Armi al comando, guerra senza fine

L’appello “Fermiamo la guerra prima che sia troppo tardi” con articoli, immagini e video di Vincenzo Vita, Alexander Belik, Yurii Sheliazhenko, Vittorio Sartogo, Paolo Berdini, Alberto Benzoni, Nicoletta Pirotta, Francesca Lacaita, Marilyn Langlois, Chris Hedges, Enrico Euli, Andrea Zhok, Alberto Negri, Fulvio Scaglione, Andrè Vltchek, Noam Chomsky, Francesco Scatigno, Barbara Spinelli, Mauro Biani, Sirante, Marco Travaglio, Attac Italia

Guerra, società, alternativa: Spunti di riflessione da parte di Attac Italia

 

1.Una guerra che contiene tante guerre

Lo scenario apertosi con l’invasione russa dell’Ucraina ha spalancato le porte alla complessità della situazione internazionale, dove non c’è più un ordine mondiale definito e dove le diverse potenze sono in conflitto per la definizione di un nuovo ordine internazionale.

La guerra stessa sembra il concentrato di molte guerre, come una sorta di matrioska, al cui interno troviamo: un conflitto civile interno all’Ucraina determinato dalle spinte separatiste delle regioni del Donbass; un conflitto fra Stati, determinato dall’invasione russa dell’Ucraina; un conflitto fra imperialismi e blocchi militari che vede la Russia da una parte e Usa, Nato e governi europei dall’altra; infine, si intravede la possibile guerra futura che vedrà in campo i veri contendenti all’egemonia mondiale, ovvero Usa e Cina.

Nessuno degli attori in campo sembra attivarsi per ciò che sarebbe subito necessarioil cessate il fuoco immediato e l’apertura di negoziati; al contrario, i venti di guerra soffiano da ogni parte e lo scenario appare sempre più quello di una guerra di lunga durata e conseguente rischio di escalation verso una terza guerra mondiale.

La guerra in atto richiama scenari simili a quelli della prima guerra mondiale, con alcune sensibili differenze: non è all’orizzonte alcuna rivoluzione sociale, come invece fu la rivoluzione bolscevica del 1917; non c’è contrapposizione ideologica reale, nonostante i tentativi di mettere in campo i “valori dell’Occidente”, ma siamo di fronte a un multipolarismo oligarchico in lotta per il dominio.

In tutto questo, la deriva dell’Europa sembra palpabile: siamo al declino dell’eurocentrismo, con un’Europa, incapace di un’azione politica autonoma, divenuta il territorio concreto dentro il quale si combatte e il territorio economico e sociale su cui si scaricheranno le maggiori ricadute di questi combattimenti.

Ma, naturalmente, in un mondo globalizzato, la guerra in Ucraina porta con sé conseguenze globali e il blocco delle catene di approvvigionamento, già messe a dura prova durante la pandemia, rischia di provocare crisi alimentari spaventose, in particolare nel continente africano e nella regione del Medio Oriente. E naturalmente probabili nuove migrazioni di massa.

Fermare la guerra diviene un obiettivo prioritario, anche perché, come spieghiamo meglio di seguito, la guerra rischia di chiudere tutte le faglie aperte dalla pandemia sulla ridiscussione radicale del modello esistente e sulla necessità di un’alternativa di società.

Essere contro la guerra significa essere anche contro il ruolo di co-belligeranza non combattente scelto dall’Italia e dagli altri governi europei con l’invio di armi sempre più sofisticate sul terreno del conflitto.

 

  1. La guerra chiude le faglie di sistema aperte dalla pandemia

Ovviamente la guerra, nella quale siamo stati trascinati senza soluzione di continuità con la pandemia, viene utilizzata dai poteri dominanti per chiudere ogni dialettica apertasi in seguito alla pandemia.

Lo stesso Recovery Plan, che abbiamo a più riprese contestato controproponendo il nostro Recovery PlanET, è stato sostanzialmente archiviato ed ora si parla apertamente di Recovery di guerra.

Lo segnalano diversi fattori:

a) la corsa al riarmo, con l’aumento delle spese militari e l’utilizzo dei fondi del Pnrr per costruire una gigantesca base militare a Pisa dentro un parco nazionale;

b)l’utilizzo dell’impennata del prezzo del grano–in realtà determinato dalla speculazione finanziaria- per spingere alla concentrazione verso i colossi dell’agrobusiness dei fondi della Politica Agricola Europea e per aprire agli Ogm;

c)l’utilizzo della necessità dell’indipendenza energetica per mettere in campo un’autarchia energetica basata sulla riapertura delle centrali a carbone, il via libera a tutte le trivellazioni di mare e di terra, il rilancio del nucleare;

d)la proposta avanzata da Confindustria e Governo ai sindacati di un blocco salariale a fronte di un’inflazione galoppante;

e)il tentativo di aprire una nuova stagione di privatizzazioni con il Ddl concorrenza.

Di fatto, l’ideologia per cui “il benessere delle imprese determina il benessere della società” continua ad essere inossidabile, nonostante le evidenze della realtà. E la cultura dell’impresa sta accelerando anche l’aziendalizzazione del sociale.

Tutto questo diviene possibile solo dentro un contesto sempre più autoritario –facilitato dal clima di guerra- che comporta un aumento esponenziale della repressione dei movimenti sociali e una gigantesca sottrazione di democrazia, ormai costantemente bypassata anche dentro le sedi elettive.

Un quadro che rende sempre più urgente la necessità di costruire una grande e permanente mobilitazione sociale per riaprire lo spazio ad un’alternativa di società.

 

3.Tenetevi liberi per l’autunno

L’insieme di percorsi messi in campo in questi due anni hanno prodotto importanti risultati in tema di convergenza dei movimenti e di progressiva accumulazione di forza.

Da una parte la “Società della Cura”, che nei tempi più duri della pandemia ha aperto uno spazio politico, un orizzonte di alternativa e un percorso di confronto e mobilitazione che ha fatto incrociare moltissime diverse soggettività; dall’altra, interconnessa alla prima, l’esperienza del Collettivo di fabbrica ex Gkn, che, a partire dalla propria vertenza, ha costruito un altrettanto fertile percorso di convergenza, rispetto al quale si sono tirate le file nell’assemblea nazionale dello scorso 15 maggio a Campi Bisenzio.

L’insieme di questi processi sta lanciando un “tenetevi liberi per l’autunno”, ovvero la proposta che ogni realtà associativa, sindacale e politica di movimento e ogni realtà territoriale organizzino iniziative di preparazione a un momento comune da tenersi nell’autunno.

L’idea potrebbe essere quella di una grande manifestazione nazionale a Roma in ottobre, in occasione della presentazione in Parlamento della Legge di Bilancio.

L’iniziativa di ottobre va anch’essa pensata come una tappa di un percorso di accumulazione di forze per arrivare –se e quando ce ne saranno le condizioni- a un vero sciopero generale e generalizzato che blocchi davvero il Paese e costringa l’agenda politica a tenere conto di quanto una società auto-organizzata dal basso rivendica e propone in direzione dell’alternativa di società.

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MACCARTISMO ALL’ITALIANA – Vincenzo Vita

La pagina 6 del Corriere della sera della scorsa domenica – con la lista (presunta, ovviamente) dei cosiddetti influencer e opinionisti di fede putiniana – rimarrà negli almanacchi come un incubo da evitare. E ciò malgrado l’autorevolezza delle autrici che hanno firmato l’inquietante articolo. L’iniziativa del quotidiano di via Solferino di Milano viene dopo iniziative omologhe del concorrente de la Repubblica e di altre testate. Tuttavia, vedere sul giornale che fu della borghesia italiana foto segnaletiche ed elenchi di nomi, fa una certa impressione. Sono passaggi che poi, nell’augurabile fase discendente della crisi, rimarranno ferite non facilmente rimarginabili.

Ha denunciato bene il problema con i suoi rischi la federazione nazionale della stampa con un sapiente comunicato. Si chiede, nel pur conciso testo, di sapere se il Copasir (il comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica) sia in possesso di liste classificate come filorusse. Se vi fossero prove provate, gli organismi della categoria dovrebbero intervenire. Se si trattasse –invece- di una caccia alle streghe, il quadro cambierebbe nella sostanza.

Ma da dove arrivano allora elenchi di persone difficilmente ascrivibili a un romanzo di John Le Carré? Le spie che vengono dal freddo magari sono più anonime e coperte. Difficilmente si esibiscono nei talk o mirano a divenire personaggi mediatici. Naturalmente, non si possono confondere ipotetici referenti della guerra ibrida teorizzata dai nuovi soloni delle strategie militari con gli espliciti rappresentanti del governo di Mosca. Qualcuna o qualcuno appare con una certa frequenza negli studi televisivi, ma con improbabile efficacia manipolatoria. Ad esempio, come giudicare la lunga intervista alla trasmissione de La7 Non è l’Arena combinata da Massimo Giletti (graziato dal Corriere) sul suolo moscovita con la portavoce del ministro degli esteri Maria Zakharova? Con tanto di richiamo al Giletti medesimo definito un bambino e con la scena madre del consueto ospite dei talk Alessandro Sallusti che lascia lo show? Giletti è pure svenuto (auguri di buona salute, ovviamente). Ma qui non c’entrano eventuali invettive del Copasir. Basterebbero gusto e buon senso. Le accuse di spionaggio rischiano di coprire la triste verità: a furia di cercare un mezzo punto di share si sta provocando l’agonia di un consolidato genere mediale.

Torniamo alla domanda. Donde vengono i nominativi pubblicati? Se non è vero che sia stata una manina parlamentare a vergare il tutto, allora viene da prendere sul serio la smentita di Adolfo Urso, il presidente del comitato, in merito alla possibilità che dal suo organismo fosse uscita qualche notizia.  Si evoca un report specifico arrivato nella mattinata di ieri. Eccoci, allora. Da altre parti, verosimilmente, è transitata la vicenda, probabilmente anticipata alla testata milanese.

Comunque la si rivolti, dunque, la storia è preoccupante ed è un’avvisaglia del clima che incombe su un paese dipendente da poteri sovranazionali e scarsamente autonomo. Per l’ennesima volta un crocevia di interessi, gruppi, lobby, servizi.

L’informazione, però, ha il diritto-dovere di ribellarsi di fronte a qualsiasi ingerenza, evitando come la peste ogni strumentalizzazione.

La questione esplosa nelle ultime ore, tuttavia, non sarebbe comprensibile se non la si collegasse al delicato voto del prossimo 21 di giugno sulle armi o quant’altro, e in merito ai pronunciamenti di Mario Draghi in vista del consiglio europeo. La maggioranza, pur larghissima, che a tavolino appoggia l’esecutivo è in fibrillazione costante. Del resto, il clima elettorale già si sente e le incognite sono alte. L’informazione è troppe volte protagonista e agente diretto del conflitto, lungi dal parlarne con equilibrio.

Non è fuorviante, quindi, immaginare le pressioni di questi giorni come tassello di una linea di conquista coartata del consenso. Lo spauracchio di un maccartismo all’italiana torna utile per convincere gli incerti e quanti non sono sulla linea esatta che corre tra la Nato, gli Stati uniti e il nocciolo duro del governo.

Chi osa dissentire o semplicemente esporre argomenti e dubbi finisce nel bidone della spazzatura dissenziente.

Se il blasonato occidente suppone di avere nella sua fisiologia l’essenza della democrazia, si sta con simili trovate dando dei calci dolorosi.

Ci auguriamo che le prossime giornate servano a porre rimedio ad una stecca poderosa, una rondine che fa autunno piuttosto che primavera.

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UN’AMPIA ALLEANZA DELLA SOCIETÀ CIVILE CHIEDE PROTEZIONE/ASILO PER DISERTORI E OBIETTORI DI COSCIENZA DA RUSSIA, BIELORUSSIA E UCRAINA

 

In un appello congiunto ai membri del Parlamento europeo e dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, un’ampia alleanza della società civile di 20 Paesi ha chiesto ai governi europei di concedere protezione e asilo agli obiettori di coscienza e ai disertori russi, bielorussi e ucraini. Hanno bisogno di protezione e asilo immediati.

Secondo il diritto internazionale, i militari e le donne che combattono per la Russia in questa guerra stanno conducendo un’operazione illegale. Inoltre, è possibile che la Bielorussia partecipi alla guerra al fianco della Russia. Le persone che si rifiutano di partecipare alla guerra saranno molto probabilmente perseguite penalmente, il che li qualifica per la protezione dell’UE. che li qualifica per la protezione ai sensi della Direttiva UE in materia.

Nella maggior parte degli Stati membri la stragrande maggioranza delle persone colpite non ha ancora ricevuto alcuna garanzia di questa protezione.

Con questo appello, le suddette organizzazioni chiedono che venga loro garantita protezione e asilo.

Si presume che tra le 300.000 persone che hanno lasciato la Russia di recente a causa della guerra, vi siano molti uomini che cercano sicurezza all’estero per evitare di essere mandati in guerra. Negli ultimi mesi circa 20.000 uomini dalla Bielorussia hanno lasciato il Paese per evitare il reclutamento. Ci sono anche obiettori di coscienza ucraini che non vogliono combattere in questa guerra; circa 3.000 uomini hanno chiesto asilo nella sola Moldavia…

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Alexander Belik, obiettore russo: “Permettetemi di continuare il mio lavoro contro la guerra”

 

Alexander Belik, coordinatore del Movimento degli Obiettori di coscienza russi (lo stesso movimento di Elena Popova – NDR), vive attualmente in Estonia dove si è rifugiato per via della sua opposizione politica e antimilitarista al regime di Putin e chiede supporto nella sua richiesta di protezione al governo estone che continua a ritardare il suo riconoscimento come rifugiato politico. Su sua richiesta abbiamo tradotto e pubblichiamo la sua dichiarazione odierna al Dipartimento di Polizia e Guardia di frontiera.

Sono disperato. Chiedo alle autorità e alle forze dell’ordine di permettermi di continuare dall’Estonia il mio lavoro contro la guerra in Ucraina.

Sono stato costretto a lasciare la Russia a fine marzo, poiché il proseguimento della lotta antimilitarista contro la chiamata alle armi ogni giorno diventava sempre più pericoloso per me. Mi sono trasferito nel paese che mi ha rilasciato il visto e nel Paese del mio primo ingresso, l’Estonia.

Il mio lavoro è pronto per essere supportato da ìl Movimento degli obiettori finlandesi (che fanno parte della WRI e di EBCO – NDR), con cui collaboriamo dal 2018.

Subito all’arrivo su raccomandazione di Jevgeni Krishtafovitsh mi sono rivolto ai “Consulenti Migratori” (consultazioni gratuite della polizia per la stesura di un piano individuale di integrazione).

Secondo le raccomandazioni dei consulenti migratori, io e i finlandesi abbiamo registrato il nostro accordo presso l’ufficio delle imposte estone e abbiamo presentato una petizione per registrare il mio lavoro per loro.

Oggi il Dipartimento di Polizia e Guardia di Frontiera ha prorogato l’esame della nostra domanda di registrazione dei lavori fino all’11.06.2022. senza spiegazioni. E il 10.06.2022 è l’ultimo giorno in cui posso richiedere un visto di lavoro per il quale il lavoro deve essere già registrato. Che sorpresa.

Smetto di capire cosa fare del sistema e chiedo aiuto. Voglio solo vivere e pagare le tasse in Estonia. Lavorare con serenità per contribuire alla fine del regime di Putin.

E ho paura che l’obbligo di tornare in Russia sia all’ordine del giorno delle autorità estoni.

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Yurii Sheliazhenko: “Dobbiamo sfidare con la nonviolenza lo stereotipo della vittoria militare”

 

 

Traduciamo e pubblichiamo la versione scritta del discorso che Yurii Sheliazhenko del Movimento Pacifista Ucraino ha tenuto durante la conferenza di pace di Bruxelles del 19 maggio scorso.

Cari amici, grazie per aver dato, in questa conferenza, una possibilità alla pace.

Il Movimento pacifista ucraino che rappresento fa lo stesso, nonostante la legge marziale. Aiutiamo i civili a sopravvivere, rimanendo civili. Continuiamo a sostenere la gestione nonviolenta dei conflitti e l’abolizione del servizio militare obbligatorio, portiamo avanti studi sulla pace e cooperiamo con il movimento internazionale per la pace. Quando ci siamo riuniti online il 15 maggio per celebrare la Giornata internazionale degli obiettori di coscienza, abbiamo adottato una dichiarazione in cui abbiamo condannato ancora una volta la prosecuzione della guerra, chiedendo la cessazione delle ostilità e chiedendo di negoziare una soluzione, denunciando le violazioni dei diritti umani durante la mobilitazione militare in Ucraina ed esprimendo solidarietà con la Russia e gli obiettori bielorussi al servizio militare, chiedendo l’immediata cessazione di tutte le repressioni contro di loro.

La pace e la solidarietà in Europa e nel mondo è un sogno potente, ma si è trasformato nella selvaggia illusione di schiacciare il nemico comune ad ogni costo, trascurando il fatto che esso già convive con la paura ed è costretto ad affrontare quotidianamente orribili spargimenti di sangue, carenza di cibo, iperinflazione, crisi economica ed ecologica e l’incubo di una concreta guerra nucleare seriamente pianificata.

Penso che le persone qui riunite capiscano che pace e solidarietà comportano la necessità di un cessate il fuoco immediato e di colloqui di pace globali per trovare un terreno comune tra l’Ucraina e la Russia, tra l’Est e l’Ovest. Viviamo tutti sullo stesso pianeta e quindi dobbiamo trovare un terreno comune. Ma alcune persone apparentemente vivono su un pianeta diverso, dove – sembrerebbe – armi letali e rifiuto di negoziare in qualche modo portano la pace, mentre la sfiducia e l’odio creano in qualche modo solidarietà.

Le differenze tra questi pianeti sono differenze tra la cultura progressista della pace e della nonviolenza e la cultura arcaica della guerra e della violenza. Sul pianeta della pace le persone parlano, sul pianeta della guerra le folle combattono. Ma vi assicuro che in realtà ci troviamo tutti sullo stesso pianeta, la guerra ne è solo un lato oscuro, insieme alla propaganda della guerra con le sue immagini irrealistiche di nemici esistenziali ed eroici assassini che difendono il loro paese.

Nel lato oscuro si fanno molti sforzi per trasformare tutte le persone in eserciti attraverso la propaganda della guerra nei media e nell’istruzione, il reclutamento militare e le campagne di mobilitazione, la corruzione e le pressioni che moltiplicano i falchi e le colombe moleste.

Abbiamo bisogno di sviluppare il lato positivo del nostro pianeta, rafforzare il movimento per la pace per trasformare le folle bellicose in persone amanti della pace. Abbiamo bisogno di costruire una società non violenta senza nemici e senza frontiere che dividano le persone, una società basata sull’obiezione di coscienza al servizio militare, sul rifiuto di uccidere o commettere qualsiasi altro crimine, sulla giustizia riparativa, sulle capacità universali di auto-organizzazione del soft-power e sulla gestione dei conflitti. Abbiamo bisogno della scienza della pace e dell’educazione per apprendere metodi pratici ed efficaci di vita non violenta. Abbiamo bisogno della pace nei media, una cyber-pace per portare avanti un discorso non violento, per far emergere delle luci nell’oscurità violenta invece di trascinare l’umanità nell’oscurità unilaterale. Abbiamo bisogno di un’economia di pace per investire nella costruzione della pace invece che nell’autodistruzione.

L’educazione patriottica militare e la coscrizione sono un male comune di Russia e Ucraina che hanno intensificato il conflitto e portato alla guerra e dovrebbero essere condannati e vietati dal diritto internazionale; anche la repressione contro il movimento per la pace in Russia è una pratica immorale così come la totale mobilitazione militare della popolazione Ucraina, senza rispetto dell’obiezione di coscienza o di altre scelte personali di chi vuole evitare la propria partecipazione diretta o indiretta alla guerra.

Dovremmo sfidare con la nonviolenza lo stereotipo della vittoria militare insistendo sulla verità storica che tutti gli sforzi per conquistare il potere assoluto sono sempre dolorosamente falliti, non importa quanto ipocriti siano stati i conquistatori; dovremmo ammettere che nessuno può vincere tutto nonostante il pretesto di una buona causa, che tutto il potere dovrebbe essere ragionevole e il più possibile condiviso.

Mi auguro che tutta l’Europa dichiari con una sola voce che la guerra è un problema, non una soluzione. Rifiutiamoci di uccidere e costruiamo insieme la pace sulla Terra.

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Fermiamo la guerra prima che sia troppo tardi. Un’iniziativa a Roma per la Pace

L’APPELLO. Dopo oltre due mesi è chiaro che le armi non hanno ridotto la sofferenza dei civili e non hanno avvicinato una soluzione giusta del conflitto. Quello proposto come aiuto all’Ucraina ha trasformato donne e uomini di quel paese in pedine di una guerra tra NATO e Russia che ogni giorno ci vede più coinvolti.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato in Europa la tragedia della guerra, una tragedia che negli ultimi trent’anni si è consumata nella nostra distrazione in tante parti del mondo. Si può entrare nelle guerre quasi senza accorgersene ma poi è difficile uscirne.

Molte persone in buona fede hanno pensato inizialmente che fornire armi fosse il modo migliore per sostenere la resistenza ed essere vicini al popolo ucraino. Dopo oltre due mesi è chiaro che le armi non hanno ridotto la sofferenza dei civili e non hanno avvicinato una soluzione giusta del conflitto. Quello proposto come aiuto all’Ucraina ha trasformato donne e uomini di quel paese in pedine di una guerra tra NATO e Russia che ogni giorno ci vede più coinvolti.

Anche molti politici europei cominciano a rendersene conto. Anche nelle nostre istituzioni avanzano proposte e valutazioni più ragionevoli che vanno sostenute e valorizzate.

Se gli obiettivi dichiarati sono stati da un lato la denazificazione e la neutralità dell’Ucraina e dall’altro la resistenza all’invasione, oggi si parla di Vittoria e Resa. La retorica bellica ci trascina sempre più verso il baratro, una escalation pericolosissima alimentata irresponsabilmente dall’azzardo di cercare la sconfitta militare di una potenza nucleare. E diventa un’opzione l’incancrenimento del conflitto, come tante volte altrove, in una guerra cronica in Europa.

La guerra uccide le persone e non rappresenta la soluzione. In molte e molti hanno detto: certo le cause del conflitto sono complesse e la guerra è orribile ma ora, che si può fare? L’analisi delle cause e del contesto è condannata come ambiguità. L’unica soluzione proposta è quella militare. Eppure trent’anni di guerre umanitarie, preventive e fuori dall’ONU, cosa hanno prodotto? Hanno fermato le guerre, hanno indebolito le dittature, contrastato i nazionalismi, favorito la libertà delle persone? Afghanistan, Siria, Libia e prima l’Iraq, l’ex Jugoslavia sono lì a dimostrare che la guerra è un’illusione distruttiva e che è la pace l’unica alternativa razionale.

L’alternativa alla guerra era la resa? No l’alternativa era ed è una soluzione diplomatica per la quale sarebbe servita, servirebbero soggetti terzi autorevoli, autonomi e credibili. L’Europa deve acquisire un ruolo autonomo ed essere soggetto promotore di pace e cooperazione. Va rilanciato il ruolo prioritario dell’Assemblea dell’ONU nella prevenzione dei conflitti e nell’affermazione del dialogo per la stabilità democratica e la difesa dei Diritti Umani. La guerra fa arretrare il mondo: torna la logica dei blocchi che schiaccia l’Europa e marginalizza l’ONU. L’Europa viene arruolata nei ranghi della NATO, trasformata in emblema della democrazia anche se comprende la Turchia di Erdogan, definita dallo stesso Draghi una “dittatura” che “ci fa comodo”.

Si fa appello al dovere etico del combattimento ma si liquida il rifiuto della guerra come “petizione etica” che non fa i conti con la realtà. Strateghi da salotto irridono “l’ingenuità dei pacifisti”. Così si liquidava paternalisticamente chi denunciava la vendita di armi a regimi totalitari e a paesi in conflitto come Arabia Saudita, Russia, Turchia o Israele. Salvo poi inorridire se Putin usa quelle armi in Ucraina o chiudere gli occhi se l’Arabia Saudita scarica quelle armi sui civili in Yemen o la Turchia le usa per massacrare i curdi buoni solo quando dovevano combattere per noi l’ISIS.

La storia ci mostra l’ipocrisia e la contraddittorietà del ricorso alla guerra come soluzione.

La guerra dilania i corpi e sfigura le democrazie: avvelena l’informazione, contrae gli spazi di espressione della pluralità, produce sospetto, riporta all’ordine, colpevolizza dubbi e interdice le differenze. Torna la guerra di civiltà tra Occidente e Oriente che rappresenta la cultura e la storia russa come assolutismo e barbarie. La cultura russa è parte integrante della nostra storia, le democrazie europee sono figlie della comune guerra contro il nazismo e di quel compromesso tra capitale e lavoro che fu alla base dello stato sociale europeo.

Tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere. Ci chiedono “con chi stai?” Come se rifiutare di schierarsi significasse non distinguere le responsabilità: ma davvero l’unica scelta è assistere allo scontro ‘tifando’ e non svolgere invece un ruolo attivo per soluzione della pace? Non si tratta di indifferenza ma di ‘essere altro’, di voler rappresentare un’alternativa alla logica di guerra. Rifiutiamo la logica aut-aut e affermiamo una terza via fuori dallo schema amico-nemico. Siamo con le femministe e i cittadini e le cittadine russe che, rischiando repressioni violente e carcere, manifestano contro lo sciovinismo di Putin e le violenze e gli stupri di guerra; siamo con la popolazione civile ucraina che ha perso i propri cari e le proprie case, siamo con chi nei diversi paesi europei ha contrastato la crescita dei nazionalismi. Siamo con chi fugge da questa e da tutte le altre guerre e tragedie e viene respinto ai confini dell’Europa. Ripudiamo la violenza dello scontro militare e siamo con i giovani russi mandati a morire in questa assurda guerra e con gli uomini ucraini obbligati ad armarsi senza poter fuggire dalla guerra con le proprie famiglie.

Negli anni’80 il movimento per la pace era contro tutti i missili e tutti i blocchi, e nel Golfo, in Iraq, nella ex Jugoslavia, in Siria, la pace è sempre stata un’alternativa allo schieramento.

La guerra uccide e affama il mondo: la prosecuzione del conflitto e la speculazione stanno privando di cibo i paesi del Sud preparando nuove sofferenze e conflitti. Un sistema basato sulla distruzione delle risorse e la speculazione finanziaria produce miseria e guerra.

Anche oggi, nonostante il martellamento mediatico e il quasi unanimismo delle forze politiche, i sondaggi continuano a registrare una contrarietà all’invio di armi e alla scelta di contribuire al massacro e all’escalation militare. Il ripudio della guerra, scritto in Costituzione, è ancora saldo nella coscienza di chi vive nel nostro paese.

Diamo voce alle ragioni vere della pace, sosteniamo le iniziative promosse dalle reti e organizzazioni, costruiamo un appuntamento unitario e aperto a Roma contro la guerra.

  • Immediato cessate il fuoco
  • Stop all’invio di armi
  • Sostegno all’aiuto umanitario e alle evacuazioni per la popolazione civile ucraina
  • Convocazione di una conferenza di pace internazionale che coinvolga Ucraina, Russia, Europa, Turchia, Cina e USA con la regia dell’ONU
  • Costruzione di una conferenza per la pace e la sicurezza in Europa
  • Stop all’allargamento della NATO
  • Stop all’aumento delle spese militari in Italia
  • Sostegno agli obiettori di coscienza in Ucraina e Russia
  • Sostegno alle cittadine e ai cittadini della Russia oppositori della guerra
  • Difendere un’informazione libera e pluralista contro la retorica di guerra
  • Riportare al Parlamento le scelte, rispettare testo e spirito della Costituzione

Le prime adesioni (in ordine alfabetico): Michele Abrusci, Silvia Acquistapace, Barbara Auleta, Paolo Berdini, Gianfranco Bocchinfuso, Enrico Calamai, Massimo Cervellini, Stefano Ciccone, Luca Coccia, Danilo Cosentino; Nicoletta Dentico, Monica Di Sisto, Alessandra Filabozzi, Francesca Fornario, Domenico Gallo, Pietro Masina, Giorgio Mele, Velia Minicozzi, Giusi Gabriele, Nuccio Iovene, Chiara Luti, Sandro Medici, Pasqualina Napoletano, Simone Oggionni, Catia Papa, Silvana Pisa, Giuseppe Reitano, Giulia Rodano, Angelica Romano, Gianni Ruocco, Vittorio Sartogo, Pietro Soldini, Silvia Stilli, Claudio Tognonato, Stefania Tuzi, Vincenzo Vita, Carolina Zincone

Per aderire scrivere a ciccone@uniroma2.it

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Guerra in Ucraina: le ragioni e le soluzioni secondo Noam Chomsky –  Francesco Scatigno

La guerra in Ucraina sembra essere nata dal nulla, viene raccontata dai media in tempo reale ma non è permesso spiegarne la complessità delle ragioni storicheNoam Chomsky lo fa egregiamente in questo libro senza cercare giustificazioni o attenuanti per il crimine di guerra che rappresenta l’invasione intrapresa da Putin.

Perché l’Ucraina è un libro straordinario per diverse ragioni. Innanzitutto il libro è la raccolta di sette interviste a Noam Chomsky, quasi tutte realizzate tra il febbraio e la fine di marzo del 2022. Perché l’Ucraina è il punto di vista di un grande pensatore su temi attualissimi, realizzato in tempo reale. Dall’ultima intervista (24 marzo) alla pubblicazione (21 aprile) è passato meno di un mese.

In secondo luogo Noam Chomsky è uno dei massimi esperti sul ruolo dei media in occidente ed uno dei maggiori critici della politica estera statunitense. Il suo è un pensiero lucidissimo, nonostante i suoi 93 anni, ed utilissimo a comprendere il ruolo degli Stati Uniti nella guerra russo-ucraina. Chomsky si definisce anarchico.

Le interviste che vanno a comporre questo libro, uscito in italiano in anteprima mondiale, sono sette. La prima intervista è di Valentina Nicolì realizzata nel dicembre 2018. Le altre sei interviste sono realizzate da C.J. Plychroniou per la rivista indipendente Truthout, dal 4 di febbraio, periodo precedente all’invasione russa, al 24 marzo 2022 e ci portano gradualmente dentro la guerra in Ucraina.

Ruolo dell’Europa e della NATO nella guerra in Ucraina

L’intervista del 2018 di Valentina Nicolì riguarda il ruolo dell’Europa e della Nato. Chomsky ripercorre la storia dell’Europa dal secondo dopoguerra ad oggi passando per De GaulleWilly Brandt e Gorbačëv. L’accordo che si raggiunse per l’unificazione della Germania prevedeva che la NATO non si espandesse verso Est. Era l’unica ragione per cui l’Unione Sovietica potesse fare questa concessione alla Germania divisa.

L’allargamento della NATO fino ai confini russi

Gli accordi furono mantenuti fino al 2008 quando Bill Clinton allargò la Nato fino ai confini con la Russia. Con Bush e Obama ci furono anche degli inviti all’Ucraina ad entrare nella NATO. Secondo Chomsky la NATO è consapevole che l’Ucraina non farà mai parte dell’alleanza militare atlantica. Neanche dopo un’eventuale vittoria nella guerra russo-ucraina. La Russia non lo accetterebbe mai.

Il ruolo della Nato

Secondo Chomsky la NATO non avrebbe più senso di esistere, come alleanza militare, dopo la fine dell’Unione Sovietica. Chomsky riporta il pensiero dello storico inglese Richard Sakwa, professore di Politica europea e russa all’Università del Kent, secondo cui la Nato si giustifica col bisogno di gestire le minacce provocate dal suo allargamento.

In questo modo la NATO si è trasformata in un’alleanza che ha lo scopo di controllare le risorse energetiche mondiali ed è funzionale come supporto agli Stati Uniti nelle diverse operazioni speciali e missioni di pace occidentali…

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da Vittorio Sartogo, Paolo Berdini e Alberto Benzoni

CONTRO LA GUERRA IN ITALIA

Cari compagni

Aderendo, collettivamente, al vostro appello, intendiamo percorrere, tutti insieme, un lungo cammino.

Manifestare per la pace è stato, per lungo tempo, un atto di testimonianza. Una protesta e una denuncia nei confronti di un evento esterno che non si era in grado né di impedire né di far cessare.

E testimonianza potrebbe apparire anche oggi; con l’aggravante di operare in un ambiente ostile, in cui qualsiasi espressione pubblica di dissenso rischia di essere equiparata, oggettivamente si vorrebbe, come atto di solidarietà con il Nemico.

E qui, cari compagni, la guerra in Ucraina non c’entra. Mentre c’entra, eccome, il fatto che le classi dirigenti del nostro paese, così come i sostenitori del nostro governo, ci abbiano posto, a prescindere dalle necessarie procedure formali, in uno “stato di guerra”.

“Siamo in guerra” è l’”apriti sesamo”, la formula magica: che consente di produrre a getto continuo piani di pace destinati a rimanere nel cassetto e forniture di armi la cui natura e consistenza è coperta dal segreto militare; che soffoca sul nascere qualsiasi dibattito pubblico sul presente e il futuro del nostro paese e dell’Europa a tutto vantaggio di coloro che vogliono difendere il disordine esistente; che considera atto di scorrettezza grave porre domande e pretendere risposte da Draghi; e, infine, cosa forse più grave, che introduce surrettiziamente, e con effetto retroattivo, il reato di opinione e di frequentazione.

Una grande cortina fumogena che è anche a uso esterno. Perché ci consentirebbe di apparire ad un tempo filoamericani e amanti della pace. O, peggio, ancora di chiamarci fuori, dallo scontro in atto sulla stessa natura dell’Europa: che divide coloro che vogliono un’Europa etero diretta lungo l’asse Washington-Londra-Varsavia- Kiev e coloro che, a Parigi come a Berlino e Madrid, aspirano al ritorno di un’Europa indipendente, in un mondo pacifico e multipolare.

Pace è sconfiggere la tendenza a rendere la presenza della guerra costitutiva del nostro tempo, per contenere la perdita di egemonia degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Nel conflitto apertosi tra i diversi “imperialismi” e nell’economia di guerra che va profilandosi, i lavoratori e le lavoratrici di tutti i paesi patiranno le maggiori sofferenze, in termini di sempre maggiore sfruttamento, precarietà di vita, inquinamento. Ridotte le popolazioni civili a carne di cannone o private del diritto stesso del pensare.

Non stiamo parlando d’altro. Stiamo parlando, tutti insieme, del qui e dell’oggi. Del fatto che lottare, in tutte le sedi e con tutte le forze disponibili, per sconfiggere la cultura e la pratica della guerra nel nostro paese sia una delle premesse necessarie per riportare la pace in Ucraina.

Ci dipingono come una minoranza di esagitati. Mentre siamo una maggioranza silenziosa; anche perché silenziata. A noi , e a tanti altri come noi, il compito di farla scendere in campo.

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Immaginare e praticare la pace – Nicoletta Pirotta, Francesca Lacaita

PREMESSA

Sulla guerra in corso iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, molto si è detto e scritto. Pochi però hanno saputo tenere insieme un punto di vista critico e radicale con un approccio dialogico capace di parlare a chi si trova su posizioni diverse, potenzialmente anche agli stessi ucraini.

Lidia Cirillo nel suo recente, bellissimo articolo (Primum vivere – Jacobin Italia ) c’è riuscita in modo egregio. In particolare su alcuni temi che hanno creato divisioni anche all’interno del variegato mondo di chi si oppone alla guerra.

Ci riferiamo al diritto all’autodeterminazione delle nazionalità oppresse , un concetto politico che, come scrive Cirillo, riguarda da vicino la storia delle relazioni fra Russia e Ucraina dall’oppressione violenta che segnò l’ epoca zarista al riconoscimento, grazie a Lenin ed alla rivoluzione del 1917, del diritto dell’Ucraina di decidere se e come unirsi alla Russia sovietica, per tornare poi, dopo la caduta dell’URSS, ad una relazione tra le due nazioni più simile a quella dei tempi dello zar piuttosto che a quella auspicata dalle rivoluzionarie e dai rivoluzionari.

Un diritto all’autodeterminazione per essere davvero tale non può essere concesso solo ai virtuosi, come scrive Cirillo, perché rovescerebbe l’ordine logico della questione. Un rovesciamento cui ci hanno abituato gli Stati Uniti che hanno invaso paesi sovrani, in diversi parti del mondo, spiegando che si trattava di “paesi canaglia” che andavano rimessi in ordine!

Il concetto di autodeterminazione è una “pietra d’inciampo” perché ad esso è legata la questione dell’invio di armi all’Ucraina, anch’esso un tema oggetto di polemiche e divisioni. La difesa armata del proprio diritto all’autodeterminazione è certamente necessaria in condizioni di isolamento; è triste però che dopo settant’anni di integrazione europea non si sia trovata nessuna alternativa all’invio di armi e alla cobelligeranza di fatto. Le armi sono state inviate (nonostante la maggior parte delle e dei cittadini italiani ha espresso il proprio dissenso nella consapevolezza che le armi non aiutano la fine del conflitto anzi lo alimentano) e la guerra continua, senza che all’orizzonte si vedano spiragli per un cessate il fuoco.

Per questo oggi la questione che dovrebbe diventare centrale sarebbe quella di chiedersi come andare avanti per cercare di disturbare i manovratori, o almeno a provarci, non delegando tutto alla NATO e alle classi dirigenti.

Con una consapevolezza, anzi due.

Poiché non esiste oggi nessun fermento rivoluzionario capace di cambiare l’ordine delle cose (né lo si vede all’orizzonte), l’alternativa alla guerra non può che derivare da trattative, compromessi e diplomazie. E quindi andrebbe sostenuto ogni tentativo o proposta che si muove in questo direzione.

I due articoli e la proposta che indichiamo suggeriscono alcune possibili strade.

Chi, come noi, crede che si debba cambiare l’attuale ordine delle cose, di cui la guerra è figlia, dovrebbe saper immaginare un altro modo di stare al mondo. E farlo in modo collettivo provando a rimettere le istanze e l’immaginario che si sono venuti formando in questi anni di

osservazione e di riflessione, mentre la politica mainstream procedeva di crisi in crisi.

Spunti, suggestioni, proposte.

1)  Nell’articolo sul “Fatto Quotidiano” del 27 maggio scorso (“Sulla guerra la Russia ha due linee diverse. Ed anche l’Europa”) Barbara Spinelli analizzando la situazione all’interno dei due fronti per cercare di capire se esistono margini per iniziative diplomatica, ha messo in luce l’esistenza di due linee di pensiero sia in Russia che in Europa.

In Russia  secondo Suslov , direttore del Centro studi europei ed internazionali presso la Scuola di Economia di Mosca, c’è chi vorrebbe estendere la guerra non fermandosi alla conquista del Donbass. Ma ce ne sono altri, fra i quali secondo Suslov anche lo stesso Putin, che sarebbero disponibili a fermarsi al Donbass per poi richiedere la neutralità dell’Ucraina (che dovrebbe significare il non  ingresso nella Nato ma altresì il contrasto alle organizzazione neonaziste presenti nel Paese,  il riconoscimento della Crimea alla Russia e dell’autonomia del Donbass).

In Europa, secondo Spinelli, l’asse Kiev/ Londra  sostenuto da Washington preme per la continuazione della guerra fino alla vittoria dell’Ucraina così come il cosiddetto “blocco nord-orientale (Polonia, paesi nordici e baltici) spingono per l’ampliamento della Nato e l’invio massiccio di armi all’Ucraina.

Di contro l’asse Parigi- Berlino considera ancora attuali gli accordi di Minsk, che ricordiamo sono stati firmati dopo la crisi che nel 2014 ha portato all’invasione della Crimea da parte della Russia e agli scontri nel Donbass nella capitale bielorussa. Gli accordi sono stati negoziati da Ucraina e separatisti filorussi delle regioni orientali e firmati in due diverse occasioni, nel settembre del 2014 e nel febbraio del 2015, in presenza dei rappresentanti dell’Osce, della Russia e di alcuni Paesi occidentali, fra cui Francia e Germania per l’appunto. L’Italia non si è schierata apertamente con l’uno o l’altro anche se pare più vicina a Germania e Francia.

L’esistenza di differenti posizionamenti nei due schieramenti fa dire a Barbara Spinelli che lo spirito degli accordi di Minsk  oggi sembra sconfitto ma non del tutto morto lasciando qualche speranza alla possibilità di un cessate il fuoco e all’apertura delle trattative.

Aggiungiamo che anche in Ucraina vi sono posizioni articolate Il popolo ucraino è esso stesso diviso quanto a progetto nazionale. Queste divisioni possono certo essere attenuate dall’aggressione russa, ma è improbabile che scompaiano a breve termine. Il progetto nazionale perseguito dall’attuale dirigenza ucraina, basato sul nazionalismo filo-occidentale, e ora inasprito dalla guerra, non sembra in grado di tenere adeguatamente in conto questa pluralità e diversità.

Se è vero che su queste divisioni l’antagonismo tra due blocchi militari ostacola la ricerca di modalità pacifiche di convivenza e di ricomposizione del conflitto è altrettanto vero che le contraddizioni e la complessità del reale potrebbero aprire spiragli di trattativa.

2)  Il “Centro per la Riforma dello Stato”, la Fondazione Basso e la rivista “Alternative per il Socialismo” in una conferenza stampa di qualche giorno fa hanno presentato la proposta di una Conferenza di pace, sul modello di quella di Helsinky, da tenersi a Roma

Un Conferenza che dovrebbe essere sostenuta , come scrive Franco Ippolito, presidente della Fondazione Basso da ” una autonoma soggettività dell’Unione Europea nell’adozione di urgenti iniziative per propiziare il cessate il fuoco e aprire una fase di vero negoziato verso una Conferenza di pace, con l’obiettivo di ricercare e concordare un nuovo accordo di convivenza internazionale, lontano da ogni spirito di vendetta verso chicchessia. I funesti effetti di Versailles (1919) sulla crescita dei nazionalismi nella prima metà del ‘900 dovrebbero averci insegnato che dai conflitti e dalle tragedie belliche si esce soltanto con un accordo che guardi al futuro, coinvolgendo positivamente e responsabilizzando tutti gli attori della comunità internazionale.”

Per il costituzionalista Gaetano Azzariti, una proposta di questa natura faciliterebbe la partecipazione della Russia al tavolo delle trattative perché se risulta difficile immaginare la presenza di Putin ad un incontro con Biden ed Erdogan, nella funzione di mediatore (sic!),  sarebbe più complicato per lui rifiutarsi  di sedere ad un tavolo con Europa, Cina, India e Stati africani.

Chi propone questa conferenza di pace, fra cui ci piace segnalare  la presenza di Maria Luisa Boccia, si dice convinta/o che ” spetta alla comunità internazionale garantire la sicurezza tra i popoli e le Nazioni, dando vigore ad uno sforzo collettivo che coinvolga tutti i Paesi nella ricerca di un nuovo patto di sicurezza e di pace , superando gli attuali squilibri tra potenze e aree geografiche.

La politica e il diritto internazionale sopravvivranno alla guerra solo se saranno in grado di ripudiarla con iniziative e azioni concrete ed efficaci”

3) Donatella Di Cesare nel suo articolo (” Il falso mito dell’Ucraina sovrana con confini liberi”) pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” del 27 maggio mette in luce quanto, in questa guerra, concetti come sovranità, confini e integrità territoriali lungi dall’essere relativizzati per l’accoglimento delle differenze,sono al contrario assolutizzati a pregiudizio della pace. Di Cesare ribadisce quanto sia arbitrario, ipocrita e funzionale al conflitto il tentativo di leggere la guerra tra Russia e Ucraina in termini di democrazia contro regime, o peggio, di scontro di “civiltà” perché sono i blocchi geopolitici e la politica di potenza a ostacolare la convivenza pacifica e l’autodeterminazione (le due cose non sono in contraddizione, ma la prima è il presupposto della seconda). Si sottolinea infine quanto sarebbe necessario ed ancora fattibile che l’Europa nata, almeno in teoria, per superare le nazioni e favorire la coabitazioni fra popoli e quindi per mitigare e limitare ogni velleità sovranista, assumesse un ruolo autonomo

Immaginare e praticare la pace

Noi non sappiamo come andrà a finire né siamo nella condizione di poter condizionare l’esito.

Però da femministe e pacifiste qualcosa la potremmo fare: ragionare collettivamente sulla pace.

Ragionare sulla pace per chi crede che il no alla guerra”, senza se e senza ma , sia la sola possibilità teorica e pratica per non schierarsi in difesa dell’esistente, non può che significare immaginare e praticare con la necessaria creatività politica altri modelli di convivenza.

Modelli che non abbiano bisogno di eserciti e di confini.

Modelli che svelino lo stretto legame esistente fra sistema capitalista e patriarcale, militarismo e regimi totalitari, tra il potere esercitato nella sfera pubblica e nella sfera privata.

Modelli che sappiano vedere quanto la guerra peggiori le condizioni materiali , in particolari dei ceti e delle soggettività impoverite, perché riduce e svuota ulteriormente i pochi diritti sociali rimasti.

Modelli capaci di riconoscere le differenze, le contraddizioni e le difficoltà delle relazioni umane provando a gestirle in modo assertivo e nonviolento.

Modelli che assumano il paradigma della cura come rovesciamento dell’attuale ordine delle cose.

Non è impresa facile, ma a volte sono le cose complicate che scaldano i cuori.

Se non ora quando?

https://transform-italia.it/immaginare-e-praticare-la-pace/

 

Legami USA al nazismo – Marilyn Langlois

Volonterosa sospensione d’incredulità: il pericolo di trascurare i legami USA al nazismo

Gli amanti della pace e coloro d’intenti umanitari prendono sul serio i frequenti impegni solenni di “mai più” riferiti alle atrocità commesse nella gestazione della e durante la 2^ Guerra Mondiale. La mancanza di diffuso scalpore è quindi stata scoraggiante quando il Congress USA ha acriticamente approvato aiuti militari all’Ucraina d’entità senza precedenti – 54 miliardi di dollari dallo scorso marzo – intensificando pericolosamente le ostilità in un paese con un inquietante passato d’indulgenza verso il nazismo e d’implacabile persecuzione della considerevole quota di propria popolazione russofona.

Io definisco il nazismo un’ideologia autoritaria che esercita uno stretto controllo su una popolazione scelta, ritenuta intrinsecamente superiore, e invece disumanizza e indulge all’esclusione, al maltrattamento e allo sterminio delle persone appartenenti a gruppi indesiderati. Esso facilita un’ estrema concentrazione di ricchezza e potere mantenendo divisi i lavoratori,  ricompensando la lealtà di attori utili fra li eletti e addossando qualunque male sociale agli indesiderabili. E’ uno strumento della continua guerra strisciante dei super-ricchi contro il resto dell’umanità per il controllo della popolazione e delle risorse mondiali, guerra dissimulata dietro conflitti costruiti apposta per instigare fuorviamento e demoralizzazione. La riuscita di tale teatralità dipende dalla volonterosa sospensione d’incredulità [della finzione] da parte del suo pubblico. Gli agenti di potere USA hanno impiegato artifici teatrali dietro le quinte per projettare una convincente illusione anti-nazista invece contemporaneamente abilitando il nazismo in vari modi durante la 2^ guerra mondiale, la guerra fredda e l’era successiva, ivi compresa la vicenda ucraina odierna.

Seconda guerra mondiale (2^GM): negabilità plausibile

L’alleanza ufficiale USA con l’URSS nella 2^GM fornì loro una negabilità plausibile del sostegno clandestino alla Germania nazista, che si poteva considerare un utile strumento per sconfiggere o almeno sfiancare grevemente l’URSS e i suoi principi comunisti d’egalitarismo (pur attuati in modo imperfetto). In effetti, molti ricchi industriali e finanzieri USA, fra cui Prescott Bush, il cui figlio e nipote divennero poi presidenti della federazione, sostennero attivamente grandi aziende che strutturarono il regime nazista per il sovvertimento del crescente potere dei movimenti operai nella giovane Unione Sovietica e altrove. Quando Stalin, sotto la greve invasione tedesca, implorò USA e Regno Unito di aprire un fronte occidentale, essi tergiversarono fino al 1944, dopo che si rese chiaro che l’armata sovietica, sacrificando milioni di vite nella lotta contro il nazismo, stava prevalendo e sarebbe presto entrata trionfante a Berlino.

La guerra fredda: operazioni segrete

Dopo il 1945, USA e Occidente si strombazzarono come fari di bontà e democrazia. Il copione ufficiale passò dai nazisti ai comunisti come arcinemici, e intanto i primi venivano surrettiziamente allevati fuori-scena. Pochi sono consapevoli che la Germania-est comunista si accinse metodicamente a denazificare le proprie istituzioni civiche, mentre la Germania-ovest mantenne molti nazisti in posizioni elevate, come gli USA attuarono l’Operazione Paper Clip, che accoglieva scienziati e ingegneri nazisti. La principale spia antisovietica della Germania nazista, Reinhard Gehlen, fu assunto dalla CIA per riattivare e reclutare reti di spie in Ucraina e altri paesi est-europei.[ii]

Lontano dai riflettori si è dispiegata la sordida saga delle Operazioni Gladio in Europa e Condor in LatinAmerica—le operazioni segrete sostenute da CIA e NATO che commisero maneggi politici, assassinii, rapimenti, e bombardamenti sotto falsa bandiera per frustrare qualunque avanzamento dei movimenti di sinistra che cercavano di promuovere i diritti dei lavoratori e una distribuzione più equa delle risorse. Le armate “d’appoggio” segrete di Gladio (sovente costituite da residui nazisti della 2^GM) permeavano virtualmente tutti i paesi europei occidentali[iii]. La CIA finanziò Gladio e Condor con denaro della droga gestito dalla mafia e lavato dalla chiesa cattolica[iv], prendendo di mira chiunque minacciasse la presa sul potere delle élite…

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Non c’è altra via d’uscita che la guerra – Chris Hedges

Gli Stati Uniti, come dimostra il voto quasi unanime per fornire quasi 40 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina, sono intrappolati nella spirale di morte del militarismo incontrollato. Niente treni ad alta velocità. Nessuna assistenza sanitaria universale. Nessun programma di soccorso Covid praticabile. Nessuna tregua dall’inflazione dell’8,3%. Nessun programma infrastrutturale per riparare strade e ponti fatiscenti, che richiedono 41,8 miliardi di dollari per sistemare i 43.586 ponti strutturalmente carenti, che hanno in media 68 anni. Nessun condono di 1.700 miliardi di dollari di debito studentesco. Non si affronta la disuguaglianza di reddito. Nessun programma per sfamare i 17 milioni di bambini che ogni sera vanno a letto affamati. Nessun controllo razionale delle armi o riduzione dell’epidemia di violenza nichilista e delle sparatorie di massa. Nessun aiuto per i 100.000 americani che muoiono ogni anno per overdose. Nessun salario minimo di 15 dollari l’ora per contrastare 44 anni di stagnazione salariale. Nessuna tregua dai prezzi della benzina che, secondo le proiezioni, raggiungeranno i 6 dollari al gallone.

L’economia di guerra permanente, impiantata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha distrutto l’economia privata, mandato in bancarotta la nazione e sperperato trilioni di dollari dei contribuenti. La monopolizzazione del capitale da parte dell’esercito ha portato il debito degli Stati Uniti a 30.000 miliardi di dollari, 6.000 miliardi in più rispetto al PIL degli Stati Uniti, che ammonta a 24.000 miliardi di dollari. Il servizio di questo debito costa 300 miliardi di dollari all’anno. Abbiamo speso di più per l’esercito, 813 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2023, rispetto ai nove Paesi successivi, comprese Cina e Russia, messi insieme.

Stiamo pagando un pesante costo sociale, politico ed economico per il nostro militarismo. Washington assiste passivamente all’imputridimento degli Stati Uniti, dal punto di vista morale, politico, economico e fisico, mentre Cina, Russia, Arabia Saudita, India e altri Paesi si sottraggono alla tirannia del dollaro statunitense e della Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT), una rete di messaggistica che le banche e altre istituzioni finanziarie utilizzano per inviare e ricevere informazioni, come le istruzioni per il trasferimento di denaro. Una volta che il dollaro statunitense non sarà più la valuta di riserva del mondo, una volta che ci sarà un’alternativa a SWIFT, si verificherà un collasso economico interno. Costringerà alla contrazione immediata dell’impero statunitense, che chiuderà la maggior parte delle sue quasi 800 installazioni militari all’estero. Segnerà la morte della Pax Americana…

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La re-pubblica, o dei nuovi re – Enrico Euli

Le mega celebrazioni per il Giubileo di platino della regina Elisabetta ci ricordano che il potere oligarchico, nobiliare, aristocratico non è mai finito e appare sempre meno in contrasto con i regimi democratici e liberali che avrebbero dovuto superarlo e sostituirlo.

Il fallimento di questi ultimi è evidenziato infatti sempre più dal loro evidente, progressivo regresso proprio rispetto ai principi e valori che avrebbero dovuto caratterizzarlo antagonisticamente nei confronti dell’elitarismo dinastico: meritocrazia, mobilità sociale, egualitarismo nei diritti, limitazione delle sperequazioni economiche, rifiuto del familismo amorale, tendenza al progressismo culturale e politico.

Le attuali democrature, sostanzialmente in mano ad establishment plutocratiche che ne costituiscono il fulcro decisionale coperto (mediante la corruzione e le lobbies) e palese (mediante il controllo dei media e dei parlamenti), stanno di fatto gradualmente trasformandosi in regimi feudali in cui l’esercitabilità del potere bottom-up è ormai ridottissima, a tutto vantaggio del dominio che promana dall’alto verso un popolo ridotto ad un coacervo informe di individui massificati, facilmente ricondotti ad un consenso passivo ed acquiescente.

Le monarchie, come quella britannica, fanno la loro festa proprio nel momento in cui la storia presenta loro il conto ed esse vanno a risultare ancor più obsolete, anacronistiche e superate dagli eventi.

Ma non perché siano state superate da modelli più democratici (illusione a lungo coltivata in Occidente, perlomeno a partire dal 1789), ma perché sostituite da nuove forme di dominio oligarchico e nuovi colonialismi militari ed economico-finanziari, meno blasonati e più transitori, ma non per questo meno potenti ed arroganti rispetto al passato.

Ancora una volta lo vedremo da come le democrature gestiranno la catastrofe del prossimo autunno: al di là di bonus assistenziali per i poveri e contentini per i ceti medi a rischio, le scelte strutturali resteranno infatti, inevitabilmente, tutte a favore delle fasce più agiate e ricche di ogni Stato occidentale.

Inutile sperare che il mondo del lavoro -reso impotente dalla sindacalizzazione di regime- possa andare oltre un ennesimo, spuntato e ritualistico, sciopero generale per chiedere cose già chieste (e rifiutate) da sempre: patrimoniale, tassazione delle rendite, equità fiscale, salario minimo, reddito universale di cittadinanza.

Ci saranno forse piccoli aggiustamenti, ma niente più…

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Il messaggio (chiaro) del ministro degli esteri indiano all’Europa Andrea Zhok

In una conferenza stampa il Ministro degli Esteri Indiano ha detto: “È tempo che l’Europa abbandoni l’atteggiamento: “I miei problemi sono i problemi del mondo intero, e i problemi del mondo intero non sono i miei problemi. Se sei nei guai, allora sei nei guai, e se io sono nei guai, allora siamo nei guai”.

Eh già, sono amari risvegli quando ti sei convinto così a lungo di essere l’ombelico del mondo e poi cominci a scoprire che non è proprio così.

Studiare la storia è utile, tra le altre cose, perché ti insegna a guardare al lungo periodo e questa è sempre una lezione di modestia.

Sono passati appena 200 anni da quando l’Europa ha superato per la prima volta in ricchezza la Cina.

E quando guardiamo con sufficienza le tribù afghane o amazzoniche, o altri “primitivi” è utile capire che quelli vivono in un modo che potrà funzionare anche tra mille anni, noi no di certo, neanche tra cento.

Cominciamo la rieducazione alla realtà spegnendo gli schermi e smettendo di credere di avere il mondo in tasca perché abbiamo visto BBC World o un balletto esotico su Tik Tok.

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Alberto Negri – Come le sanzioni puniscono il mondo. Ecco come l’Europa ha perso la guerra prima della guerra.

Il Fondo monetario stima nel 2022 un calo dell’economia russa dell’8,5% e con il crollo delle esportazioni occidentali mancheranno i pezzi nel settore tecnologico anche per le industrie di base. Ma Putin è riuscito a mantenere un rublo forte e ha il tempo per trovare nuovi partner disposti ad aggirare le sanzioni. Ecco come l’Europa ha perso la guerra prima della guerra.

Sarà una guerra senza vincitori, dice l’Onu. Ma già si vedono molti perdenti. Le sanzioni a Mosca non funzionano – almeno per ora – scrive Larry Elliot nell’editoriale del Guardian.

Peggio ancora, stanno avendo effetti perversi sui prezzi dell’energia e alimentari mondiali. E anche sulla politica. Al punto che invece di punire i dittatori come Putin, Biden è costretto, per frenare l’impennata del petrolio, ad andare in visita in Arabia saudita dal principe assassino Mohammed Bin Salman (quello che ha fatto uccidere il giornalista Khashoggi e che Biden stesso aveva definito un “pariah”). E a chiudere due occhi, non uno, sui raid di Erdogan contro i curdi – alleati nella guerra all’Isis – che si oppone anche all’ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia.

Mettiamo sanzioni a Putin ma non alla Turchia, che invade il territorio siriano e iracheno e vìola sistematicamente le regole (come Israele, per esempio, Ankara non ha imposto sanzioni a Mosca) ma allo stesso tempo sta negoziando con Putin sulle rotte nel Mar Nero del grano da cui dipende la vita di centinaia di milioni di persone nel mondo. Vale la pena ricordare, tra l’altro, che le primavere arabe esplosero nel 2011 dopo un anno di siccità che fece impennare i prezzi alimentari. Gran parte di questi Paesi dipendono dal 60 all’80% dalle importazioni da Russia e Ucraina.

In un certo senso le sanzioni invece di costringere Putin a fermare l’invasione dell’Ucraina la stanno incoraggiando. Nei primi quattro mesi dell’anno il surplus dei conti correnti russi, grazie all’impennata delle quotazioni di gas e petrolio, ha sfiorato i 100 miliardi di dollari, il triplo rispetto al 2021. E appena l’Unione europea ha annunciato il bando parziale al petrolio russo (quello via mare), il Cremlino ha beneficiato di un’altra valanga di entrate. Non solo, per il momento la Russia non sta incontrando difficoltà a trovare mercati di esportazione: in aprile le sue vendite energetiche in Cina sono già aumentate del 50% rispetto all’anno scorso.

Questo non significa che le sanzioni non avranno effetto: il Fondo monetario stima nel 2022 un calo dell’economia russa dell’8,5% e con il crollo delle esportazioni occidentali mancheranno i pezzi nel settore tecnologico anche per le industrie di base. Ma Putin è riuscito a mantenere un rublo forte e ha il tempo per trovare nuovi partner disposti ad aggirare le sanzioni.

Ci riuscirà anche con l‘aiuto di un Paese maestro nel farlo, l’Iran, da 40 anni sotto embargo, fatta eccezione per il breve momento dell’accordo sul nucleare del 2015 poi cancellato da Trump, il presidente Usa artefice di quel patto di Abramo anti-Teheran tra Israele e le monarchie petrolifere del Golfo, che con la guerra in Ucraina stanno facendo miliardi attirando ex nemici come Turchia e Siria.

In realtà viviamo da decenni, per un motivo o un altro, in un mondo sotto embargo, solo che non lo vogliamo ammettere. Giustamente Luciana Castellina sottolineava su il manifesto una notizia largamente ignorata sui media, ovvero che a fine giugno il vertice Nato non discuterà solo di strategie militari ma anche di scelte energetiche. Lo fa da sempre senza dirlo, con i fatti e le armi. Perché siamo arrivati alla vigilia della guerra alla dipendenza dal gas e dal petrolio della Russia è semplice e brutale.

Le alternative potevano essere in questi decenni la Libia (con cui l’Italia ha un gasdotto), distrutta dall’intervento francese, Usa e Gran Bretagna nel 2011, l’Iran rimesso sotto embargo dopo l’accordo sul nucleare del 2015, che possiede le seconde riserve al mondo di gas dopo Mosca, l’Iraq, invaso nel 2003 dagli Usa dove gli europei ormai contano poco. «Siamo qui a proteggere anche le rotte del gas e del petrolio», mi disse in un’intervista in Kosovo il generale britannico Mike Jackson nel lontano (lontano?) 1999 dopo il bombardamento Nato di Belgrado.

Robert Kennedy junior, nipote del presidente John Kennedy, ha spiegato qualche tempo fa in un articolo per la rivista Politico le vere cause della guerra in Siria. La radice del conflitto armato sono sorte in gran parte dal rifiuto del presidente siriano Bashar Assad di consentire il passaggio di un gasdotto dal Qatar verso l’Europa. Lui il gasdotto voleva farlo con l’Iran, alleato del padre Hafez dal 1979.

L’Europa continentale – la Germania e l’Italia in particolare – dalla seconda guerra mondiale non aveva più il controllo su nessuna fonte energetica. Gli accordi con Mosca erano una strada obbligata (e conveniente) ma questo lo hanno voluto le potenze vincitrici come gli Usa. Gli errori, imputati alla Merkel e alla politica energetica italiana, come si vede, stanno da tutte le parti.

L’embargo e le sanzioni contro Mosca sono state viste come un’arma – finora spuntata – per costringere Putin a negoziare. Ora si progetta di dare sempre più armi all’Ucraina ma potrebbe non bastare mentre con l’escalation bellica si rischia qualche cosa di peggio e intanto le sanzioni a Mosca possono ridurre alla fame il cosiddetto terzo mondo. Per questo, prima o poi, servirà trovare un compromesso. «Dobbiamo fare in modo che si arrivi alla pace, anche se non si tratta proprio della pace completamente giusta», lo dice persino il segretario del Pd Letta.

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Marco Travaglio: “Chi ha stilato e girato al Corriere la lista di dossieraggio?”

 

 

Lo scandalo dei dossieraggi contro chi dissente dal governo Draghi sulla guerra, oltre allo stato comatotoso della nostra democrazia, dimostra che c’è una sola categoria peggiore dei politici: i giornalisti.

Infatti tre leader della maggioranza – Conte, Salvini e Bersani – hanno bollato con parole di fuoco quei dossieraggi, mentre i tg Rai e i grandi giornali continuano a ignorare lo scandalo: anche dopo che il sottosegretario Franco Gabrielli ha rotto il silenzio per assicurare che “l’intelligence non ha mai stilato liste o svolto attività di dossieraggio”.

Ed è la seconda smentita che piove sul Corriere della Sera, che domenica ha pubblicato la lista di una dozzina di “putiniani” come “materiale raccolto dai servizi” per un’“indagine avviata dal Copasir”.

La prima era giunta lunedì dal presidente del Copasir Adolfo Urso, che rivelava di aver ricevuto un rapporto (ma senza liste) dai Servizi solo dopo averlo letto sul Corriere.

Quindi, stando a Gabrielli e Urso, la lista non è nel rapporto del Dis al Copasir. Ma, essendo improbabile che il Corriere se la sia inventata, con tanto di citazioni virgolettate, la lista esiste e qualcuno l’ha trasmessa al quotidiano più venduto.

Chi l’ha stilata e girata al Corriere? E perché?

È ciò che dovrebbe accertare il Copasir (un tempo si sarebbe mossa la magistratura, ma ormai è una battaglia persa), che ha appunto il compito di controllare i Servizi perché non deraglino dai binari della legalità costituzionale: proprio il caso di quella lista, che calpesta la libertà di espressione di alcuni liberi cittadini colpevoli soltanto di avere un pensiero dissenziente (nessuna prova di putinismo o di fake news, che comunque non sarebbero reato).

Ma il cortocircuito paradossale è che il Copasir, anziché controllare la legalità della condotta dei Servizi, sta usando i Servizi per raccogliere notizie su politici, professori, giornalisti, privati cittadini e decidere chi abbia diritto di parlare in tv della guerra in Ucraina e chi no.

Cioè per stabilire qual è la verità: la verità di Stato di orwelliana memoria, decisa a maggioranza da chi governa, tipica dei regimi autoritari che fingiamo di combattere.

Come può il Copasir bloccare i dossieraggi, se ne è l’istigatore e l’utilizzatore finale? Visto che i giornaloni (lasciando solo in questa battaglia il presidente della Fnsi Raffaele Lorusso) tacciono e acconsentono (almeno finché qualche futuro governo non userà i Servizi per spiare i loro giornalisti), non resta che sperare nei pochi politici rimasti vigili: disertino il Copasir finché non smetterà di indagare sulle idee altrui, poi chiamino il governo Draghi e i capi dei Servizi a spiegare al Copasir chi ha fabbricato e diramato l’immonda lista.

Perché l’unica disinformatija finora accertata in Italia non parte da Mosca, ma da Roma.

da qui

 

Ora l’occidente si dovrebbe sedere, restare in silenzio e ascoltare “gli Altri” – Andrè Vltchek (12 settembre 2020)

Sono anni che ci viene detto cosa pensare; quello che è corretto e ciò che è sbagliato. E ci viene imposto da persone bianche che vivono o provengono dall’Europa e dal Nord America.

Sono a conoscenza di tutto. Sono i più qualificati.

Quando scrivo “bianco”, non intendo solo la razza o il colore della loro pelle. Per me, “bianco” identifica la cultura a cui appartengono, la loro identità.

Noi russi, cubani, venezuelani, cinesi, iraniani, turchi non siamo veramente “bianchi”, anche se il nostro colore della pelle in realtà lo è.

Non che moriamo dalla voglia di essere bianchi, credeteci!

Abbiamo il nostro modo di vivere, di pensare e la maggior parte di noi è dalla parte degli oppressi, dei “miserabili del mondo”, intuitivamente.

Per secoli, le nostre nazioni sono state saccheggiate e attaccate. Abbiamo perso milioni di nostri fratelli, la nostra gente, per invasioni, genocidi, come quelli avvenuti in Africa e in tutte le altre parti del mondo “non bianche”.

Siamo sempre stati oggetti di studio; analizzati e descritti da quegli scribi e giornalisti provenienti principalmente dal Regno Unito e dal Nord America. Sanno loro chi siamo e che tipo di sistemi politici e culturali ci meritiamo o quelli ai quali dovremmo mirare.

Queste persone sanno come parlare. I loro accenti sono così perfetti, così “scientifici”. Se dicono qualcosa, deve essere pura verità, semplicemente perché sono qualificati, governano il mondo da secoli.

Noi, gli Altri, dobbiamo stare zitti e ascoltare. Dobbiamo imparare chi siamo veramente, dai padroni dell’universo. Perché ai loro occhi non siamo nessuno, siamo solo un po’ più che animali.

E gli animali non parlano; ascoltano, prendono ordini e servono. Vengono anche obbedientemente massacrati, quando “è necessario”.

Ci si aspetta che i governanti bianchi del mondo sappiano di noi più di quanto noi stessi conosciamo del nostro popolo e dei nostri paesi.

Dio non voglia che uno di noi, individui “non bianchi”, possa esprimere pubblicamente un giudizio, soprattutto negativo, sull’Europa, il Nord America o l’Australia!

Nessuno ci ascolterebbe, non ci è permesso giudicare l’Occidente. Siamo qui per sederci educatamente, sottomessi, per ascoltare e prendere appunti.

Avete visto mai un cinese apparire in uno show televisivo britannico o statunitense, offrendo analisi comuniste sul tenore di vita dell’Occidente? Avete visto mai un socialista iraniano o un chavista venezuelano criticare il capitalismo britannico o canadese nelle vostre TV? Sarebbe impensabile, no?

E prestate poi attenzione ai cosiddetti media indipendenti o “progressisti” negli Stati Uniti o in Canada. La situazione è sostanzialmente la stessa dei principali giornali e televisioni, con alcune rare, rarissime eccezioni.

Ancora una volta, uomini bianchi, principalmente anglosassoni “conoscono ciò che è meglio”. Vale per le recenti proteste antirazziste negli Stati Uniti o per l’origine del COVID-19. Anche se non sanno dannatamente niente, assolutamente niente, sono comunque considerati i più informati, gli “esperti” più qualificati. Solo perché hanno nomi, aspetto e pronuncia adatti. Solo perché sono bianchi, curati in un certo modo e capaci di mentire in modi accettabile.

Qualche ora fa ho visto una registrazione, un dialogo tra due “esperti”, che è stato caricato online da un media nordamericano “indipendente”. Stavano discutendo di COVID-19.

Ciò che mi ha colpito di più è stata l’arroganza e quei piccoli sorrisi sarcastici “sappiamo tutto e tu non sai niente”. Due uomini che stavano chiaramente dimostrando un disprezzo degenerato per il mondo entrambi erano bianchi. Ancora una volta, non solo per il colore della pelle, ma per il loro atteggiamento; la loro cultura.

Nei 40 minuti del loro inutile parlare, non ci sono stati riferimenti alla grandiosa vittoria della Cina sulla pandemia, nessuna menzione dei successi Vietnam o Cuba. Erano loro a parlare e riguardava solo loro, il loro mondo e, decisamente, non la verità oggettiva.

L’industria editoriale mi ha praticamente buttato fuori; hanno smesso di ristampare i miei saggi, subito dopo che le nostre opinioni hanno cominciato a divergere su tutti gli argomenti importanti, come la rivolta nel Stati Uniti, il COVID-19 e Cina. Quando ho smesso di comportarmi come un bianco, sono stato subito sbattuto fuori.

Non era né il mio posto né il mio diritto parlare dell’Occidente, in questo momento storico cruciale. Dopotutto, ero solo un altro russo / cinese. Questo è il momento in cui i governanti del mondo brillano. Loro e solo loro sono qualificati per definire le crisi nella loro società. Le loro pubblicazioni hanno chiuso le porte agli Altri.

Non a tutti, ma la maggior parte di loro certamente lo ha fatto.

A volte gli Altri potevano criticare i propri paesi. Una volta ogni tanto veniva concesso di spazzare via i loro compagni nazioni non bianche. Ma mai e poi mai venivano tollerati come i principali critici dell’Occidente al potere; dei bianchi!

Inoltre, non sono autorizzati ad esprimere giudizi intellettuali importanti: in Occidente, i cinesi non sono autorizzati a decidere se il loro paese è comunista o no!

Ma quello che dice non è altro che spazzatura incomprensibile. È solo una sciocchezza razzista, fantasmagorica e irrazionale.

Discorsi politici occidentali, chiacchiere accademiche, degenerazione allucinogena mentale di Hollywood, danni cerebrali alla Disney sin dalla prima infanzia, narrazioni surreali dei mass media: tutto ciò sta riducendo la nostra razza umana a nulla, allo zero intellettuale.

Il caos e la mancanza di logica patologica stanno sostenendo lo status quo. In tali condizioni, nessuna ideologia progressista potrebbe sopravvivere. Pertanto, questo è l’ambiente più adatto per i ragazzi bianchi occidentali e la loro dittatura globale.

È ora di far tacere la maggior parte degli oratori occidentali, smettere di ascoltare e, se possibile, rinchiudere alcuni degli oratori più squilibrati in un istituto mentale!

Più facile a dirsi che a farsi! Ma non c’è altro modo.

Francamente, ne ho abbastanza di questa situazione. Lavoro in tutto il mondo e posso fare paragoni. È chiaro che dal mio punto di vita la maggior parte degli occidentali bianchi ha perso il vantaggio creativo. I loro pensatori, i loro scrittori e registi producono quasi esclusivamente spazzatura. Con alcune eccezioni, lo stesso si può dire del loro mondo accademico e del giornalismo investigativo.

Un giornalista russo, cinese e venezuelano ha potuto vedere il collasso delle società occidentali con molta più chiarezza degli stessi occidentali. E’, in generale, molto più qualificato ed istruito, in grado di descrivere la realtà e di criticare oggettivamente.

In Occidente, il livello di ignoranza è davvero impressionante. La conoscenza non è un requisito. Solo pezzi di carta, diplomi e francobolli forniti dal regime hanno importanza.

Il mondo ha un disperato bisogno di sentire gli Altri. Poiché ha bisogno che gli Altri siano coinvolti, che siano se stessi, che impediscano ai ragazzi bianchi occidentali di uccidere milioni e milioni di persone innocenti in tutti gli angoli del mondo, come hanno fatto per diversi secoli senza interruzioni. Il mondo ha bisogno degli Altri per erigere nuovi concetti, nuove ideologie e nuovi principi morali.

I concetti colonialisti, imperialisti e razzisti del Nord America e dell’Europa semplicemente vanno spazzati via per il bene del mondo.

In preda al panico, gli occidentali bianchi stanno recentemente gridando (dopo che il signor Floyd è stato assassinato dalla polizia sadica e la ribellione è scoppiata in tutto il mondo): “Non si tratta di razza!”

Ma notate bene una cosa: sono loro, che ci dicono cosa pensare, ancora una volta, che dicono al mondo cosa è e cosa non è! Non ascoltereste mai dichiarazioni del genere in Africa, Medio Oriente o Asia. Là, le persone sanno perfettamente di cosa si tratta veramente, che si tratti di razza o meno!

Ho appena trascorso due settimane negli Stati Uniti, analizzando le profonde crisi della
società statunitense. Ho visitato Washington, D.C., Minneapolis, New York e Boston. Ho parlato con molte persone in tutti quei posti. Ciò a cui ho assistito è stata la confusione e l’ignoranza totale sul resto del mondo. Gli Stati Uniti, un paese che ha brutalizzato il nostro Pianeta per decenni, non è assolutamente in grado di vedersi nel contesto del mondo intero. Le persone, comprese quelle dei media, sono scandalosamente ignoranti e provinciali.

E sono egoisti.

Ho chiesto molte volte: “Le vite dei neri contano in tutto il mondo? Hanno importanza nella Repubblica Democratica del Congo e sono importanti nella Papua occidentale? ” Lo giuro, non ho ricevuto una risposta coerente.

Qualcuno deve dirglielo … Qualcuno deve costringerli ad aprire gli occhi.

Alcuni anni fa, sono stato invitato nel sud della California per mostrare il mio lavoro di documentario dall’Africa (il mio film documentario Rwanda Gambit, sui genocidi innescati dall’Occidente sia in Ruanda che successivamente nella Repubblica Democratica del Congo), dove si trovano milioni di neri morendo, in modo che la stragrande maggioranza dei bianchi statunitensi possa vivere nell’opulenza da maialini.

Ma prima che mi fosse permesso di presentarlo, ho ricevuto un monito ben preciso:

“Ricorda, le persone qui sono sensibili … Non mostrare troppa realtà brutale, perché potrebbe disturbarle …”

Sentendo questo, ho quasi lasciato l’evento. Solo il mio rispetto per l’organizzatore mi ha fatto restare.

Adesso sono convinto: è ora di costringerli a guardare; per vedere fiumi di sangue, che la loro pigrizia, egoismo e avidità hanno innescato. È ora di costringerli a sentire le grida dell’agonia degli altri.

Possiamo farlo: giornalisti “non bianchi” da Russia, Cina, America Latina e altrove. Abbiamo immagini e suoni! È la nostra gente, i nostri fratelli e sorelle in tutte le parti del mondo che stanno attraversando sofferenze inimmaginabili. E lo faremo. E stiamo già iniziando a farlo. Al diavolo la sensibilità degli assassini a distanza che si travestono da compagni vittime del capitalismo, solo perché devono pagare prestiti agli studenti e mutui, o fare due lavori! Non sanno assolutamente nulla dei veri orrori e della vera miseria. Un giorno, presto, saranno costretti a vedere e a comprendere.

Incesto intellettuale occidentale

Per secoli, intellettuali occidentali, persone dei media e propagandisti si sono ascoltati l’un l’altro, riciclando i pensieri l’uno dell’altro, “sposandosi” l’un l’altro in modo stantio e incestuoso. Poi spingevano i loro discorsi, spesso con forza, giù per la gola di tutti gli africani, asiatici, in breve, “gli altri”.

Hanno creato una narrativa orribile che è prevalentemente ampollosa, ipocrita, falsa, persino giustamente ingannevole.

Per anni e decenni ho scritto libri dettagliati, fornendo esempi da tutti gli angoli del Pianeta,
scoprendo questo disegno atroce. Il più completo che ho scritto si chiama Exposing Lies of the Empire e conta oltre 800 pagine. La seconda puntata arriverà nel 2021.

Ad un certo punto, operando all’interno di margini intellettuali estremamente ristretti, la cultura occidentale bianca ha finito semplicemente le idee e la creatività. È diventata impotente, egoista e incapace di offrire qualcosa di progressivo e ottimista all’umanità.

Ma ha continuato a fare conferenze al mondo, “educare” o, più precisamente, fare il lavaggio del cervello a tutte le altre razze e nazionalità.

Il mondo è stato condizionato in modo che senza i bianchi sigilli di approvazione occidentali, niente potrebbe muoversi, o avere successo, o essere preso sul serio.

Ma ormai, la cultura occidentale e bianca è completamente crollata. Ha improvvisamente smesso di dare alla luce grandi scrittori, registi o pensatori. L’Asia, la Russia e persino parti dell’Africa come la Nigeria e il Sud Africa stanno producendo autori molto migliori, mentre Iran, Cina e Argentina stanno dando alla luce registi senza dubbio superiori.

Ma è l’Occidente che distribuisce premi al proprio popolo e ai traditori stranieri, fingendo di avere ancora il mandato di giudicare, istruire e ispirare il mondo. I suoi premi, così come i suoi diplomi, non sono altro che sigilli di approvazione dati ai collaboratori; ricompense per la servitù.

Ormai, i ragazzi occidentali bianchi sanno molto poco. Sono ridicolmente sopravvalutati e vivono esistenze di pigrizia vuota e cinica. Chiedono ogni sorta di diritti e privilegi ma non sanno nulla di responsabilità, duro lavoro ed entusiasmo.

Il Nord America e l’Europa bianchi si aspettano che il resto del mondo sia obbediente, sottomesso, che lavori duro, sostenendo gli standard di vita irragionevolmente elevati dell’Occidente. Questo è vero per la loro destra così come per i cosiddetti “progressisti” (questo è tutto ciò che c’è realmente – dato che non c’è praticamente nessuna vera sinistra internazionalista rimasta nei paesi occidentali).

Ma anche la pseudo “sinistra”, che è patetica, defunta e in realtà innamorata dell’obsolescenza, osa ancora giudicare e disprezzare quei grandi paesi, in cui i partiti comunisti ei governi internazionalisti detengono ora orgogliosamente il potere!

L’unico motivo di tanta grottesca arroganza è (sì, avete capito bene) il fatto che i membri della pseudo-sinistra siano bianchi e provengano da paesi occidentali. Il che ovviamente è abbastanza buono (per loro) per alimentare i loro magniloquenti complessi di superiorità.

Se tutto sembra perverso e incestuoso, stai certo che lo è davvero.

Ovviamente, questa mostruosa disposizione del mondo deve finire presto, molto presto. E lo farà! Ci assicureremo che lo farà.

Per decenni e secoli, i ragazzi occidentali bianchi hanno giudicato noi, gli altri. Ci stavano analizzando, dicendoci cosa fare, come pensare e come vivere.

Ciò ha portato a un disastro assoluto: genocidi, saccheggi e schiavitù; a crolli intellettuali e ambientali.

La linea di fondo da seguire è: I Bianchi occidentali non hanno assolutamente alcun diritto di controllare il mondo. Questo fatto sta diventando sempre più ovvio.

Non sono qualificati per guidare il mondo. Ci sono sistemi politici molto migliori di quello occidentale, poiché ci sono culture molto più grandi.

L’unico motivo per cui l’Occidente ha ancora il controllo del Pianeta è a causa della sua violenza, brutalità e inganni.

La violenza può essere affrontata. D’ora in poi lo sarà. Dalla Russia, Iran, Cina, Venezuela e altri coraggiosi paesi.

Anche gli inganni devono essere sfidati. Adesso abbiamo i nostri media. E li stiamo usando.

Non dovremmo più ascoltare le loro bugie. Danneggiano i nostri paesi da decenni e secoli.

Dobbiamo parlare. Siamo obbligati a parlare! Più forte e più forte ancora. Sulle nostre nazioni, sul mondo e sulla follia dell’Occidente.

Ora, l’Occidente dovrebbe essere costretto ad ascoltare le nostre voci.

La nostra gente non dovrebbe più soffrire in silenzio.

Francamente, nell’Occidente bianco, non sanno niente o molto poco di noi. Mentre sappiamo molto, o dovrei dire troppo sull’Occidente. In realtà, siamo stati costretti a sapere, ma soprattutto bugie. La verità le abbiamo scoperto da soli e spesso nel modo più duro.

Il mondo oppresso si sta svegliando. Sempre più spesso chiede alla propria gente di scrivere e parlare. Dei nostri paesi e anche dell’Occidente.

Non ci interessa cosa pensa di noi l’Occidente bianco. Non ci interessa più. Sempre più di noi sputano sui loro inviti e sugli incoraggiamenti a tradire. Non abbiamo bisogno dei loro certificati e dei loro diplomi.

Non abbiamo bisogno dei loro soldi: abbiamo i nostri mezzi di comunicazione che iniziano a pagare per un lavoro di qualità; in Russia, Cina e altrove. Abbiamo le nostre case editrici e stazioni televisive. Le nostre parole sono diffuse su Internet e sulle onde radio.

Questo è un nuovo mondo e un grande risveglio.

Ora parleremo loro direttamente in faccia, della loro fallita lotta contro COVID-19 e della loro democrazia mal riuscita. Li faremo vergognare del loro imperialismo, colonialismo, consumismo vuoto e razzismo endemico. E analizzeremo le loro rivolte, la loro oppressione, il vuoto emotivo e il consumismo folle, usando i nostri giornalisti, poeti e pensatori.

Parleremo di socialismo e comunismo dal nostro punto di vista, a modo nostro e ogni volta che vogliamo! Non abbiamo bisogno del loro permesso.

Non abbiamo bisogno dei piccoli sorrisi sarcastici occidentali. Non siamo “bianchi”. E anche se il colore della nostra pelle può esserlo in alcuni casi, pallido, stiamo combattendo in modo determinante al fianco delle nazioni oppresse, contro il sinistro ‘club’ di coloro che hanno ucciso centinaia di milioni di persone, oltre a tutto l’entusiasmo, gentilezza e speranza su questo pianeta.

Le cose stanno cambiando rapidamente. Gli Altri stanno sorgendo. La grande battaglia contro la schiavitù moderna e il colonialismo è iniziata.

Il nostro messaggio è chiaro: imperialisti, colonialisti, coloni e suprematisti occidentali; state zitti, fate un passo indietro e ascoltate; abbiamo dovuto ascoltarvi noi per secoli! La vostra narrativa è vuota e non può più ingannarci. Costruiremo presto il nostro nuovo mondo: quei miliardi che non erano nessuno nel tuo mondo diventeranno tutto nel nostro.

Ora abbiamo iniziato a parlarne e per la prima volta nella storia moderna, non c’è niente che tu possa fare per fermarci. Dovrai semplicemente abituarti al suono delle nostre voci!

da qui

 

 

È la fine delle illusioni di Stati Uniti, Nato e Ue. Ma una svolta non c’è – Barbara Spinelli

 

«Il Fatto Quotidiano», 3 giugno 2022

 

…Biden non arriva alla lucidità di Kissinger, non dice a chiare lettere che l’Ucraina non può vincere, ma tra le righe sembra ammetterlo. Manda in Ucraina missili ancora più pericolosi (gli Himars), continua a immaginare un’unità atlantica che non c’è, sottovaluta il non allineamento di gran parte del pianeta (in Asia, Africa, America Latina) ma non ripete i trionfalismi dei primi mesi, quando promettendo a Zelensky vittorie sicure s’impelagava in un’ennesima guerra per procura.

Naturalmente c’è ancora chi rimastica il linguaggio atlantista delle prime settimane: la pace è possibile solo se i russi si ritirano dal Donbass e restituiscono la Crimea; non bisogna far doni a Putin dividendosi nell’Unione europea o rinunciando, come ha fatto Biden, a inviare missili a lunga gittata in grado di colpire la Russia. Sono gli irriducibili di una guerra a oltranza. Nella migliore delle ipotesi regalerebbero all’Europa (non agli Stati Uniti) un Afghanistan alle porte di casa.

Riannodare i rapporti con la realtà sul terreno di guerra non è tuttavia sufficiente. Serve a negoziare un’eventuale tregua, questo sì: una specie di 38º parallelo coreano in Ucraina, con i russi che restano padroni della Crimea e mantengono il controllo sul Donbass e sui territori che stanno conquistando lungo il Mar Nero. Ma non serve a passare dal cessate il fuoco a un trattato di pace che finalmente includa la Russia nel sistema di sicurezza europeo.

Per riuscire in tale intento gli Stati della Nato dovrebbero esaminare la genealogia del conflitto, riconoscere gli errori commessi negli otto anni di guerra civile del Donbass e prima ancora, nel falso ordine unipolare del dopo-Guerra fredda. Tra gli errori più vistosi: i successivi allargamenti della Nato a Est; l’interferenza statunitense nella politica interna ucraina (semi-colpo di Stato nel 2014, per spodestare dirigenti troppo vicini a Mosca); riarmo massiccio dell’Ucraina a partire dal 2014; esercitazioni Nato in territorio ucraino ancora alla fine dell’anno scorso; ostilità Usa verso gli accordi di Minsk negoziati da Germania e Francia con Ucraina e Russia, che prevedevano una amplissima autonomia anche linguistica del Donbass, mai accettata da Kiev. L’insieme di tali errori non giustifica di certo ma spiega l’invasione russa del 24 febbraio.

Su questi punti non si constata ancora una svolta realistica, né a Washington né nell’Unione europea così come rappresentata da Ursula von der Leyen. Le sanzioni aumentano e le politiche che hanno facilitato l’offensiva russa vengono riconfermate tali e quali, come si evince dall’annunciata adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, e dalla decisione di trasformare l’Ucraina in un grande e corrotto deposito di armi, infiltrato da milizie neonaziste e mafie. Non si paragona più Putin a Hitler ma in cambio si trasforma il Mar Baltico, davanti a San Pietroburgo, in uno spazio dominato dalla Nato. È l’umiliazione che Mosca conobbe già nel 1991, quando finì l’Urss e la Russia venne calpestata economicamente (per questo forse sventolano tante bandiere con falce e martello nel Donbass). Il rischio è che esca rafforzata, a Mosca, l’ala oltranzista che in Ucraina avrebbe voluto e vorrebbe non già un’“operazione speciale” ma la mobilitazione generale e la guerra totale.

Fondata nel 1949 per scongiurare aggressioni russe e custodire la pace in Europa, la Nato ha fallito l’obiettivo, visto che l’aggressione infine c’è stata. Anche l’Alleanza Atlantica dovrà un giorno mettere un limite alle proprie grandi illusioni, sanando le radici del conflitto odierno. È un passo non ancora compiuto. Scartato il modello della Seconda guerra mondiale (abbattere il tiranno), barcolliamo verso il modello della guerra ’14-’18, chiamata opportunamente “inutile strage” da Benedetto XV. Dice Dmitrij Suslov, direttore del Centro studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia di Mosca, che la deterrenza atomica ha funzionato: in fin dei conti Zelensky non ha ottenuto la no-fly zone e le armi a lungo raggio che chiedeva. Ma il Dottor Stranamore è sempre possibile, e l’incidente sempre dietro l’angolo.

da qui

 

Redazione
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