Michela Murgia e la Carbosulcis

di Mauro Antonio Miglieruolo

Nel rievocare la vicenda della Carbosulcis Michela Murgia sul suo blog scrive (il 5 settembre 2012):
Lo so, non bisogna dirlo: ci sono le loro famiglie disperate. Non si può sostenere che la miniera debba chiudere: perderanno il lavoro, cioè la possibilità della sopravvivenza. Invece dirlo è necessario, perché la responsabilità della memoria di Buggerru (località Sarda dove si verificato uno dei tanti eccidi di lavoratori: nota mia) impone anche di chiamare per nome le scelte scomode che nessuna politica ha avuto il coraggio di fare negli ultimi cento e otto anni (non è vero: è stato fatto tutte le volte che alla borghesia è convenuto. Non solo chiamato per nome, ma anche assassinato, se necessario: nota mia). Ma anche fermandosi agli ultimi venti,

quelle scelte non le ha fatte il deputato sulcitano con l’elmetto che oggi è convinto di capitalizzare consensi facendosi fotografare con gli occhi sbarrati accanto a chi la giornata se la lavora davvero. Non le ha fatte nemmeno il presidente della regione Ugo Cappellacci, che in quattro anni ha cambiato quattro assessori all’industria e che meno di un anno fa ha nominato direttore della Carbosulcis un 28enne figlio di papà politico i cui unici titoli erano una laurea telematica e una specializzazione in gestione delle portinerie. Però quelle scelte – e questo va detto con chiarezza – non le ha fatte neppure la gente del Sulcis quando ha eletto questi incompetenti con il 56% delle preferenze, dimenticandosi che il futuro comincia dal voto responsabile: i politici hanno colpe oggettive (e soggettive no? – nota mia), ma qualcuno li ha eletti. Anche ricordare questo è necessario.
Lunga citazione, ma l’argomento e l’estensore, la meritavano. Per essere sicuri di non tradire un pensiero che altrove ha dato miglior prova di sé. Per rendersene conto è sufficiente considerare l’implicito in questa affermazione, il presupposto che resta nelle coscienze, o meglio che contribuisce a rafforzare ciò che è già stato fatto passare nelle coscienze: che la possibilità della sopravvivenza dei lavoratori e delle loro famiglie non fa parte delle priorità di una società come l’attuale, che pure ama definirsi civile. E lascia morire di fame e di disperazione chi per un tozzo di pane lo ha servito fedelmente per decenni, consumando allo scopo la propria vita. Persino il tribuno romano Columella (De Agricoltura) mostrava maggiore attenzione al benessere degli schiavi.
Dunque, il sano realismo che dovrebbe informare le nostri decisioni, ci dice Murgia entrando, ignoro quanto consapevolmente, nel coro dei sbandieratori dei sacrifici a senso unico, suggerisce che non delle ragione degli operai si tenga conto, ma delle priorità che i ragionieri che si spacciano per economisti indicano inderogabili dispotiche necessità scientifiche (della loro strana scienza). E invece proprio alle ragioni degli operai e famiglie io credo sia necessario appellarsi: per un ancora più sano realismo di quello di Murgia, un realismo capace di fare appello alla verità, alias all’effettivo funzionamento della società. Al realismo delle decisioni strategiche che è necessario una società assuma se non vuole andare incontro a difficoltà che alla lunga rischiano di produrre danni irreparabili. Come, non avendole prese, in effetti si sono prodotte.
Io non conosco il valore strategico delle miniere Carbosulcis. So però che la chiusura di quella miniera rappresenta un ulteriore passo verso la desertificazione dell’industria sarda in particolare e di quella italiana in generale. E so che di passo in passo in tale direzione è sicuro che la tendenza alla stagnazione, che nei momenti di crisi significa recessione, continuerà a farci perdere posizioni sullo scenario internazionale, con ulteriore tendenza della borghesia a scaricare sul lavoro le sue insufficienze, sperando di evitare un collasso che prima o poi finirà con l’arrivare.
Ora se un qualche processo di deindustrializzazione dell’Italia il capitalismo italiano avesse provveduto a innestare, magari un modello di sviluppo alternativo a quello democristiano degli anni ’50 e ’60, spingendo a esempio l’acceleratore sulla valorizzazione dei beni artistici e culturali, sulla tutela del territorio e quindi sul turismo; se vi fosse un rilancio delle ricerche, soprattutto in direzione delle energie alternative, capirei. Ob torto collo accetterei. Anche gli operai capirebbero. Perché allora saprebbero che in presenza della chiusura della una strada per loro se ne aprirebbe un’altra per tutti. Ma qui invece siamo a un continuo di funerali senza che si intravedano nascite e battesimi: tra dislocazioni, dismissioni e chiusure dei cordoni della borsa (soldi le banche non danno a nessuno) è una vera e propria perenne Notte di San Bartolomeo. Strage immensa di lavoratori sacrificati sull’altare di un falso idolo scientifico, che serve a mascherare quella che altro non è che scelta politica del Capitale, intensificazione dell’oppressione e dello sfruttamento per cavarsi dagli impicci che la ristrettezza di obiettivi e il secolare disprezzo che ha nutrito per gli infelici sottoposti al suo dominio.
Non credo che Murgia se ne renda conto, ma affermare quel che afferma, stante l’attuale temperie ideologico politica (e economica), equivale a avallare le peggiori implicazioni del liberismo. Cioè l’essere il lavoratore non altro che macchina tra le macchine, espressione economica fungibile, del tutto invisibile rispetto le esigenze della produzione. Nulla contano gli uomini che stanno dietro la nozione “lavoratore”. Conta la sola volontà del capitale, volontà colpevole o meno; nonché la sua abilità, esistente o meno. Ambedue sono l’assoluto a cui è necessario si pieghi ogni altra considerazione.
Murgia però è padrona di pensare come vuole, anche in contraddizione al pensiero proprio, o che le sia proprio. Padrona pure di lasciarsi sedurre dalle sirene dell’efficienza (che vale solo per la gestione del lavoro dipendente). Le rammento solo e la prego di tenerne conto nelle sue valutazioni, la mediocrità del ceto dirigente italiano, mediocrità secolare che si manifesta a tutti i livelli: politico, imprenditoriale, finanziario, nell’amministrazione pubblica. E di riflettere sulla singolare circostanza che quanto più si palesa tale mediocrità quanto maggiore è la perdita di peso da parte dei lavoratori dovuta al ricatto della disoccupazione e lavoro precario. Proposizione che può essere letta anche in chiave inversamente proporzionale. Quanto più diminuisce la capacità di opposizione operaia, tanto più cresce l’arbitrio padronale…
Quel che piuttosto intendo porre in evidenze è la sottile pervasività della sragioni del liberismo che ormai inquina le coscienza anche dei migliori: che sta alla base del pensiero della stragrande maggioranza di coloro che di cultura si occupano. Questo nonostante che il liberismo costituisca un gigantesco imbroglio, una colossale impostura. La quale impostura si regge su un assunto ideologico di base, una falsa rappresentazione delle cose che produce la permeabilità all’inganno e anche una sorte di smemorata propensione all’autoinganno; innescando una vertiginosa corsa al precipizio, sorta di mandria di bufali impazziti che siamo diventati, che sta portando alla distruzione l’intero corpo sociale.
Unica cura è il richiamano alla realtà delle pratiche economiche effettive che il sistema pone in atto. Di come effettivamente funziona. Coloro che vengono presentati come economisti, ma che con noi mai da economisti si comportano, sbarrano sistematicamente la strada alle proposte di soluzioni favorevoli ai lavoratori (li abbiamo sentiti tutti) accampando la necessità del rispetto dei principi di economicità del mercato (economicità da ragionieri, non da economisti). Quando però si esce dall’ambito della forza lavoro ecco che questi principi scompaiono, sostituiti da altro di volta in volta inventati per gabbare il fiducioso visitatore della fiera televisiva. Nessuno di loro infatti si preoccupa di censurare i governi sulle spese militari, già si per sé eccessive e spesso in aumento. Quando mai qualcuno ha visto un liberista stracciarsi le vesti su questo spreco enorme, che ingoia le risorse delle nazioni? Che falsa il sacro principio della concorrenza? Che contribuisce in maniera decisiva all’inflazione, in quanto vengono pagati salari per merci che non entreranno mai sul mercato?
Non è il solo ambito di diseconomicità sul quale gli “esperti” televisivi tacciono. O se ne parlano è per recriminare con aria afflitta e ampi sospiri di rassegnazione (non certo vaticinando disastri immediati e tuonando contro l’immoralità di elargire miseri salari a chi se li guadagna con grande sacrificio personale) per poi passare pudicamente a altro. Si tratta degli sprechi della politica e del SACCHEGGIO DEI SOLDI DEI CONTRIBUENTI. Le enorme risorse drenate a proprio favore dai politici (oltre quelle drenate a favore dei mandanti Caporali d’Industria) costituiscono una delle cause principali della particolare intensità della tempesta economica in cui si trova l’Italia, ma su questo nessun martellare instancabile, il martellare che invece colpisce i lavoratori colpevoli di volere il “lavoro stabile e sicuro” (con il quale affrontare le spese per la sopravvivenza molto più stabili e molto più sicure delle quali il sistema presenta il conto giorno per giorno, tutti i santi giorni che Dio manda in terra). Queste non contano, non è poi tanto urgente e “morale” evidentemente re-impadronirsi di queste risorse per destinarle a altro uso.
Non fosse infatti per qualche coraggioso magistrato che affronta l’inevitabile ritorsione dei politici, non ne sentiremmo neppure parlare.
Ma la perla è data dal trattamento che negli ultimi anni è stato riservato alla banche. Come prima e molto più di prima. Qui l’economia, lo spreco, il “non si può andare avanti in questo modo”, è dimenticato. Affossato. Scomparso. Invece di incorrere nelle giuste sanzioni che spetterebbero a chi raggira, ruba, rovina la società, alle Banche altri soldi, soldi a profusione. Soldi nostri, sottratti a noi, ai nostri bisogni, per darli a chi ci aveva, con inauditi trucchi, già tosato. E che continua a tosarci ancora.
E pensare che con una piccola percentuale di queste enorme massa di danaro potrebbero essere salvati dalla disperazione non solo gli operai del Sulcis, ma molte altre centinaia di migliaia di lavoratori, tutti gli esodati e dato un po’ di respiro ai pensionati al minimo. Senza aggravio di spesa per il bilancio dello stato.
Io però fin qui mi sono limitato a elencare gli aspetti parassitari dell’economia (alcuni aspetti); quel che più vale è rammentare che è del tutto naturale, anche in una economia capitalista, finanziare in perdita questo o quel settore di attività. Esistono settori, strategici per l’economia, che uno stato che si rispetti non può permettersi di trascurare, pena l’efficienza complessiva del sistema. Esempio, le infrastrutture del paese, senza il quale vi è un lievitazione insostenibile dei costi. Esempio: Sicilia e Calabria sono svantaggiate anche a causa della cattive condizione dei trasporti. Altro esempio: per decenni sulla bolletta energetica gli italiani hanno pagato maggiorazioni di costo che andavano a compensare gli sconti operati a favore delle aziende, affinché le aziende potessero continuare a essere. Ma evidentemente il principio vale per l’impresa. Non per qualsiasi impresa: per l’impresa di capitale. Per l’impresa di Rosaria Cutrufo, casalinga di Lecce, tre figli a carico, pensionata al minimo, non vale. E invece dovrebbe valere. Rosaria Cutrufo dovrebbe avere la possibilità di finanziarsi all’1%, come qualsiasi Istituto Finanziario, e prestare poi quei soldi allo stato al 5% o 6%, come fanno la banche. Il risultato dal punto di vista contabile sarebbe lo stesso. Dal punto di vista dell’economia invece una specie di trionfo. Rosaria Cutrufo, in quanto consumatrice marginale, investirebbe subito i guadagni sul differenziale degli interessi maturati per incrementare i magri suoi consumi e tutta l’economia tenderebbe a girare. Provate però a parlarne a qualche liberista. Non ricevere nessuna risposta razionale. Solo sorrisetti di derisione. Qualche ingenuo dirà: utopistico. Altri: impossibile. Non può funzionare. E io rispondo: certo che non può funzionare. Finché i lavoratori accetteranno di farsi impunemente licenziare, i cittadini di farsi tosare e gli ingenui alla Murgia di predicare astratti e non verificati principi di economicità, tutto questo davvero è fantascienza!
Sottopongo un ultimo elemento di riflessione. Che questa diseconomicità della quali tutti all’improvviso si ergono censori è andato avanti per decenni (nel silenzio generale) non certo a beneficio i lavoratori, ma per fini in parte difficili da capire in parte evidenti: fini clientelari. Proprio quello che denuncia Murgia, sembrerebbe. Esatto, proprio quello che denuncia Murgia. Solo che io ritengo di dover dedicare il mio sdegno a coloro che di quei lavoratori si sono serviti e che dopo aver fatto i loro porci comodi ora li vorrebbero abbandonare al loro destino. Senza offrire loro aiuto, senza decenti prospettive. E altri invece accetta che il tutto sia sanato senza colpo ferire, se non le ferite inferte nel corpo vivo del lavoro.
La verità da gridare allora non è che la Carbosulcis debba chiudere. La verità da gridare è che del problema devono, DEVONO, farsi carico coloro che questa situazione hanno lasciato incancrenire. Chiuse o aperte le miniere, riammodernarle o meno, a quei lavoratori spetta un lavoro, un lavoro di pari dignità, e spetta in Sardegna, nella terra dove sono nati e hanno trascorso, con grande sacrificio, la maggior parte della loro vita. Poiché so per altro che chi ha combinato il disastro non risponderà di nulla e non avrà nemmeno il pudore di rassegnare le dimissioni, neppure pongo l’alternativa di una possibile sanzione ai responsabili. Non esiste responsabilità in Italia, se non quella degli innocenti: di coloro che tirano la carretta e subiscono le conseguenze dei disastri che combinano coloro che la carretta non tirano.
Murgia se l’è sentita di unire la sua voce a quella del coro. Io no, non me sento. Non certo per giustificare ancora una volta, come ogni volta, la soluzione di ogni problema con le stangate o i licenziamenti in massa. Con tutto il rispetto e la stima, credo che la scrittrice sia incorso in un infortunio.
P.S. Due parole sulla stupidaggine insita nel commento all’espressione del voto da parte dei sardi (la considerazione che segue vale per tutti gli italiani). Un commento assolutamente indegno dell’intelligenza e sensibilità di un artista del livello di Michela Murgia. Anche se capisco la disdetta e l’esasperazione che la ispira. E che in gran parte condivido (mi sfugge anche a me di fare la medesima considerazione. Mordendomi subito dopo le labbra).
Si sa che l’espressione del voto dipende in larga misura dall’ideologia del soggetto che il voto esprime. Mi chiedo allora come sia possibile pensare che il soggetto in questione possa, in assenza di un serio partito di opposizione, manifestare un consenso differente da quello che l’ideologia corrente suggerisce. Come far maturare l’opinione delle persone senza qualcuno che al loro fianco mostri la possibilità e praticabilità di una politica diversa, una politica di onestà, di devozione agli interessi dei lavoratori, che pratichi i principi di uguaglianza, libertà, giustizia e beni comuni? Come solo sperare, non dico pretendere, non si lascino ingannare dai vari Cappellacci di turno?
Una scelta è possibile quando esistono alternative tra le quali scegliere. Non quando la scelta è tra due evidenti compari, uno con velleità di apparire onesto e l’altro senza; due compari che litigano solo per ottenere le spoglie dell’elettore, non certo per difenderlo.
Mauro Antonio Miglieruolo
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Seconda escursione nel “mondo reale”, lo strano mondo chiamato Italia, nel quale regna una fantascienza più audace e straniante di qualsiasi irreale romanzesca situazione fantascientifica sia mai stata inventata.
Una fantascienza, purtroppo, squallida, grigia, sur-reale. Ma bisogna prendere atto anche di questo, rifletterci su e fare quel che c’è da fare. Dare una mano per l’avvio di un radicale processo di cambiamento.

Mauro Antonio Miglieruolo

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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