11 ottobre: sciopero generale

testi di Cosimo Scarinzi, Federazione Anarchica Italiana, SOL COBAS, SI Cobas, Tendenza internazionalista rivoluzionaria e Giorgio Cremaschi

 

Sciopero generale dell’11 Ottobre. Un’occasione non rituale – Cosimo Scarinzi

Lo sciopero generale del sindacalismo di base dell’11 Ottobre ha, con ogni evidenza, due caratteristiche nuove rispetto a ciò che è avvenuto negli ultimi anni, specificità che è bene tenere presenti.

Dal punto di vista formale, il termine non ha però in alcun modo un significato riduttivo, è la prima volta da anni che viene indetto unitariamente da un cartello di sindacati che coincide con l’insieme del sindacalismo di base: Adl Cobas – Cib Unicobas – Clap- Confederazione Cobas – Cobas Scuola Sardegna – Cub – Fuori Mercato – Sgb – Si Cobas –SIAL Cobas – Slai Cobass.C. – Usb – Usi Cit.

Ovviamente l’indizione comune di uno sciopero non comporta automaticamente l’avvio di processi di ricomposizione di un’area frastagliata e caratterizzata da divisioni, le cui ragioni non possono essere ridotte a beghe fra gruppi dirigenti: basti pensare all’attitudine che si ha rispetto alla firma dei contratti, alle forme di organizzazione, alle culture politiche di riferimento. È, però, un segnale che quest’universo sindacale è consapevole della gravità di una situazione segnata dalla crescita della povertà assoluta, dalla precarizzazione del lavoro, dai licenziamenti e dagli sfratti, da una serie di gravi crisi aziendali, una consapevolezza presente sia nei lavoratori e nelle lavoratrici che organizza al suo interno sia dei delegati, dei militanti e dei gruppi dirigenti.

Lo stesso fatto che questo sciopero sia, nei suoi limiti, unitario ha sollevato in misura decisamente superiore rispetto al passato l’interesse di settori di movimento, di associazioni impegnate in difesa della sanità, dell’ambiente e dei diritti, delle forze politiche fuori dall’attuale quadro istituzionale – cosa che rende possibile (nulla è scontato ma già la possibilità è in sé preziosa) l’allargamento del fronte disposto a mobilitarsi ben al di là dei lavoratori organizzati nel sindacalismo di base, conflittuale, libertario e, soprattutto, rende possibile un più saldo e robusto intreccio fra lotta per il salario, quella per il reddito e i movimenti di opposizione sociale.

La partita più importante, quella su cui si misurerà l’utilità e l’efficacia dello sciopero dell’11 ottobre sarà la capacità di farne, contemporaneamente, un momento di unificazione delle lotte aziendali, categoriali, locali che comunque si danno, nonché un’occasione di definizione di una piattaforma generale condivisa e capace di orientare l’azione immediata in una prospettiva di medio e lungo periodo.

A questo proposito, basti riflettere sulle vertenze delle aziende che licenziano, viene in mente subito la GKN che è il caso più noto ma si tratta di molte, troppe, situazioni. È perfettamente noto ai militanti ma anche ai lavoratori che le vertenze aziendali contro i licenziamenti sono condannate a un percorso difficilissimo, costellato di lotte, contrattazioni, pressioni sul potere politico che conducono di norma, se va bene, all’ottenimento di una qualche forma di tutela per i lavoratori licenziati, a una riduzione dei licenziamenti e, in buona sostanza, alla “riduzione del danno”. Può valere la pena, a questo proposito, di riportare un breve brano da un articolo di Andrea Bagni sulla lotta dei lavoratori GKN di Campi Bisenzio sul numero 2 di Collegamenti, per l’Organizzazione Diretta di Classe:

“Ma parlano del loro lavoro al passato. Stanno partecipando alla lotta, non perdono un appuntamento, però pensano tutti che in questa fabbrica che dorme lì accanto non torneranno più. Non dorme – è in coma, per quanto indotto. Irreversibile. Pensano che non ci sarà nulla da fare. Uno, il più alternativo – barba alla Dragowski e orecchino, un tempo capelli rasta – dice che si dovrebbe farci un parco giochi, con scale, scivoli e i robot che fanno salire e scendere i bambini come in una giostra. Non è il linguaggio dei leader della lotta.”

Pure la mobilitazione della GKN ha suscitato interesse, passione, mobilitazione e ha visto insieme, capita anche questo, settori del sindacalismo istituzionale, il sindacalismo di base e, soprattutto, accanto alla comunità proletaria costituita dai lavoratori della GKN, ampi settori di movimento e ha dato un segnale politico e culturale forte rimettendo al centro la contraddizione capitale-lavoro in un universo sociale che sembrava averla rimossa.

Altrettanto importante dal punto di vista qualitativo, e di dimensioni maggiori, è oggi la crisi determinata dal passaggio da Alitalia a ITA con le migliaia di licenziamenti che comporta e di fronte a un governo che procede sulla strada dello smantellamento dell’azienda con una determinazione senza precedenti.

Siamo di fronte a una vicenda che dura da anni, che ha visto i lavoratori e le lavoratrici dipendenti dall’Alitalia e quelli degli appalti impegnati in decine di scioperi, manifestazioni, presidi contro i governi di diverso colore che hanno gestito questo caso di macelleria sociale e, quasi sempre, contro i sindacati concertativi che hanno assecondato la politica governativa in cambio del riconoscimento del loro potere e delle loro entrate. È un altro pezzo delle vicende della nostra classe da cui si può uscire in avanti solo se si dà una prospettiva generale anche se, va da sé, la lotta che oggi impegna i lavoratori e le lavoratrici di Alitalia deve vedere la massima solidarietà. Anche su questa vicenda sul numero 2 di Collegamenti, per l’Organizzazione Diretta di Classe vi è un ampio articolo che ne ricostruisce lo sviluppo decennale.

È molto, ma è evidente che serve di più: si tratta oggi, più che mai, di costruire una campagna sulla riduzione radicale dell’orario di lavoro, una campagna che può vedere assieme il sindacalismo di base e, soprattutto, coinvolgere ampia parte, decisamente la maggioranza, della nostra classe. Nell’attuale situazione non è certo un obiettivo né immediato né facilmente realizzabile ma è una direzione di marcia su cui lavorare in una prospettiva necessariamente internazionale.

In ogni vertenza locale e aziendale, in ogni mobilitazione per i contratti, nell’impegno per tenere assieme i lavoratori e le lavoratrici direttamente dipendenti dalle aziende e quelli e quelle del pulviscolare universo degli appalti, il tema va sollevato, articolato, discusso nelle assemblee, fatto oggetto di studio e, contemporaneamente, di propaganda.

Una considerazione analoga vale per l’azione di contrasto alla precarizzazione del lavoro. Vi è chi ritiene che la partita per la ricomposizione unitaria della nostra classe sia una partita persa anche a petto del salto di paradigma produttivo determinato dal diffondersi del lavoro a distanza favorito, fra l’altro, dalla situazione determinatasi con il Covid ma che di molto la precede e che, soprattutto, tenderà con ogni probabilità a diffondersi per non parlare del carattere sempre più globalizzato della produzione. È necessario, al contrario, affermare che una tale questione va affrontata con determinazione sia sul piano della ricerca e della conoscenza sia, soprattutto, su quello dell’azione.

Nei mesi passati le mobilitazioni dei ciclofattorini e quelle dei lavoratori dello spettacolo, ancora una volta sono solo degli esempi, ci dimostrano che è la stessa pressione del capitale e l’irrompere della crisi a determinare nuovi terreni di lotta e di organizzazione, nuove forme di organizzazione, nuove culture politiche e forme di linguaggio diverse da quelle in cui molti di noi si sono formati ma proprio per questo motivo importanti.

Lo sciopero dell’11 Ottobre, la cosa è sgradevomente normale, non si svolgerà in laboratorio, in una situazione semplice.

Il quadro politico vede una maggioranza tanto composita quanto massiccia e, soprattutto, una pressione per l’unità della nazione di fronte alla pandemia: non è la prima volta che ciò accade ma stavolta ha caratteri particolari ed è particolarmente pervasiva,

L’attuale imposizione del green pass, infatti, è con ogni evidenza un distrattore di massa, un modo per spostare l’attenzione dalle responsabilità del padronato e del governo per quel che riguarda la situazione della sanità, della scuola, dei trasporti e dalla natura di per sé nociva dell’attuale ordine produttivo e sociale e per individuare nei non vaccinati un capro espiatorio.

Si ha oggi l’impressione che nei bar non si discuta più, o non si discuta solo, di calcio e che la batracomiomachia fra SI Vax e NO Vax abbia occupato lo spazio pubblico persino, purtroppo, fra alcuni dei nostri compagni con toni sovente inaccettabili.

Con lo sciopero sarà, invece, possibile rimettere al centro la questione sociale nei suoi termini reali, magari meno suggestivi del tifo pro o contro i virologi e gli epidemiologi ma, se si hanno posizioni chiare ben più interessanti ed appassionanti da capire.

La partita che dobbiamo affrontare per il salario, il reddito, il diritto all’abitare e alla salute, la difesa dell’ambiente, l’opposizione alle spese militari e agli attacchi alle libertà di sciopero, organizzazione, manifestazione è, con ogni evidenza, la vera partita.

Se su queste priorità sapremo contribuire a costruire un comune sentire nei movimenti e nelle lotte, se sapremo definire dei passaggi organizzativi efficaci sul piano politico, culturale, sindacale avremo colto l’importanza dello sciopero e ne avremo fatto non un punto di arrivo al quale segue il solito “tana libera tutti” ma un punto di partenza sarà una gran cosa; finora lo si è affermato sin troppo spesso senza riuscire a dare seguito alle buone intenzioni ma, adesso, ci si deve impegnare sul serio in questa direzione.

Se si riuscirà a fare dello sciopero dell’11 Ottobre un passaggio in questa direzione, sono ipotizzabili – ipotesi che vanno poi sostenute con l’azione puntuale – anche processi unitari sul piano sociale e sindacale che sono un bene di per sé e, dal punto di vista politico e progettuale, una condizione favrevole anche se non meccanicamente sufficiente perché l’intervento in una prospettiva più generale di critica del capitalismo e dello stato possa svilupparsi oltre gli attuali limiti: proprio perché efficacia immediata nell’azione e visione di lungo periodo non solo non sono in contrapposizione ma si rafforzano e arricchiscono a vicenda.

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Appello ai sindacati di base promotori dello sciopero dell’11 ottobre

Lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base per il prossimo 11 ottobre rappresenta un appuntamento importante dell’opposizione di classe alle politiche governative, oltre che un momento unitario del sindacalismo di base, foriero di prospettive interessanti.

Molte e molti di noi saranno impegnati nei prossimi giorni nel posto di lavoro, nelle organizzazioni sindacali di riferimento e negli ambiti di lotta in cui siamo attivi nella preparazione dello sciopero dell’11 ottobre.

La Federazione Anarchica Italiana ha attivato una campagna antimilitarista per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero, per fermare l’aumento delle spese militari, per convertire le produzioni belliche, campagna a cui invita tutte le realtà politiche, sindacali e di movimento che condividono questi obiettivi.
Auspichiamo che la giornata di lotta dell’11 ottobre sia caratterizzata anche da una prospettiva antimilitarista.
La militarizzazione dei territori e delle relazioni sociali nel nostro paese e la politica imperialista e guerrafondaia all’esterno sono caratteristiche fondamentali dell’azione del governo Draghi, nell’ambito del più generale attacco alle condizioni di vita dei lavoratori, disoccupati, precari; azione sostenuta con forza dall’Unione Europea.

Le spese militari nel 2021, in piena pandemia, sono aumentate dell’8,1% rispetto all’anno precedente, per un totale di quasi 25 miliardi di euro, di cui 1.254,6 sono destinati a finanziare le missioni militari all’estero, nuovamente approvate dal Parlamento alla fine di luglio. Va da se che lo stanziamento per le missioni comprende esclusivamente la parte logistica, mentre armamenti, stipendi, indennità di missione rientrano in altri capitoli di spesa.
Lo Stato italiano è impegnato in 40 missioni, di cui 18 in Africa. Il contingente bellico in Afganistan è stato ritirato questa estate: il costo complessivo di questo intervento quasi ventennale è stato di 8,7 miliardi di euro.
Alle operazioni militari all’estero si affiancano 6 missioni di polizia fuori dai confini italiani, tra cui quella di assistenza alla famigerata guardia costiera libica.
Gli scopi di queste missioni sono: aggiudicarsi la fornitura di materie prime garantendo l’estrazione e il passaggio di risorse strategiche; controllare le zone chiave dei movimenti migratori; pubblicizzare mezzi e materiali militari italiani presso i governi dei paesi dove sono impegnati.
Le truppe di occupazione in Libia, così come le navi da guerra nel golfo di Guinea, difendono i siti estrattivi e le infrastrutture dell’ENI: i documenti ufficiali lo chiariscono in modo del tutto esplicito, senza più alcun riferimento di carattere “umanitario” o “poliziesco”. Lo hanno denunciato in più occasioni i movimenti che si battono contro lo sfruttamento ambientale, il colonialismo, l’impoverimento delle popolazioni e la gestione militare dei flussi migratori.
L’epilogo di vent’anni di occupazione NATO dell’Afganistan mette bene in luce come la libertà e il benessere delle donne e degli uomini afgani sia solo un alibi per giustificare una guerra feroce, terminata con la sconfitta della “coalizione dei volenterosi”.

L’aumento delle spese militari, stanti i vincoli di bilancio, determina il taglio ulteriore delle risorse per sanità, istruzione, assistenza. Servizi essenziali gravemente ridotti da anni, che, nonostante l’emergenza Covid, sono stati ulteriormente erosi. Il potere d’acquisto di salari e pensioni è diminuito per la necessità di far fronte a spese per la salute, l’istruzione i trasporti, i cui costi reali, anche in seguto a progressivi processi di privatizzazione, sono costantemente aumentati, peggiorando le condizioni di vita dei disoccupati e delle disoccupate e di chi lavora in condizione di crescente precarietà e ricatto.

L’opposizione alla guerra, alla produzione e al traffico di armi, alle spese militari si è intersecata con le lotte di importanti settori del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici e della società, basti pensare agli scioperi ed ai blocchi dei portuali contro il traffico di armi, al movimento No MUOS in Sicilia, alle ripetute proteste contro l’Aerospace and Defense Meeting a Torino.

É importante costruire lo sciopero dell’11 ottobre a partire dagli elementi più cruciali delle varie vertenze settoriali e delle politiche governative, ma riteniamo che l’assunzione all’interno della piattaforma degli ambiti di lotta che vedono protagonisti i movimenti possa far crescere l’adesione di più ampi settori ad un appuntamento importante come lo sciopero generale.

Chiediamo quindi ai sindacati promotori dello sciopero generale del prossimo 11 ottobre di inserire nella piattaforma un chiaro riferimento contro la politica guerrafondaia del governo: per fermare l’aumento delle spese militari, per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero, per la riconversione della produzione bellica.

Invitiamo tutt* gli interessati a partecipare all’assemblea antimilitarista che si terrà a Milano sabato 9 ottobre:
appuntamento dalle ore 10 sino alle 19 presso il laboratorio Kasciavit in via San Faustino 64

https://federazioneanarchica.org/archivio archivio_2021/20210714antimil.html

Federazione Anarchica Italiana
(Gruppo di lavoro antimilitarista e Commissione di corrispondenza)

Per contatti: antimilitarista@federazioneanarchica.org

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11 OTTOBRE: PARTECIPIAMO ALLO SCIOPERO NAZIONALE

Per un movimento nazionale di resistenza di tutti i lavoratori e le lavoratrici

Per un’alternativa radicale al sistema dominante

Per l’abolizione del Green Pass

 

  1. La cosiddetta emergenza sanitaria che attraversa e sconvolge l’intero pianeta, altro non è che una manifestazione molto acuta di una crisi storica dell’intero sistema capitalista e della sua incapacità ormai irreversibile di rispondere ai suoi bisogni più elementari. La legge dello sfruttamento e del profitto che ne regolano il funzionamento si ergono al di sopra e si rivoltano contro l’umanità intera, condannandola progressivamente alla sola prospettiva della guerra, della miseria e della cancellazione di ogni diritto e libertà acquisiti2. L’imposizione dell’obbligo vaccinale, attraverso l’introduzione di un “lasciapassare sanitario” (noto in Italia come “Green-pass”) è sempre più palesemente parte integrante dell’offensiva padronale che in Italia ha ricevuto un definitivo “semaforo verde” con lo sblocco dei licenziamenti unitamente ad un pacchetto di misure aggiuntive basate sull’aumento dei prezzi di alcuni beni essenziali (bollette, benzina, ecc.) e sullo sblocco degli sfratti. L’obbligo di possesso del “lasciapassare”, esteso a partire dal 15 ottobre a tutto il mondo del lavoro, fa crollare ogni residua parvenza di misura per il contenimento della pandemia e di salvaguardia della salute pubblica, evidenziando, al contrario, il suo ruolo di strumento politico (dittatoriale) finalizzato alla divisione e al controllo dei lavoratori, per poter proseguire senza ostacoli nei suoi piani di ristrutturazione3. A fronte dell’evidente attacco del grande capitale, si sviluppano le prime forme di reazione a partire da alcune grandi fabbriche (Whirlpool, Giannetti, Timken, GKN, ecc.) flagellate da un vero e proprio processo di rottamazione che si svolge sotto la regia dei grandi monopoli finanziari. Su tutte spicca la battaglia della GKN che, grazie all’occupazione della fabbrica e al movimento di solidarietà che ha saputo raccogliere a livello popolare, è riuscita a respingere, almeno per ora, il licenziamento collettivo preteso dai padroni.Parallelamente, nelle piazze di tutto il mondo, assistiamo alla mobilitazione di milioni di persone, per lo più proletari, che, seppur privi di una prospettiva politica chiara e alternativa a quella dei circoli dominanti, attraverso scioperi e manifestazioni, si stanno contrapponendo alle misure antipopolari, restrittive e inaccettabili, in Italia simboleggiate dal Green-pass (ma non solo)4. L’attuale congiuntura determinerà una crescente polarizzazione sociale e politica, mentre si consuma l’ennesimo tradimento delle componenti storiche del Movimento Operaio (la cosiddetta sinistra politica e sindacale) totalmente allineate con i piani di ristrutturazione capitalistici e a tutte le misure decise dai governi borghesi. Parallelamente la galassia del cosiddetto “sindacalismo di base”, vittima di un approccio settario e minoritario, fatica a schierarsi apertamente e senza condizioni con le lotte reali (partendo cioè dalla realtà e dalle sue potenzialità, piuttosto che dalla loro presunta o reale arretratezza coscienziale). Si animano così percorsi settari e divisionisti che prendono le distanze dal movimento popolare contro il green pass (se non addirittura sostenendo apertamente l’obbligo di un vaccino COVID-19 sperimentale), e persino un certo imbarazzo ad appoggiare le lotte operaie di fabbrica a causa dell’egemonia di rappresentanza ancora esercitata dagli apparati confederali5. Tale scenario chiama ad uno sforzo concentrato e permanente di mobilitazione, a partire dai luoghi di lavoro, capace di animare una seria controtendenza che, a partire da una lotta intransigente contro ogni forma di sfruttamento e discriminazione e, conseguentemente, per l’abolizione del “lasciapassare sanitario”, metta al centro una piattaforma politico-sindacale essenziale

    a. Opposizione radicale a tutti i licenziamenti; rivendicazione del pagamento del salario pieno; indicazione di lotta attraverso presìdi e picchetti permanenti e, ovunque sia possibile, dell’occupazione in tutte le fabbriche soggette a chiusura

    b. Rivendicazione di un salario minimo intercategoriale di 1500€ mensili da inserire nella prospettiva della lotta sistematica alla disoccupazione e alla precarizzazione crescenti, attraverso la riduzione progressiva dell’orario di lavoro

    c. Mobilitazione permanente a salvaguardia della sicurezza e della salute sui posti di lavoro, dove continua incontrastata la strage di operai (3 milioni di morti all’anno su scala mondiale, solo per “incidenti” ufficialmente censiti sui posti di lavoro)

    d. Abolizione del lavoro precario, interinale e dei subappalti che, oltre a contribuire a compromettere ulteriormente la sicurezza sul lavoro, sono elementi di divisione ed impoverimento dei lavoratori stessi

    e. Abolizione del Green-pass e di qualunque mezzo di discriminazione nei luoghi di lavoro e ovunque in quanto strumento di controllo e repressione sociale. Con esso si crea un comodo capro espiatorio (chi non è vaccinato) su cui scaricare la responsabilità della criminale gestione della pandemia da parte delle istituzioni. Inoltre, con il Green-pass, alcuni soggetti sono investiti di controllo sociale e sanitario: un provvedimento di carattere autoritario e fascista

    Unitamente a questi punti fondamentali, nella prospettiva di una effettiva unificazione di tutto il sindacalismo conflittuale e di classe, sarà fondamentale far vivere una piattaforma politico-sociale, in tutto indipendente e contrapposta alle politiche istituzionali asservite al grande capitale internazionale

    f. Per un piano straordinario di investimenti pubblici finalizzato al potenziamento di tutto il servizio pubblico essenziale (scuola, sanità, trasporti, igiene ambientale) al fine di renderlo libero, accessibile a tutti e gratuito

    g. Per un piano di rilancio dell’edilizia pubblica e di recupero della misura dell’equo canone basata sul tetto massimo degli affitti al 10% del salario complessivo di ciascun nucleo, mobilitandosi ovunque contro gli sfratti che colpiscono le masse proletarie e impoverite dalla crisi

    h. Per una difesa intransigente dell’ambiente, a partire dalla riconversione delle fabbriche della morte, garantendo continuità occupazionale e salariale a tutta la forza-lavoro attualmente impiegata

    i. Per la promozione della più ampia solidarietà di classe, contro ogni discriminazione fondata su basi etniche, di genere, religiose e sanitarie

    j. Per una prospettiva internazionale e internazionalista di opposizione intransigente ad ogni missione imperialista e quindi contro ogni investimento sul terreno militare.

    6. È evidente che un simile programma non può essere realizzato all’interno dell’attuale quadro politico-economico e va quindi concepito come programma transitorio che, sulla base di una mobilitazione crescente, potrà contribuire a sviluppare una nuova coscienza a livello di massa e, con essa, gli organismi necessari a realizzarlo in aperta opposizione alle attuali istituzioni “democratiche”

    Consci dei compiti specifici a cui sono chiamate le Organizzazioni Sindacali, ossia di difesa delle concrete condizioni di vita e dei diritti fondamentali dei lavoratori, riteniamo fondamentale collocarci chiaramente e coerentemente in una simile prospettiva. È necessario promuovere comitati operai unitari in tutti i luoghi di lavoro e la partecipazione attiva a comitati e coordinamenti territoriali che si attivino su piattaforme e programmi di opposizione al governo Draghi.

    Su questi presupposti e con questa prospettiva, ispirati dalla costruzione della più ampia unità possibile, partecipiamo allo sciopero nazionale dell’11 ottobre.

SOL COBAS

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Dentro e oltre lo sciopero generale dell’11 ottobre

Lo sciopero generale dell’11 ottobre, indetto unitariamente dalla quasi totalità del sindacalismo di base, ci dimostra che è possibile costruire un fronte di lotta proletario contro governo e padronato. Fosse anche solo per questo, è un evento da valorizzare, un “passo in avanti” utile a compattare le singole lotte contro i licenziamenti in una prospettiva che vada oltre gli stessi confini nazionali.

Proprio perchè auspichiamo che l’11 ottobre rappresenti solo l’inizio di un percorso comune di lunga durata e non un appuntamento episodico, crediamo necessario mettere a fuoco alcuni problemi inerenti la preparazione e lo sbocco di questa giornata di lotta.

In primo luogo, dobbiamo far sì che a compattarsi non siano soltanto i lavoratori delle sigle promotrici, ma costruire un retroterra su cui questi si rivolgano anche alla parte più combattiva degli iscritti ai sindacati confederali e all’enorme bacino del lavoro precario ed ultra-precario non sindacalizzato. Lo sciopero deve riuscire cioè a dare una prospettiva che vada oltre la scadenza, nell’ottica del rafforzamento delle avanguardie di lotta, e del loro collegamento al di là delle appartenenze formali.

In secondo luogo, proprio quest’ultimo aspetto pone con urgenza il problema di trasformare le vertenze aziendali più “risonanti” (fra tutte la GKN, la Whirpool, la Embraco) dal “caso per caso” in un solo grande movimento di lotta contro i licenziamenti, in un unico “tavolo di trattativa” con il governo – per imporre con la forza della mobilitazione di piazza le nostre necessità.

Ciò sarà possibile, secondo noi, nella misura in cui: a) ci si muova in una lotta di “difesa” ponendo obbiettivi generalizzati unificanti (salario medio garantito a tutti i disoccupati e non “reddito universale”; riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario, indicizzazione dei salari, salario di sussistenza, lavori socialmente necessari e utili); b) si riconosca politicamente (e non solo “emotivamente”) il ruolo di “traino” del proletariato immigrato multinazionale della logistica organizzato con il SI Cobas. Il quale, vedi vertenza Fedex-TNT, ha veramente mostrato a tutti i lavoratori la via della ripresa della lotta di classe.

C’è da dire che sia i facchini della Fedex di Piacenza verso i loro compagni belgi, sia gli operai della GKN con la GKN Britannica, sia gli stessi lavoratori della Stellantis si sono già mossi in questa direzione, ma occorre sicuramente un salto politico che traduca i contatti in iniziative comuni di lotta, che vadano oltre i confini aziendali e/o categoriali e nazionali. L’attacco a cui siamo sottoposti vede in prima fila i grandi gruppi industriali e finanziari multinazionali, e non può esserci risposta efficace diversa dalla globalizzazione delle lotte e dell’organizzazione di classe, ponendoci tra gli altri gli obiettivi della contrattazione transnazionale di gruppo e di categoria.

Infine, ma non per ultimo come importanza, crediamo che il senso politico dello sciopero possa essere messo in risalto, e dare continuità, nella misura in cui il movimento farà suo l’obbiettivo di una patrimoniale di classe (tassando del 10% il 10% più ricco della popolazione). Altro elemento, questo, di unificazione dei vasti strati del proletariato, sfruttati sul lavoro e vessati dalle imposte (che pagano per tutti !).

Si tratta di agitare la questione del vasto spettro dei “bisogni sociali”: non in senso riformistico di “un nuovo modo di far la produzione” stile anni ’70 (di cui sono rimaste le ceneri), ma nel senso classista di imporre come urgente il soddisfacimento di bisogni di sussistenza, di tutela della salute, di risanamento ambientale attraverso la riappropriazione di una quota del plusvalore prodotto dalla classe proletaria. Questioni che diventano ancora più dirimenti proprio alla luce della profonda crisi attuale e delle risposte che ad essa dà la borghesia.

Sappiamo bene che questa strada è ardua da percorrere, ma non ci sentiamo di dare alcun credito ad impostazioni “minimaliste”, parziali ed illusorie (come quella che vuole far credere possibile la riedizione di riforme “neo-welfariste” a fronte della più profonda crisi mondiale della storia del capitalismo) presenti anche dentro alcune delle sigle promotrici dello sciopero, le quali non uscirebbero dalle secche della protesta di “facciata”.

Su tali presupposti potremmo avere altresì le carte in regola per contribuire a livello internazionale alla nascita di una aggregazione classista, in grado di passare da una pur dignitosa opposizione “minoritaria”, ad una opposizione “potenzialmente consistente”. E su questa base prospettare iniziative che attacchino in contemporanea i gangli “trans-nazionali” del capitale.

Lo sciopero deve inoltre mettere a fuoco gli aspetti classisti legati alla crisi sanitaria del Covid-19. Ai morti ed ai malati della “prima ondata”, quando per i padroni tutto doveva restare aperto ed i governi ed i politici borghesi si “incartavano” in una gestione criminale della pandemia (gli “stop and go”), dobbiamo ora sommare una politica terroristica su obbligo vaccinale e “Green pass”, funzionale a trasformare il Covid da problema sociale a problema individuale funzionale alla “ripresa”. Quando invece le responsabilità sono tutte di “sistema”: devastazione ambientale, supersfruttamento delle risorse, manipolazioni biologiche, la sanità e la salute pubblica viste come business.

Va contrapposto a ciò un vasto fronte di lotta nei territori, costituendo appositi Comitati di Lotta, che, insieme alle altre tematiche sindacali, sociali e politiche, imponga brevi lockdown là dove necessario, tracciamenti di massa, e soprattutto una rete di strutture di medicina territoriale, un servizio sanitario pubblico realmente universale e gratuito, dei severi controlli nei luoghi di lavoro, il potenziamento del trasporto pubblico…Il contrario, cioè, di quel “liberi tutti” chiesto a gran voce, in queste settimane, dalle piazze “No Pass-No Vax”. Detto che riteniamo utili ma assolutamente non risolutivi i vaccini, non dobbiamo farci imprigionare dal falso dibattito binario “pro” o “contro”, ma rivendicare la tutela ad ampio raggio della salute dei cittadini, ed in particolare delle lavoratrici e dei lavoratori, a cominciare dai luoghi di produzione.

Lo sciopero dell’11 ottobre è dichiaratamente contro i padroni ed il governo Draghi. La “ripresa” dell’economia italiana -il cosiddetto “rimbalzo”- è comunque fondata sull’aumento di precarietà e sfruttamento, l’iperflessibilità, i ricatti sul posto di lavoro, una sicurezza in caduta libera (il drammatico record dei morti sul lavoro) e, ove occorra (vedi i facchini), con la repressione dell’attività sindacale e delle lotte. Repressione che continua a colpire: alla UNES di Trucazzano (MI), solo per citare uno dei casi più recenti, la polizia è intervenuta sistematicamente contro quasi tutti I picchetti di sciopero dei lavoratori lasciati a casa per aver scioperato, infierendo su 13 di loro con fogli di via dal comune dove lavorano.

Lo sblocco dei licenziamenti del 1° luglio ha “sdoganato” ogni remora, preparando il terreno alla liberalizzazione del subappalto ed alla cosiddetta “riforma degli Ammortizzatori Sociali” che, sulla falsariga di quanto accaduto con l’Assegno Familiare Unico, rivedrà sicuramente al ribasso questi istituti.

Siamo di fronte ad un blocco padronal-affaristico che, basandosi sugli appetiti dei fondi della “Nex Generation EU”, punta ad escludere il lavoro-vivo da tali “benefici”, virando verso una sua ulteriore spremitura da spendere nella “competizione globale”.

Alla luce di ciò risulta patetico, oltreché offensivo per i lavoratori, il “grande dibattito politico” sul Reddito di Cittadinanza di questi giorni. Esso viene condotto su una misura “tampone”, limitata, parziale… che pur divide la politica borghese in suoi detrattori (quelli del “Sussidistan”) e suoi (timidi) sostenitori (quelli della “misura contro la povertà”). Una polemica evidentemente elettoralistica, condotta da agenti politici del capitale, preoccupati solo di non turbare “l’ordinato” svolgimento dell’estrazione del plusvalore operaio.

Di fronte a ciò è più che mai necessario contrapporre a simili parassiti una forte, compatta, duratura risposta di classe che, tra le altre cose, rivendichi con forza per disoccupati, semioccupati e sottoccupati il salario medio operaio. Una lotta di questo genere avrebbe l’effetto di mettere in seria difficoltà un governo che pare all’oggi pienamente padrone del campo sotto la guida di Draghi, il nuovo “uomo della provvidenza” per la borghesia italiana.

In questa lotta contro l’asse padronato/governo Draghi nessuna grande questione sociale ci deve vedere muti: né il balzo in avanti del processo di atomizzazione e di disciplinamento sociale realizzato con il pretesto dell’emergenza pandemica – a cui opponiamo il nostro no alla didattica a distanza, al lavoro a distanza e ad ogni forma di vessazione e discriminazione; né la guerra infinita contro gli emigranti e gli immigrati, a cui opponiamo la denuncia e la lotta contro i decreti Salvini e l’intera legislazione contro le popolazioni immigrate; né il folle aumento delle spese militari, a cui opponiamo il drastico taglio delle spese militari e il ritiro di tutte le missioni militari all’estero: basta guerre imperialiste, il nostro nemico è qui!

E non dobbiamo lasciare scivolare in secondo piano, come se fosse secondario, l’attacco specifico che in questa crisi viene mosso alle operaie, alle proletarie, a tutte le donne senza privilegi, le prime ad essere licenziate e marginalizzate, le più vessate sui luoghi di lavoro, gravate da carichi di lavoro di cura insostenibili, continuo oggetto di violenza maschile e di stato. Facciamo nostra la loro denuncia e appello alla lotta da dovunque venga, da qui, dalla Palestina come dal Brasile, convinti che il nostro fronte di classe sarà immensamente più forte con il loro apporto di energie e di coraggio.

Su ognuno di questi terreni di scontro siamo noi, come classe organizzata, che dobbiamo difendere noi stessi con la nostra forza organizzata, mettendoci di traverso alla repressione statale che vuole intimidirci per costringerci a disertare il campo di lotta.

Occorre dare ai “nostri” governi imperialisti uno scossone “interno” che faccia il paio con quello “esterno” appena subito da essi in Afghanistan. Qui l’imperialismo Occidentale, dopo 20 anni di “guerra al terrorismo”, condotta col terrorismo pianificato degli Stati e costata centinaia di migliaia di morti, è andato incontro ad una sconfitta bruciante. Anche se dobbiamo dire con chiarezza che questa non è, non sarà una “nostra” vittoria, fino a che il proletariato d’Area non sarà in grado di emergere a sua volta come “potenza politica indipendente”.

Possiamo sintetizzare così i nostri doveri internazionalisti verso le masse sfruttate di quei paesi: 1) la puntuale denuncia del ruolo di tutti gli imperialismi, a partire da quello di “casa nostra”; 2) la messa in campo di una solidarietà concreta e non di facciata: che preveda mobilitazioni, manifestazioni, scioperi in grado di mettere in difficoltà il “proprio” governo in una prospettiva di unificazione delle lotte del proletariato internazionale. La costruzione di una Assemblea Internazionale delle Lavoratrici e dei Lavoratori Combattivi, per la quale stiamo anche noi lavorando, dovrebbe segnare un primo momento fattivo di coordinamento. Ci sembra questo il modo migliore per dare forza, visione d’insieme e prospettiva allo sciopero generale dell’11 ottobre.

Viva lo sciopero generale!

Viva il fronte unitario di lotta di tutti i lavoratori e le lavoratrici!

Viva l’internazionalismo proletario!

Tendenza internazionalista rivoluzionaria

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Sul “green pass”. Perché siamo contrari – SI Cobas

Dal 15 ottobre sarà in vigore l’obbligo del certificato verde (“green pass”) per tutti i lavoratori pubblici e privati. Come Sicobas siamo contrari a questo provvedimento che non risolve certo i problemi legati alla pandemia, visto che il vaccino riduce solo la possibilità di contagiare senza eliminarla, e può anzi rivelarsi dannoso per il senso di falsa sicurezza che induce (nella scuola, ad esempio, l’obbligo di distanziamento è stato trasformato in un semplice “consiglio”).

Col “super green pass” il governo tenta invece di aggirare, attraverso un meccanismo autoritario e punitivo per i lavoratori, la volontà di continuare come nel passato: tagli alla sanità (i pochi assunti sono a tempo determinato, mentre i turni di lavoro rimangono massacranti), assenza di medicina preventiva e territoriale (tutto va concentrato sui grandi ospedali, lucrosi centri di spesa, sullo sviluppo della sanità privata e sulla aziendalizzazione di quella pubblica), tracciamento dei contagi inesistente, assenza di investimenti e assunzioni stabili nella scuola, nessun potenziamento dei trasporti pubblici (continuiamo ad ammassarci e contagiarci su bus e metropolitane per andare al lavoro!). Per non parlare della politica a scala mondiale dei governi dei paesi ricchi, che privano del vaccino la massa della popolazione, causando centinaia di migliaia di morti e mantenendo intatto un enorme bacino di infezione.

Scopo del governo e dei padroni non è la nostra salute come proletari! Ci hanno fatto morire a migliaia durante la fase acuta della pandemia per tenere fabbriche e magazzini aperti e continuare a fare profitti! Ora ci impongono il green pass per sgravarsi di ogni minimo obbligo in tema di sicurezza sul lavoro e trasformare il covid in un problema individuale del singolo lavoratore, mentre esso è una responsabilità del sistema di sfruttamento capitalistico. Noi siamo i primi a ritenere utile la vaccinazione e combattiamo risolutamente ogni posizione no-vax. Ma non possiamo accettare che, per ottenere un risultato minimo sul piano sanitario, si privino i lavoratori del loro salario, intervenendo con la scure sulle loro condizioni di vita.

Rigettiamo ogni tentativo di punire i lavoratori, mentre si smantellano le misure di prevenzione non solo dal contagio, ma dai rischi della stessa attività lavorativa, che causa tre morti al giorno per il profitto!

Denunciamo che le “sostituzioni” previste dal decreto sul green pass possono presto trasformarsi in licenziamenti, specie se lo stato d’emergenza verrà prorogato oltre il 31 dicembre.

Rivendichiamo la gratuità dei tamponi per chi vuole avvalersi di questa possibilità. Le aziende devono sostenere la spesa per la loro effettuazione, senza che essa pesi sui salari operai (oltretutto, il costo dei tamponi, 15 euro, è esorbitante, a fronte di una spesa molto più contenuta in altri paesi). Ricordiamo che già qualche azienda lo sta facendo (una nota catena di supermercati bio) e, soprattutto, che importanti settori di lavoratori si sono espressi in tal senso (Rsu Elettrolux di Susegana, Rsu Ilva di Genova, Coordinamento Lavoratori Portuali di Trieste). La gratuità dei tamponi per i lavoratori, che può essere ottenuta solo con la mobilitazione reale degli operai, senza fare affidamento sui cavilli legali, non è un mezzo per aggirare la questione vaccinazione, ma una rivendicazione per contrastare l’azione di divisione dei lavoratori perseguita dai padroni e deve entrare a far parte di quel piano generale per il tracciamento di massa, unico strumento efficace e sicuro per individuare e circoscrivere i focolai di contagio.

Combattiamo ogni tentativo di dare alle aziende, pubbliche e private, nuovi strumenti di repressione contro i lavoratori. La battaglia contro il green pass sui posti di lavoro non dev’essere la lotta per salvaguardare il primato del “diritto di scelta” individuale, tanto meno deve scadere nel rifiuto della vaccinazione, come negli scomposti vaneggiamenti delle piazze no vax, ma deve trasformarsi in una battaglia capace di collegarsi a tutte le altre battaglie, in grado di individuare un percorso di lotta collettivo di tutti i lavoratori, che faccia della lotta per la difesa della salute e della vita dei proletari un cardine della battaglia anticapitalistica.

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11 ottobre, bentornata lotta di classe – Giorgio Cremaschi

Le ovazioni da rockstar con cui l’assemblea degli industriali a Milano ha accolto un trionfante Mario Draghi, sono l’immagine più nitida del carattere profondamente di classe del governo che il banchiere guida.

In quella assemblea il controcanto amoroso tra il Presidente del Consiglio e quello di Confindustria ha prodotto due affermazioni e una richiesta tassativa. Mentre i padroni festeggiavano, Draghi li ha assicurati che nessuna redistribuzione del reddito, nessuna lotta alle disuguaglianze sociali toccherà i loro profitti e le loro ricchezze. Inoltre sia Draghi che Bonomi hanno spinto sulla necessità di accompagnare i soldi del PNRR, che in gran parte andranno alle imprese, con una nuova ondata di privatizzazioni e di “riforme” liberiste.

Infine sia il capo del governo sia quello dei padroni hanno ingiunto al sindacato confederale di sottomettersi a un nuovo patto sociale. Cioè di comprimere e tagliare ancora salari e diritti del lavoro, nel nome della ripresa e della crescita. Insomma, la solita vecchia ricetta liberista che santifica e incentiva la lotta di classe dei ricchi e condanna, reprime, impedisce, quella dei poveri.

Si poteva sperare e credere un anno e mezzo fa, all’inizio della pandemia, che il dilagare del morbo avrebbe imposto una svolta sociale e politica, di fronte alla evidenza criminale dei guasti prodotti da trent’anni di dominio del capitalismo liberista sulla vita e sulla natura. Sembrava quasi scontato nei primi mesi del 2020, quando tutti i manager delle imprese, della globalizzazione finanziaria e del mercato erano meno utili di un infermiere, di un addetto alle pulizie, di una commessa di supermercato, sembrava inevitabile che si ribaltassero i valori sui quali da decenni si era edificato un sistema sociale che crollava di fronte al Covid. Non a caso la rivista Lancet aveva proposto di definire la pandemia come “sindemia”, cioè malattia biologica e sociale, dove le ingiustizie della società accrescono la violenza del virus, che a sua volta produce nuove ingiustizie. Sembrava ragionevole che per combattere la crisi sanitaria e sociale se ne contrastassero le cause economiche e politiche. Invece un poco alla volta il vecchio sistema ha ripreso potere e consenso, e ora torna a presentarsi con il prepotente e autoritario slogan di Thatcher: non ci sono alternative.

Non che le realtà non abbia imposto scelte in contrasto con l’ideologia liberista. Ovunque in Occidente l’intervento dello stato in economia è risultato indispensabile, sono stati gli imprenditori privati i primi a pretenderlo. Ma, come aveva chiarito a suo tempo il presidente di Confindustria, questo intervento doveva servire a impedire il collasso del sistema e poi restituire alle imprese il potere di fare più profitti di prima, secondo il vecchio e mai morto principio padronale di socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.

La decisione di sbloccare i licenziamenti quando ancora la pandemia e la crisi sanitaria erano in atto, è stato il segnale più netto ed esplicito di questa scelta di classe del governo Draghi. Si sarebbe tranquillamente potuto prorogare il blocco almeno fino alla fine dello stato di emergenza, prorogata a fine anno. Si poteva accompagnare un provvedimento contraddittorio, arbitrario e anche ipocrita come il green pass con una vera pianificazione sanitaria e con misure adeguate di sostegno all’emergenza sociale. Nessuna multinazionale sarebbe fallita per questo. Invece sì è varata una misura di controllo di stato sulla condizione sanitaria dei cittadini assieme alla fine dei controlli e dei vincoli su affari e mercato.

Così dalla GKN all’Alitalia a tante altre imprese si è dato il via alla stagione delle ristrutturazioni selvagge, al massacro sociale. E con esso alla sperimentazione di nuovi livelli di sfruttamento e precarietà, di cui la cavia principale oggi sembra essere proprio Alitalia, dove il governo ha assunto manager di Marchionne per fare peggio di Marchionne. E poi la campagna reazionaria contro il reddito di cittadinanza, dove Giorgia Meloni e Mario Draghi giocano al poliziotto cattivo e a quello buono. La fine di quota 100 viene affrontata sempre più chiaramente delineando nuovi tagli alle pensioni e con il ripristino dell’età pensionabile della legge Fornero. Gli aumenti vertiginosi delle bollette dei servizi e la campagna generalizzata di sfratti. Ovunque si manifesti la questione sociale, oggi il governo Draghi è all’avanguardia nel difendere e imporre il peggiore dominio padronale e di classe.

Questa restaurazione borghese profonda e sfacciata gode della complicità del mondo dell’informazione e soprattutto della subalternità e del sostegno di tutto il sistema politico. Per questo Draghi viene osannato come nuovo uomo della provvidenza. Ma a livello sociale non va così liscia. Attorno alla lotta della GKN contro i licenziamenti sta crescendo un movimento di solidarietà quale da tempo non si vedeva nel paese. Così è anche per la protesta dei lavoratori dell’Alitalia e per tante altre vertenze. Ovunque crescono mobilitazioni che hanno in comune il rifiuto della politica economica e sociale del Governo Draghi e che oggettivamente mettono in discussione il disegno comune liberista del potere imprenditoriale italiano e di quello che guida la UE.

Insomma dopo decenni di lotta di classe dall’alto, seppure ancora in misure e forme ancora parziali, torna quella dal basso. Per questo Draghi e compagnia vogliono imporre ai sindacati confederali di fermare tutto. Perché in fondo hanno paura.

CGILCISLUIL cominciano a vedere il vuoto di trent’anni di politica concertativa. Hanno rinunciato alla lotta nel nome di pessimi accordi, ma ora anche quegli accordi vengono loro negati. Questo produce confusione e paralisi nel sindacalismo confederale, ma il torpore dei gruppi dirigenti non ferma certo la ripresa delle lotte sociali. È in questo contesto che lo sciopero generale proclamato da tutte le organizzazioni sindacali conflittuali e di base per l’11 ottobre diventa un appuntamento importante e nuovo per tutto il paese.

Non era affatto scontato che tutte le organizzazioni che contestano il regime di relazioni sindacali dominato da CGIL CISL UIL e dai sindacati di destra e corporativi, trovassero una data comune di lotta. Da anni, pur costruendo vertenze e conflitti rilevanti per i lavoratori ed il paese, in primo luogo nei servizi e nella logistica, queste organizzazioni non riuscivano a mettere assieme le forze. L’assassinio del sindacalista del SiCobas Adil a Lodi, pochi anni dopo quello di Abdel Salam, militante USB, a Piacenza, ha segnato il punto di svolta e spinto al percorso unitario. Ma se la risposta comune alla violenza padronale è stata l’impulso immediato e decisivo verso lo sciopero generale, la necessità di costruire una risposta al dominio del governo confindustriale di Draghi ne è la ragione di fondo. Lo sciopero dell’11 ottobre può essere il detonatore di una nuova stagione di conflitti sociali, perché sempre più persone non credono più alle favole liberiste di cui Mario Draghi è l’ultimo narratore. La lotta di chi lavora come sempre sconvolge la politica e tutti posti preassegnati in essa e ripropone le basi materiali della democrazia. Bentornata lotta di classe.

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Redazione
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Un commento

  • Interessante quel che dice il “sindacato” Si Cobas, LO RIPORTO IN BREVE:
    Dal 15 ottobre sarà in vigore l’obbligo del certificato verde (“green pass”) per tutti i lavoratori pubblici e privati. Come Sicobas siamo contrari a questo provvedimento che non risolve certo i problemi legati alla pandemia, visto che il vaccino riduce solo la possibilità di contagiare senza eliminarla, e può anzi rivelarsi dannoso per il senso di falsa sicurezza che induce (nella scuola, ad esempio, l’obbligo di distanziamento è stato trasformato in un semplice “consiglio”).

    COMPRENDO IL TIMORE PER LA PERDITA, Più o meno vasta di posti di lavoro, tuttavia vorrei che si pensasse. Credevo che il popolo pensasse: temo che non pensi più. Nella misura in cui ci si rincoglionisce con la TV.: Se il rischio è la riduzione della produzione industriale nazionale, la riduzione degli stipendi, la chiusura della CISL o della CGIL, piena di cattolicucci amici dei padroni, la necessità, dolorosa e sanguinosa, di doversi impadronire con la forza della ricchezza produttiva nazionale, ma soprattutto il riscatto culturale nazionale, scusate il salto concettuale, che non è tale, in realtà. Con l’eliminazione delle porcherie di Hollywood ed altri “passatempo”, Questo sarebbe ed è, certo un casino per il popolo: come cazzo fanno a non comprare una macchina nuova o a non andare in vacanza alle Seychelles?

    Sarebbe, invece, molto più semplice espropiare i possidenti, i “PRODUTTORI” E IL RESTO DELLA MERDAGLIA BORGHESE. Magari dovrebbe scorrere un po’ di sangue, ma, se no, che cazzo campiamo a fare?
    Che porcherie ho detto! Vergogna!

    Sono, purtroppo, entrato in conflitto con la CGIL, La CISL e la UIL, cioè con : cattolici di sinistra, cattolici, punto e basta ed i soliti socialisti traditori. Gli stessi da cui è uscito Mussolini, e grazie ai quali poi la DC ha regnato, con la C.I.A , con la Confindustria e con la mafia.

    Se vi sembro schizofrenico, estremista e sessantottino, ricordatevi però di ogni cosa: dal 1949 (la N.A.T.O.) a oggi; tutte le porcherie che abbiamo fatto, comprese le bombe sulla Jugoslavia, la Libia, eccetera. Ed il continuo, compiaciuto , leccare i coglioni agli americani, agli israeliani e ad altri popoli nocivi ed ignoranti che violentano il mondo con la guerra, la fame e l’idiozia religiosa, commerciale ed economica.

    CONSIDERATE LA VOSTRA SEMENZA, NON FOSTE FATTI A VIVER COME BRUTI; MA PER SEGUIR VIRTUTE E CONOSCENZA:

    Avete letto? siete ben tranquilli nel pensare che che chi scrive è un po’ matto e un po’ coglione?
    Bene, fatevelo mettere in culo e che buon pro vi faccia.

    Il matto e un po’ coglione, Giuseppe Scuto, dottore in Filosofia.

    Quant’è che non leggete un libro? Ciao.

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