Yerka e non Yerka / 7
Artisti a confronto – di Mauro Antonio Miglieruolo
PRIMA PARTE: YERKA
L’umanità costruisce in luoghi impossibili. Per poter ispirare opere d’arte con le quali autenticarne la possibilità. Trovando infine artisti come Yerka che le creino per la nostra gioia.
Una riproposizione obbligata.
Il tema preferito da Yerka. Le cucine. Devastate dal tempo, dall’abbandono o dalla vegetazione. A volte per evidenziare lo stato in cui finiscono per cadere molte cose umane. A volte, come in questo caso, esaltando il connubio uomo-natura.
Non una vegetazione qualsiasi ma antropomorfizzata. Per rappresentare una realtà in cui tutto è costruito, voluto. Quasi che il vegetale sia il compimento necessario per ogni vita animale. Anche la vita civilizzata e artificiale dei tempi nostri.
Evidente qui il rimpianto per le condizioni di vita pregresse, di cui si auspica il ritorno. Una meta, l’idillio con la natura, che molti riescono a immaginare. Pochi però si impegnano a favorirne la realizzazione.
Opera già vista, perciò già commentata. anche se sommariamente. Piccole varianti mi istigano a pensare il perché Yerka si attarda a offrirla alla nostra attenzione.
Nell’edicola vegetale un uovo. Tutto intorno frutta, rigoglio, un inno alla vita. La vitalità presente in quasi tutte le sue opere come speranza nel cuore di tutti.
Abbondanza, generosità, bellezza.
Dopo la terza guerra mondiale. Che provocherà la quarta. Come la prima ha provocato la seconda. Ma questa volta non sarà una messa tra parentesi della civiltà, ma la fine della civiltà.
Il lungo cammino del progresso: la lenta scalata al cielo. Una alta piattaforma che permette di allontanarsi dalla terra, dove pero vi sono porte che conducono ad altri mondi. O che conducono al mondo alieno che si chiama passato.
Verrà il giorno in cui riusciremo a individuarne una?
Un po’ nave, un po’ mostro, il treno dell’avvenire avanza faticosamente. Quale sarà la prossima stazione?
Nubi fosche invadono il cielo. Un eterno maremoto è sulla terra.
Una delle tante invenzioni in bianco e nero prodotte dall’artista. Più avanti dedicherò a esse una intera puntata.
Invenzione più utile e vera è impossibile trovare. Bisognerebbe mandarne perecchie in giro per l’Italia. Per chiudere per sempre i conti con l’abusivismo.
Un paesaggio di rottami sotto il quale vive un popolo che se ne alimenta. Sul prato la tovaglia per una colazione sull’erba. Nella pancia della gente, ridotta a macchine e cyborg, tutto ciò che è stato innalzato fino al cielo. Siamo in procinto di ridurre la Terra una sterminata distesa di pietre.
SECONDA PARTE: Tomek Setowski
Dove va Setowski? Sembra volerci dire che non esiste un andare, ma esclusivamente un restare impaniati nell’ammirazione di passato che non passa; ma che neppure apre prospettive di avvenire. Non si proietta in altro che in un sé stesso disordinato con l’ambizione (non preregrina) di affascinare.
Setowski riempie le sue immagini di pensatori atteggiati nel pensare, ma che non pensano … se non all’inesistenza di oggetti seri da pensare.
Le sue sono icone, non persone.
Combinazioni eterogenee appartenenti a tutte le epoche, ispirate da molte sensibilità, creano affascinanti quadri che sono negazione della possibilità stessa di avere una storia.
La storia è il caos. Immodestamente Setowski cerca di apportarvi un po’ di ordine.
(Andate alla fine delle immagini)
Un pensiero barocco rivolto all’antico, alla contemplazione e all’inazione.
Un pensiero semplice arricchito dalla visione epica di epoche sempre compresenti.
Un pensiero nudo che non sa dove andare, perché ignora da dove viene.
Su copiose colonne di fantasticherie, visioni si generano e prosperano.
Una volta c’è stata l’icona. E poi sempre.
continua sabato prossimo
Straordinario!