L’economia è la continuazione della guerra con altri mezzi

Rocco Artifoni, Salvatore Palidda, Paolo Cacciari (e papa Francesco), scrivono di economia  – articoli ripresi da Comune-info e Volerelaluna

Una sfrenata pandemia di ricchezza – Rocco Artifoni

Un insulto ai poveri. È ciò che viene da pensare dopo aver letto lo studio ‒ presentato recentemente da Institute for Policy Studies (IPS) e da Americans for Tax Fairness (ATF) ‒ che ha calcolato la variazione delle ricchezze negli USA dopo un anno di pandemia.

L’analisi è basata sui calcoli di Forbes sul patrimonio dei 657 statunitensi con un patrimonio superiore al miliardo di dollari tra il 18 marzo 2020 e il 18 marzo 2021, data della precedente lista annuale dei super ricchi pubblicata dalla rivista, coincidente con l’avvio delle misure di lockdown negli Stati Uniti. Ecco la conclusione del report: i miliardari statunitensi negli ultimi 12 mesi hanno incrementato la loro ricchezza di 1.300 miliardi di dollari, una crescita media del 44,6%. «La pandemia ha creato un incredibile aumento della ricchezza dei miliardari del Paese, mentre decine di milioni di statunitensi sono rimasti ancora più indietro», afferma in una nota Frank Clemente, direttore esecutivo di ATF. Negli stessi 12 mesi, più di 29 milioni di americani hanno contratto il virus e più di 535.000 sono morti a causa di esso. Mentre la ricchezza dei miliardari aumentava vertiginosamente, quasi 80 milioni di persone hanno perso il lavoro.

Ad aver accresciuto maggiormente le loro fortune sono i 15 uomini più ricchi del Paese, che nel complesso hanno visto aumentare le loro ricchezze di 563 miliardi di dollari, un incremento pari all’82%.

In cima alla classifica si trova Elon Musk, il fondatore di Tesla che, grazie all’enorme crescita in borsa della sua azienda, ha visto le sue fortune crescere del 559%. Seguono altri giganti del settore tecnologico come il capo di Amazon, Jeff Bezos (65 miliardi di dollari in più, con un aumento del 58%) e il numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg (47 miliardi di dollari in più, con un incremento dell’86%).

«Gli speculatori della pandemia stanno ottenendo guadagni inaspettati in un momento di sofferenza generalizzata per la maggioranza della popolazione», avverte Chuck Collins, direttore del Programma sulle Disuguaglianze dell’IPS, il quale ha sottolineato come molti miliardari abbiano tratto benefici dalla chiusura delle piccole imprese e dalla crescente dipendenza dalle tecnologie digitali imposta dal Covid-19.

I 10 maggiori “profittatori pandemici” hanno registrato un aumento percentuale della loro ricchezza superiore al 300%. Per lo più hanno moltiplicato le loro fortune nel mondo dei beni, dei servizi e dell’intrattenimento online. Al primo posto in percentuale troviamo Bom Kim, fondatore del gigante dell’e-commerce Coupang, con un incremento di 7,7 miliardi di dollari, pari al 670%. Subito dopo arriva Dan Gilbert, proprietario di Quicken Loans, una società di prestiti ipotecari, che in un anno ha guadagnato 41,7 miliardi di dollari, con un aumento della ricchezza del 642%. Al terzo posto si colloca Ernest Garcia, il principale azionista di Carvana, il colosso delle vendite di auto online, con un aumento di 13,6 miliardi di dollari, corrispondente al 567%. Da segnalare anche Eric Yuan, co-fondatore della tecnologia di videoconferenza Zoom, che ha visto la sua ricchezza aumentare di 8,4 miliardi di dollari durante l’anno della pandemia, con un incremento del 153%.

Lo studio sottolinea come siano proprio le fortune dei “paperoni” della tecnologia ad aver registrato l’espansione più significativa, un aumento del 68%, mentre i miliardari attivi nella finanza hanno segnato un incremento medio del patrimonio pari al 37%. Tra i 657 super ricchi degli Usa figurano ora 121 imprenditori del settore tecnologico, contro 166 esponenti del più tradizionale comparto finanziario. Non solo: negli scorsi 12 mesi ben 43 persone si sono aggiunte alla lista degli americani che hanno un patrimonio superiore al miliardo di dollari.

Sulla base di questi dati, IPS e ATF sottolineano l’urgenza di una riforma fiscale che imponga un prelievo aggiuntivo del 2% sui patrimoni superiori ai 50 milioni di dollari e del 3% su quelli superiori al miliardo. Una simile riforma, sostengono le due associazioni, avrebbe garantito un gettito fiscale aggiuntivo pari a 3.000 miliardi di dollari in dieci anni. Soldi che sarebbero molto utili per dare un sostegno alla parte più povera della popolazione americana. Aveva ragione Ernesto Che Guevara: «Vale milioni di volte di più la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra». Oggi sarebbe già molto se tutti i ricchi del mondo pagassero un po’ più di tasse, per solidarietà verso i meno abbienti e soprattutto per evitare di provare vergogna di se stessi.

Evagrio Pontico, un monaco vissuto nel IV secolo d.c., a proposito dei ricchi con grande realismo scrisse: «Il mare non si riempie mai, pur ricevendo un gran numero di fiumi; allo stesso modo, la brama dell’avaro non si sazia di ricchezze: sono duplicate, ed ecco che desidera che ancora raddoppino, e non smette mai di raddoppiarle, finché la morte non lo sottrae a questa interminabile preoccupazione».

da qui

 

Le economie altre – Paolo Cacciari

 

Il dominio delle imprese

Contrariamente a quanto vogliono farci credere ogni giorno ministri e giornalisti, banchieri ed economisti non esiste una sola economia, quella che si misura in valori monetizzabili che si sommano nel Prodotto interno lordo. Nella storia dell’umanità vi sono stati tanti diversi sistemi economici e, me lo auguro, ve ne saranno presto ancora altri più rispondenti ai bisogni e ai desideri delle popolazioni della Terra. In realtà i sistemi economici sono parte integrante dell’ordine sociale più generale delle comunità umane. Per questa ragione l’economia è sempre politica. C’è una correlazione stretta tra i modelli valoriali morali di riferimento e le modalità di relazione e cooperazione sociale che si instaurano tra gli individui di una comunità. È stato detto molte volte che nella modernità occidentalocentrica il modello antropologico che è prevalso è quello dell’homo oeconmicus. Ha annotato recentemente papa Francesco:

“L’homo sapiens si deforma e diventa una specie di homo oeconomicus – in senso deteriore – individualista, calcolatore e dominatore” (Udienza del 26 agosto 2020, “Guarire il mondo”: La destinazione universale dei beni e la virtù della speranza). Un tipo umano isolato, egoista, che cerca di soddisfare per proprio conto gli interessi personali, sempre in competizione con i suoi simili per il possesso di beni utili ad incrementare il proprio benessere materiale. Si crea così quel contesto che papa Bergoglio definisce nell’eciclica Fratelli tutti: “un tutti contro tutti”.

L’ente paradigmatico dominante di questa società è diventata l’impresa. Macchina da guerra sempre in movimento per incrementare produttività e produzione, allargare la sfera operativa sui mercati di sbocco, garantirsi materie prime e forza lavoro al più basso costo possibile, ottenere sempre nuove risorse finanziarie. Un’idrovora che estrae materia vitale e lavoro vivo e li trasforma in cose, oggettistica, mercanzie, rifiuti. Più il modello dell’impresa capitalistica si rafforza tecnologicamente (industrializzazione, automazione, digitalizzazione, in un crescendo di successive “rivoluzioni industriali” – siamo giunti alla Industry 5.0), riuscendo a fornire sempre nuove e più numerose merci di largo consumo, più l’impressione generale delle popolazioni è che il benessere di tutti dipenda dall’efficienza delle imprese. Le figure dell’imprenditore e del manager diventano così gli attori di riferimento apicali nelle gerarchie sociali, non solo per il potere economico che esercitano direttamente (riuscendo a condizionare la politica, i media, la finanza, la ricerca scientifica) ma anche per l’influenza diretta sulla “vita nuda” delle persone tramite la pubblicità, la moda, l’industria culturale. Più la società si “industrializza” (nel senso che diventa una megamacchina interamente finalizzata alla massimizzazione della produzione e della riproduzione del valore economico), più le persone diventano dipendenti da un’occupazione subordinata retribuita. Più il sistema delle imprese diventa determinante per il destino delle persone che da esso dipendono, più il comando dell’impresa diventa potente, capace di stabilire le regole del gioco del commercio, degli scambi monetari, del mercato del lavoro, dell’uso delle risorse naturali, del consumo, degli stessi comportamenti individuali.

Le conseguenze negative di tale sistema, che chiamiamo turbocapitalista e che ha trovato il suo apice negli ultimi quattro decenni di pratiche neoliberiste e di ideologia neoliberale, non sono più ignorabili. Ci vengono ricordate dal “grido della Terra e dei poveri” raccolto da papa Francesco; dalla catastrofe climatica e dalle intollerabili emarginazioni (“scarti umani”); dalla violenza diffusa scatenata dalla volontà di potenza delle grandi nazioni in lotta per l’accaparramento delle risorse naturali sempre più rarefatte e preziose (“Terza guerra mondiale a pezzi”).

Il sistema economico di libero mercato non è “naturale”, non si autoriproduce automaticamente e tantomeno spontaneamente, non è guidato da nessuna “mano invisibile” soprannaturale. Nel biglietto da un dollaro degli Stati Uniti vi è una scritta decisamente fuori luogo, che rasenta la blasfemia: “In God We Trust”. Quel che si dice “il denaro innalzato a Dio”, per ricordare la classica analisi di Walter Benjamin del capitalismo come religione. Non c’è nulla di divino nel sistema di scambio mercantile e non è nemmeno il più razionale. A fronte degli indubbi successi che ha ottenuto in alcune parti del mondo (ma a favore solo di alcuni ceti sociali), la realtà è che oggi le proprietà delle 10 persone più ricche del mondo potrebbero alimentare 1.000 milioni di persone che soffrono la fame per i prossimi 250 anni. L’1% della popolazione possiede il 43,4% della ricchezza globale. Per contro il 53,6% della popolazione più povera possiede lo 1,4% della ricchezza (dati del rapporto Credit Suisse Global Wealth). Ciò dipende dal fatto che 15 imprese transnazionali controllano il 50% della produzione mondiale. Più precisamente 1.318 imprese controllano il 60% degli scambi globali. Il 20% della popolazione concentra il 94,5% della ricchezza.

 

In continuità con la critica al principio liberista

In una intervista al direttore del Sole 24 Ore, il giornale di proprietà della Confindustria, papa Bergoglio ha così sintetizzato il suo pensiero sull’economia dominante:

“Chi viene escluso, non è sfruttato ma completamente rifiutato, cioè considerato spazzatura, avanzo, quindi spinto fuori dalla società. Non possiamo ignorare che una economia così strutturata uccide perché mette al centro e obbedisce solo al denaro: quando la persona non è più al centro, quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico siamo al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di scarti. (…) In questo momento nel nostro sistema economico al centro c’è un idolo e questo non va bene”.

Quindi papa Francesco cita lungamente la Populorum Progressio di Paolo VI:

“Giova riconoscerlo: è il principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene qui messo in causa. L’insegnamento di Leone XIII nella Rerum novarum mantiene la sua validità: il consenso delle parti, se esse versano in una situazione di eccessiva disuguaglianza, non basta a garantire la giustizia del contratto. (…) Una economia di scambio non può più poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch’essa troppo spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale». (Intervista di Guido Gentili a Papa Francesco: I soldi non si fanno con i soldi ma con il lavoro, Il Sole 24 ore, 2018).

Come si vede, papa Bergoglio tiene a rivendicare una linea di continuità nella critica all’economia con i suoi predecessori. In particolare con il pensiero di Pio XI della Quadresimo anno (1931), in cui papa Achille Ratti, all’indomani della Grande depressione del ’29, denunciava “il funesto ed esecrabile internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro”. Così come con Paolo VI della Populorum progressio (1971), dove papa Montini parla di “dominio economico”. Con Giovanni Paolo II nel suo discorso alla Conferenza Latinoamericana di Puebla (1979), quando proponeva il principio che “su ogni proprietà privata pesa una ipoteca sociale”, concetto poi sancito nella Laborem exercens (1981), dove papa Wojtyła afferma la “funzione sociale della proprietà”. Con Benedetto XVI della Caritas in Veritate (2009), dove papa Ratzinger annota: “L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e crea povertà”.

 

Il “papa comunista”

Ma a me pare che il pensiero di questo papa sulla economia si spinga oltre la tradizionale posizione contenuta nella Dottrina sociale della Chiesa (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, 2004) e voglia rompere con una perdurante ambiguità di giudizio e di prospettiva rispetto al sistema capitalistico.

Se seguiamo il percorso dei suoi scritti, già prima della Laudato si’, fino al video-messaggio all’incontro sulla Economy of Francesco (21 novembre 2020), troviamo affermazioni che non lasciano dubbi sul giudizio di insostenibilità non solo ecologica, ma sociale, etica e morale dell’ordine economico dominante. A pochi giorni dall’insediamento sulla cattedra di Pietro in una udienza con i partecipanti ad un convegno della fondazione Centesimus Anno, Bergoglio affermava:

“La crisi attuale non è solo economica e finanziaria, ma affonda le sue radici in una crisi etica e antropologica. Seguire gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore della persona umana, è diventato norma fondamentale di funzionamento e criterio decisivo di organizzazione” (25 maggio 2013).

Pochi mesi ancora e papa Francesco pubblica l’esortazione Evangelii Gaudium (novembre 2013):

“Oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. (…) Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole” (EG § 53).

 

La critica alle teorie economiche liberiste non lascia scampo:

“alcuni ancora difendono le teorie della ‘ricaduta favorevole’ (trickle-down effect, ndr), che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante” (EG § 54).

Per Bergoglio il postulato della capacità auto-regolatrice del mercato attraverso la “mano invisibile” è nient’altro che una “concezione magica del mercato” (EG § 190). Quanto basta ai giornali dell’establishment per gridare al “papa marxista”. Ma l’accusa di essere di sinistra e persino comunista non angustia più di tanto questo papa. Nel discorso ai movimenti popolari del 28 ottobre 2014 (Terra, Casa, LavoroDiscorsi ai movimenti popolari del 2014, 2015, 2016, edizioni de “il manifesto” – Ponte alle grazie) Bergoglio afferma:

“Solidarietà (…) è far fronte agli effetti distruttivi dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta delle persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare”.

Poi verrà la Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune (Edizioni San Paolo, 2015). Già altri documenti della Chiesa avevano richiamato l’attenzione sul degrado ambientale, ma mai questa questione era stata affrontata con tanta precisione e in quanto tale. Il principale motivo di novità sta nella fortissima denuncia delle cause della distruzione delle forme di vita nel pianeta individuate in “un sistema di relazioni e di proprietà strutturalmente perverso”, che informa gli attuali “modelli di produzione e di consumo” (LS § 26). Un altro elemento di novità è la convinzione di Bergoglio che una inversione della “spirale autodistruttiva” (LS § 163) possa avvenire solo attraverso una “coraggiosa rivoluzione culturale” (LS § 114), cioè, con la fioritura di una diffusa “spiritualità ecologica” (LS § 216). Le parole che usa il papa sono di una straordinaria chiarezza, con buona pace dei sostenitori della green economy, delle smart cities, della “responsabilità sociale” delle società per azioni, dei “fondi etici” delle banche d’affari e degli altri business verdi. Bergoglio sferra una spallata definitiva all’ambigua parola d’ordine della “crescita sostenibile” che tiene banco nelle agenzie dello sviluppo economico da decenni:

“La crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine” (LS § 194).

“Quando si parla di ‘uso sostenibile’ bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti” (LS § 140).

La valutazione degli impatti ambientali va svolta seriamente. Il principio di precauzione va applicato rigorosamente.

“Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro” (LS §194).

Bergoglio fa capire che non ci può essere compromesso tra i valori intrinseci degli esseri viventi (tutti: piante e animali non umani compresi) e loro valorizzazione economica, monetaria. Il dilemma tra salute e denaro a cui quotidianamente il sistema industriale costringe ognuno di noi come produttore o come consumatore o come abitante è respinto al mittente e risolto senza tentennamenti a favore della preservazione della vita. Va svelato l’intreccio tra ecologia e sistemi socioeconomici che plasmano le relazioni umane seguendo asimmetrie di potere nell’accesso alle risorse. Le “cause strutturali” della crisi ecologica vanno quindi ricercate negli “attuali modelli di produzione e di consumo” (LS § 26), nell’“attuale modello di sviluppo globale” (LS § 194), perché “l’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente” (LS § 190).

Comunque, nella Laudato si’ non si arriva mai a chiamare il sistema economico che domina il mondo da duecento e cinquant’anni con il suo nome: il capitalismo. Sebbene la minuziosa descrizione dei peccati non lasci comunque scampo ai peccatori.

 

Nominare il capitalismo

Più esplicito nella critica alle società multinazionali sarà Papa Bergoglio in occasione di audizioni come quella con i partecipanti al Congresso internazionale dell’associazione dei giuristi di diritto penale:

“Una delle frequenti omissioni del diritto penale (…) è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporations. Non esagero con queste parole. (…) Il capitale finanziario globale è all’origine di gravi delitti non solo contro la proprietà ma anche contro le persone e l’ambiente. Si tratta di criminalità organizzata responsabile, tra l’altro, del sovra-indebitamento degli Stati e del saccheggio delle risorse naturali del nostro pianeta.” (15 Novembre 2019).

Prima ancora, papa Bergoglio formula una critica al capitalismo in un memorabile discorso pronunciato in Vaticano il 4 febbraio 2017 in occasione dell’udienza con il movimento dell’Economia di Comunione che si ispira a Chiara Lubich, delegazione guidata dall’economista e teologo Luigino Bruni. Qui, papa Francesco non si è limitato a denunciare gli eccessi e gli effetti collaterali indesiderati dell’economia di mercato, ma ha nominato esplicitamente il capitalismo. “Quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto”. E ancora:

“Il capitalismo continua a produrre scarti”, cioè poveri, emarginati, esclusi dalla società.

Non mi risulta che dalla Chiesa romana sia mai giunta una condanna così esplicita del capitalismo. Vediamo alcuni passaggi dell’impegnativo discorso pubblicato sull’Avvenire con il significativo titolo di prima pagina a quattro colonne: Altra economia, ora. Tre i temi scelti: il denaro, la povertà e il futuro. Sul denaro Bergoglio ricorda il Gesù di Giovanni della cacciata dei mercanti dal tempio e prosegue con un bagno di realismo:

“Il denaro è importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli. Ma diventa idolo quando diventa il fine (…) [quando] l’accumulo di denaro per sé diventa il fine del proprio agire”. Una soluzione simpaticamente drastica c’è: “Il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è condividerlo con altri”.

Per Bergoglio la lotta alla povertà (“curare, sfamare, istruire i poveri”) ha bisogno di istituzioni pubbliche efficaci fondate sulla solidarietà e il reciproco soccorso. Qui sta “la ragione delle tasse” come forma di solidarietà e la condanna morale all’“elusione e alla evasione fiscale”. Ma attenzione, l’assistenza ai bisognosi non deve servire a nascondere le cause della povertà: “questo non lo si dirà mai abbastanza – il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare. Il principale problema etico di questo capitalismo è la creazione di scarti per poi cercare di nasconderli o curarli per non farli più vedere”. Il ragionamento di Bergoglio riguarda il funzionamento dell’economia in senso generale e ridicolizza i puerili tentativi con cui un certo capitalismo tenta di riparare i danni arrecati alle persone e all’ambiente naturale. Lo scritto è davvero magistrale:

“Gli aerei inquinano l’atmosfera, ma con una piccola parte dei soldi del biglietto piantano alberi, per compensare parte del danno arrecato. Le società dell’azzardo finanziano campagne per curare i giocatori patologici che esse creano. E il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è ipocrisia!”. Più avanti precisa: “Il capitalismo conosce la filantropia non la comunione”.

Leggendo queste parole a me è venuta in mente tanta parte della “cooperazione internazionale” embendded, incorporata nelle organizzazioni benefiche come la Fondazione Bill&Melinda Gates che pretende di insegnare agli africani come vivere e all’Organizzazione mondiale della sanità come curare le malattie. Per una critica alla filantropia pelosa, segnalo il libro davvero magnifico di Nicoletta Dentico, Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo (EMI, 2020). Ma anche lo scritto di Vandana Shiva, Il programma mondiale di Bill Gates e come possiamo resistere alla sua guerra contro la vita, in mondialisation.org.

Papa Francesco demolisce anche le illusioni distribuite a piene mani dalle industrie della green economy, dai “fondi di investimento etici”, dei certificati di Responsabilità sociale delle imprese e così via. Prosegue quindi, più chiaro che mai, quasi a voler richiamare i suoi bravi interlocutori imprenditori dell’economia di comunione ad un impegno ancora più profondo: “Bisogna allora puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Imitare il buon Sammaritano non è sufficiente”. È un anticipo al tema dominante della Fratelli tutti. “Occorre agire soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei briganti, combattendo le strutture del peccato che producono briganti e vittime”. Verso la fine torna sul concetto: è necessario “cambiare le strutture per prevenire la creazione delle vittime e degli scarti”.

 

Le economie altre

Infine, nella parte del discorso ai sostenitori dell’economia di comunione dedicata al futuro, papa Freancesco invita ad avvicinarsi al cambiamento: “Non occorre essere in molti per cambiare la nostra vita”, dice Bergoglio. “Piccoli gruppi” possono funzionare da seme, sale ed enzima per il lievito.

“Tutte le volte che le persone, i popoli e persino la Chiesa hanno pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri, hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri”.

Dono e amore, reciprocità e condivisione sono le leve del cambiamento. “Il ‘no’ ad un’economia che uccide diventi un ‘sì’ ad un’economia che fa vivere”, conclude. Per quanti si occupano in vario modo e in varie forme di economia solidale questo discorso del papa appare molto incoraggiante.

Già nella Ludato si’ e nei tre incontri avuti con i movimenti popolari (Papa Francesco, Terra Casa Lavoro, il manifesto – Ponte alle Grazie, 2017) e poi nella enciclica Fratelli Tutti, Bergoglio dimostra un interesse appassionato per le “comunità di piccoli produttori” (LS §112), per le “varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria” (FT § 169) che riescono ad organizzare “reti comunitarie” (LS § 219) e a creare un “tessuto sociale locale” (LS § 232) attraverso “rapporti di prossimità con tratti di gratuità” (FT § 152), capaci di produrre autosufficienza e sicurezza alimentare, opponendosi alle grandi “economie di scala” che hanno l’effetto di cacciare i contadini dalle loro terre. I “piccoli gruppi” che praticano forme di economie altre sono state definite come “seme, sale ed enzima per il lievito” del cambiamento (Audizione con l’Economia civile del 4 febbraio 2017). Con meticolosa precisione ed empatia papa Francesco in varie occasioni cita i soggetti che a lui stanno più a cuore e che formano “un torrente di energia morale” (FT § 169): cartoneros, venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori, piccoli coltivatori, muratori, minatori, raccoglitori, giostrai. In genere i lavoratori precari delle economie informali e quelli che assolvono compiti assistenziali. Ma anche cooperative come quelle per lo

“sfruttamento delle energie rinnovabili che consentono l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione in eccesso. Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti. Questi valori hanno radici molto profonde nelle popolazioni aborigene” (LS §179).

Papa Bergoglio, comunque, mette in guardia dai “narcisismi localistici” (FT § 146), dalle pratiche da “museo folkloristico di eremiti localisti (…) incapaci di farsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini” (FT § 142).

Il pensiero economico di Bergoglio

Qual è quindi l’idea economia che papa Francesco ha in testa? Qual è la “diversa narrazione economica” e la visione del “nuovo ordine economico” che propone? In più occasioni papa Francesco ha tenuto a precisare che non è suo compito, né tantomeno suo desiderio, elaborare nuove teorie economiche generali, formulare nuovi modelli macroeconomici, ma solo costruire un mondo migliore combattendo ogni emarginazione e la distruzione del creato, dando voce a chi non ce l’ha. Comunque, a me pare che i capisaldi del pensiero economico di Bergoglio si siano venuti chiarendo nell’ultimo anno con l’“enciclica sociale” Fratelli Tutti, con l’iniziativa rivolta ai giovani economisti Economy of Francesco e con atri interventi tra cui mi pare che spicchi il discorso nell’udienza generale del 26 agosto 2020 (Catechesi – “Guarire il mondo”: La destinazione universale dei beni e la virtù della speranza), quando il Papa si richiama direttamente alle

“prime comunità cristiane, che come noi vissero tempi difficili. Consapevoli di formare un solo cuore e una sola anima, mettevano tutti i loro beni in comune (…). Ma ricordatevi: da una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori, o usciamo peggiori. (…) Dopo la crisi [il riferimento è alla pandemia], continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Pensiamoci. Possano le comunità cristiane del ventunesimo secolo recuperare questa realtà – la cura del creato e la giustizia sociale: vanno insieme. (…) se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi, allora davvero potremo ispirare speranza per rigenerare un mondo più sano e più equo”.

In sintesi il pensiero economico di Bergoglio “nella prospettiva dello sviluppo umano integrale” può essere inquadrato su alcuni filoni.

  1. No al “supersviluppo dissipatore”, alle “sfrenatezze megalomane”, alla “ragione strumentale (individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole)” (LS § 210) e al “consumismo compulsivo” (LS § 203) e senza limiti che impediscono di transitare verso una società responsabile, più equa e armoniosa. In questo contesto Bergoglio giunge anche a sperare che sia “arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti del mondo” (LS § 193). Una decrescita vista ancora solo in termini meramente redistributivi, anche se viene auspicato che possano sorgere “nuovi modelli di progresso (…) la qual cosa implica riflettere responsabilmente sul senso dell’economia e sulla sua finalità” (LS §194). “L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune” (LS §164). La realizzazione della già citata “conversione ecologica globale”(LS §5) passa quindi attraverso una “conversione comunitaria” (LS § 219).
  2. No al “paradigma tecnologico” che pone la tecnoscienza al servizio dell’hybrisdel potere degli uomini. Occorre “scegliere uno stile di vita con obiettivi che possono essere indipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suo potere globalizzante e massificante” (LS § 108).
  3. No alla disoccupazione, perché il lavoro degno è una necessità per la realizzazione personale di ogni individuo. Il lavoro è irrinunciabile come “mezzo per la crescita personale, per esprimere se stessi, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo” (FT §162). Per ciò è necessario “Lottare contro le cause strutturai della povertà, la diseguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi” (FT § 116). Da qui nasce il “principio dell’uso comune dei beni creati per tutti” e della loro “destinazione universale” (FT §120).
  4. No ad una economia “per” e “verso” i poveri, ma “con” e “dei” poveri (FT § 169). Ai giovani economisti, futuri imprenditori e manager riuniti nella Economy of Francesco, il papa ha detto: “Non pensiamo perloro, pensiamo con loro” (Videomessaggio del 21 novembre 2020). No, cioè, all’assistenzialismo e alle elemosine, ma solidarietà e giustizia con il protagonismo dei “poveri organizzati” (Discorso ai movimenti popolari del 2016). L’idea è che “ogni essere umano possa diventare artefice del proprio destino “ (FT § 187). La sussidiarietà ridà un senso concreto a “grandi parole” che sono state svuotate di contenuto, come “democrazia, libertà, giustizia, unità” (FT § 14). “Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale (…) La povertà si analizza e si intende sempre nel contesto delle possibilità reali” (FT § 21). In altri termini Bergoglio dice che non è né equo, né realistico misurare il benessere delle persone in termini di quanti cent di dollaro/giorno si dispone. Nel videomessaggio ai giovani della Economy of Francesco, il Ppa ha detto: “ Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare”.
  5. No alla dissipazione delle risorse, si alla “protezione dell’ambiente come parte integrante del processo produttivo” (dalla Dichiarazione Onu di Rio de Janeiro del 1992).

 

Fuori/con/dentro il mercato

Fin qui le riflessioni di Bergoglio, per la loro radicale critica al sistema economico esistente e per l’apertura alle esperienze dei movimenti popolari e indigeni, farebbero intendere una propensione esplicita verso il superamento dei rapporti di produzione e di consumo di stampo capitalista. Difficile pensare infatti che un sistema economico di mercato votato alla ricerca della crescita del profitto possa mai diventare socialmente ed ecologicamente sostenibile. Invece, al fondo, nel ragionamento del papa permane un margine di ambivalenza che consente a molti economisti di fede cattolica e alle istituzioni della Chiesa di mantenere forti aspettative sulla capacità dell’attuale sistema economico di emendarsi dall’interno e auto-riformarsi, senza uscire dai modi di produzione, di scambio e di consumo regolati dalle leggi del mercato.

Posto che “il diritto di alcuni alla libertà di impresa e di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri” (FT §122), gli operatori economici, gli imprenditori e i manager ai vertici delle imprese possono sempre (dovrebbero, se spinti da sentimenti cristiani) far propri principi etici e comportamenti umani tali da rendere le loro attività economiche sostenibili e concorrenti al bene comune. Così come è pur vero che “il mercato da solo non risolve tutto” (LS § 168) (sottolineatura mia), ma se viene affiancato e guidato da una buona “nuova regolamentazione” (FT § 170) statale politica – intesa come “forma preziosa della carità” (Pio XI, 1927) -, allora anche lo scambio mercantile può essere funzionale al bene collettivo. Insomma, il ragionamento di papa Bergoglio, non solo non esclude una possibile convivenza tra sistemi economici e forme di impresa diverse, ma include anche l’impresa di stampo capitalista e il sistema di mercato nel processo di cambiamento generale.

In altri discorsi Bergoglio sembrava aprire all’ipotesi di una narrazione post-capitalista. “L’etica rimanda ad un Dio che attende una risposta impegnativa, che si pone al di fuori delle categorie del mercato”, aveva scritto all’inizio del suo apostolato nell’esortazione Evangeli Gaudium, (EG § 57). Così come nei discorsi ai Movimenti popolari: “L’economia non dovrebbe essere un meccanismo di accumulazione, ma la buona amministrazione della casa comune” (Terra, Casa, LavoroDiscorsi ai movimenti popolari, 2016). Nella enciclica Fratelli tutti, invece gli obiettivi della creazione di “fraternità universale e amicizia sociale” (FT §142) e di una “migliore” e “serena convivenza” (FT § 228, 279) sembrano perseguibili componendo etica e mercato attraverso la buona disponibilità d’animo dei protagonisti e il raggiungimento in ogni individuo di “un livello morale che gli permette di andare oltre sé stesso e il proprio gruppo di appartenenza” (FT §117). Un’idea che si avvicina terribilmente al tradizionale interclassismo cogestionale della Chiesa, che non mette in discussione gli assetti di potere economici e giuridici dell’impresa capitalista.

Nell’enciclica Fratelli tutti l’iniziativa economica privata viene considerata persino con reverenza: “L’attività degli imprenditori effettivamente è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo di tutti (…) tuttavia, questa capacità degli imprenditori, che sono un dono di dio, dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso delle persone” (FT §123). Il tutto si risolve in un accorato appello all’“unità”, alla “negoziazione” paziente (FT § 231), al “realismo dialogante” (FT § 221), ad un “patto sociale” (FT § 218) tra i diversi interessi in gioco. Certo, precisa Bergoglio: “La vera riconciliazione non rifugge il conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente” (FT § 244). Quindi, le “lotte (sono) legittime” FT § 243) quando servono a difendere i diritti e a togliere potere agli oppressori. Per questo motivo la Chiesa deve impegnarsi nel sociale: stare dalla parte dei “movimenti popolari che aggregano disoccupati, precari e informali” (FT §169), “lottare per ciò che è più concreto e locale” (FT § 78), Ma la “buona politica” (FT §180) deve mirare al consenso e alla “concordia sociale” (FT § 240). La “civiltà dell’amore” (FT§ 183) si fonda anche sulle buone maniere: dire “permesso, scusa, grazie”. “Mettersi al posto dell’altro” (FT §221) ed usare gentilezza, benevolenza, dolcezza, mitezza, tenerezza… aprono le porte non solo del paradiso, ma anche ad una società migliore.

Piuttosto che un aut-aut tra sistemi economici e sociali contrapposti, Bergoglio sembra optare per una dialettica et-et.

 

Un’economia poliedrica

Quando Bergoglio parla di una società poliedrica auspica una convivenza pacifica tra varie forme di produzione diversificate e ordinamenti sociali rispettosi delle varie tradizioni e scelte culturali e politiche dei popoli. In tal senso sono paradigmatiche le riflessioni dell’autunno scorso sull’Amazzonia a favore dell’autonomia e dell’autogoverno dei popoli indigeni svolte in occasione del Sinodo per la Regione pan amazzonica.

Ma anche nei paesi ricchi si tratta di ricavare uno spazio di azione “terzo”, tra mercato e iniziativa economica diretta pubblica, dove possano agire liberamente i portatori dei principi di un’economia eticamente orientata e sperimentare concretamente modelli socioeconomici diversi; istituire e dare dignità a “varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria” (FT §169) che operano già ora ben al di là della “logica perversa e vuota (del) calcolo di vantaggi e svantaggi” (FT § 210) cioè del mercato. Un terreno certo necessario da praticare, ma molto scivoloso. Abbiamo già potuto constatare molte volte che il Terzo settore, schierato a cuscinetto tra i fallimenti del mercato e la bancarotta degli stati, non ha dato la meglio prova di sé. Altre benemerite esperienze, come quelle degli imprenditori dell’Economia di comunione, non sono riuscite a fare sistema.

Nella già citata intervista del 2017 al Sole 24 ore Bergoglio diceva: “Un’etica amica della persona tende al superamento della distinzione rigida tra realtà votate al guadagno e quelle improntate non all’esclusivo meccanismo dei profitti, lasciando un ampio spazio ad attività che costituiscono e ampliano il cosiddetto terzo settore. Esse, senza nulla togliere all’importanza e all’utilità economica e sociale delle forme storiche e consolidate di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione delle responsabilità da parte dei soggetti economici. Infatti, è la stessa diversità delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e al tempo stesso più competitivo”. E ancora: “La distribuzione e la partecipazione alla ricchezza prodotta, l’inserimento dell’azienda in un territorio, la responsabilità sociale, il welfare aziendale, la parità di trattamento salariale tra uomo e donna, la coniugazione tra i tempi di lavoro e i tempi di vita, il rispetto dell’ambiente, il riconoscimento dell’importanza dell’uomo rispetto alla macchina e il riconoscimento del giusto salario, la capacità di innovazione sono elementi importanti che tengono viva la dimensione comunitaria di un’azienda”. Secondo Bergoglio l’obiettivo di una azienda sana e vitale è “Tenere unite azioni e responsabilità, giustizia e profitto, produzione di ricchezza e la sua ridistribuzione, operatività e rispetto dell’ambiente”.

Gli ostacoli costituiti dalle forme giuridiche dell’impresa di capitale, che indubbiamente privilegiano gli interessi degli azionisti, e la sua dipendenza dal credito, che la obbliga a creare plusvalenze da destinare alle rendite finanziarie, nel pensiero economico di Bergoglio non sembrano barriere insuperabili se vi sono comportamenti individuali degli imprenditori e dei manager che tengono conto anche degli interessi degli altri stakeholders.

 

Esiste un mercato benefico?

L’idea del cattolicesimo liberale secondo cui “il mercato è il meccanismo che genera maggiore benessere per tutti” – Dario Antiseri, Etica ed Economia, La società 3/2013 – e quindi “contribuisce a realizzare il comando evangelico dell’amore”, è dura a morire. Il sistema di libero mercato e una competizione virtuosa tra imprenditori sarebbe capace di generare un “profitto giusto e buono”. E questo continua ad essere il pensiero ufficiale della Chiesa romana, ribadito pesantemente ancora un paio di anni fa dalla Confederazione per la Dottrina della Fede in collaborazione con il Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano, istituito da papa Francesco e affidato al cardinale ghanese Peter Tukson, con il documento, Oeconomicae et pecuniariae quaestions. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico- finanziario (Bollettino della sala stampa della Santa Sede n.0360, 17/05/2018), controfirmato dallo stesso papa Francesco. Con questo impegnativo documento gli economisti del Vaticano si sono prefissi l’arduo compito di individuare “una nuova economia più attenta ai principi etici” attraverso “una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria neutralizzandone gli aspetti predatori e speculativi”. Ma il miracoloso tentativo di ricomporre le ragioni dell’economia parametrata sullo “scambio tra equivalenti” e quelle del benessere reale delle popolazioni non mi pare sia riuscito bene. La Confederazione della fede infatti giunge alla conclusione che “il profitto va sempre perseguito”, anche se non “ad ogni costo”. Perciò: “In linea di principio, tutte le dotazioni ed i mezzi di cui si avvalgono i mercati per potenziare la loro capacità allocativa, purché non rivolti contro la dignità della persona e non indifferenti al bene comune, sono moralmente ammissibili”. Amen! Tra questi strumenti vi sono: il “denaro” (non la semplice moneta, mezzo di scambio), che viene definito “di per sé uno strumento buono”, il “valore aggiunto, che è lo scopo primario del sistema economico-finanziario”, il credito e il debito, le stesse borse valori. Si giunge così all’apoteosi delle meravigliose e progressive doti del Mercato. “Il mercato, grazie ai progressi della globalizzazione e della digitalizzazione, può essere paragonato ad un grande organismo, nelle cui vene scorrono, come linfa vitale, ingentissime quantità di capitali. (…) Possiamo dunque parlare anche di ‘sanità’ di tale organismo, quando i suoi mezzi ed apparati realizzano una buona funzionalità di sistema, in cui crescita e diffusione della ricchezza vanno di pari passo” (OPQ § 19). Basta regolarlo con “solidi e robusti orientamenti”, applicare le normative sulla “responsabilità sociale dell’impresa” e “istituire Comitati etici, in seno alle banche, da affiancare ai Consigli di Amministrazione”. Sarà questa anche una delle conclusioni (punto n.8 del documento finale) del meeting Economy of Francesco dello scorso novembre: “Le imprese e le banche, soprattutto le grandi e globalizzate, introducano un comitato etico indipendente nella loro governance con veto in materia di ambiente, giustizia e impatto sui più poveri”. Per di più (punto 9) si chiede che “le istituzioni nazionali e internazionali prevedano premi a sostegno degli imprenditori innovatori nell’ambito della sostenibilità ambientale, sociale, spirituale e, non ultima, manageriale perché solo ripensando la gestione delle persone dentro le imprese, sarà possibile una sostenibilità globale dell’economia”.

Siamo così entrati in pieno nella narrazione dello “sviluppo sostenibile” e della “svolta etica e verde del capitalismo” annunciata dal The Wall Street Journal lo scorso anno e recentemente dal World Business Council for Sustainable Development. Il sistema economico vigente, ci dicono, è compatibile con il bene comune, purché “certificato” dai filtri Esg (Environmental, Social, Governance) che aggiudicano un punteggio alle performace green degli investimenti finanziari evinronmental friendly e che concorrono a formare il Jones Sustainability Index delle borse; garantito dalle etichette Ecolabel rilasciate da una pretora di “enti terzi” da applicare alle produzioni industriali; dai bollini che attestano il “benessere multidimensionale” generato dalle imprese B-corp (Benefitn Corporation) et similia; autorizzato dalle quote di emissione di gas climalteranti contemplate dall’Emission Trading System, rilasciate al “giusto prezzo” secondo l’andamento delle aste pubbliche (sistema che ha valso l’ultimo premio Nobel per l’economia); emendato dalle varie forme di compensazione degli inquinamenti (Clean Development Mecanism) e di “tasse verdi”. E così via.

 

Capitalismo dal volto umano

In questa cornice si situa la “spettacolare” entrata del Vaticano, sancita in un incontro ufficiale con lo stesso papa Francesco, nel Council for Inclusive Capitalism. Un movimento creato da un folto gruppo di leader (Ceo e amministratori delegati) di alcune tra le prime 500 più grandi imprese del mondo (British Petroleum, Banca d’America, Allianz, Dupont, Visa, Johnson&Johnson, Rockfeller Foundation, Ford Foundation, Amundi, Master Card e altre che assommano più di 10,5 trilioni di dollari di capitalizzazione e 200 milioni di dipendenti) la cui missione è promuovere un “capitalismo inclusivo” capace di “creare valore a lungo termine per tutte le parti interessate – aziende, investitori, dipendenti, clienti, governi, comunità e pianeta”. La loro idea è che: “Il capitalismo ha portato ricchezza e prosperità a miliardi di persone in tutto il mondo. Tuttavia, riconosciamo che il capitalismo deve evolversi per promuovere un sistema più sostenibile, affidabile, equo e inclusivo che funzioni per tutti”. Ha commentato un giornale newyorkese: “Il Papa benedice i piani aziendali. Può sembrare un abbinamento insolito: grandi imprese e Papa Francesco, un pontefice che ha più volte criticato il capitalismo in termini ruvidi. Ma hanno annunciato oggi una nuova partnership, l’ultimo segno della crescente influenza delle pratiche ambientali, sociali e di governance, o E.S.G., negli affari”. (Dealbook Newsletter, 8 dicembre 2020).

Sullo stesso terreno si muove un altro consesso di manager e chief executive officier, il World Business Council for Sustainable Development. Un’organizzazione di più di duecento aziende che sommano un fatturato di oltre 8 trilioni di dollari e diciannove milioni di dipendenti. Recentemente ha pubblicato una agenda di azioni per “Reinventare il capitalismo” (Reinventing Capitalism: a transformation agenda Vision 2050 issue brief, November 2020). “Persino i capitalisti – ci assicurano – stanno iniziando a sostenere che il capitalismo, nella sua forma attuale sta generando risultati insostenibili – socialmente, ambientalmente ed economicamente”. E ancora: “Il sistema attuale sta generando livelli insostenibilmente elevati di disuguaglianza e viola i planetary boundaries. Sia la scienza che la storia suggeriscono che se il nostro percorso attuale proseguirà ci porterà alla catastrofe: tensione ecologica e stratificazione economica hanno dimostrato di svolgere un ruolo centrale in ogni crollo delle civiltà passate”.

C’è da credergli, ma dubito fortemente che la strada indicata da loro sia quella capace di portare l’umanità fuori dalla crisi ecologica e sociale che sta attraversando la nostra civiltà. Penso che sia difficile pensare di poter raggiungere gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 dell’Onu e dell’Accordo di Parigi sul clima rimanendo all’interno del dominio delle grandi imprese multinazionali.

Penso anche che mantenere una ambiguità su questo punto non giovi alla forza del messaggio ecologista e sociale lanciato da questo papa. In Vaticano, temo, ci siano problemi di dissociazione cognitiva in materia di politica economica. Sicuramente è aperto un confronto che avrà esiti politici. Il più noto economista di riferimento del mondo cattolico italiano e del Terzo settore, Stefano Zamagni, dallo scorso anno presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, ha recentemente lanciato un manifesto e ha promosso la formazione di “un nuovo soggetto politico” dei cattolici in Italia (nome e simbolo depositati: “Insieme. Lavoro e famiglia, solidarietà e pace”) con l’intenzione di ricompattare la “pericolosa diaspora cattolica” e con l’obiettivo di superare il bipolarismo che avrebbe penalizzato “le forze moderate del centro”. “L’unità politica dei cattolici – scrivono – sono i cattolici”. La loro base di riferimento dovrebbe essere le numerose associazioni riconducibili alla Cei.

L’altro economista di riferimento, anch’esso cofondatore della scuola dell’Economia Civile, coordinatore del meeting Economy of Francesco, Luiginio Bruni, storico del pensiero economico, professore della Lumsa (Libera Università Maria santissima assunta) ha recentemente scritto: “Questo capitalismo individualistico ha i giorni contati. (…) Le grandi crisi iniziano sempre al culmine del loro successo”. “La novità della nuova ‘altra’ economia di questo tempo sta nel cambiamento delle prassi e dei comportamenti, della cultura e quindi del culto [capitalista]”, poiché orami “il capitalismo è entrato dentro l’anima delle persone per il suo essere religione pragmatica 24h7d: giorno e notte, sette giorni su sette” (Il nuovo culto della felicità pubblica, Buonenotizie del Corriere della sera, 22 settembre 2020).

Testo dell’intervento all’incontro “Spiritualità della terra” (ottobre 2020), dal titolo “L’economia trasformativa nel pensiero di papa Francesco. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Il Vangelo di Matteo (19,24)”.

da qui

 

 

Il declassamento del ceto medio mentre aumenta la ricchezza dei più ricchi – Salvatore Palidda

 

Dal 1980 a oggi il rapporto tra i redditi dell’1% più ricco e la mediana è passato da 11 a 1 a 26 a 1 negli Stati uniti, da 3 a 1 a 10 a 1 nel Regno Unito. È una tendenza all’aumento della disuguaglianza e alla concentrazione della ricchezza che ritroviamo in tutto l’occidente negli ultimi quarant’anni, come mostrano gli studi dell’economista Branko Milanovic. Con gli effetti economici della pandemia tale tendenza è aumentata: la ricchezza dei miliardari negli ultimi 12 mesi è cresciuta del 44% negli Stati uniti e del 35% nel Regno unito, in un momento in cui negli stessi paesi circa il 50% delle persone laureate o con istruzione superiore ha incontrato difficoltà economiche.

 

La definizione stessa di «classe media» perde sempre di più il suo significato, e si trasforma in una trappola ideologica per dividere chi occupa in ogni caso un ruolo subalterno nelle nostre società. Un cambiamento sempre più evidente che richiede di ripensare in modo più complesso lo stesso concetto di classe.

vedi qui :

https://jacobinitalia.it/la-fine-del-ceto-medio/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-fine-del-ceto-medio

e qui:

https://www.forbes.com/billionaires/

 

 

 

Redazione
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