Ecuador: la mano sporca di Chevron e…

… e quella del governo – di David Lifodi

Il meglio (FORSE) del blog-bottega /270…. andando a ritroso nel tempo (*)

La campagna del presidente dell’Ecuador Rafael Correa, “La mano sucia de Chevron”, è degna di considerazione almeno sotto due punti di vista. In primo luogo dimostra che il piccolo paese latinoamericano non intende essere sottomesso dalla potente multinazionale petrolifera, e, in seconda istanza, vuol far conoscere al mondo le bugie di Chevron, impegnata in un disperato tentativo per evitare la multa di 19 miliardi di dollari inflittale da un tribunale ecuadoriano Al tempo stesso, non si può far a meno di sottolineare l’enorme contraddizione dello stesso presidente Correa,che attacca i movimenti sociali e le organizzazioni indigene impegnate nella lotta contro lo sfruttamento petrolifero.

La Corte de Justicia de Sucumbíos, la provincia del Paese che più ha risentito del massiccio inquinamento di Chevron, ha emesso la sentenza contro la multinazionale petrolifera per aver provocato daños ambientales nell’Amazzonia ecuadoriana del nord. L’immagine della mano destra del presidente Correa, sporca di rifiuti provenienti dagli scarti del petrolio e disseminati per tutto il paese andino, ha fatto il giro del mondo, mettendo in pessima luce Chevron. I giornalisti al seguito di Correa hanno potuto constatare con i propri occhi il disastro ecologico, economico e umano prodotto dalla Texaco, acquisita da Chevron nel 2001. L’allora Texaco si stabilì nella provincia ecuadoriana di Sucumbíos nel 1964 e nel 1967 scoprì il primo giacimento petrolifero, Lago Agrio 1. Soprattutto tra gli anni ’60 e ’70 Texaco ha ricevuto il via libera nell’estrazione petrolifera dallo stesso Ecuador, che si atteneva strettamente alle direttive di Washington, fin quando la contaminazione non cominciò a mostrare i suoi drammatici effetti anche sulla popolazione: malformazioni congenite, casi di cancro e malattie della pelle all’ordine del giorno. Si tratta di un vero e proprio caso di genocidio ai danni della popolazione dell’Ecuador, compiuto peraltro con il consenso del potere esecutivo e legislativo del paese andino, le cui istituzioni all’epoca dei fatti erano dei semplici burattini nelle mani di Chevron. Nel 1993, a seguito delle denunce della gente di Sucumbíos, si aprì il processo contro Chevron a New York, con la multinazionale che fin da allora ha cercato di percorrere tutte le strade affinché venisse dimostrata la colpevolezza dell’Ecuador nell’aver causato la contaminazione. Chevron sa di poter giocare sporco: tra i suoi più fedeli alleati vanta personalità del calibro di Condoleeza Rice, già a capo dell’impresa petrolifera negli anni ’90, e Dick Cheney, non solo vice presidente di George W. Bush, ma capo supremo di Halliburton, con la quale la multinazionale del petrolio ha in essere commesse per centinaia di milioni di dollari. I non più di trentamila abitanti di Lagro Agrio, che hanno chiesto il risarcimento per danni ambientali, si sono trasformati nel peggior incubo per Chevron, impegnata a dimostrare che Texaco aveva bonificato i terreni prima di andarsene. E ancora: la spudorata campagna di bugie messa su da Chevron prosegue attraverso l’individuazione dell’impresa petrolifera statale, Petroecuador, come la principale responsabile dell’inquinamento ambientale. Fin quando Rafael Correa non è stato eletto alla presidenza del paese, Chevron si sentiva libera di agire indisturbata. Tra gli ultimi anni del Novecento e il gennaio 2000, quando Gustavo Noboa e Jamil Mahuad erano inquilini di Palacio de Carondelet (la residenza presidenziale), furono adottate una serie di misure economiche di stampo neoliberista che avevano fatto la fortuna di Chevron. Una prima rivolta contro il neoliberismo e il Fondo Monetario si ebbe nel gennaio 2000, quando delle enormi manifestazioni popolari cacciarono Jamil Mahuad. Il Tribunale di New York non è l’unico a cui si è rivolta Chevron: quello della Corte internazionale di Giustizia dell’Aia ha già stabilito che la multinazionale non è perseguibile sulla base degli accordi firmati nel 1995 tra Ecuador e Texaco, che pure aveva dato la sua disponibilità nel bonificare le aree contaminate. La Corte dell’Aia sostiene infatti che l’Ecuador avrebbe violato il Trattato Bilaterale degli Investimenti, ma per il presidente Rafael Correa si tratta di un’aberrazione dal punto di vista giuridico poiché il trattato è entrato in vigore nel 1997 e quindi è stato applicato in maniera retroattiva per fatti avvenuti tra il 1964 e il 1990. Inoltre, incredula per la sentenza del 2012 della Corte de Justicia de Sucumbíos, che in prima istanza aveva imposto una multa da 18 miliardi di dollari (poi aumentata a 19 per la copertura delle spese legali), Chevron ha accusato gli abitanti di Lago Agrio di aver corrotto il Tribunale di Sucumbíos per vincere la causa. Quest’ultimo imbroglio messo in atto da Chevron fa sorridere poiché proviene dalla seconda peggiore multinazionale del mondo in fatto di inquinamento ambientale. Inoltre, è risaputo che in più di una circostanza è stata Chevron a cercare di corrompere giudici ed esponenti politici. Peraltro Chevron, che furbescamente oggi non lavora più in Ecuador, può contare ancora su diversi alleati nelle stanze che contano: il giudice della Corte Federale Usa che dovrà pronunciarsi sul caso è lo stesso che finora è riuscito a bloccare la sanzione di 19 miliardi di dollari. Secondo le informazioni in mano del governo dell’Ecuador, Chevron avrebbe investito 400 milioni di dollari e contattato almeno 900 avvocati per sconfessare il verdetto della Corte de Justicia de Sucumbíos. Rafael Correa si è rivolto direttamente agli azionisti di Chevron affinché non si rendano complici dell’impunità a cui mira l’impresa petrolifera e ha proposto la creazione di un tribunale latinoamericano, nel segno di Unasur (l’Unione delle Nazioni Sudamericane), che regoli in maniera imparziale le controversie internazionali di questo tipo per controbilanciare il potere delle multinazionali: Chevron infatti può contare anche sul sostegno del Ciadi, il tribunale della Banca Mondiale. La proposta di Correa è senza dubbio ragionevole, ma nel caso specifico ci sarebbe almeno uno stato latinoamericano che si tirerebbe indietro. L’impresa petrolifera argentina Ypf ha infatti firmato un accordo con Chevron per l’estrazione di oro nero e idrocarburi tramite il fracking, il sistema di fratturazione idraulica che permette una migliore perforazione nella ricerca di gas e petrolio nella città di Neuquén (Patagonia). In attesa di ulteriori sviluppi della situazione il Congresso ecuadoriano ha approvato la campagna “La mano sucia de Chevron”, lanciata da Correa, e le organizzazioni indigene hanno chiesto un sostegno economico a livello internazionale per far fronte alle spese processuali. Ciò che invece continuare a destare forti dubbi è il continuo attacco contro movimenti e organizzazioni non governative contrarie allo sfruttamento petrolifero nel Parque Yasuní. Lo scorso 4 dicembre il Ministero dell’Interno ha ordinato la chiusura della Fundación Pachamama, ong che ha sempre appoggiato le istanze dei popoli indigeni sottolineando come la Costituzione che si richiama al buen vivir dovrebbe tutelare un modello di sviluppo rispettoso delle comunità indios.

È quindi preoccupante che, mentre il governo denuncia le malefatte di Chevron, al tempo stesso si faccia promotore dello sfruttamento petrolifero intensivo dell’Amazzonia ecuadoriana secondo una prassi volta a creare divisioni tra le stesse comunità indigene.

QUI UN INTERESSANTE AGGIORNAMENTO: L’avvocato troppo scomodo e la dittatura del petrolierato (di Luca Manes) a proposito dell’avvocato Steven Donziger che incredibilmente è agli arresti domiciliari a New York per aver difeso migliaia di indigeni della regione amazzonica dell’Ecuador, ma vedi anche Anche due “native” americane vincono il Premio Goldman (di MariaTeresa Messidoro) e Dal Salento all’Ecuador: estrattivismo, diritti della natura e…

(*) Anche quest’anno la “bottega” recupera – nel pieno dell’estate – alcuni vecchi articoli che a rileggerli, anni dopo, ci sembrano interessanti. Il motivo? Un po’ perché 20 mila articoli (appena superati) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché d’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che – il maledetto Covid permettendo – dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda (ma un po’ alla volta siamo arrivati alla fine del 2013) valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto ritrovare semi, ponti, pensieri, ornitorinchi (cioè stranezze eppur vere) perduti; ove possibile accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente. Con le firme più varie, con stili assai differenti e con quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. Al solito verso l’inizio di settembre termineremo questo (forse) “meglio”. Per rivederci presumibilmente la prossima estate. O chissà. [db]

 

Redazione
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Un commento

  • La profondita’ dell”articolo sottrae purtroppo come spesso accade la storia di una nazione alla facile iconografia esotico-turistica e affonda gli artigli nelle carni marce del neo colonialismo stragista. Istruttivo, necessario, drammatico.

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