dettando la linea a una Cgil che volle i lavoratori protagonisti di un “patto” scellerato con i padroni che lo usarono per fare carne di porco dei diritti dei lavoratori. Ma chi era povero, chi viveva di un lavoro ripetitivo e umiliante senza diritti, chi non aveva il tempo come noi figli della piccola e media borghesia di fare le pulci alle deviazioni ideologiche del gruppo dirigente, la massa oppressa del paese stava con il Pci e lo votava. E’ tutto molto più complesso di così, come sempre, poche righe mascherate apparentemente di certezze non possono spiegare i nessi materiali e storici tra quotidianità operaia negli anni 70 e organizzazioni riformiste e rivoluzionarie, ma è innegabile che il Pci era il partito dei lavoratori e degli sfruttati. E uso il maschile perchè il Pci era un partito culturalmente molto maschile, nonostante una forte presenza organizzata delle donne.

Per questo rimpiango molto di più la sua assenza oggi che la sua presenza allora, perchè non c’è più un’organizzazione, un movimento, un partito al di sopra dell’1% che stia dalla parte dei dannati della terra. E che la sua radice fosse nelle masse oppresse lo testimonia il pentimento tardivo di Enrico Berlinguer dinanzi ai cancelli della Fiat nel 1980, con il famoso intervento in cui dichiarò che il Pci, sostanzialmente contrario all’occupazione degli stabilimenti, l’avrebbe appoggiata se gli operai avessero “democraticamente” deciso per quella soluzione. Anche per questo partecipai con grande rispetto, e commozione, perchè no, era morto un compagno di grande spessore, al suo funerale con centinaia di migliaia di persone insieme al partito in cui poi ho militato, Democrazia Proletaria.

Le discussioni sul Partito Comunista del 1921 lasciano il tempo che trovano e c’è un motivo preciso se stampa, social e illustri tromboni si concentrano soltanto su quel periodo per descrivere il Pci a chi è nato dopo la sua fine. Nel 1990, ultimo anno di cui abbiamo i dati, oltre un milione di persone aveva la tessera del partito, 1.264.790 per l’esattezza, e alle ultime elezioni in cui si presentò, le europee del 1989, raccolse quasi dieci milioni di voti, il 27,58%, mentre alle politiche del 1987 prese il 28,33% al Senato e il 26,57% alla Camera. E visto che per onestà intellettuale diamo peso e c’interroghiamo sui milioni di persone che votano la destra oscena di Trump e di Salvini e di Meloni, con la stessa onestà intellettuale dobbiamo riflettere su quel patrimonio perduto, perchè ai ceti deboli appartiene ancora e per quanti tradimenti di classe abbiano compiuto il Pci e i suoi dirigenti quel dato ci sbatte in faccia che in sintesi estrema il problema principale dell’estinzione del Pci consiste nella fine dell’unico partito di massa che in Italia portava avanti le istanze degli ultimi.

Certo, la società è stata stravolta, io la chiamo macelleria sociale ma sono naif, gli operai sono un concetto sparso in unità singole e non più raggruppate in grandi complessi, gli imprenditori di se stessi, partite iva e cococo, sono separati da corporativismi impensabili fino a pochi anni fa. E’ difficile trovare due sfruttati con lo stesso pacchetto rivendicativo, quasi impossibile cucire un filo che tenga insieme le diverse povertà e lo sfruttamento sempre più raffinato nella sua violenza che rende senza senso le vite dei vecchi lavoratori, dei nuovi precari e dei senza lavoro. Questa è l’unica lezione concreta che dovremmo trarre dai cent’anni dalla nascita del Pci, l’esigenza di costruire un soggetto unitario ostinatamente socialista ed egalitario che difenda i ceti deboli, stia sempre dalla parte degli ultimi, offra un approdo agli esclusi dal banchetto globalizzato, lotti per un ambiente a misura di essere umano, che sia radicale nella lottà alla povertà. Non è un’utopia, una volta la chiamavamo politica.

(*) anche qui in “Bottega”: cfr Cent’anni fa il Pci e i commenti arrivati

(**) se non conoscete questa vicenda guardate qui: Scor-data: 24 marzo 2009 o qui «7171» di Enrico Pili: fra carcere e cornucopie (il numero 7171 si riferisce ai giorni in cui Luigi Scricciolo è rimasto imputato – fra carcere, semilibertà e attesa di processo – prima di essere riconosciuto del tutto innocente)

 

ciuoti

3 commenti

  • Chiedo scusa se mi ripeto. Sto usando, in questi giorni, argomenti simili nei commenti che, qui e la’, di volta in volta scrivo.
    Che stima posso avere d’un partito che nasce come comunista rivoluzionario e, dopo aver fatto scempio dei veri rivoluzionari, diventa liberale?
    Nessuna. Sottolineo, NESSUNA.
    Le speranze e le aspirazioni di migliaia di sfruttati sono finite nel nulla.

  • Quel partito non esiste più da tempo. Ma la sua esistenza è una presenza storica, che oggi si manifesta come una necessità di analisi, meditazione e, se sarà possibile, rinascita.
    Quanto alla classe politica del PD, è vero che si son fatti liberali, ma anche il loro è un dramma storico: hanno abiurato perchè non sostenevano l’immagine di se stessi come alleati del comunismo russo e delle sue tragedie e perchè , nei fatti, avevano perduto una battaglia sociale e le speranze ad essa connesse. Questo non è motivo di alcuna stima per gente come Zingaretti e neppure per i suoi predecessori sulla strada dell’abdicazione, come Napolitano. Si tratta però di un partito che ha contribuito, per le sue vie, alla civilizzazione degli italiani, per quanto la storia ha permesso che fosse possibile.

  • A Giuseppe Scuto. Non sono d’accordo, ne’ poco, ne’ punto. Che siano diventati liberali, poi, per quel motivo, mi sembra una balla spaziale. Tutte le burocrazie comuniste hanno aderito all’economia di mercato. E si devono vergognare per l’eternità.

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