oltre il green pass

articoli di Guy Van Stratten, Tomaso Montanari, Lotta Continua, Deriva, Paul B. Preciado, Giovanni Iozzoli, Carlo Freccero, Enrico Euli, Livio Pepino, Roberto Ridolfi, Francesco Masala, Paolo Desogus

La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta (Theodor W. Adorno)

Tutte le scoperte della medicina si possono ricondurre alla breve formula: “l’acqua, bevuta moderatamente, non è nociva” (Mark Twain)

Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito (proverbio)

 

Alcune considerazioni intorno al virus  – di Francesco Masala

1

È di questi giorni la notizia che alcuni Paesi europei vogliono rimandare in Afghanistan i rifugiati e migranti arrivati da lì. Restituirli ai talebani significa, probabilmente, la morte.

La “Fortezza Europa”, dopo aver illuso gli afgani, torna a casa con i suoi soldati (al seguito dell’Impero) e lascia soli gli afgani, farà massacrare gli interpreti e le loro famiglie, e addirittura rimanda (forse) quei pochi migranti che con peripezie inimmaginabili sono riusciti ad arrivare in Europa (quelli morti nel viaggio non rientrano evidentemente nella contabilità degli arrivi).

L’Impero (a cui la Comunità Europea, si era unita come fa un cagnolino col padrone) aveva iniziato una guerra dei 20 anni. Una guerra come quella del Vietnam: la storia non insegna a chi non capisce (o non vuole capire). Nel confronto fra esercito (o coalizione di eserciti) contro la guerriglia vince la guerriglia.

Questa lunga premessa per alcune considerazioni che vanno al di là del vaccino e conseguente green pass, che per quanto mi riguarda sono entrambi da avere: non sarà il meglio ma il meno peggio (così capisco io).

Il vaccino, con tutte le sue mutazioni e varianti è come la guerriglia: noi abbiamo scelto per combatterlo un generale, che sarà pure un bravo figliuolo, ma che bisogno c’è di un militare non l’ho mai capito (o forse sì, purtroppo). Il linguaggio del potere è quello di una guerra, e tutti siamo o buoni o cattivi, non ci sono vie di mezzo; non si fanno domande, in guerra.

Però qualche domanda esce da sola: mi ricordo l’anno scorso le parole di lode e amicizia per i medici e infermieri cubani venuti nell’inferno lombardo per aiutare. Intanto, come il cagnolino fedele, anche noi amiamo le sanzioni contro Cuba, e la possibilità di usare i vaccini cubani non è stata valutata. Come si permettono quegli illusi di fare vaccini fuori dalle regole del capitalismo (*)? Continuano a dimostrare che un altro mondo può essere possibile, bisogna spezzare le reni, a gente così (ecco perché l’embargo).

2

Tutti abbiamo letto o sentito la seguente frase “Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”, molti hanno riso, pochi si sono preoccupati.

La storia della guerriglia non ha insegnato niente, in Vietnam è finita in tragedia, in Afghanistan è finita (e continuerà) in tragedia.

Dopo decenni di allarmi inascoltati, sempre più circostanziati e precisi, il dramma della crisi climatica sta esplodendo sempre più forte; non lo sentono, per ora, solo quelli che hanno azioni nelle imprese del carbone e petrolifere, ma lo sentiranno, magari non personalmente, anche quelli dell’1%: tutti quelli che sono giovani adesso di sicuro.

L’istinto di sopravvivenza, che è una forma di egoismo, non riesce a far cambiare sistema economico, siamo il 99%, ma l’1% fa quello che vuole, tanto saranno tutti morti quando i drammi veri succederanno.

3

Torno al vaccino, non voglio cambiare argomento, ma a volte serve qualche passo di lato per capire meglio tutto il resto, e usare diverse paia di occhiali.

Dicono che il vaccino è utile e necessario ma non per tutti, solo per noi, o per chi ha i soldi. Ci hanno fatto una testa così con la globalizzazione, il mondo è interconnesso, siamo tutti un unico villaggio. E adesso quelli dell’1% a qualcuno fanno l’elemosina di vaccini, magari scaduti, a un po’ di governi di Paesi “feccia”, direbbe Trump.

Quando crepano di fame e malattie i poveri del mondo non hanno nomi, sono lontani, non sentiamo urla, paura, terrore, dolore, silenzi.

Ma sono fuori dalla nostra porta, occhio non vede cuore non duole (e se qualche fotografia e qualche storia ci arriva affonda presto nell’oceano della pubblicità, quasi mai ci resta qualcosa).

Con il virus cambia il paradigma: dal mercato cinese, dallo slum indiano, dalla baraccopoli nigeriana, dal loft di New York, il virus ci entra in casa.

Se fossimo egoisti, se avessimo l’istinto di sopravvivenza, si farebbe il vaccino universale per il virus, ma chi governa il mondo non è altruista e il 99% non è capace di imporsi (pare che Adam Smith dicesse che i padroni sono pochi e si mettono d’accordo in fretta, i lavoratori sono tanti, divisi, non si uniranno mai).

4

La nostra estinzione ** farà bene al pianeta Terra:

 

  • (*) un passaggio di un contratto di fornitura Pfizer (l’unico contratto che finora abbia rotto il muro della pubblica secretazione).

 (<<L’acquirente riconosce che il vaccino e i materiali relativi al vaccino e i loro componenti e materiali costitutivi vengono sviluppati rapidamente a causa delle circostanze di emergenza della pandemia di COVID-19 e continueranno a essere studiati dopo la fornitura del vaccino all’acquirente ai sensi del presente accordo. L’acquirente riconosce inoltre che gli effetti a lungo termine e l’efficacia del vaccino non sono attualmente noti e che potrebbero esserci effetti negativi del vaccino che non sono attualmente noti.>>)

da qui

 

** https://serenoregis.org/2015/02/20/perche-e-inevitabile-lestinzione-del-genere-umano-a-breve-termine-robert-j-burrowes/ 

 

Siete certi che il problema reale sia il Green Pass? – Lotta Continua

In que­sti mesi ab­bia­mo as­si­sti­to a con­ti­nue gi­ra­vol­te sulla te­ma­ti­ca delle vac­ci­na­zio­ni e sui provvedimen­ti anti-con­ta­gio. A de­stra la Lega ha ri­pe­tu­ta­men­te de­nun­cia­to la dit­ta­tu­ra delle mi­su­re di con­te­ni­men­to as­su­men­do le stes­se po­si­zio­ni dei pro­prie­ta­ri delle di­sco­te­che e dei set­to­ri pa­dro­na­li che anche nei mesi di mag­gio­ri con­ta­gi in­vo­ca­va­no la ria­per­tu­ra delle at­ti­vi­tà. La li­ber­tà di non vac­ci­nar­si viene oggi ca­val­ca­ta, così come hanno ri­ven­di­ca­to il di­rit­to dei da­to­ri di la­vo­ro di man­te­ne­re aper­ti i luoghi della pro­du­zio­ne anche nei mo­men­ti più dram­ma­ti­ci dei con­ta­gi, una sorta di somma li­ber­tà in­di­vi­dua­le e di im­pre­sa a pre­va­le­re sulla sa­lu­te pub­bli­ca. Nella prima fase pan­de­mi­ca, così come nella se­con­da, i pa­dro­ni hanno sem­pre so­ste­nu­to la ne­ces­si­tà di sal­va­guar­da­re pro­du­zio­ne, i loro pro­fit­ti, chie­den­do in­ter­ven­ti sta­ta­li a so­ste­gno delle im­pre­se, anche quel­le che non hanno su­bi­to cali di fat­tu­ra­to. E per mesi hanno in­vo­ca­to il ri­pri­sti­no dei li­cen­zia­men­ti col­let­ti­vi ot­te­nen­do il via li­be­ra dagli stes­si sin­da­ca­ti che pur sa­pe­va­no gli ef­fet­ti de­va­stan­ti che avreb­be avuto que­sta in­sa­na de­ci­sio­ne (sono già mi­glia­ia i li­cen­zia­men­ti ar­ri­va­ti nel solo mese di lu­glio). Nei mesi sin­de­mi­ci una parte del mondo in­du­stria­le e fi­nan­zia­rio ha ac­cu­mu­la­to enor­mi for­tu­ne, le spe­re­qua­zio­ni eco­no­mi­che e so­cia­li si sono acui­te, i vac­ci­ni con­ti­nua­no ad es­se­re di­spo­ni­bi­li, pur con il con­ta­goc­ce per mesi, nei paesi oc­ci­den­ta­li, ma non è così nel co­sid­det­to Terzo Mondo. L’ar­ri­vo del Go­ver­no Dra­ghi, for­te­men­te vo­lu­to dagli Usa, dalla Bce, dalle as­so­cia­zio­ni da­to­ria­li e dal sin­da­ca­to rap­pre­sen­ta­ti­vo, ha per­mes­so al­l’I­ta­lia di ot­te­ne­re i soldi del Re­co­ve­ry pre­sen­tan­do un piano di ri­lan­cio del paese ba­sa­to sulle in­fra­strut­tu­re e sulle gran­di opere, al con­tem­po sono ri­tor­na­ti i li­cen­zia­men­ti col­let­ti­vi e si va ri­scri­ven­do il co­di­ce degli ap­pal­ti se­con­do i de­si­de­ra­ta delle im­pre­se. L’ar­ri­vo di nuove va­rian­ti, il rad­dop­pio dei con­ta­gi e dei ri­co­ve­ri nel­l’ul­ti­ma set­ti­ma­na di lu­glio, ha ri­chia­ma­to l’at­ten­zio­ne sul fatto che i con­ta­gi non sono stati ar­re­sta­ti e stan­no ri­pren­den­do con nu­me­ri con­si­de­re­vo­li. Il Go­ver­no dal canto suo, per as­se­con­da­re Re­gio­ni e as­so­cia­zio­ni da­to­ria­li, ha mo­di­fi­ca­to le re­go­le in corso d’o­pe­ra e così il tasso dei con­ta­gi non è più il pa­ra­me­tro di ri­fe­ri­men­to e al suo posto su­ben­tra il nu­me­ro dei ri­co­ve­ri ospe­da­lie­ri. Metà della po­po­la­zio­ne ita­lia­na è stata vac­ci­na­ta con la dop­pia dose, tut­ta­via con mesi di ri­tar­do ri­spet­to alla ini­zia­le pre­vi­sio­ne e con vac­ci­ni te­sta­ti dalla Ue e dagli Usa, ai vac­ci­ni pro­dot­ti da altri paesi come Rus­sia, Cuba e Cina sono state chiu­se le porte senza mai giu­sti­fi­ca­re que­sta scel­ta con dati scien­ti­fi­ci inop­pu­gna­bi­li. At­tor­no ai vac­ci­ni si è sca­te­na­ta una guer­ra in­ter­na al ca­pi­ta­li­smo con le mul­ti­na­zio­na­li pro­dut­tri­ci che hanno ac­cu­mu­la­to enor­mi for­tu­ne anche in virtù della pro­prie­tà in­tel­let­tua­le de­te­nu­ta e mai resa pub­bli­ca, gra­tui­ta e ac­ces­si­bi­le a tutti\e. I loro pro­fit­ti sono stati resi pos­si­bi­li da fi­nan­zia­men­ti a fondo per­du­to pub­bli­ci se­con­do il prin­ci­pio ca­pi­ta­li­sta della so­cia­liz­za­zio­ne delle per­di­te e della pri­va­tiz­za­zio­ne dei pro­fit­ti. Non man­ca­no poi i casi di ope­ra­to­ri so­cio­sa­ni­ta­ri sot­to­po­sti a vac­ci­na­zio­ne ob­bli­ga­to­ria no­no­stan­te gli an­ti­cor­pi ele­va­ti e an­co­ra oggi sprov­vi­sti del Green pass in­di­spen­sa­bi­le a la­vo­ra­re. È im­pos­si­bi­le non sof­fer­mar­si su un pas­sag­gio della presa di po­si­zio­ne di Agam­ben e Cac­cia­ri lad­do­ve i due fi­lo­so­fi pre­sen­ta­no il green pass come la clas­si­ca fo­glia di fico “ipo­cri­ta”, “per co­pri­re i di­sa­stri del si­ste­ma li­be­ra­le nel tu­te­la­re la sa­lu­te dei cit­ta­di­ni”. Chi si sen­ti­reb­be di dar loro torto da­van­ti a oltre 130 mila morti? Non sa­re­mo certo noi a fare le bar­ri­ca­te sul Green pass, chi le fa spes­so vede la li­ber­tà solo dal punto di vista in­di­vi­dua­le, pa­ra­go­na il fo­glio verde a un pas­sa­por­to per la cir­co­la­zio­ne in­ter­na e in­vo­ca la re­si­sten­za al­l’au­to­ri­ta­ri­smo. I pro­ble­mi sono ben altri, dopo un anno e mezzo di con­ta­gi per avere una vi­si­ta in­tra­moe­nia, ergo a pa­ga­men­to in una strut­tu­ra pub­bli­ca, pos­so­no tra­scor­re­re mesi, i li­mi­ti del si­ste­ma sa­ni­ta­rio ita­lia­no sono evi­den­ti, le as­sun­zio­ni e gli in­ve­sti­men­ti an­nun­cia­ti sono stati ben poca cosa ri­spet­to alle reali ne­ces­si­tà. Noi da tempo di­chia­mo l’e­sat­to con­tra­rio di quan­to as­se­ri­to dalla Me­lo­ni o da Sal­vi­ni: serve più stato e più pub­bli­co nella istru­zio­ne e nella sa­ni­tà, mag­gio­ri in­ve­sti­men­ti, ma se guar­dia­mo ai nu­me­ri dei Go­ver­ni Conte e Dra­ghi non si in­tra­ve­de al­cu­na in­ver­sio­ne di ten­den­za ri­spet­to al pas­sa­to. Sem­pre nel­l’an­no e mezzo pan­de­mi­co al­cu­ni di­spo­si­ti­vi re­pres­si­vi sono stati af­fi­na­ti come di­mo­stra l’u­ti­liz­zo dei droni, la cam­pa­gna or­che­stra­ta per la de­la­zio­ne di massa con­tro chi non ri­spet­ta­va il di­stan­zia­men­to so­cia­le e le re­go­le anti-con­ta­gio, non si è in­ve­sti­to nella ri­cer­ca e nella sa­ni­tà pub­bli­ca, le as­sun­zio­ni sono in nu­me­ro del tutto in­suf­fi­cien­te ri­spet­to alle reali ne­ces­si­tà. I di­spo­si­ti­vi del ca­pi­ta­li­smo della sor­ve­glian­za, con la mo­ti­va­zio­ne di tu­te­la­re la sa­lu­te pub­bli­ca, hanno in­tro­dot­to norme e si­ste­mi di con­trol­lo an­co­ra più ri­gi­di del pas­sa­to, gli ope­rai ri­bel­la­ti­si ai li­cen­zia­men­ti hanno su­bi­to, come nel caso della lo­gi­sti­ca, re­pres­sio­ni, ag­gres­sio­ni, mi­glia­ia di de­nun­ce e ar­re­sti per as­so­cia­zio­ne sov­ver­si­va. Di que­sto una so­cie­tà senza sche­le­tri nel­l’ar­ma­dio do­vreb­be par­la­re li­be­ra­men­te senza na­scon­der­si die­tro al pri­ma­to della im­pre­sa, come negli ap­pal­ti, o alla ur­gen­za della ri­pre­sa. La so­cie­tà usci­ta dalla pan­de­mia vede la pro­gres­si­va con­tra­zio­ne delle li­ber­tà in­di­vi­dua­li e col­let­ti­ve e non per l’a­do­zio­ne del green pass. Per qual­cu­no la ma­sche­ri­na è il sim­bo­lo della op­pres­sio­ne, un mix di cul­tu­re anti-vax , an­ti­sta­ta­li­ste e so­stan­zial­men­te an­ti­o­pe­ra­ie che negli Usa ha de­ter­mi­na­to la for­tu­na del Tea party e di Trump, un mix di li­be­ri­smo eco­no­mi­co e mi­li­ta­riz­za­zio­ne della so­cie­tà oggi ri­pro­po­sto anche in Eu­ro­pa. Ma degli op­po­si­to­ri al green pass non dob­bia­mo fare un unico fa­scio, le ra­gio­ni di Cac­cia­ri e Agam­ben pos­so­no anche non es­se­re con­di­vi­se ma si­cu­ra­men­te vanno ben di­stin­te da quel­le di Sal­vi­ni e Me­lo­ni o peg­gio an­co­ra Forza Nuova e Casa Pound. Noi siamo con­sa­pe­vo­li che una svol­ta rea­zio­na­ria e re­gres­si­va sia alle porte, ma al con­tem­po siamo con­vin­ti che le cause di que­sta si­tua­zio­ne non siano le mi­su­re di con­te­ni­men­to del covid o le norme an­ti­pan­de­mi­che. A chi in­vo­ca la li­ber­tà di non vac­ci­nar­si rac­con­tan­do ma­ga­ri sto­riel­le degne del­l’Az­zec­ca­gar­bu­gli di Man­zo­nia­na me­mo­ria ri­cor­dia­mo la ve­lo­ci­tà re­pen­ti­na con la quale po­li­ti­ci no-vax e so­ste­ni­to­ri di Trump ab­bia­no mo­di­fi­ca­to in poche ore la loro opi­nio­ne fa­cen­do­si im­mor­ta­la­re dalle te­le­ca­me­re al mo­men­to del vac­ci­no salvo poi ab­brac­cia­re un mi­nu­to dopo po­si­zio­ni dia­me­tral­men­te op­po­ste. L’as­sen­za di me­mo­ria cri­ti­ca è il vero pro­ble­ma delle so­cie­tà ca­pi­ta­li­ste nel­l’e­po­ca dei so­cial. Non ab­bia­mo co­no­scen­ze scien­ti­fi­che suf­fi­cien­ti a du­bi­ta­re della ef­fi­ca­cia dei vac­ci­ni, siamo tut­ta­via con­vin­ti che le vac­ci­na­zio­ni an­dreb­be­ro au­men­ta­te senza per que­sto pen­sa­re a so­lu­zio­ni au­to­ri­ta­rie e im­po­si­ti­ve che pre­sen­te­ran­no i non vac­ci­na­ti come ne­mi­ci della sa­lu­te pub­bli­ca. E a chi in­vo­ca la Co­sti­tu­zio­ne a pro­prio pia­ci­men­to ri­cor­dia­mo che do­vreb­be men­zio­nar­la anche nelle parti can­cel­la­te ove si par­la­va di con­trol­lo e di­re­zio­ne a fini so­cia­li del­l’e­co­no­mia, per non par­la­re poi del pa­reg­gio di Bi­lan­cio im­po­sto nella Carta da schie­ra­men­ti bi­par­ti­san Se poi pen­sia­mo a Con­fin­du­stria non pos­sia­mo che de­nun­cia­re la ipo­cri­sia ti­pi­ca dei pa­dro­ni che la­scia­va­no i luo­ghi della pro­du­zio­ne aper­ti nei mesi del con­ta­gio e oggi per di­fen­de­re i pro­fit­ti vor­reb­be­ro li­cen­zia­re i non vac­ci­na­ti. La stes­sa ipo­cri­sia con la quale si parla oggi di Green Pass. Che fare al­lo­ra? In­tan­to po­ten­zia­re sa­lu­te e sa­ni­tà pub­bli­ca, li­be­ra cir­co­la­zio­ne dei vac­ci­ni, il no­stro in­vi­to è quel­lo di vac­ci­nar­si senza ca­de­re nella trap­po­la della co­stru­zio­ne del ne­mi­co di turno, il non vac­ci­na­to, de­nun­cia­mo i di­spo­si­ti­vi re­pres­si­vi at­tua­ti e la re­to­ri­ca della falsa mo­ra­le di go­ver­nan­ti e pa­dro­ni, quel­la stes­sa re­to­ri­ca che tace da­van­ti alla cre­sci­ta espo­nen­zia­le di in­for­tu­ni e morti sul la­vo­ro

Re­da­zio­ne pi­sa­na di Lotta Con­ti­nua

Da: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com/.

da qui

 

TUTTI GIÙ PER TERRA – Gian Luigi Deiana

vaccinazione: necessità sociale e libertà individuale – le mutazioni del virus, l’innalzamento della soglia di immunizzazione e il corto circuito del green pass

quello che scrivo qui vale se si è convinti che il covid esiste, che perdura una fase pandemica, che le misure di contenimento sono state necessarie a evitare la saturazione degli ospedali, e che una campagna di vaccinazione sia ora necessaria a far retrocedere l’epidemia; se non si è convinti della fondatezza di queste premesse le considerazioni seguenti sono inservibili;

queste medesime premesse non si situano tuttavia sullo stesso piano, piuttosto sono scalari; e quindi non si situano sullo stesso piano e sono scalari le relative obiezioni: 1, il covid non esiste; 2, esiste ma è un normale virus influenzale; 3, non è un normale virus influenzale ma si può curare a casa; 4, a conti fatti è più ragionevole non intervenire affatto piuttosto che azzardare cure invasive o peggio vaccini insicuri;

questa scalarità di obiezioni, di cui personalmente non condivido una cicca, tende in questa fase ad amalgamarsi in un’unica generale linea di contrasto, favorita dagli effetti collaterali del cosiddetto ‘green pass’: mentre infatti la campagna anti-covid vorrebbe essere generale, lo strumento green pass investe concretamente la situazione individuale: ed è così che tutti i fili si intrecciano portando la complessità sociale al corto circuito;

ora passiamo ai conti: stiamo smaltendo la seconda fase, che ha messo sul piatto le contromosse del virus da noi denominate varianti; contiamo ora nella sola europa un milione di morti, di cui oltre ottocentomila nella sola unione europea; guida la classifica il regno unito, che con una politica rocambolesca di apertura-chiusura ha bellamente superato l’italia, pur totalmente colta di sorpresa dalla primissima fase; ora sia in gran bretagna che in italia si conta un indice di 2 decessi ogni 1000 abitanti; invece, se compariamo in ambito europeo gli esempi opposti di massima precauzione e di minima precauzione registrati finora, possiamo appurare che mentre in ungheria e repubblica ceca si contano 3 morti ogni 1000 abitanti, in danimarca si conta 1 decesso su 3000 e in finlandia addirittura 1 su 6000; cioè, pur trascurando la finlandia che in distanziamento sociale eccelle per natura, il covid ha finora prodotto 1 morto ogni 300 abitanti in ungheria e 1 morto ogni 3000 abitanti in danimarca; tutti gli altri stanno in mezzo, ma una differenza di 1 a 10 tra i due estremi dice pure qualcosa sulla differenza di strategie (è curioso che uno stato di polizia come quello ungherese adotti una linea “liberi tutti” e un governo di assoluta osservanza liberale adotti invece una linea di disciplina e contenimento);

i dati sul numero complessivo dei contagi, degli ammalati gravi e delle sofferenze casa per casa segnano le stesse dìfferenze; non si tratta solo di diversa densità della popolazione o diversa qualità dei servizi sanitari, si tratta del costume nella condotta collettiva, cioè della composizione di società e stato, ovvero scelte dei governi e responsabilità degli individui;

ma a questo punto siamo al se e al come dei vaccini; non sappiamo per certo che i vaccini non busseranno negativamente sulla salute dei corpi nel prossimo futuro, sappiamo però che si è trattato dell’unico strumento utile a rallentare e circoscrivere l’espansione dell’epidemia, e a dar tempo alla scienza di cominciare a vedere più chiaro nel problema: e la scienza, appunto, a distanza di oltre un anno conferma la strada vaccinale;

sul fronte opposto, al pregiudiziale negazionismo noto come no-vax si è aggiunta la massa non imponente ma significativa dei refrattari al vaccino; sulla definizione della coloritura politica si può disquisire, ma è nell’ordine delle cose che la calamita di egemonia su questo fenomeno, che è una miscela di sana concezione medica e di malato ribellismo qualunquistico, si collochi a destra anche se vi cresce ai margini la refrattarietà di sinistra;

poichè in situazioni del genere io trovo spregevole il ribellismo qualunquistico, ma trovo anche atomistica la pura soggettività della concezione medica, cerco di riflettere sui tre gradini del problema:

1, perchè vaccinarsi; 2, il corto circuito del green pass; 3, la libertà individuale come aderenza al dovere sociale;

1, PERCHÈ VACCINARSI:

allo stato attuale, che è uno stato di necessitàe di urgenza, è necessario e urgente che tutti quelli che possono vaccinarsi, essendo in età utile e in buona salute, lo facciano, proprio per proteggere tutti quelli che invece per età o per salute (immunodeficienza, stato di gravidanza ecc.) invece non possono farlo; brutalmente: quanti più adulti restano refrattari alla vaccinazione, tanti più ragazzini ne dovranno essere sottoposti: cioè si abbasserebbe l’età fin quasi ai bambini, e perchè? perchè le varianti non si producono nel virus in quanto tale, si producono invece nella moltiplicazione dei contagi; ciò determina la necessità di una più alta soglia di copertura vaccinale, che se un anno fa era valutata sul 70 per cento della popolazione oggi invece, a variante delta, è valutata al 90 per cento; in sintesi, ogni vaccino adulto in meno significa qualche vaccino infantile in più: questo è quanto;

2, GREEN PASS:

l’elevata refrattarietà alla vaccinazione e l’insorgenza di varianti più minacciose ha indotto i governi a forzare l’indirizzo generale di lasciare ai cittadini la libertà individuale della scelta; una di queste forzature è il green pass; la ragione di fondo è la seguente: la libertà di scelta pertiene al cittadino astrattamente inteso; ma inteso concretamente, cioè nella rete della contiguità sociale, per esempio sul posto di lavoro: in un ospedale, o in un reparto o in uno sportello o in un servizio pubblico in genere,il lavoratore non vaccinato, ove contagiato, determinerebbe un effetto domino di quarantena su tutta l’organizzazione del suo comparto, e una parte imprevedibile della vita quotidiana di chiunque finirebbe gambe all’aria: anche solo l’orario degli autobus o la fila all’ufficio postale; evitare l’effetto domino non è solo l’imperativo contingente di un governo, è la ragione stessa per cui le società si sono dotate di governo;

3, LIBERTÀ COME DOVERE:

questi due vocaboli appaiono in netta opposizione, ma stando al più illustre interprete filosofico della più importante rivoluzione della storia, la rivoluzione francese, vi è un punto nel quale i concetti espressi da questi due vocaboli, libertà dell’individuo e responsabilità sociale, diventano la stessa cosa; questo illustre e magnifico filosofo della rivoluzione si chiama immanuel kant; chiamò questa sua concezione “imperativo categorico” e la formulò nel modo seguente: ” agisci in modo che la norma che ispira la tua azione possa valere come legge universale”; la domanda è: quale è, o quale deve essere in questa drammatica situazione, la norma auspicabilmente universale che ispira la mia azione, e la tua?

– SCENA MADRE:

ora abbiamo in scena il chiasso di rivolta contro il green pass, da un lato, e il silenzio di milioni che hanno fatto la fila per vaccinarsi, dall’altro; la scelta governativa del green pass è visibilmente azzardata, in quanto miscela i motivi diversi della protesta e ne innalza il volume, rischiando il corto circuito generale; ciò non toglie che dietro questo rumore di primo piano sta, sul fondo della scena, il silenzio dei milioni che hanno semplicemente portato se stessi all’immunità di gregge, senza nemmeno aver studiato kant;

((su questo tema mi si è dato del radical chic: nossignore, io ho pure studiato qualcosa, ma l’ho fatto pascolando pecore: io sono un RADICAL SHEEP))

 

DERIVA – Greenpass, nuovi confini e le frontiere della paura. Contributo per un ragionamento collettivo

Dall’inizio della pandemia non ho mai scritto su blog, né uso i social, né ero dell’idea che fosse utile l’allarmismo dell’emergenza securitaria iniziale quando non si sapeva cosa stava realmente accadendo. Sono una scienziata sociale, non un medico, quindi mi sono attenuta a ciò che so fare: osservare, non esprimere parole avventate, ma continuare a osservare e scrivere. E però ora, dopo 16 mesi dall’inizio di questa pandemia (non sono due anni, mi dispiace, ma solo 16 mesi. e la deformazione della percezione del tempo che noto attorno a me è un primo elemento che trovo allarmante), dopo 16 mesi dall’inizio della pandemia, ecco che ora sono preoccupata.

Sono preoccupata del silenzio, della totale assenza di dibattito, della mancanza totale di spazi di discussione cui ci siamo abituati e di cui non sembra vediamo più gli effetti deleteri. Sono preoccupata dell’amnesia totale che vedo attorno a me: non ci ricordiamo più cosa dicevamo solo 12 mesi fa, quando da tante e tante parti leggevo non vogliamo tornare a quello che c’era prima, perché quello che c’era prima era il problema. Sembra che non riusciamo a imparare dalla storia, e che non siamo in grado di vedere la differenza che c’è, oggi come nel 1969, nel 1980 o nel 2001, fra incidente e strage, tra incidente accidentale, e concorso in strage.
Certo, c’è un virus e questo non fa bene a nessuno e non va sottovalutato. Ma come dimenticare che il grosso numero di morti non lo ha provocato il virus da solo, bensì la gestione folle che già 16 mesi fa metteva l’economia davanti alla salute pubblica? Come dimenticare la Val Seriana e la Val Brembana nel bergamasco, sacrificate per il PIL della Lombardia che non doveva fermarsi? Come non vedere la differenza di responsabilità tra l’incidente (accidentale o meno che sia) del virus, e la strage provocata dei morti sul lavoro, o nelle RSA (Confindustria e Oms e governi vari tutti responsabili)?

I punti sono tanti, che non avendo più voluto/potuto discutere, andiamo perdendo. Proverò a nominarne alcuni (senza pretese di esaustività):

– La paura è al centro di tutte le reazioni e discorsi sul Covid, e l’incapacità di parlare e fare i conti con la paura (e con la morte, che è parte della vita e non sua eccezione) è certamente il punto Uno.

– Porre la questione in termini di vaccino si/no è porre malissimo la questione. La hubris umana ha un limite. Benissimo che i vaccini proteggano e tutelino al massimo le persone più fragili ed esposte agli effetti nefasti del Covid. Altra cosa è credere che il vaccino possa sconfiggere una pandemia che è globale, in cui i vaccini stanno toccando una porzione infinitesimale della popolazione globale, mentre corpi e soprattutto merci continuano a circolare e con essi i batteri, i virus e le varianti incrociate.

– Credo che un punto importante sia accettare che non siamo in una POST-pandemia, ahimè, ma che ci siamo ancora dentro fino al collo. La pandemia c’è e ci sarà ancora, fino a che la sua curva non raggiungerà il livello alto per poi scemare. Una pandemia globale ha dei tempi che sono al di sopra della hubris umana e della umana volontà di dominio su tutto il mondo che ci circonda.

– Il greenpass è uno strumento di controllo sociale, ieri il Ministro Speranza ha dichiarato che “Il green pass è la più grande opera di digitalizzazione mai fatta” (qui): dunque il punto è la digitalizzazione e il controllo a tappeto di tutte le azioni quotidiane, non la salute pubblica. Equiparare controllo e salute è davvero un binomio difficile da digerire. Il greenpass è un nuovo confine che stiamo vedendo erigere attorno a noi: non più alle frontiere degli Stati nazionali, ma alle frontiere dei nostri corpi. Si tratta sempre di mura, di confini che determineranno chi ha o meno dei privilegi. Ma in tante e tanti non urlavamo: La carta è solo carta la carta brucerà? Dov’è finita quella solidarietà verso i sans-papier e le persone che non possono e non potranno comunque accedere a questo pass? (e qui non è solo questione di procedure, si chiama paura anche quella).

– Il greenpass viene rilasciato dopo 1 sola dose di vaccino, che è ormai risaputo NON coprire né tutelare la persona dagli effetti nefasti del virus. Dunque nuovamente mi pare che lo Stato si voglia deresponsabilizzare per fare andare avanti l’economia senza dovere più provvedere a “ristori”. Ma dov’è la tutela della salute? Infine: il greenpass non è richiesto per entrare in Chiesa. Andare a Messa ancora una volta si rivela un assembramento consentito e tollerato beffando ulteriormente scuole, teatri e gli altri luoghi di socialità e cultura.

E alcune domande:

– Quanti soldi sono stati stanziati per implementare il sistema pubblico sanitario in Italia e in Europa in questi mesi? Perché pensiamo che la soluzione alla pandemia sia un vaccino e un nuovo passaporto digitale, invece che risorse a strutture, cultura della salute, del cibo, importanza dello sport e un attenuazione degli stress e della paura che sono invece fortissimi inibitori del sistema immunitario?

– Quale è l’intervento di salute pubblica che giustifica l’ipotesi di obbligo vaccinale per i giovani? Questo punto mi fa talmente male che non riesco neanche a commentarlo, ma è di una gravità immonda, e che non ci siano discorsi seri che prendano in conto i rischi che non conosciamo degli effetti negli anni di questo vaccino nei giovani (perché non c’è stato il tempo tecnico necessario) è l’ennesima testimonianza che viviamo in una violenta gerontocrazia patriarcale.

– Cosa ha provocato l’emergere del Covid? E cosa ha trasformato un virus in una pandemia globale? Come mai non si parla degli allevamenti industriali, dei combustibili fossili, delle centrali nucleari, e di tutte quelle miriadi di cose che producono e quotidianamente fabbricano le condizioni perché si sviluppino questo o altri virus?

– Infine: come possiamo illuderci che un vaccino risolva la pandemia (o tanto più un documento di controllo digitale), se non affrontiamo in nessun modo le cause strutturali che l’hanno provocata?

Sono cresciuta in un contesto in cui la cultura non erano nozioni da ingerire attraverso uno schermo, ma un quotidiano allenamento al pensiero critico, alla riflessione, all’osservazione e all’utilizzo del cervello che sento di avere sotto la corteccia cerebrale.

Sono caduta nello sconforto quando vedevo persone accorrere in fila allo spriz appena riapriva il bar, tanto quanto ora pensare che il vaccino “è l’unica soluzione che abbiamo”. Tanto più trovo razionalmente infondata ogni equiparazione tra vaccino e greenpass. Difenderò sempre l’importanza dei vaccini per difendere le persone a rischio e limitare la circolazione del virus. Ma nessuno può farmi credere che il vaccino a meno dell’1% della popolazione mondiale possa arginare un virus che la mal-gestione delle istituzioni che ci governano ha trasformato in pandemia. Mi rifiuto di dimenticare le responsabilità politiche che hanno portato alla strage del bergamasco e su cui- tra l’altro, per inciso- non si vuole indagare, nonostante le richieste dei familiari delle vittime.

Mi rifiuto di smettere di utilizzare il mio cervello, perché il fatto che funzioni me ne lascia una responsabilità enorme. Mi rifiuto di pensare che fare una passeggiata con o senza cane possa fare male a qualcuno, che stare chiusa in casa faccia bene alla salute (mentre le fabbriche erano sempre piene), che oggi mangiare al ristorante o bere il caffè senza essersi potuti vaccinare equivalga ad attentare alla salute pubblica. C’è una bella differenza tra egoismo neoliberale che vuole solo fare crescere il PIL o tornare a una brutta copia di quel che era prima, e un singolo corpo che cammina e respira. Le stragi le fanno i padroni, e come tanti anni fa, ancora adesso spesso si fanno aiutare dai fascisti per ottenere il risultato che vogliono.

Non smettiamo di usare la testa, non smettiamo di essere solidali, non smettiamo di cercare e condannare le responsabilità strutturali che hanno condotto al punto in cui ci troviamo.

Infine: impariamo ad ammettere che abbiamo paura, anzi che siamo terrorizzati pure. Che la morte ci spaventa, che la malattia ci fa paura. Non è un male avere paura, è parte della vita la morte, come è parte dell’amore la paura della sua fine. Eppure, impariamo a conviverci, perché l’amore è più forte.

da qui

 

UN PUGNO DI DOMANDE ALLA “GALASSIA ANARCHICA” E AL RESTO DELL’UNIVERSO

Chi scrive questa breve riflessione-provocazione è un uomo cis, trentenne, bianco, con cittadinanza italiana, relativamente benestante, ad oggi in buono stato di salute psicofisica, attualmente assunto presso un centro vaccinale in qualità di infermiere e, per concludere l’elenco, anarchico.

Tutta questa bio unicamente per sgombrare il campo il più possibile da qualsiasi fraintendimento e per giocare a carte scoperte, coi miei privilegi in bella mostra.

La volontà di scrivere nasce da una personale inquietudine, data dal periodo storico che stiamo vivendo, e dall’intento di portare un contributo alla riflessione, non certo per abbozzare un’analisi esaustiva, per la quale mi accorgo di non possedere strumenti sufficientemente adeguati e di non essermi confrontato abbastanza con chi mi circonda (e che non necessariamente frequenti ambienti con la A cerchiata in bella mostra).

Scelgo lo stile dell’elenco puntato e la forma interrogativa per rendere il più possibile fruibili e immediate le mie considerazioni e al contempo per esprimere il fatto di avere a disposizione, allo stato dell’arte, molte più domande che risposte.

  • Siamo davvero cert* di aver elaborato analisi “a tutto tondo” del periodo storico attuale, nello specifico in riferimento alla pandemia di Covid-19 che tutt* ci troviamo ad affrontare? Ci si è concentrat* eccessivamente sulle misure repressive e coercitive portate avanti dalle istituzioni nazionali ed internazionali? Sono forse passate in secondo piano le ricadute sulla quotidianità di ciascun* di noi che, volente o nolente, è parte integrante del tessuto sociale e come tale ne è influenzato in un rapporto di interdipendenza (ricadute in termini di salute psicofisica, reddito, relazioni, abitudini, )?
  • Cosa significa fino in fondo e quali implicazioni può avere schierarsi “contro la scienza”? Cosa si intende davvero con “dominio tecno-scientifico”? Non è forse vero che proprio grazie al pensiero scientifico, al metodo empirico, al ragionamento induttivo e alla ricerca sul campo si è aperta la Modernità, prendendo le distanze da epoche in cui il modo dominante di spiegare il mondo era quello imposto dal tiranno di turno o da istituzioni religiose? Quanto è impregnata di scienza e tecnologia la nostra quotidianità? Potremmo realmente farne a meno? Quali conseguenze comporterebbe? Ne saremmo colpit* tutt* allo stesso modo?

Non usiamo forse farmaci per curarci, ormoni per transizionare, chirurgia medica per intervenire a più livelli sui nostri corpi? Il privilegio di non dover convivere ancora oggi con determinate patologie non deriva forse da campagne di vaccinazione di massa?

Infine, non sono forse discipline scientifiche anche botanica, antropologia, filosofia, storia? Non provengono da scienziati e ricercatrici gli studi di cui ci serviamo per lottare, ad esempio, contro progetti di “grandi opere” o per denunciare la catastrofe climatica in corso?

È possibile mantenere un approccio critico alla scienza e alle sue derive, senza per questo buttare il bambino insieme all’acqua sporca?

  • Siamo d’accordo sul riconoscere che la specializzazione dei mestieri e delle professioni sia, insieme al pensiero scientifico, un ulteriore elemento che ha permesso il passaggio alla Modernità (e che poi si è mantenuto nella Post- Modernità)? Al netto dei rischi e delle criticità legati alla notevole rilevanza della figura dell’ “esperto” nell’epoca contemporanea, come si giustifica una sempre più diffusa diffidenza, se non astio manifesto, nei confronti di chi si è format* e specializzat* in una determinata branca del sapere, dedicando allo studio e al lavoro sul campo la propria esistenza?

Non ne ha forse beneficiato l’intera società e ciascun* di noi nel proprio

vivere quotidiano?

Se è vero che in certi ambienti anarchici la delega è percepita come il male assoluto e, al contrario, il “Do It Yourself” un principio guida, non è forse connaturata al vivere collettivo una certa percentuale di delega e di fiducia? Possiamo davvero definirci competent* in ogni ambito del sapere umano e perciò sentirci legittimat* a formulare sempre e comunque un giudizio di merito? È così negativo affidarsi a professionist* per la produzione di farmaci, la costruzione di una casa o di un’infrastruttura, l’assistenza e la cura, l’insegnamento, la produzione di alimenti, la ricerca sul campo?

Non sta forse nella mutua solidarietà e nell’interdipendenza una delle caratteristiche definenti del vivere in una comunità umana?

  • Oltre all’interdipendenza, mi preme sottolineare il concetto di “vulnerabilità”. È capitato anche a voi nei mesi scorsi di incontrare conoscenti che hanno manifestato sprezzo nei confronti del pericolo di contagiarsi/contagiare? Persone convinte di essere tanto sane e forti da non avere nulla da temere? O che addirittura hanno ironizzato/criticato chi optava per comportamenti diversi dai propri, talvolta bollandoli come espressioni di timore o paura ingiustificati.

Ci sentiamo davvero così invincibili?? Lo saremo anche in futuro? Abbiamo preso in considerazione lo scenario della malattia e della morte per noi stess* e per le persone che amiamo?

Anche fosse la paura a guidare i comportamenti di chi abbiamo di fronte, siamo ancora in grado di comprendere tali sentimenti? Di entrarci in contatto creando una relazione empatica?

Nei nostri gruppi di affinità potrebbero esserci persone immunodepresse, sieropositive, con patologie e fragilità… tuteliamo anche loro? Se già ora hanno bisogno della scienza medica, gliela negheremmo? Valgono meno di chi, almeno per il momento, sceglie o può scegliere di non ricorrervi?

Il tanto abusato slogan “Si parte e si torna insieme” può repentinamente trasformarsi nell’intramontabile “Si salvi chi può”?!

  • Parallelamente ad una spregiudicata e generica critica alla “tecno-scienza”, procede a passi svelti una altrettanto generica esaltazione della “natura” e di tutto quanto venga percepito-definito “naturale”.

Qualcun*, di grazia, mi saprebbe fornire una definizione esaustiva di questi termini?? Una definizione utilizzabile nell’anno 2021, se possibile.

Non è quantomeno curioso che su questo terreno così scivoloso e spesso anacronistico, siano venute a coincidere posizioni un tempo apparentemente agli antipodi? Può essere ritenuto esemplificativo il caso dello spazio “La piralide” di Bergamo che tenta goffamente di sincronizzare le proprie battaglie con le peggio esternazioni omotransfobiche di Arcilesbica o di gruppuscoli nazisti d’Oltralpe?

Possiamo stare un poco più attent* ad utilizzare spregiudicatamente il concetto di “natura”, in particolare quando conduce a pericolosi cortocircuiti del pensiero e prese di posizione violentemente escludenti?

  • Un’ultima riflessione sul linguaggio, i toni del dibattito-scontro in corso e sulle parole e le espressioni che scegliamo di utilizzare.

Innanzitutto, cosa ci fa essere tanti sicur* delle nostre opinioni e visioni del mondo da arrivare a denigrare ed attaccare chiunque non le condivida per intero?

Perché mettere sempre e comunque in dubbio le competenze, l’etica, l’intelligenza, l’attitudine altrui e mai (cristo!!) la propria?!

Sono automaticamente le/gli altr* gli infami, i servi, i paurosi, gli ignoranti, il “gregge di pecore” (espressione molto in voga e talvolta uscita pure dalla bocca e dalle tastiere di fantomatic* antispecist*)?

Ancora, perché utilizzare impropriamente termini quali “dittatura”, “apartheid”, “cavie”? Siamo forse palestinesi sotto occupazione israeliana? Viviamo in Corea del Nord? Siamo Uigur* in Cina? Abbiamo vissuto sotto al Fascismo italiano? Siamo allevati e sfruttati per i test pre-clinici di farmaci, additivi e cosmetici?

Abbiamo mai sperimentato la condizione di “senza documenti” / ”clandestini” e ciò che essa comporta nella vita quotidiana delle persone che la fronteggiano? Siamo sicur* di voler paragonare un Green Pass ad un passaporto o ad un permesso di soggiorno? Mettere sullo stesso piano un controllo di polizia rivolto ad un* cittadin* italian* ed un rastrellamento su un treno o un checkpoint militare?

Mi sono dilungato troppo? Probabilmente sì.

Com’è probabile che sia stato superficiale e incompleto.

Non importa ora, lo siamo tutt*.

Mi auguro di essere riuscito ad esprimermi nella maniera migliore per essere compreso e che i contenuti di questo testo non urtino troppo la sensibilità di chi si prenderà il tempo di leggerli.

Rimango a disposizione per proseguire questo dibattito, meglio ancora se di persona.

Un abbraccio libertario.       ilmestieredelcorvo.blog

da qui

 

Vax, no vax, la bio-politica e il ritorno dei corpi – Guy Van Stratten

“Datemi dunque un corpo”: è la formula del capovolgimento filosofico. Il corpo non è più l’ostacolo che separa il pensiero da se stesso, ciò che il pensiero deve superare per arrivare a pensare. Al contrario è ciò in cui esso affonda o deve affondare, per raggiungere l’impensato, cioè la vita.

Gilles Deleuze, Cinéma 2. L’image-temps

Per cominciare, vorrei evitare di usare le parole “vax” e “no vax”, ormai diffusissime su tutti i media all’insegna di una spettacolarizzazione ostentata e diffusa. Esse, infatti, come altre parole introdotte dall’emergenza Covid (cfr. Covid e linguaggio. Le nuove parole come ambigui strumenti del potere) fanno parte di un sistema di discorsi che si diramano da una maglia fittissima di poteri (in questo caso viene risemantizzato un termine utilizzato in passato prevalentemente per indicare chi era contrario ai vaccini sui bambini). Non si tratta di un solo, fantomatico ‘potere centrale’ ma, appunto di una relazione fra diversi poteri. Come ci insegna Michel Foucault ne L’ordine del discorso, esistono svariati discorsi che isolano, emarginano, escludono.

Tali parole, in questi giorni, sono vere e proprie protagoniste sui media e sui social, spettacolarizzate in modo iperbolico, all’interno di quella “immensa accumulazione di spettacoli” che è diventata la società attuale, come aveva lucidamente preconizzato Guy Debord. Per questo, le vorrei lasciare ai media, ai giornali servi della borghesia e agli intellettualini borghesi che su quegli stessi giornali scrivono; le vorrei lasciare ai social e a quella fogna a cielo aperto che è Facebook dove quelli che erano puri sfoghi spettacolari e individualistici si sono trasformati in diktat che vorrebbero avere anche un significato sociale e politico.

Sui social, in questi giorni, tali discorsi che si intrecciano, si separano e si estendono come le radici arboree e che escludono credendo di unire, riguardano in modo prepotente i corpi degli individui. Quella tra favorevoli e contrari al vaccino anti-Covid è una discussione che investe direttamente i corpi di tutti. Non intendo adesso schierarmi dall’una o dall’altra parte ma soltanto offrire una descrizione di quello che sta avvenendo all’interno di questo fittissimo intreccio di svariati poteri. Come ricorda Foucault, “una società non è un corpo unitario in cui si esercita soltanto un potere; in realtà, è una giustapposizione, un legame, una connessione, anche una gerarchia di differenti poteri, che però conservano le loro specificità” (M. Foucault, Le maglie del potere, conferenza pronunciata all’Università di Bahia, 1976, ora in AF 3, p. 159). Non dobbiamo pensare al potere che esclude, emargina e separa come a una sorta di potere centrale che cala dall’alto, un’imposizione giuridica e disciplinare che dice “non devi”. Nelle trame dei discorsi si intersecano miriadi di poteri che tagliano, separano, escludono, isolano, anche e soprattutto nella smisurata marea dell’universo social.

In questo momento stiamo assistendo a un prepotente ritorno dei corpi. Dopo la chiusura, la digitalizzazione dell’esistenza, lo smart working e la DAD, i discorsi si stanno spostando sui corpi. In gioco, infatti, non ci sono nient’altro che corpi: vaccino sì, vaccino no, si discute soltanto sulla necessità o meno di inoculare una sostanza dentro i corpi e sulla possibile esclusione di alcuni di questi corpi a determinate pratiche sociali nonché sull’ammissione di altri. Il discorso socio-politico si sta reimpossessando di corpi che erano stati negati, allontanati, annullati, nell’impossibilità di potere incontrarsi e interagire fra di loro. Da ciò, all’interno di questo discorso, nasce un’altra polemica-spettacolo, quella sulla liceità o meno del cosiddetto green pass. Ora, io credo che tirare in ballo, riguardo al green pass la segregazione razziale e le persecuzioni naziste e fasciste nei confronti degli ebrei sia una pura follia e un errore storico clamoroso. Però, a questo punto, dovremmo anche rifiutarci di utilizzare il termine “negazionista” per indicare chi non ‘crede’ all’estrema pericolosità del virus perché, come si sa, la parola “negazionismo” appartiene a quello stesso campo semantico (gli orrori della Shoah) e non ritengo sia opportuno applicarlo a ambiti diversi da questo.

La polemica che si sta scatenando in questi giorni dimentica la complessità delle relazioni fra le maglie dei diversi poteri. Il dibattito dovrebbe essere inserito all’interno di un organismo discorsivo più ampio. Non si può essere d’accordo con l’una o con l’altra parte senza considerare il terreno socio-politico nelle sue complessità, un terreno devastato – non dobbiamo mai dimenticarlo – dalla modalità di produzione capitalistica. In gioco entrano una serie di fattori la cui complessità imporrebbe discussioni di ben altro livello e che riguarderebbero i tagli alla scuola e alla sanità pubblica, le speculazioni delle grandi lobby della farmaceutica, la devastazione dell’ecosistema, la commercializzazione di animali e capi di bestiame su larga scala e via di seguito. Il Capitale prosegue alla cieca, devastando tutto e rinforzandosi, un po’ come il mostro extraterrestre di Alien (1979) di Ridley Scott, un film che, tra l’altro, spiega come gli interessi di una corporation globale del futuro non siano davvero incentrati sulla salvaguardia degli esseri umani (la scelta è infatti di sacrificare l’equipaggio dell’astronave per condurre sulla Terra la creatura aliena). Invece di portare avanti un dibattito sterile, infarcito di odio a più riprese, invece di colpevolizzare ora chi è favorevole ora chi non è favorevole al vaccino ci si dovrebbe guardare intorno e considerare come tutti siamo schiavi di un sistema che, pur di produrre maggiore profitto, sarebbe disposto a uccidere milioni di vite umane. Ma questo, purtroppo, passa sempre in secondo (o terzo) piano oppure non viene nemmeno tenuto in considerazione.

Non c’è niente di nuovo sotto il sole; l’inedito assetto geo-politico scatenato dall’emergenza Covid nella nostra era digitale trae le sue origini in pratiche socio-politiche legate alla modernità. Come le forme di disciplinamento sociale messe in atto dal lockdown, dal coprifuoco, dalle autocertificazioni non hanno fatto altro che emergere da pratiche di controllo preesistenti, così la necessità del vaccino e le norme disciplinari che ne derivano (se non ti vaccini non puoi…), come il famigerato green pass, fanno parte di un sistema bio-politico preesistente, che vede le sue radici almeno nel XVIII secolo. Ecco perché avvicinare il green pass alle leggi razziali sarebbe un grave errore storico. Esso, semmai, appartiene interamente alla società di controllo di carattere moderno. Ancora una volta, è la lucidità di Foucault a trarci d’impaccio. A partire dal XVIII secolo – dice lo studioso – il volto del potere è cambiato: “Bisognava passare da un potere lacunoso e globale a un potere continuo, atomico e individualizzante: al posto dei controlli globali, di massa, bisognava poter controllare ogni individuo, nel suo corpo e nei suoi gesti” (ivi, p. 161). Si tratta di una tecnica e di una tecnologia di potere che investe gli individui anche nel corpo e nel comportamento, come una vera e propria anatomia politica:

In altri termini, il secolo XVIII ha scoperto una cosa capitale: che il potere non si esercita semplicemente sui soggetti, come presupponeva la tesi fondamentale della monarchia, secondo cui esistono il sovrano e i soggetti. Si scopre che il potere si esercita sulla popolazione. Che cosa vuol dire popolazione? Non significa soltanto un gruppo umano numeroso, ma esseri viventi attraversati, comandati e retti da leggi e processi biologici. Una popolazione ha un tasso di natalità, di mortalità, ha una curva e una piramide di età, una morbilità, uno stato di salute; una popolazione può estinguersi o, al contrario, svilupparsi (ivi, pp. 163-164).

Dal XVIII secolo, ancora oggi il potere sta affinando il suo controllo sugli individui: “Il potere deve esercitarsi sugli individui in quanto costituiscono una specie di entità biologica, che deve essere presa in considerazione se si vuole utilizzare la popolazione come macchina per produrre ricchezze, beni o altri individui” (ivi, p. 164). È quella che lo studioso francese definisce come “bio-politica” (ibid.). All’interno di questa società bio-politica, se così si può dire, “la medicina non ha più oggi un campo che le sia esterno” (M. Foucault, Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina?, conferenza tenuta nel 1974 all’Istituto di medicina sociale dell’Università di Rio de Janeiro, ora in AF 2, p. 214). E, continua Foucault, “si potrebbe affermare a proposito della società moderna in cui ci troviamo, che noi viviamo in ‘Stati medici aperti’, in cui la medicalizzazione è senza limiti. Alcune resistenze popolari alla medicalizzazione si spiegano precisamente con questo predominio perpetuo e costante” (ibid.). Non dobbiamo, perciò, stupirci più di tanto se esiste chi si oppone al vaccino anti-Covid: tale opposizione, probabilmente, non deriva da un rifiuto della ‘salute pubblica’ e del ‘bene comune’ ma agisce – nello stesso identico modo in cui nella modernità gruppi politici o religiosi si sono opposti alla medicalizzazione – come una vera e propria reazione, appunto, alla pervasiva medicalizzazione della società.

Per concludere, si potrebbe affermare che il dibattito fra chi è favorevole al vaccino e chi non lo è andrebbe inserito in una dimensione di pensiero più ampia, che includesse la complessità delle maglie relazionali e discorsive di un’intera società, senza mai dimenticare che si tratta di una società devastata dal modo di produzione capitalistico. La sterilità che avvolge tutte le opinioni e i discorsi sciorinati sui media e sui social dai più diversi opinionisti dimostra soltanto una profonda incapacità di pensiero. Quando gli “intellettuali di sinistra” dicono che in piazza a protestare contro il vaccino ci vanno solo i fascisti non fanno altro che favorire il gioco di quegli stessi fascisti e complottisti di destra che più facilmente, allora, scenderanno in piazza. Ma se possediamo un corpo, oggi più che mai, all’interno della sua complessità, dobbiamo possedere anche una lucidità di pensiero (come scrive Gilles Deleuze, “il corpo non è mai al presente, contiene il prima, il dopo, la stanchezza e l’attesa”, C 2, p. 210): dobbiamo essere più che mai corpi pensanti contro le svariate maglie di poteri che, sempre di più, proprio sui nostri corpi vanno infierendo con ogni mezzo.

Riferimenti bibliografici:

AF 2 = M. Foucault, Il filosofo militante. Archivio Foucault 2. Interventi, colloqui, interviste. 1971-1977, Feltrinelli, Milano, 2017.

AF 3 = M. Foucault, Estetica dell’esistenza, etica, politica. Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, Feltrinelli, Milano, 2020.

C 2 = G. Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano, 1989.

da qui

 

 

Abolire i brevetti sui vaccini COVID – Andy Bichlbaum

All’inizio di maggio, dopo aver affrontato mesi di pressione popolare, l’amministrazione Biden ha annunciato che avrebbe sostenuto la rinuncia ai diritti di proprietà intellettuale per i vaccini COVID. Mentre quella decisione è stata celebrata come una significativa vittoria del movimento; ciò che è effettivamente necessario ora è la completa abolizione dei meccanismi di applicazione della proprietà intellettuale che hanno portato all’attuale scenario da incubo, dove solo i paesi ricchi hanno accesso ai farmaci salvavita.

L’ostacolo principale alla produzione di vaccini COVID in tutto il mondo si chiama Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale, o TRIPS. Questo accordo è entrato in vigore nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 1995, dopo una forte pressione da parte della Pfizer. TRIPS era esattamente nel mirino degli attivisti che hanno chiuso il WTO nel 1999, ma poi è scomparso dalla vista fino a poco tempo fa. Quel movimento ha ispirato il gruppo che ho co-fondato, gli Yes Men.

Oggi, la Pfizer e altre compagnie di vaccini, protette dal TRIPS, hanno fatto immensi profitti dai brevetti; nove nuovi miliardari sono nati grazie al COVID. Allo stesso tempo, Pfizer e altri vaccini sono criticamente scarsi nei paesi che non possono permetterseli. Questo ha già portato a centinaia di migliaia di morti inutili.

Per quelli di noi che hanno partecipato all’anti-WTO e ad altri movimenti, così come per milioni di altri americani, è stato a lungo ovvio che il capitalismo all’americana è una questione immorale di vita e di morte. Alcuni prosperano, molti muoiono e non c’è nessun “meritevole”. I deserti alimentari, le scuole pubbliche impoverite e i senzatetto di massa nella nazione più ricca del mondo sono accuse verso un sistema in cui le grandi corporazioni dettano la politica. Per non parlare poi dell’assistenza sanitaria che è decente solo per coloro che pagano bene

Ma l’apartheid dei vaccini che si basa sui TRIPS è un altro livello di criminalità. Centinaia di migliaia di persone sono già morte nei paesi poveri. E non indirettamente, come con l’accesso ineguale al cibo, all’acqua, ai servizi igienici e agli alloggi, ma direttamente, perché non hanno accesso ai farmaci salvavita.

So come ci si sente a perdere un membro stretto della famiglia a causa di una COVID prevenibile. Mio padre, un sopravvissuto all’Olocausto, è morto l’8 gennaio di COVID-19 non diagnosticato e di polmonite; dopo mesi di inettitudine governativa nel tenere sotto controllo il virus e nel preparare gli ospedali per le prossime ondate. L’ospedale in cui ha preso il virus aveva una casistica di COVID travolgente e non poteva prevenire l’infezione incrociata; quando è tornato due settimane dopo, i medici, fortemente stressati, hanno sbagliato la diagnosi.

Conoscendo l’angoscia di un solo lutto inutile, è difficile immaginare che qualcuno possa giustificarne centinaia di migliaia nei paesi poveri, tutto in nome dei profitti aziendali. Eppure, difendendo i diritti di proprietà intellettuale, o IP, delle grandi aziende, questo è ciò che fa Big Pharma. “Se non si protegge la proprietà intellettuale, allora essenzialmente non c’è incentivo per nessuno a innovare”, ha detto il CEO di AstraZeneca Pascal Soriot.

Questa logica – la stessa usata per giustificare le sentenze TRIPS contro i farmaci generici contro l’HIV nel 1999 – non è solo inumana, è fondamentalmente sbagliata. Non è infatti la promessa di enormi profitti che alimenta grandi scoperte come i vaccini mRNA che ora frenano il COVID dove sono disponibili. Sono i finanziamenti dei contribuenti più la decenza umana. I profitti massicci possono essere l’”incentivo” dei vertici aziendali. Non lo sono per gli scienziati e gli ingegneri al centro degli sforzi per salvare la vita, come quelli del National Institute of Health.

Il NIH ha speso oltre 900 miliardi di dollari per la ricerca dagli anni ’30, e letteralmente ogni medicina approvata dalla FDA dal 2010-2016 ha coinvolto la scienza finanziata dai contribuenti del NIH. Anche la ricerca che ha portato al vaccino Moderna è stata quasi interamente finanziata dal governo degli Stati Uniti, e nessuno ha fatto miliardi sviluppandolo. Ma guidati dal Bayh-Dole Act dell’era Reagan, i NIH consegnano sistematicamente le loro scoperte alle corporazioni per “commercializzarle” – il che significa far pagare alla gente un braccio e una gamba per medicine che loro stessi hanno finanziato. E grazie al TRIPS, queste corporazioni traggono profitto a livello globale da queste scoperte finanziate pubblicamente, a un costo enorme per la salute pubblica ovunque. (Bayh-Dole fornisce al governo il diritto di sospendere i brevetti sulle invenzioni finanziate dal governo, ma il governo non lo ha mai usato).

Molti di coloro che hanno fatto grandi scoperte o invenzioni salvavita hanno reso chiaro che, lungi dal fornire un “incentivo”, i diritti di proprietà intellettuale delle aziende sono solo d’intralcio. Jonas Salk si rifiutò deliberatamente di brevettare il vaccino contro la polio o di guadagnarci sopra; la sua diffusione non ostacolata da brevetti, quel vaccino ha praticamente sradicato la polio in pochi anni. Anche il vaccino contro l’influenza, negli ultimi 50 anni, è stato prodotto da scienziati che collaboravano sotto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, salvando innumerevoli vite senza alcuna considerazione di proprietà intellettuale. E Tim Berners-Lee, che con un modesto stipendio ha inventato il World-Wide Web – una tecnologia essenziale per contenere il COVID-19, e una grande ragione per cui non è stato così letale come l’influenza spagnola del 1918 – ha poi notato che brevettare il web sarebbe stato un disastro.

Biden ha cambiato la sua posizione sulla deroga TRIPS solo dopo aver affrontato mesi di proteste e una petizione alla Casa Bianca firmata da più di due milioni di persone. Mentre questo ha segnato un importante passo avanti, non è neanche lontanamente sufficiente. La settimana scorsa c’è stata una serie di proteste in tutto il paese presso aziende farmaceutiche e consolati tedeschi. Unione Europea, e la Germania in particolare, stanno ancora difendendo i brevetti sui vaccini.

Oltre a chiedere una deroga temporanea ai TRIPS, che è il minimo indispensabile, i movimenti di oggi dovrebbero considerare soluzioni a lungo termine. Dato che questa non sarà l’ultima pandemia che affronteremo, la proprietà intellettuale deve smettere di essere applicata alle medicine salvavita. Gli attivisti dovrebbero porsi l’obiettivo più in alto chiedendo la completa abolizione del TRIPS, così come l’abrogazione della legge Bayh-Dole. Questo consentirebbe al NIH di mantenere i brevetti per le medicine che sviluppa con denaro pubblico. Possono quindi essere usati per il bene pubblico, e tutti i ricavi che portano possono essere incanalati di nuovo nella ricerca critica.

Questa non è un’idea nuova. In effetti, il concetto stesso di proprietà intellettuale è stato contrastato da quando ha alzato la sua brutta testa nel XIX secolo. E negli anni ’80, gruppi come Health Action International hanno chiesto di eliminare i brevetti per le medicine essenziali e di aumentare lo sviluppo di alternative generiche.

Gli sforzi dell’HAI hanno aiutato il Bangladesh a mantenere le protezioni per le medicine essenziali a basso prezzo e la produzione interna, di fronte alle enormi pressioni delle corporazioni farmaceutiche e di alcuni governi. E quando, nel 1997, il Sudafrica ha affrontato un’opposizione simile per una legge che permetteva la produzione di farmaci generici contro l’HIV, i movimenti sociali in Sudafrica, negli Stati Uniti e altrove hanno costretto i governi e alla fine Big Pharma a fare marcia indietro, il che significa che molte migliaia di persone hanno potuto avere accesso alle cure.

Il successo di HAI, ACT UP e altri movimenti nel forzare cambiamenti politici e persino scoperte mediche ci ricorda che poche migliaia di attivisti motivati possono opporsi a Big Pharma e ad agenzie governative complici. Se anche una piccola percentuale di coloro che sono stati colpiti da COVID si mobilitasse contro TRIPS e Bayh-Dole, ci ritroveremmo con un mondo più sicuro. E non solo per coloro che non possono permettersi i criminali prezzi aziendali, ma per tutti. Dopo tutto, il virus, come la decenza comune, non conosce confini.

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Noi, il vaccino e la pandemia: il green pass è davvero la soluzione? – Livio Pepino

Il green pass (o passaporto vaccinale, per usare un termine meno fuorviante: https://volerelaluna.it/opinioni/2021/08/04/il-green-pass-quando-il-linguaggio-non-aiuta-a-capire/) è da oggi necessario – in forza del decreto legge n. 52/2021 convertito nella legge n. 87/2021 – per l’esercizio di molteplici attività (consumazione di cibi all’interno di ristoranti e bar, accesso a cinema, teatri, musei e mostre, partecipazione a concorsi pubblici e via seguitando) ed è stato esteso proprio in queste ore, sia pure con decorrenza differita, anche al personale di scuole e università, agli studenti universitari e per i trasporti a lunga percorrenza. La sua introduzione, seguendo il modello francese (unico nel panorama europeo), sta provocando dubbi, discussioni e proteste. Comunque non sarà indolore e vedrà il rifiuto e la contestazione non di alcuni sparuti no Vax ma di settori consistenti della società (calcolati da alcuni in diversi milioni di persone). Per di più essa ha già ampliato una spaccatura politica strumentale, foriera di ricadute imprevedibili nelle prossime elezioni (con una rappresentazione surreale in cui la destra eversiva invoca il rispetto della costituzione e delle libertà mentre quel che resta della sinistra si accoda acriticamente al Governo e declina slogan più che argomenti).

Naturalmente si schierano all’unisono in favore del green pass gli editorialisti dei grandi media ammonendo i dissenzienti con la solenne affermazione che «la libertà non è arbitrio». Quel che resta in secondo piano è l’analisi del rischio che in questo modo non si tuteli la salute della collettività (addirittura abbandonando o riducendo altri necessari presìdi) e si deteriori ulteriormente la situazione istituzionale (già in drammatica sofferenza tra governi tecnici, irrigidimenti decisionisti, emarginazione del Parlamento, strumenti normativi impropri, attribuzione di ruoli tipicamente civili a militari che ci tengono a mostrarsi in tuta mimetica o in divisa e via elencando).

Provo a spiegare perché.

Primo. Non esiste nel nostro Paese un obbligo generalizzato di sottoporsi a vaccinazione contro il Covid. Tale obbligo è previsto solo, ai sensi dell’art. 4 decreto legge n. 44/2021, convertito in legge n. 176/2021, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori sanitari che svolgono la loro attività in strutture sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali. Ci sono, nel dibattito politico, proposte di questo genere ma, allo stato, non sembrano all’ordine del giorno. Non per una impossibilità giuridica, ché l’articolo 32 Costituzione prevede la possibilità, a determinate condizioni, di trattamenti sanitari imposti dalla legge e nel nostro sistema già esistono ben 10 vaccinazioni obbligatorie (tra cui quelle contro la poliomielite, il tetano, il morbillo, la rosolia e la varicella) ma per due ragioni fondamentali. Anzitutto per il carattere tuttora sperimentale (seppur con avanzato tracciamento) dei vaccini contro il Covid, con l’ovvia conseguenza, affermata in numerose sentenze della Corte costituzionale, che ove il vaccino possa comportare un rischio per la salute della persona sottoposta a vaccinazione, quest’ultima non può che essere rimessa alla scelta individuale. In secondo luogo per la perdurante incertezza, dimostrata dalla stessa evoluzione della pandemia pur dopo l’attuazione di piani vaccinali molto estesi, circa l’efficacia del vaccino al fine di impedire la trasmissione del virus a terzi (condizione, quest’ultima, necessaria, per l’introduzione dell’obbligo, la cui legittimità è legata alla tutela della salute pubblica e non di quella di chi si sottopone al vaccino). Correttamente dunque – per vincoli giuridici ma anche per evidenti ragioni logiche – l’incremento delle vaccinazioni è, e deve continuare ad essere, perseguito con l’informazione e la persuasione e non con obblighi.

Secondo. Nella strategia della persuasione può rientrare l’introduzione di un passaporto vaccinale che, consentendo l’accesso a determinati servizi e attività solo a chi ne è in possesso, incentivi a vaccinarsi gli incerti o i riottosi? O esistono delle controindicazioni all’uso di tale strumento? C’è, al riguardo, un punto di principio ineludibile. Un lasciapassare il cui possesso amplia la sfera dei diritti o delle opportunità e la cui mancanza restringe tale sfera produce, di fatto, un doppio livello di cittadinanza, introducendo nel sistema un virus pericoloso e ponendo un precedente suscettibile di seguiti assai gravi. Ma, sostengono i pasdaran del passaporto vaccinale, il rilievo è improprio perché, in questo caso, si è di fronte a una diversità di trattamento determinata da una scelta dell’interessato e, per di più, si tratta di una situazione già presente nell’ordinamento (posto che, per esempio, solo chi ha conseguito la patente di guida può condurre dei veicoli) senza che ciò determini contestazioni o scandali. L’obiezione è tanto suggestiva quanto infondata. In primo luogo, in questo caso non si è in presenza di una scelta tra due opzioni che stanno sullo stesso piano ma del rifiuto di un trattamento sanitario invasivo e potenzialmente rischioso (ché analoghi rilievi non sono emersi con riferimento a una scelta non invasiva come l’uso della mascherina). Il secondo luogo, l’abilitazione alla guida (così come quella all’esercizio di una professione) riguarda l’esistenza o la mancanza dei requisiti tecnico-professionali per svolgere una specifica attività e pone una differenza di trattamento solo con riferimento a quella attività e non a una generalità (potenzialmente indeterminata) di situazioni. Non è poca cosa. Né va trascurato il fatto che gli effetti a lungo termine dell’erosione di un principio o di un diritto fondamentale, seppur inizialmente limitata (e non è questo il caso…), sono imprevedibili. Ed è per questo che la normativa europea (a cui pure la legislazione nazionale dovrebbe uniformarsi) è drastica nell’escludere la possibilità di strumenti siffatti. Il punto 36 del regolamento UE 953/2021 prevede, infatti, che «è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che […] hanno scelto di non essere vaccinate» e ad esso si affianca la risoluzione n. 2361/2021 del Consiglio d’Europa, che, nei punti 7.3.1 e 7.3.2, prescrive di «assicurare che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare» (punto 7.3.1) e di «garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato o per non voler essere vaccinato» (punto 7.3.2).

Terzo. Ma c’è chi, considerando i vincoli giuridici alla stregua di semplici lacci e lacciuoli, invoca, per mali estremi (il Covid, nel caso specifico), estremi rimedi e considera chi si oppone alla vaccinazione obbligatoria o al green pass una massa indistinta di mestatori politici o di soggetti che confondono la libertà con il personale ed egoistico interesse (schiavi della incultura individualista che permea le società contemporanee). È una visione parziale e ingenerosa. C’è, soprattutto nell’area più radicale dei no Vax, una componente siffatta, ma c’è anche molto altro. E ci sono, soprattutto, molte ragioni che inducono, quantomeno, a dubitare della validità della soluzione adottata. In sintesi: a) lo Stato ha certamente il diritto-dovere di imporre ai cittadini obblighi e sacrifici nell’interesse generale, ma deve trattarsi di obblighi e sacrifici ragionevoli e proporzionati, mentre nel caso specifico sono tuttora in discussione sia le potenziali conseguenze negative a lungo termine del vaccino sui singoli (o su alcune categorie di soggetti) sia gli effettivi benefici (maggiori di quelli di altre misure) per la collettività ; b) introdurre delle rotture del sistema dei diritti e della eguaglianza dei cittadini di questa entità richiederebbe, quantomeno, un confronto ampio e articolato nel Paese e nel Parlamento e l’uso dello strumento fondamentale della legge, mentre ancora una volta, il Governo ricorre alla decretazione di urgenza (quando la pandemia perdura ormai da un anno e mezzo) così marginalizzando ulteriormente il Parlamento; c) è quantomeno dubbio che il green pass e gli obblighi e i limiti ad esso connessi siano più efficaci degli strumenti classici (uso di mascherine, distanziamenti, limitazioni generalizzati di ingressi in locali per evitare assembramenti etc.) opportunamente rimodulati; d) il green pass e i relativi obblighi e divieti sono spesso irrazionali o contraddittori: nella stessa comunità alcuni soggetti sono tenuti al passaporto vaccinale e altri no (si pensi alla scuola o ai trasporti) e luoghi simili ai fini della diffusione del contagio (come le chiese e i musei) sono trattati in modo diverso; e) a tali profili di irrazionalità del sistema si aggiunge un inevitabile basso livello di effettività, essendo il suo funzionamento in gran parte demandato a privati con modalità e limiti poco chiari e indeterminati; f) il problema principale, nella campagna vaccinale, è attualmente quello della mancanza dei vaccini sufficienti per chi vuole sottoporvisi: non sarebbe più razionale completare la vaccinazione di chi lo vuole e fare, all’esito, una valutazione della situazione? Si potrebbe continuare a lungo ma tanto basta a dimostrare che il sistema proposto non è certo esente da dubbi e che addirittura rischia di costituire un alibi per la mancata adozione o il mancato potenziamento di altri presìdi necessari.

Una conclusione. Potenziare la campagna vaccinale è importante: allo stato non è certa nei suoi effetti, ma i suoi vantaggi sono ampiamente superiori ai rischi connessi. Ma non è indifferente il modo in cui lo si fa. È vero che la libertà non deve sfociare in arbitrio e in egoismo individuale ma è altrettanto vero che le istituzioni e i poteri pubblici devono operare con razionalità, lungimiranza e nel rispetto delle regole. Soprattutto nei momenti difficili, quando è necessario stabilire un patto con i cittadini e non alimentare contrapposizioni, conflitti e disgregazione sociale.

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Pass-aggi obbligati – Enrico Euli

Le emergenze catastrofiche si sovrappongono e intrecciano sempre più frequentemente e pericolosamente (leggi anche Potenza caotica del virus e impotenza della politica di Franco Berardi Bifo). Per quanto ci si impegni, non è più possibile rimuoverle. Una possibilità poteva risiedere nell’accrescere la nostra capacità di stare nell’incertezza, rafforzare fiducia e relazioni, accogliere i rischi del vivere: in sintesi, nell’imparare a giocare con la catastrofe. Ma abbiamo preso un’altra strada, quella del securitarismo: militare, digitale, sanitario. Ed ora eccoci di fronte ad una serie di passaggi che ormai non possono che apparirci obbligati.

La nostra libertà si riduce ancor più ad una serie di obblighi a cui dover soltanto obbedire. Chi ama la libertà e la vita più della sopravvivenza e della salute dovrà però non smettere di ricordare a se stesso e a tutti che, anche in questo momento, si potrebbe scegliere diversamente.

Mi sono vaccinato e ho in tasca il green pass. Ma questo non significa che accetti la logica dell’obbligo, anzi. Credo sempre nel valore dell’obiezione e della disobbedienza, anche da parte di chi lo fa a partire da credenze che non sono le mie. Non mi affido ad ideologie rigide, pregiudizialmente schierate, che siano scientiste o anti-scientifiche. Per questo, mi dichiaro assolutamente contrario all’obbligo del vaccino e del green pass generalizzato. Concentriamoci invece nel cercar di raggiungere al più presto l’immunità di gregge, così come avviene per altre epidemie: vacciniamo tutte le persone disponibili a farlo, e lasciamo in pace tutti coloro che non lo vogliono. Se qualcuno ritiene che il rischio di vaccinarsi sia superiore a quello di non farlo, va rispettato. Se è disposto a pagare i costi della sua scelta divergente, va rispettato. E se i costi economici della sua scelta ricadono sulla collettività, dobbiamo comunque continuare a curare chi si ammala: ne ha diritto in quanto cittadino che paga le tasse, indipendentemente dalle sue scelte vax o no-vax.

Per certe situazioni di contatto (contesti sanitari, scolastici, pubblici, di cura…) si potrebbe rendere obbligatoria una certificazione, ma non solo attraverso il vaccino. Si dovrebbe proseguire a richiedere solo un tampone, periodico e gratuito. E/o l’uso della mascherina al chiuso, sempre (ad esempio, per impiegati pubblici, camerieri, baristi o ristoratori). In determinati contesti, si potrebbe comunque sempre lasciare alle persone che li vivono la possibilità di volersi assumere consensualmente il rischio di incontrarsi e lavorare insieme senza richiedersi nulla a vicenda, senza obblighi reciproci.

Le regole specifiche di relazione, se consapevolmente assunte, hanno sempre infatti un valore superiore per me rispetto a quelle che ci obbligano per legge.

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NoVax, nella guerra tra civili e barbari resta fuori il discorso del capitale – Paolo Desogus

In Italia non ci sono mai state abbastanza dosi per vaccinare tutti, ma i riflettori sono tutti sul nemico immaginario, i noVax.

Meglio parlare di noVax che altro…

È davvero stucchevole, ai limiti della sopportazione questa continua litania contro i noVax, descritti da molti come un esercito minaccioso che metterebbe a rischio la salute collettiva.

Dai dati che abbiamo a disposizione si evince che il 97% delle dosi giunte in Italia sono state inoculate. Si tratta di un trend costante: gli italiani si stanno vaccinando, anche se ovviamente nei limiti delle dosi disponibili.

Poi, certo, esistono delle minoranze che rifiutano il vaccino, che protestano o che non possono, o che solo si interrogano sugli effetti che può avere l’inoculazione su di loro.

Tra questi c’è anche chi è solo, vive in realtà poco urbanizzate, non dispone di internet e ha difficoltà non solo a prenotarsi, ma anche semplicemente a dover mettere in conto, per ragioni di lavoro o dell’assenza di assistenza familiare, un eventuale periodo di malattia dovuto agli effetti del vaccino.

Nel nostro paese c’è chi non può permettersi di assentarsi nemmeno un giorno dal lavoro. C’è chi non ha l’assistenza di nessuno e che per una semplice febbre prova terrore e smarrimento. C’è poi chi, dati i numerosi pasticci nella comunicazione, ha paura, semplicemente paura. Ma questo non importa a nessuno.

Eppure torme di indignati pontificano e negano qualsiasi ragione, qualsiasi diritto di cittadinanza alle argomentazioni a chi ancora non si è vaccinato.

Tutto viene posto sotto l’etichetta del noVax, che poi non è altro che l’evoluzione di vecchie etichette (il sovranista, il terrapiattista, il credente alle scie chimiche…) che hanno la funzione di creare l’illusione di una barriera fra un dentro – civile, moderno, scolarizzato – e un fuori barbaro.

Chi pone qualche questione – persino io che ho completato il ciclo – è sospetto, fa storcere il naso e provoca la domanda, “è dei nostri?”.

In questa guerra tra civili e barbari resta fuori il discorso del capitale. In Italia non ci sono mai state abbastanza dosi per vaccinare tutti, ma gli occhi sono puntati a un piccolo gruppo di renitenti.

I pontificatori si comportano come se ci fosse abbondanza di dosi, come se bastasse la volontà. Ancora oggi invece c’è una forte penuria di vaccino. L’Italia si rifornisce da poche aziende, in particolare da Pfizer.

Con un insensato taglio dei finanziamenti ha rinunciato a sviluppare un proprio vaccino e dunque a rendersi un po’ più autonoma dalla casa tedesco-americana, che dal canto suo sta registrando guadagni migliardari epocali, sebbene la ricerca sul suo vaccino abbia ottenuto un finanziamento pubblico.

Il sospetto, ma è più che un sospetto, è che l’Italia abbia rinunciato a fare un proprio vaccino su pressioni esterne e per la minaccia di ritorsioni, le stesse che ci impediscono di attingere dall’industria farmaceutica dei pesi non allineati: Cuba, Cina, Russia.

Certo, vedere le immagini delle manifestazioni noVax, per quanto frequentate da sparute minoranze, mi mette tristezza. Ma trovo ben più angosciante che si taccia sul mancato sviluppo di un vaccino tutto italiano, gestito dalla mano pubblica che bada non agli interessi degli speculatori, ma al bene collettivo.

Non ho dunque nulla a che spartire con i noVax, sulla cui esistenza occorrerebbe tuttavia interrogarsi con meno protervia, meno saccenteria, chiedendosi anche se, in fondo, la loro protesta non sia quella di chi non ha altre parole per manifestare il proprio disagio in un mondo complesso che li ha tagliati fuori da tutto e gli ha pure negato un più sofisticato vocabolario politico.

Allo stesso modo ho molto poco in comune con chi partecipa all’insensata crociata che è stata lanciata contro un nemico marginale, spesso anche immaginario; una crociata peraltro tutta mediatica, consolatoria, ma politicamente ipocrita perché occulta i temi del profitto e dei rapporti di forza geopolitici alla base delle contraddizioni dell’attuale vaccinazione.

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Il vaccino e gli adolescenti – Tomaso Montanari

Nella imbarazzante disfida quotidiana tra deliranti fanatismi No Vax e pelosa retorica dell’unità nazionale rischia di rimanere a terra il senso critico, il discernimento, il dubbio costruttivo. Il principale danno del matrimonio tra No Vax ed estrema destra (che ha generato inaccettabili mostruosità come l’equiparazione tra pass vaccinale e persecuzione degli ebrei) è infatti la sottrazione della questione dei vaccini agli adolescenti a un dibattito razionale, informato, e dunque capace di aiutare le famiglie a decidere (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/06/17/vaccinare-gli-adolescenti-italiani/).

Premessa: sono favorevole ad ogni tipo di vaccino, e, non appena mi è stato proposto, mi sono subito vaccinato (come insegnante) con doppia dose di Astra Zeneca, accettando senza fiatare il caos sulle età (oggi non potrei farlo), gestito dal Governo Draghi con un dilettantismo che non sarebbe stato consentito a nessun altro esecutivo. Aggiungo che, nonostante alcuni non infondati argomenti contrari, sarei anche incline ad accettare un obbligo vaccinale per gli adulti: forse una misura meno ipocrita e più efficace del cosiddetto Green Pass, che apre a prospettive più inquietanti, come quella che vede il medagliatissimo generale pretendere le liste di chi rifiuta la dose…

Al contrario, nutro non pochi dubbi sulla vaccinazione dei miei due figli adolescenti, e ciò che leggo ogni giorno non giova affatto a scioglierli.

La babele europea, innanzitutto. In Germania il Governo sconsiglia di vaccinare gli adolescenti. Su Der Spiegel si è letto (cito la traduzione di Internazionale) che questo avviene perché «tra le voci critiche c’è […] quella del comitato permanente sui vaccini (Stiko), la commissione indipendente di esperti che fornisce un’analisi scientifica sui rischi e i benefici della vaccinazione. Lo Stiko fa parte dell’istituto Robert Koch, il centro federale per il controllo delle malattie. Le valutazioni preliminari del comitato rischiano di smorzare l’euforia intorno alle vaccinazioni. “Ne stiamo ancora parlando”, spiega Rüdiger von Kries, professore di pediatria sociale e medicina degli adolescenti all’università Ludwig Maximilian di Monaco. Secondo lui, le vaccinazioni tra i 12 e i 17 anni non saranno probabilmente raccomandate a tutti indistintamente, ma solo alle persone con disturbi preesistenti come diabete, tumori o immunodeficienze». E anche i Governi inglese, belga, olandese e finlandese sono sulle stesse posizioni.

In Italia, invece, offrendo il Green Pass a chi ha più di 12 anni, il Governo Draghi di fatto compie la scelta diametralmente opposta (in compagnia di quelli di Francia, Spagna e molti altri), spingendo verso una vaccinazione di massa degli adolescenti: ma lo fa senza quella campagna di divulgazione, e senza promuovere quel dibattito che, in una democrazia, non possono non accompagnare una svolta di questo tipo. E la devastante incapacità di questo ineffabile “governo dei migliori” a eliminare le “classi pollaio”, e a provvedere a edilizia scolastica e trasporti pubblici, lascia immaginare che, a settembre, il pass possa esser chiesto anche per andare a scuola.

Quel che manca – nonostante l’onnipresenza mediatica di virologi e immunologi – è un serio discorso pubblico sul rapporto rischi-benefici per i ragazzi: un discorso che permetta di quantificare, in qualche modo, i rischi di vaccini sostanzialmente non sperimentati per la loro fascia di età, e il beneficio di evitare decorsi avversi del virus, sempre nella loro fascia di età. Insomma: una sedicenne rischia più vaccinandosi, o non vaccinandosi? È a questa domanda che bisognerebbe rispondere con onestà e documentazione. Invece, da noi la sostanza del discorso non si concentra sugli interessi dei più giovani, ma sul loro ruolo di vettori del virus verso gli adulti. Naturalmente anche questo è un argomento da valutare (rammentandosi, però, che anche sotto i dodici anni si può essere “untori”…), ma sarebbe lecito aspettarsi che prima di esporre gli adolescenti a un rischio in buona parte incognito, il Governo portasse a termine la doppia vaccinazione di tutti gli adulti (compresi i marginali), appunto anche ricorrendo all’obbligo, se necessario. Non farlo, e scaricare il problema sui ragazzi, mi pare l’ennesima manifestazione di quel saturnismo tipico della classe dirigente italiana, e di questo Governo in particolare: dell’attitudine, cioè, a sacrificare l’interesse, e le vite, di chi viene dopo, sull’altare del presente, della crescita e degli interessi di chi comanda oggi. Senza contare il vero e proprio dilemma morale a cui si lasciano milioni di famiglie: lasciate sole a decidere, con i ragazzi che premono, spinti dalle restrizioni imposte dal governo.

Da cittadino e da genitore vorrei esser certo che i ragazzi vengono vaccinati nel loro interesse, per evitare loro un rischio. Non contro il loro interesse, e per evitare un rischio a noi adulti. Prontissimo a convincermi che il vaccino, nonostante le incognite che saranno sciolte solo tra anni, conviene anche ai ragazzi: ma per la loro salute, non per andare in discoteca, o peggio per far ripartire un’economia che li considera alla stregua di carne da cannone.

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Intervista a un sorcio / codardo / bamboccione / fascista etc (*) – Giovanni Iozzoli

Allora, tu sei uno dei milioni di italiani “renitenti al vaccino”. Cosa hai da dire a tua discolpa?

Innanzitutto, quegli italiani non mi sembra rappresentino una “categoria”. Si tratta di un aggregato informe, di massa, trasversale, interclassista, composto dalle persone più diverse e dalle motivazioni più varie. Io di no vax militanti non ne conosco neanche uno. Il più delle volte stiamo parlando di persone normali che stanno cercando solo di prendere tempo, capire il da farsi – un atteggiamento prudente, umano, quasi mai sbandierato. Io non sono mai andato nelle piazze no vax, non è il mio contesto o il mio lessico, ammetto che sarei a disagio.

– Pensi di meritare gli insulti quotidiani che da settimane arrivano addosso a quelli come te?

Milito da sempre in campi minoritari, sono quindi abituato a sentirmi minoranza. Certo, in questo caso il coro dello stigma, del dileggio, è a reti unificate; una voce compatta che parte dai vertici istituzionali, dal CTS, dagli editorialoni, dai programmi Tv, fino ad arrivare alle mezze calzette delle redazioni, ai nani, alle ballerine, ai cantanti, che pur di esserci metterebbero la faccia su qualsiasi campagna di Stato, anche la meno commendevole. Stupisce e addolora l’epiteto di “fascisti” che arriva dal “mio” campo. Chiaro che accetto ogni critica e ogni dialogo, ma se qualcuno mi dà del fascista gli allungo un cazzotto e amen. Comunque si, vedere compagni, riviste, siti e testate varie, tutte allineate al flusso di opinione mainstream, fa un po’ tristezza. Da l’idea di una sinistra smarrita, totalmente incapace di costruire un punto di vista alternativo sulle cose, sui processi, ancorata ad una internità alle logiche sistemiche, da criticare perchè “non fanno abbastanza” o non lo fanno come vorremmo noi, ma  senza mai arrivare al nucleo della faccenda, al “cosa stanno facendo”, ad una visione e un punto di vista alternativo, radicalmente autonomo dalla governance. E’ questo  proprio un segno dei tempi – l’epoca delle passioni tristi ma anche delle “elaborazioni tristi”…

– Ma non ti senti un irresponsabile?

Guarda che questa è una strategia ben collaudata, in un anno e mezzo di epidemia. Spostare le responsabilità sul piano dei comportamenti individuali – cioè su di noi -, aggirando i grandi nodi sistemici. Ci ricordiamo quelli che insultavano i runners? Ecco, sono gli stessi che insultano oggi i renitenti al vaccino. Figli di un clima irrazionale alimentato ad arte. E’ comodo per il potere rovesciarci addosso le questioni che non riesce ad affrontare, scavallare dalle responsabilità delle classi dirigenti a quelle dell’ ”individuo irresponsabile che non si vaccina”. Del resto il tema vaccini ha ridisegnato l’agenda delle priorità, cancellando del tutto la questione essenziale della riforma della sanità pubblica: vi ricordate – ripubblicizzare, territorializzare, assumere – chi ne parla più? Il tema sanità si è ridotto ad un generale in divisa che somministra vaccini. E anche la questione scuola-aule-trasporti: tutto rimosso, basta vaccinare personale e ragazzini e ogni cosa può proseguire come prima. L’elisir magico di Figliuolo oscura e si mangia tutti gli altri problemi. Una bella fortuna per quelli che comandano

– Ma nella cultura della sinistra, la responsabilità collettiva non deve prevalere su quella dell’individuo?

E’ un tema che si porrebbe se si trattasse di un vaccino che “arresta” la circolazione del contagio; in quel caso si potrebbe impostare una questione etica generale: ma ormai nessuno sostiene più questa ipotesi. Il guru Fauci è stato chiarissimo in materia: vaccinati e non vaccinati possono diffondere il virus allo stesso modo. I vaccinati si infettano e, in una certa percentuale, si ammalano anche. Quindi vaccinandoti fai una scelta di protezione individuale per te stesso. Lo dimostrano i tassi di circolazione in Inghilterra o Israele, i paesi più vaccinati del mondo.

– Ma quei paesi dimostrano che il vaccino funziona, i decessi sono pochissimi

Me lo auguro di cuore, magari mi convincerò a farlo anch’io. Però noto che lo story-telling è cambiato: il vaccino non ci “preserva dal virus” ma semplicemente “ci evita di finire in terapia intensiva”. Un legittimo ridimensionamento delle aspettative, che però conferma quanto dicevo: vaccinandoti al massimo preservi te stesso.

– E voi? Non vi volete preservare?

Certo ma questo movente appartiene proprio alla sfera delle scelte individuali, la famosa analisi “rischi / benefici” che non è una prassi esoterica, ma quello che normalmente facciamo nelle scelte della nostra vita – prendere la patente o aprire un mutuo. Se il vaccino difende me, devo scegliere io se vaccinarmi o meno, in piena autonomia, come per tutti i trattamenti medici.  Ad esempio l’analisi rischi/benefici sul vaccino che farà un 80enne, sarà diversa da quella di un 20enne; dei bambini, poi, è meglio non parlarne, perché là entriamo nel campo dell’irrazionale – e speriamo nella sempre invocata responsabilità genitoriale…

  • Però se ti ammali, perché hai rifiutato il vaccino, sulla società ricadono dei costi, a causa delle tue scelte.

Ma questo vale per tutti gli “stili di vita”. Le cause principali di morte sono di natura cardiovascolare: che facciamo, puniamo chi si alimenta male o chi non fa sport? Tutto scivolerebbe sul piano di uno Stato etico, retto di scienziati/sacerdoti, che prescrivono il giusto modo di vivere e declassano socialmente chi non si adegua. Le sigarette fanno più morti del covid, ma si vendono nel tabacchino sotto casa; obblighiamo la gente a seguire le terapie antifumo?

– Quindi tu non sei ostile al vaccino.

No, non ne ho neanche le competenze (tra l’altro molti sostengono che in questo caso sia anche improprio parlare di vaccini, per le caratteristiche proprie del trattamento). Io voglio solo applicare principi di prudenza e precauzione (primo: non nuocere) alla mia vita. Non mi aggrego a nessun esercito. E mi sento libero di cambiare opinione, quando lo riterrò necessario. In autunno si capiranno molte più cose (anche l’estate scorsa le terapie intensive erano vuote). E’ così folle, irresponsabile e antiscientifico, voler prendere un pò di tempo e valutare? Vorrei decidere senza avere una pistola puntata alla testa e senza essere esposto al pubblico ludibrio da un esercito di comunicatori-marchettari che hanno più o meno le mie stesse competenze. Se c’è da vaccinarsi, si farà e amen. Ma sarà una scelta mia, non certo perché me lo dice Draghi (uno dei killer che uccisero la Grecia solo 6 anni fa, un tizio pericoloso e oscuro a cui non affiderei neanche la cura di un mio capello). Se lo farò, sarà per mia decisione, non perché mi impediscono di sedermi al bar. Questi mezzucci ritorsivi sono squallidi, specie se usati contro i ragazzi giovani, sul terreno che li tocca di più, quello della socialità. Gli happening-vaccinali dei giovanissimi nel Lazio, mi sembravano una deliberata pazzia, essa si sintomo di totale irresponsabilità.

– Ma cosa doveva fare il governo, imporre il vaccino per legge?

Sarebbe stato più onesto e trasparente, avere il coraggio di imporre l’obbligo vaccinale. Perché non l’hanno fatto? Perché c’è sempre questa benedetta Costituzione che ostacola i piani dei nostri lungimiranti esecutivi? Perché non avevano il coraggio di aprire una battaglia culturale nel paese – meglio la lavagna dei buoni e dei cattivi? O perché in caso di futuri danni collaterali (Dio non voglia) le responsabilità pubbliche sarebbero enormi e incalcolabili, in presenza di una vaccinazione obbligatoria?

– Ma perchè essere così diffidenti sui vaccini? Nelle nostre scelte di vita ci affidiamo sempre agli “specialisti”. Perchè discutere di faccende che il 99% della popolazione non conosce?

Questo ragionamento ha un potenziale diseducativo enorme. Se il nostro dovere è “affidarci” ai saggi governanti, viene meno qualsiasi retorica democratica. Se non ho il diritto di parlare della mia salute, del mio corpo, che diritto di parola posso accampare quando si parla di scelte di finanza pubblica, di welfare, di pensioni? Anche lì “gli specialisti” rivendicheranno il monopolio della decisione. Al limite anche il mio padrone se vuole licenziarmi o delocalizzare, può rivendicare la sua scelta “competente” sulla mia ignoranza “egoista”. Spero non siamo ridotti a questo, specie a sinistra.

– Quindi è una questione più politica che sanitaria?

Ma certo, come si fa a non vederla? una gigantesca questione politica che sta imbarazzando molti. Ci sono compagni che dicono: ma basta parlare di vaccini, pensiamo alla GKN! Certo, ci pensiamo alla GKN. Ma spostare lo sguardo su altro, non rimuove “la mucca in salotto” che fingiamo di non vedere. Lo Stato che ti sanziona non perchè hai “fatto qualcosa” (ti sei drogato etc), ma perchè hai rifiutato di sottoporti ad un trattamento sanitario: è un precedente straordinario, inedito, inquietante. Come fanno tanti compagni a digerirlo? Deve dircelo Cacciari, una voce da salottino televisivo, che c’è qualcosa che non va? Penso a quei “nostri” intellettuali che hanno passato anni a strologare di biopolitica in tutte le salse e adesso, davanti alla governance autoritaria dei sistemi immunitari, tacciono perplessi. Il Green Pass non è già una versione della “patente digitale di cittadinanza a punti” in funzione in Cina – a meno che qualche matto non voglia spacciarla per un prodromo di socialismo…

– Quindi non ti senti un disertore o un imboscato o un opportunista?

Ecco, l’uso di questi termini rivela dove è nato tutto l’approccio sbagliato e pericoloso che adesso si sta sviluppando in forme  estreme. Fin dall’inizio è venuta fuori questa retorica della lotta alla pandemia come metafora della guerra. Lì è partito tutto un circo che ha formattato la testa della gente in direzione di una parodia militarista-patriottarda:  il coprifuoco decretato a mezzo DPCM, i generali, gli strateghi, i giornalisti embedded, la celebrazione dei caduti, i politici in pose marziali; e poi ci sono i “codardi”, i panciafichisti, i sabotatori, che non sono corsi ubbidienti e fiduciosi a vaccinarsi; una umanità negletta, di serie B, una zavorra per il paese, da sorvegliare e punire.

– Ma non si rischia di delegittimare la scienza?

Io quando ho avuto il Covid sono andato dal dottore, mica dallo sciamano. Non voglio delegittimare niente. Ma qui mi sembra che, più che al trionfo della scienza, stiamo assistendo al riemergere di un pensiero magico-religioso che pretende il monopolio della parola e dichiara eretici o apostati tutti quelli che mettono in discussione anche qualche elemento del suo discorso egemone. Medici radiati, infermieri cacciati – una insensata caccia alle streghe che potrebbe arrivare alle porte delle fabbriche, dei magazzini, degli uffici e coinvolgere tutti. E poi cos’è “la scienza”? Condividiamo tutti la medesima definizione? Ricordo quando occupavamo l’università, i compagni delle facoltà scientifiche ci propinavano sempre qualche seminario sull’epistemologia. Noi storcevamo il muso – che palle, che è sta roba, Kuhn, Feyerabend? Invece quei compagni ci stavano insegnando che la scienza non è un dogma antistorico ma un insieme mutevole di paradigmi, attraversati e prodotti da contraddizioni, fratture e interessi, destinati fatalmente ad essere superati, epoca dopo epoca. Bisogna accettare questa idea di finitezza e provvisorietà del discorso scientifico, altrimenti tende a trasformarsi in una nuova distopia religiosa. E i miserabili politici moderni sono ben lieti di passare dall’alibi del “vincolo esterno”(ce lo chiede l’Europa) a quello del “vincolo sanitario” (ce lo impone la scienza)

– In conclusione: ti vaccinerai?

Boh, non lo so. Prendo tempo, senza pregiudizi e senza ansie. Intanto in Israele stanno cominciando a somministrare la terza dose – notizia passata molto sottotono ma a che a me sembra enorme e apre pesanti interrogativi sul futuro.  Comunque resto fuori da questa dialettica asfittica no vax/si vax: sono per le scelte consapevoli e informate, non per l’arruolamento.

(*) Visto che quando si parla di “italiani non vaccinati”, in tv danno la parola solo a sciroccati e complottisti, allora mi sono intervistato da solo.

da qui

 

Politica dei grandi numeri (da Avis de tempêtes, via finimondo.org)

Fin dal suo inizio, la gestione dell’epidemia di Covid-19 da parte del potere è stata logicamente segnata alle nostre latitudini da una predominanza degli imperativi economici e da una preservazione dell’ordine sociale, cosa che oggi nemmeno la ragione medica di Stato tanto invocata riesce più a celare.

Ma ciò che colpisce è che le infinite forme di auto-organizzazione che avrebbero potuto emergere dalle singolarità individuali per far fronte al virus e continuare ad agire malgrado il virus, siano state d’un tratto come paralizzate dalle sabbie mobili di raccomandazioni contraddittorie e di cifre sfibranti: tasso di mortalità e di letalità, tasso di positività, tasso di incidenza, tasso di passaggio al pronto soccorso e di posti occupati nelle terapie intensive, tasso di anticorpi persistenti, tasso di reinfezione… e via di questo passo. Ciò evidenzia ancora una volta che ponendosi sul terreno della politica dei grandi numeri invece di partire da se stessi — con i propri dubbi come con i propri infuocati desideri — la riflessione finisce generalmente per impantanarsi in una logica gestionaria, in cui il calcolo produttivo prende rapidamente il posto della vita e dei suoi eccessi dispersivi. Per spezzare lo stesso schema che presiede ad ogni riduzione statistica della complessità umana, bisogna dare vita ad un’unicità al di là dei media e ricreare diversità smontando gli aggregati di dati — non ci sono molte altre soluzioni. Questo è lo stesso terreno in cui ogni individuo è invitato a piegarsi di fronte ad un interesse superiore collettivo che sarebbe da rifiutare. È il suo rapporto sensibile con la vita, la morte, la malattia, i rischi da prendere, il mutuo appoggio, le stelle da cogliere, che va difeso davanti all’esigenza sociale di sacrificarlo sull’altare della quantità. Che quest’ultima si chiami patria, economia, bene comune… o anche immunità collettiva.

Se il metodo medico di comprensione statistica è certo costitutivo del rapporto contemporaneo con le epidemie, come mostra il vecchio dibattito tra contagionisti e infezionisti durante quella del colera nel 1832 (per gli uni la malattia si trasmette dal contatto coi malati, per gli altri dall’insalubrità dell’ambiente) o anche la prima elaborazione matematica a partire dall’epidemia di peste in India (1927), questo rapporto autoritario che ingabbia le singolarità ha tuttavia radici assai più lontane ancora. Si potrebbe magari farlo risalire alle origini della scrittura in Bassa Mesopotamia, dove tale invenzione non era concepita come un mezzo per rappresentare il linguaggio, ma direttamente per bassi fini di contabilità amministrativa e commerciale, collegando intrinsecamente i primi numeri incisi su tavolette alla comparsa del dominio statale (con le sue esigenze di identificare, tassare, misurare, classificare, uniformare, gestire, prevedere). Tanto che potremmo persino chiederci se non sia con la stessa nozione di calcolo e con la volontà di quantificare il mondo che è cominciato il processo di addomesticamento dei nostri sensi.

Oggi non stupisce nessuno che in materia medica come in molte altre, la politica statistica dei grandi numeri sia diventata padrona nell’amministrazione della nostra vita da parte dei potenti, come ha ancora mostrato l’epidemia di Covid-19. Per quanto riguarda le autorizzazioni pubbliche per i vaccini (e i farmaci), il criterio viene definito tranquillamente rapporto benefici/rischi, basando gli studi su piccoli campioni considerati rappresentativi, a partire dai quali vengono poi proiettate estrapolazioni sull’insieme dei nostri congeneri, riducendo la vita ad una collezione di macchinari più o meno standardizzati e funzionali. A costo di trasformare la popolazione mondiale in cavie di un gigantesco laboratorio sperimentale con misture a base di chimere genetiche, di cui uno degli attuali miracoli scientifici non è quello di evitare i vaccinati né d’essere contaminati, e neppure d’essere contagiosi, ma solo di sviluppare le forme gravi della malattia.

Nella stessa logica, al fine di effettuare il loro smistamento in materia di cure vitali, pesanti, costose, di emergenza o crisi, tra chi può eventualmente sopravvivere e chi tutto sommato non serve più, gli statistici in camice bianco ad esempio assegnano quotidianamente dei punteggi ai pazienti. Questi non sono ovviamente collegati alla complessità di ogni individuo, sulla quale la fabbrica inospitale non si prende comunque la briga di soffermarsi, ma sulle probabilità medie di sopravvivenza potenziale al momento di questo smistamento decisivo: abbiamo così il punteggio di fragilità (da 1 a 9, con gli ultimi livelli attribuiti in base alla «aspettativa statistica di vita a 6 mesi»), il punteggio OMS (da 1 a 4, basato ad esempio sul fatto che si resti allettati «più o meno il 50% della giornata») e il punteggio GIR (da 1 a 6, determinante il livello di dipendenza, legato al fatto che un individuo possa effettuare un certo numero di compiti «spontaneamente, totalmente, correttamente o abitualmente»). È questa combinazione di punteggi, tanto performativa quanto arbitrariamente normativa, a determinare ufficialmente chi può vivere o morire, qui tra un paziente affetto da Covid e una persona vittima di un incidente stradale o di un infarto, e là tra due malati di Covid. Uno smistamento chiamato pudicamente selezione o priorizzazione, e di cui è meglio conoscere in anticipo le griglie di valutazione in caso di cura.

Ovviamente, è possibile sottolineare che questi strumenti di gestione dalla pretesa scientifica e oggettiva sono innanzitutto il riflesso di un mondo che ha bandito la qualità e l’individuo a beneficio dell’efficienza e della massa, dopo aver espropriato ciascuno di ogni autonomia, all’interno di un ambiente sempre più degradato che a sua volta richiede una moltiplicazione di situazioni di crisi o d’emergenza. E che quando aleggia la paura e la morte, per molti è indubbiamente più rassicurante trincerarsi dietro il noto della fredda razionalità di Stato che affrontare l’ignoto sperimentale di individui liberamente associati per farvi fronte. A ciò si potrebbe rispondere con un sorrisetto, che quando non si ha alcuna pretesa né volontà di gestire la merda esistente a un livello così globale come quello di una società, neppure in maniera alternativa, si può tuttavia auto-organizzarsi per tentare di porvi fine.

Attualmente, questo rapporto autoritario del quantitativo non riguarda unicamente la gestione clinica immediata della situazione instabile in corso — che passa anche attraverso la priorità assoluta data alla Covid-19 rispetto ad altre gravi malattie con pesanti conseguenze posticipate nel tempo — ma include anche un’altra dimensione di cui si intravedono appena le premesse: il rapido adattamento dell’apparato statale a un’epidemia che non è disposta a fermarsi, creando un nuovo tipo d’ordine sanitario e produttivo segnato in poco più di un anno da un’accelerazione dell’artificializzazione tecnologica della nostra vita.

Tralasciando la Cina che figura troppo facilmente da comodo spaventapasseri, la molto democratica Corea del Sud, per esempio, ha fissato fin dal marzo 2020 un tracciamento dei contatti della popolazione sfruttando i dati personali accumulati dai vasti sondaggi sanitari, come la situazione finanziaria, le fatture telefoniche dettagliate, lo storico di geolocalizzazione, le immagini di videosorveglianza pubblica o le informazioni trasmesse dalle amministrazioni e dai datori di lavoro. Tutte informazioni raccolte e poi integrate in un registro nazionale e liberamente accessibile, indicante la nazionalità delle persone, la loro età, il sesso, il luogo della loro visita medica, la data del loro contagio e informazioni più precise come l’orario di lavoro, il loro rispetto di misure come indossare la mascherina in metropolitana, le fermate abituali, i bar o i centri massaggi frequentati. Un gran bell’esempio di abbinamento di algoritmi informatici per alimentare la costruzione di un modello epidemiologico e permettere una gestione ottimale da parte delle autorità, il tutto completato da quarantene individuali obbligatorie, implementate tramite un’applicazione di geolocalizzazione sonora e che avvisa direttamente le forze dell’ordine se gli individui interessati si spostano, o se il loro smartphone è spento per più di 15 minuti, al fine di formare un «recinto elettronico» attorno ai refrattari, con in aggiunta chiamate casuali della polizia e una segnalazione al vicinato tramite SMS della presenza di una persona contagiosa.

Per quanto caricaturale sia questo esempio ben reale, potrebbe non essere un caso se un rapporto senatoriale uscito all’inizio di giugno in Francia per delineare alcune prospettive in vista di future epidemie (o di «catastrofi naturali o industriali, o attacchi terroristici») che richiedano reclusioni di massa, abbia appunto avanzato alcune proposte in tal senso. Nell’èra della connessione permanente, quando chiunque passeggia volontariamente con una spia elettronica in tasca, abituatosi a poco a poco al telelavoro, alla telemedicina e all’insegnamento a distanza, per il sogno totalitario cosa c’è di meglio di un democratico digitalizzato, a cui poter finalmente disattivare da remoto il pass per il trasporto, trasformando gli smartphone in braccialetti elettronici (coi selfie alle forze dell’ordine per dimostrare la propria presenza) o consegnare/ritirare dei lasciapassare differenziati di ogni tipo sotto forma di codici QR grazie a una Crisis Data Hub centralizzata?

Per chi, poniamo, ha iniziato a travestirsi in viaggio, vedendo pattuglie di droni della polizia durante il gran confinamento; per chi si è immobilizzato vedendo aggiungersi nello spazio pubblico a telecamere di videosorveglianza intrusive nuovi dispositivi di controllo del corpo come i rilevatori termici, i certificati di spostamento e altri certificati di vaccinazione; per chi è giunto più spesso di tanti altri alla conclusione che è molto meglio essere soli e selvaggi che accompagnati da reti algoritmiche… è certamente tempo di alzare gli occhi verso quei grossi cavi di rame tesi nel cielo o sporgersi verso tutte quelle canaline in cui le catene del ventunesimo secolo sfrecciano sotto i nostri piedi alla velocità della luce.

[Avis de tempêtes, n. 42, 15/6/21]

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“Questa adesione acritica dei cittadini è più inquietante dell’autoritarismo” – Carlo Freccero

È necessario arrivare ad un punto di rottura perché la rottura si realizzi. Dall’inizio della pandemia i popoli di tutto il mondo sono scesi in piazza innumerevoli volte. Gli italiani sembravano sedati da una sorta di ipnosi. Con il green pass il miracolo si è compiuto: le piazze italiane si sono riempite. Ed è interessante notare che in piazza a contestare c’erano non solo i no-vax, ma anche i vaccinati, che, per motivi di principio, protestano per tutelare le libertà costituzionali.

Lo stesso concetto è ribadito da Cacciari nell’articolo di ieri: io mi sono vaccinato, ma la democrazia è libertà di scelta e questa libertà di scelta va difesa. Nel contesto del generale risveglio si pone il pezzo firmato congiuntamente da Cacciari e di Agamben che, bisogna dargliene atto, è stato l’unico ad intervenire dai primi giorni della pandemia con i suoi interventi quotidiani su Quodlibet. Purtroppo la sua voce è stata isolata ed ascoltata solo da minoranze. Per attirare l’attenzione di un numero sufficiente di persone, bisognava esagerare. E si è esagerato.

La somministrazione dei vaccini è stata affidata all’esercito per sottolineare il clima di emergenza, di protezione civile in cui ci troviamo. Ma per chi ha la mia età l’idea di una scelta sanitaria imposta dall’esercito ha qualcosa di inquietante come inquietanti suonano le minacce di mandare l’esercito porta a porta a «stanare» i non vaccinati. Analogamente, per quelli della mia generazione, la morte di De Donno evoca il fantasma di Pinelli. Per la mia professione nella comunicazione il primo problema che ha attirato la mia attenzione è stato da subito la mancanza di alternativa imposta al discorso pandemico.

Democrazia significa tutela del parere delle minoranze. Questo parere è stato sradicato in nome della scienza, chi lo professava è stato zittito ed insultato nei dibattiti pubblici. Nell’articolo contro il green pass, pubblicato dall’Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli, Agamben e Cacciari criticano il green pass affermando che «la discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica».

L’articolo 3 della Costituzione italiana vieta esplicitamente ogni forma di discriminazione. L’affermazione dei due filosofi dovrebbe quindi essere, in qualche modo, ovvia. Invece il fatto stesso che il sito Dagospia definisca l’articolo una «bomba» solo perché dissente dalla vulgata del «mainstream» è una conferma di quanto gli autori espongono nell’articolo citato e cioè del pericolo di una deriva totalitaria. Mi sembra di assoluta evidenza che un’informazione che bandisce qualsiasi forma di dissenso, sia di per sé sinonimo di propaganda.

E la propaganda ha poco di democratico. Da quando è iniziata la pandemia la televisione ci ha abituati alla consuetudine del dibattito unanimistico. Ci sono format e programmi come il talk show che hanno bisogno per esistere di un contraddittorio. Dato che gli invitati sono tutti della stessa idea, essi non sono tenuti a confrontarsi, ma fanno gara tra loro a superarsi in ortodossia ed obbedienza ai vari Dcpm ed ora a Decreti Legge che hanno sostituito la legislazione ordinaria. Mi si obietterà che tutto questo è fatto per il bene comune, un bene comune che autorizza uno stato di eccezione, previsto però in Italia, solo per lo stato di guerra (art. 78 della Costituzione).

Tutela cioè la collettività, ma anche l’individuo. E i trattamenti sperimentali sono esclusi dal codice di Norimberga, dalla dichiarazione di Helsinki, dalla convenzione di Oviedo. Il processo di Norimberga basta da solo ad evocare il nazismo. Gli imputati si difesero sostenendo di aver obbedito agli ordini. Per evitare che queste aberrazioni si ripresentassero fu stabilito un codice a futura memoria. Tra l’altro esso prevede che la sperimentazione sia ammessa solo se «il soggetto volontariamente dà il proprio consenso ad essere sottoposto ad un esperimento».

Senza accettazione volontaria l’esperimento non può avere luogo. Il vaccino è ancora in fase sperimentale. Cito dal bugiardino Pfizer e quindi faccio parlare direttamente le case farmaceutiche produttrici, perché sia ben chiaro che non sto riferendo il mio parere personale: «Per confermare l’efficacia e la sicurezza di Comirnaty il titolare dell’autorizzazione alla emissione in commercio deve fornire la relazione finale sullo studio clinico» e a lato «Dicembre 2023».

Sino al 2023 il vaccino sarà una terapia sperimentale con esiti futuri incerti. In questi giorni la senatrice Segre, sopravvissuta all’Olocausto, è intervenuta dicendo che è folle paragonare vaccino e green pass alla Shoah. Ci sarebbe una sproporzione tra le cose. Ma la senatrice sembra dimenticare che c’è sempre un inizio e la discriminazione è quell’inizio. Per parlare di regime autoritario non è necessario poi arrivare sino ai forni crematori. Basta che la normale vita democratica ed i diritti dei cittadini subiscano delle limitazioni.

In senso opposto va invece l’intervento di un’altra sopravvissuta all’Olocausto che milita invece sul fronte opposto, la signora Vera Sharav. «Conosco le conseguenze – dice la sopravvissuta – di essere stigmatizzati come diffusori di malattie». Il suo calvario è incominciato a piccoli passi con la segregazione ed il divieto sempre più esteso a partecipare alla vita sociale, a entrare in determinati contesti, a viaggiare.

La cosa che più mi ha colpito nell’intervento di Vera Sharav è la lucidità con cui collega il nazismo all’uso autoritario della medicina. In nome della scienza – ci dice – viene cancellato ogni principio morale della società.

Questa affermazione mi fa ricordare il fondamentale intervento di Agamben con la sua «Domanda» rivolta a tutti gli italiani. «Com’ è potuto avvenire che un intero Paese sia senza accorgersene eticamente e politicamente crollato di fronte ad una malattia?». In nome della sopravvivenza e di quella che Agamben chiama «nuda vita» (una vita privata di ogni valore che travalichi la sopravvivenza biologica ), gli italiani hanno accettato di lasciar morire i loro anziani in solitudine negli ospedali, hanno accettato di incenerire i cadaveri senza sepoltura, hanno accettato la perdita di ogni principio morale. Ed hanno rinunciato alla vita sociale.

E questa adesione acritica da parte dei cittadini è per certi versi più inquietante dell’autoritarismo del governo. È un indice inequivocabile che i meccanismi dell’autoritarismo sono già stati introiettati da tutti noi come naturali e che appartengono ormai alla quotidianità e al nostro futuro.

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«In questi giorni di ricovero in ospedale…» – Gianluigi Trianni

Lo scorso 11 luglio tutti i media italiani hanno dato notizia dell’Angelus del Papa e del suo incentrarsi sui temi fondanti la politica sanitaria. Ma dopo la notizia nulla. Nessuna firma sui media e nessuna organizzazione politica e/o sindacale, a mia conoscenza, si è avventurata a commentare l’impatto possibile, in Italia, dei passaggi chiave di quell’Angelus. Questa volta è sui temi di politica sanitaria che il Papa è stato lasciato parlare senza essere degnato di riscontri formali e/o “pratici” da parte di chi la politica sanitaria pratica per ruolo istituzionale, politico o sociale, o discute per professione.

Chi scrive non è “parte della Chiesa” e ne contesta la pretesa di sostituirsi allo Stato nelle politiche di welfare sanitario e sociale. Ciò precisato non si può, però, non riconoscere a questo Papa la sfida valoriale e politica che propone alle società che si confrontano con la sua Chiesa e l’opportunità di raccoglierla. Nel caso della sanità, partendo dalla sua esperienza personale («In questi giorni di ricovero in ospedale, ho sperimentato ancora una volta…»), il Papa, infatti, ha sottolineato «quanto sia importante un buon servizio sanitario, accessibile a tutti» e contestualizzato ed esemplificato «come c’è in Italia e in altri Paesi», caricando di responsabilità, nei fatti, chi governa e chi concorre alla governabilità di detti paesi. E ne ha ribadito e arricchito le caratteristiche necessarie: «un servizio sanitario gratuito, che assicuri un buon servizio accessibile a tutti». Poi ha fatto un monito e un appello: «Non bisogna perdere questo bene prezioso. Bisogna mantenerlo!» e ha esortato: «Per questo occorre impegnarsi tutti, perché serve a tutti e chiede il contributo di tutti».

Quest’ultima esortazione chiama in causa direttamente non solo il corpo sociale (e intellettuale) della Chiesa, ma anche il Governo, e in particolare, in esso, la sinistra e l’area progressista (M5S). E anche quando le considerazioni del Papa sono rivolte specificamente ed esclusivamente all’apparato del Vaticano, i principi da lui richiamati costituiscono una sfida valoriale per quanti al Governo e nelle Regioni hanno la responsabilità politica e manageriale del Servizio sanitario pubblico: «anche nella Chiesa succede a volte che qualche istituzione sanitaria, per una non buona gestione, non va bene economicamente, e il primo pensiero che ci viene è venderla. Ma la vocazione, nella Chiesa, non è avere dei quattrini, è fare il servizio, e il servizio sempre è gratuito. Non dimenticatevi di questo: salvare le istituzioni gratuite». Se ciò vale per la Chiesa, infatti, a maggior ragione vale per il Servizio Sanitario Nazionale, la cui vocazione non è, come dice con gergo critico e popolare il Papa, “avere quattrini” – che nella versione applicabile al SSN equivarrebbe a “risparmiare quattrini/tagliare la spesa pubblica” (come il “venderla” equivale, per la sanità pubblica, al “tagliarla/chiuderla”) – ma assicurare prestazioni “gratuite”. Gratuità, beninteso, che fuori dagli schemi caritativi cattolici e nel contesto dei principi del welfare state va intesa non in assoluto ma al momento della erogazione dei servizi poiché, tramite la fiscalità generale (le tasse), “tutti” sarebbero chiamati a finanziarle in rapporto ai loro redditi, come evoca il Papa stesso con l’espressione il “contributo di tutti”, e come prevedono la Costituzione e la legge n. 833/1978 nel loro combinato disposto. Ciò avverrebbe in maniera opportuna e giusta se il sistema fiscale fosse progressivo e l’evasione e l’elusione fiscale efficacemente combattute, cosa che non è.

Non lasciar cadere le sfide che l’Angelus del Papa dello scorso luglio propone a quanti proclamano, nei rispettivi ruoli istituzionali e sociali, la centralità del Servizio sanitario pubblico e la necessità di adeguarlo nei suoi servizi territoriali (ma è necessario, in modo olistico, anche per ospedali e università) significa concretamente e prioritariamente:

– impegnarsi a reperire le risorse necessarie per colmare il gap determinato dalle richieste del PNRR di soli 18-19 miliardi dopo il definanziamento, a tecnologie e costi assistenziali “invariati” (!), generalmente indicato in oltre 37 miliardi di euro in era pre Covid-19 e avendo il Ministero della Salute (sotto) stimato in 65 miliardi di euro il fabbisogno di investimenti e spesa pubblica aggiuntiva per il potenziamento indispensabile del SSN nel prossimo quinquennio;

– soddisfare il crescente fabbisogno di personale, delle varie tipologie, necessario non solo a colmare le lacune (meno 45.000 unità tra il 2008 e il 2018!) a carico di ospedali e servizi pubblici ma a creare praticamente ex novo i servizi territoriali in tutte le regioni d’Italia (compresa l’Emilia-Romagna nella quale si promuove molto e si realizza assolutamente meno), smettendo di reclutarlo con contratti precari e a termine e remunerandolo non meno che nel resto dei paesi UE confrontabili;

– abbandonare la strada del numero programmato per l’accesso ai corsi universitari che i fatti Covid-19 hanno attestato totalmente fallita e fallimentare (perché basata sull’offerta di servizi didattici dalla austerity, tagliati a monte dei bisogni formativi e del mercato del lavoro) e ridisegnare, finanziandolo adeguatamente, il sistema formativo del SSN e dell’Università per rispondere ai crescenti bisogni di competenze che la medicina del terzo millennio esige e alle legittime aspettative di quanti anelano a una formazione universitaria nelle varie discipline utili alla tutela della salute;

– invertire lo squilibrio dimensionale, che va aggravandosi a danno della finanza e delle competenze pubbliche, tra Servizio sanitario nazionale e “settore erogativo privato”, a cominciare dall’intervento dello Stato nella crisi della spedalità privata vaticana che va risolta, incorporandola, previo acquisto, nel Servizio sanitario nazionale, a rinforzo dei servizi sanitari regionali pubblici, per esempio nel Lazio e in Puglia. Non è opportuno per la governabilità e la compatibilità economica di sistema lasciare che il settore privato si espanda oltre – secondo il Ministero economia e finanze nel 2019 circa 25 miliardi la spesa del SSN per prestazioni sociali (prestazioni specialistiche) da privato oltre ai circa 11 miliardi di spesa farmaceutica su 117,3 miliardi di spesa pubblica complessiva (cui va aggiunta la spesa sanitaria privata diretta per oltre 34 miliardi). È, infatti, un settore sempre meno governabile perché sempre più “finanziarizzato” e internazionalizzato, sia sul lato della produzione (cfr. il gruppo S. Donato, pretendente all’acquisto degli ospedali vaticani in dismissione) sia su quello del finanziamento (Assicurazioni di prima e seconda istanza, connesse con il sistema del welfare contrattuale e da connettersi con i fondi regionali, accessibili solo a chi può permetterseli, anelati dalle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna con le loro richieste di autonomia differenziata).

L’esperienza vaccini durante il Covid-19 non ha insegnato nulla? Sarebbe il caso che su questi nodi centrali si pronunciassero quanti governano e quanti concorrono alla governabilità, a cominciare “dalle anime e le forme” della sinistra e dalle firme dei media. Ne va della reversibilità, o meno, della crisi crescente del Servizio sanitario pubblico, denunciata in maniera allarmata e non casuale, seppur “a modo suo”, anche dal Papa.

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Lettera a un extraterrestre – Paul B. Preciado

Caro extraterrestre,

mi rivolgo a te dal pianeta Terra attraverso la scrittura, una tecnologia di comunicazione semiotico-linguistica inventata dalla mia specie circa seimila anni fa. Utilizzo questa tecnologia nella lingua francese, una variante dialettale con cui circa 280 milioni di esseri umani possono comunicare e che, immagino, ti è estranea. Spero tuttavia che le basi cosmologiche, biochimiche e fisiche che condividiamo ti permetteranno di effettuare una traduzione, un trasferimento, una traslazione del grafo capace di produrre un altro segno decodificabile dal tuo apparato sensibile. Spero che, se non potrai leggere questa lettera, potrai quantomeno respirarla, iniettarla, scaricarla, assorbirla o captarla.

Perdona la mia mancanza di sottigliezza: sono soltanto un piccolo essere multicellulare a sangue caldo la cui aspettativa di vita è tra i 75 e i 95 giri del pianeta terra attorno al Sole, e ho una capacità cognitiva che per quanto sia il risultato di milioni di anni di evoluzione su questo pianeta, è anche la conseguenza (curiosa fatalità) della violenza operata dalla mia specie su se stessa. Ciò che posso percepire, di conseguenza, non è molto. Ho cinque sensi (alcuni dicono che siano sei) ma la maggior parte ha subìto una tale specializzazione nel corso degli ultimi millenni che ci vedo a mala pena, ci sento a mala pena e percepisco a mala pena. Non faccio altro che favoleggiare. Questo perché, forse, inventare storie è il mezzo migliore e più preveggente di entrare in contatto con te.

Con la certezza che mi dà il senso dell’invenzione, mi rivolgo a te sapendo che sei già tra noi. Sento la tua presenza. Lontana. Intensa. Radiosa. Vicina. Silenziosa. Nonostante l’impenetrabilità della mia coscienza, so che tu esisti. Tutto il mio corpo lo percepisce, come essere vivente sensibile e grazie alla raccolta di dati che mi permette la specializzazione del mio apparato cognitivo di filosofo. Per darti un’idea ti dirò che i filosofi, esseri situati molto in basso nella piramide sociale terrestre contemporanea, sono come idraulici del concetto o sarti del codice: inventano nuovi apparati di rappresentazione con cui smontano e riparano gli apparecchi di produzione di verità che non funzionano più, o il cui funzionamento consuma un’energia eccessiva o distrugge quelli che li utilizzano o quelli su cui vengono utilizzati. Come la sarta sa da tempo che altri fili vengono tessuti nel cosmo, così l’idraulico sa che tutti i tubi si collegano in un dato momento.

Ti parlo come se tu fossi una coscienza individuale incarnata in un corpo binario, perché la tecnologia sociale della lingua francese non ammette ancora sintassi disindividualizzanti e non binarie, ma immagino che tu non sia né individuale né binario, che tu sia regolato da un’altra logica, da un’altra musica, da un’altra vibrazione. Vorrei rivolgermi a te senza dover utilizzare, per immaginarti, il rumore prodotto dalle categorie di animalità, di classe, di razza, di sesso, di sessualità. Non vorrei utilizzare nemmeno la categoria di estraneità. Queste categorie sono il frutto della storia della supremazia energetica e semiotico-tecnica che la mia specie ha costruito nel corso degli ultimi secoli. E le conseguenze di questa supremazia sono precisamente ciò di cui voglio parlarti.

Perdonami, non ti scrivo per motivi altruisti o per costruire un’amicizia (anche se questo regalo sarebbe splendido) ma perché le tecnologie di estrazione, distribuzione e divisione dell’energia inventate dalla mia specie nel corso della storia degli esseri umani (e soprattutto nel corso degli ultimi cinquecento anni) rimettono in discussione la continuità della vita della maggior parte delle specie terrestri, compresa (curiosa fatalità) la nostra.

Queste tecnologie di governo letali comprendono, tra le altre cose:

  1. Un sistema di produzione basato sulla distruzione, la depredazione, la privatizzazione e l’accumulazione di risorse vitali, insieme alla produzione e al consumo di materiali tossici. Questo sistema produttivo è stato storicamente chiamato “capitalismo”, ma oggi si estende a quasi tutto il pianeta in un mondo-mercato digitale senza limite.
  2. La marchiatura di una parte della specie umana attraverso tecnologie di sfruttamento, razzializzazione o sessualizzaizone che assicurano la sovranità energetica e semiotica di alcuni a scapito di altri.
  3. La gestione della riproduzione da parte di un sistema di classificazione binaria e gerarchica in cui i corpi che possiedono una cavità uterina potenzialmente riproduttiva sono sottomessi ai corpi che producono un liquido altamente ricco di materiale genetico che chiamiamo sperma. In questo regime qualsiasi corpo che vada oltre il binario o che minacci questo ordine semiotico o riproduttivo è oggetto di violenza e sterminio.
  4. L’incapacità della nostra specie di stabilire relazioni simbiotiche con le altre, preferendo sempre l’oggettivazione, il consumo e la morte alla relazione.

Probabilmente ti starai chiedendo perché ti invito a questo festival necropolitico. Se questa fosse la nostra unica realtà non ti avrei scritto. Invece ti scrivo, perché noi esseri umani, per quanto assediati dalle nostre stesse tecniche di morte, viviamo una rivoluzione. Cominciamo a capire che dovremo operare profondi cambiamenti. Abbiamo cominciato a mutare. Per questo motivo, e perché abbiamo bisogno di uno sguardo nuovo, se per caso avessi mai ipotizzato di venire sulla Terra, questo sarebbe un buon momento per farlo.

Se puoi capirmi, ti chiedo di comunicare urgentemente con lo spazio umano.

A te,
un terrestre.

Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Libération. 

da qui

 

 

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

3 commenti

  • Mariano Rampini

    Mi sono già speso sulla questione vaccini. Lo faccio di nuovo richiamando alla mente di chi non c’era ciò che accadde negli anni tra il 1950 e il 1960 (circa) quando tra tanti bambini “sani” si potevano spesso incontrare quelli sui quali la polio aveva lasciato segni indelebili. Era l’epoca dei polmoni d’acciaio (gli antenati preistorici dei moderni sistemi di ventilazione assistita) e di un’ignoranza diffusa. In quegli anni, attraverso la Tv di Stato (l’unica esistente) il maestro Alberto Manzi insegnava a leggere, scrivere e far di conto alla grande massa di analfabeti che ancora si contava nel nostro Paese. Preistoria? No, poco più di sessant’anni fa. Cioè qualcosa che chiunque abbia superato quel confine anagrafico può facilmente ricordare. Se vuole farlo. Il vaccino antipolio ebbe nelle sue prime – forse avventate – somministrazioni, effetti disastrosi: basta consultare wikipedia (non servono testi di storia della medicina ma se proprio li si vuole usare ben venga). Centinaia di morti correlate a un vaccino prodotto da un’industria farmaceutica ben lontana da quella attuale. Finché arrivò the good doctor, non il personaggio di un moderno serial televisivo di successo (peraltro originario della Corea) bensì il buon Albert Sabin che, addirittura testo su se stesso (un mad doctor, allora?) il suo vaccino “attenuato”. Quello che pochi ricordano è che Sabin non guadagnò un soldo dalla sua scoperta: infatti non brevettò il vaccino ma rese pubblici i risultati del suo lavoro di ricerca. Un regalo – disse – all’umanità.
    Termino qui il ricordo del passato (la polio praticamente non esiste più) per tornare a questo strano presente dove ancora ci si interroga sul fatto che la vaccinazione (concordo su quanto letto in altri commenti: questo non è un vero e proprio vaccino nel senso tecnico del termine perché non contiene traccia del virus) sia o meno necessaria. Ma anche sul fatto che la vaccinazione sia o meno obbligatoria. Tutti hanno ragione: le basi filosofico/politiche del dibattito sono indubbiamente valide. Però manca qualcosa: perché non si propongono le stesse argomentazioni a chi ha passato lunghi giorni in rianimazione, intubato e in attesa di scoprire se sarebbe riuscito a vedere il giorno successivo? Perché a mio modestissimo avviso, il problema è proprio questo: non una questione di potere (si può essere così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni, scriveva De Andrè), di mercato, di sopraffazione o dittatura. E’ una questione che riguarda la nostra personale concezione della vita, dell’esistere, del contrastare il cupio dissolvi che pare imperare nelle voci (ahimè spesso violente e refrattarie a qualsiasi ragionamento) di chi si oppone al vaccino (non solo a questo ma a tutti indistintamente). La scienza (anche qui concordo con chi la vede come un organismo in perpetua e interminabile mutazione) dà risposte valide fino al giorno successivo (un tempo sarebbe stato fino all’anno successivo o ancor di più), è vero. E allora cosa fare? Non credere a nulla perché tutto è un complotto? Un inganno perpetrato ai danni delle masse incoscienti? Quindi no alla scienza? Ci sono battaglie da combattere e sono molte, forse troppe: si pensi a cosa sta accadendo negli Usa a proposito del diritto di voto e dei tentativi dei repubblicani di restringere il più possibile la platea di votanti (se ne parla fin troppo poco). E i rigurgiti nostrani? Parchi pubblici e piazze da intitolare al fratello di Mussolini (e allora perché non proprio a lui?) o a Hitler? Da “vecchio” lettore di fantascienza ho l’impressione di vivere in un mondo che scivola qua e là attraverso realtà le più disparate. Però un punto fermo bisogna trovarlo per non spegnerci in un lamento…Difendere concettualmente posizioni onestamente indifendibili non è la strada migliore per raggiungere un futuro o per continuare a lottare contro le diseguaglianze, la povertà, le guerre. E le malattie. Ricordiamoci di Sabin e del suo regalo. Magari facendone una bandiera da sventolare in faccia a big pharma: credo con tutto me stesso che oggi come oggi la battaglia prima e necessaria sia quella per la liberalizzazione dei brevetti sui vaccini (so che i cubani cercano di dividere il loro con altri Paesi del Terzo mondo: Russia e CIna fanno lo stesso?). Non è una battaglia da poco perché, se ci si sofferma a pensare, riuscire a vincerla non solo assicurerebbe più salute a tutti ma spezzerebbe per la prima volta una catena monopolistica creando un precedente importantissimo sul piano economico e politico.

  • Caro db, mi sembra utile divulgare la breve lettera della famiglia di Giuseppe De Donno, visto che è stato citato, inappropriatamente, in un articolo di questa rassegna:
    «Giuseppe De Donno era un medico che amava la sua professione fino in fondo e che non ha mai rinnegato la scienza. Un medico stimato ed apprezzato per aver dato tutto se stesso per il bene della comunità. Ma Giuseppe non era solo medico, prima di tutto era uomo, figlio, padre, marito, fratello, zio, nipote, cugino e amico, con anche una vita privata lontana dai riflettori, che nell’ultimo periodo hanno preso il sopravvento. Era una persona gentile, con una parola di conforto al momento giusto in ogni occasione per ognuno di noi, che amava la sua famiglia in maniera incondizionata, ed era amato… altroché se era amato! Chi lo conosce realmente sa che nulla di ciò che in questi tristi giorni stiamo leggendo su web, social, quotidiani e striscioni appesi per la città lo rappresentano. In questo drammatico momento il silenzio sarebbe la forma più grande di rispetto e di amore per lui e tutti i suoi cari. Vi ringraziamo per tutto l’amore che viene dimostrato, ma ci sono situazioni private che non possono e non devono essere strumentalizzate». TUTTI I SUOI CARI

  • Con una considerevole dose di ignoranza, Freccero ha il coraggio di scrivere una cavolata (eufemismo) del genere: “Analogamente, per quelli della mia generazione, la morte di De Donno evoca il fantasma di Pinelli”.
    Quando non si sa e non si conosce bisognerebbe avere l’umiltà di stare zitti. Infatti la famiglia del medico ha giustamente chiesto una cosa che gli strepitatori e gli osannatori di professione avrebbe dovuto capire da subito.

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