«Tra anarchia e cristianesimo»

presentazione del nuovo libro di Andrea Babini (pubblicato da La Mongolfiera)

QUARTA DI COPERTINA

Cristianesimo e anarchia sono, come categorie simboliche proprie della civiltà occidentale, considerati reciprocamente incompatibili.

Un tentativo di tenerli insieme è stato fatto dal “cristianesimo anarchico”, e dal corrispondente “anarchismo cristiano”: sia l’uno che l’altro mettono in risalto i temi della libertà (contro il potere), della giustizia (contro l’autorità e la gerarchia) e della pace (contro la violenza), là dove essi considerano potere, autorità, gerarchia e violenza come gli elementi fondativi dell’istituzione, sia essa religiosa o politica.

Nel concreto ci sono state – e ci sono tuttora – diverse esperienze poste in essere da persone che hanno ritenuto – e ancora ritengono – che si possa essere, al tempo stesso, sia cristiani che anarchici, mantenendo uniti insegnamento evangelico e prassi libertaria.

Nella prima parte di questo lavoro si tratta di tali realtà, con cenni riservati alle esperienze e ai personaggi più rappresentativi del passato e del presente, oltre alle consonanze che il cristianesimo anarchico e l’anarchismo cristiano hanno assunto con le religioni non cristiane.

Nella seconda parte, come caso di studio, si descrive la vicenda editoriale della rivista D.M.C.D./CR.AN., che rappresenta uno dei rari esempi di elaborazione di un pensiero cristiano-anarchico in Italia, negli anni compresi fra la metà degli anni ‘70 e la metà degli anni ‘80. Se ne illustrano le sedi e la cronologia storica, i principali redattori e collaboratori, i temi affrontati e discussi e infine i rapporti con i vari “movimenti” – anarchico, nonviolento, del dissenso cattolico – di quel periodo.

PREMESSA

Quasi sempre, negli scritti che trattano del rapporto fra anarchia e cristianesimo, compare la parola “ossimoro”. Sembra che i due concetti siano, per essenza, antitetici e di conseguenza il loro accostamento sia una sorta di “sfida logica”. È facile capirne il motivo di fondo: da una parte c’è l’anarchismo, che è, per definizione, a-teo, nel senso che rifiuta gli “assoluti” (siano essi religiosi, politici, economici, culturali ecc.); dall’altra c’è il cristianesimo, ovvero una “dottrina” tra le più importanti e maggioritarie, la cui sintesi è una dichiarazione di fede in un Assoluto.

Ma c’è un altro aspetto che, sempre restando sul livello teorico, sembra invece collegare anarchia e cristianesimo: se infatti la prima è an-arché, “assenza di fondamento”, priva di una base solida, il secondo si fonda, stando alla testimonianza evangelica, su una “tomba vuota”, un sepolcro abbandonato da colui che i credenti chiamano “Figlio di Dio”, sulla cui “assenza” si basa la stessa fede cristiana.

L’ossimoro diventa allora una sorta di meta-ossimoro, in un ribaltamento della prospettiva per cui la contraddizione, essendo interna a, e costitutiva di, ognuno dei due elementi, ne rivela il carattere dinamico e non sempre linearmente logico, e proprio questa dinamicità ne permette assieme l’opposizione e l’unione.

Fra anarchia e cristianesimo, in altre parole, si instaura un vero e proprio “dialogo”, dal momento che la “distanza” (dia) fra i due pensieri (logoi) è la condizione stessa della loro relazione reciproca.

Tutto questo ha naturalmente delle conseguenze, che consistono nella possibilità di vivere concretamente, o perlomeno di avere come punto di riferimento delle scelte di vita, un pensiero cristiano-anarchico. (Rimanendo in una prospettiva “ossimorica”, la realizzazione pratica è la stessa, ma a contrario, anche in tutte quelle situazioni in cui tale pensiero è ritenuto illogico, se non addirittura irrealizzabile).

I (non) punti di riferimento di tali “modi di vita” sono, per quanto si è detto: da una parte l’aspetto a-fondativo del pensiero anarchico, quindi una critica dell’esistente che “mette in sospeso” lo stesso essere anarchici come appartenenza di movimento, dall’altra l’insegnamento evangelico, inteso come autentico messaggio di Gesù, spesso diverso dalla interpretazione dottrinale che di esso ha poi dato l’istituzione-Chiesa.

I termini “oppositivi” a cui tale pratica si ispira e da cui prende avvio sono: la libertà come resistenza a ogni forma di potere imposto, sia di natura umana che divina; l’umanità della propria condizione concreta contro il “dover essere” indicato dal pensiero dominante; la spiritualità che mette in connessione l’uomo e il mondo invece della religione istituzionale e gerarchica; la consapevolezza che la “salvezza”, di sé e degli altri, non deriva da un sacrificio, di sé o degli altri, ma da una prassi comune di liberazione, individuale e reciproca.

Può dunque sussistere e trovare corpo, in breve, la convinzione che anarchia e cristianesimo siano non solo collegati, ma che si inverino a vicenda: l’essenza dell’uno e dell’altra è, secondo una certa interpretazione, fondamentalmente la stessa, e di conseguenza anche le azioni pratiche che da essi derivano non sono, nei fatti, diverse o contrapposte le une dalle altre. Chi infatti saprebbe distinguere, in un cristiano-anarchico, cosa è anarchico e cosa è cristiano, cosa fa di cristiano e cosa fa di anarchico? Il cristiano-anarchico – di cui queste pagine intendono occuparsi – senz’altro no.

Si tratti dunque di anarchismo cristiano – che parte da posizioni di antagonismo politicosociale per arrivare a riconoscere in esse echi del credo evangelico – o di cristianesimo anarchico – che si genera in una dimensione di fede e passa poi alla critica dell’esistente e a pratiche libertarie – l’atteggiamento mentale e l’agire concreto saranno comunque segnati dal rifiuto dell’autorità di potere, civile o religiosa che sia. Sul piano etico, insomma, quello delle scelte che guidano il comportamento, non sembra affatto esserci contraddizione fra anarchia e cristianesimo.

Altra cosa avviene al livello del pensiero, nel momento in cui anarchia e cristianesimo si confrontano con i rispettivi riferimenti culturali. Se infatti l’autoritarismo e il clericalismo sono avversari di facile individuazione, in quanto espressioni della sacralità del potere – dove il potere e il sacro sono le immagini del negativo in senso assoluto – come considerare i loro “corrispondenti positivi”, ovvero l’utopia e la spiritualità?

Anche queste ultime, in effetti, sono viste in una prospettiva “trascendente”, separata dall’essere attuale e concreto dell’individuo, ed entrambe sono considerate fonti di “salvezza”.

Ma ogni forma di trascendenza, sia essa connotata in senso positivo o negativo, implica una “separazione”, un “altro da sé” da raggiungere e da realizzare, sia sul piano religioso che su quello politico, pena la condanna a rimanere soli e nudi su questa terra.

Al contrario la libertà, esatto opposto della salvezza, si attua nella dimensione della concretezza, nel “qui e ora” del vissuto; ed è in questa dimensione che l’anarchia e il cristianesimo (evangelico) si pongono, perché ciò che li caratterizza entrambi è precisamente l’attuarsi in essi della “umanità” dell’uomo vivente. È nello “stare al mondo”, a stretto contatto con la propria “nuda vita”, che l’uomo vive la propria condizione di mancanza di senso e di “fondamento”, e mette in atto le possibilità che l’esistenza gli presenta.

Ogni volta che l’uomo non si inginocchia davanti a un rappresentante del “sacro potere”, ma resta in piedi di fronte al proprio “vuoto”, egli è, insieme, cristiano e anarchico.

INTRODUZIONE

Le categorie culturali che vanno sotto il nome di “cristianesimo” e “anarchia” sono, all’interno della prospettiva di valori simbolici che caratterizza la civiltà occidentale, considerate generalmente in opposizione, quando non reciprocamente inconciliabili.

Il primo termine – il cristianesimo – indica infatti la fede religiosa in un Dio trascendente, fattosi uomo nella figura di Gesù di Nazareth e adorato dai suoi fedeli; il secondo – l’anarchia – descrive invece una visione politica immanente, con al centro l’uomo, e in particolare la sua volontà di liberarsi dalle logiche di potere e la sua capacità di dare vita a rapporti egualitari.

Il cristianesimo, nella declinazione datane da alcune chiese e in particolare quella cattolica, si attua seguendo le direttive di una gerarchia, che vede alla base il cosiddetto “popolo dei credenti” e al vertice un ordine sacerdotale, investito e detentore delle funzioni sacre; l’anarchia, assumendo la forma storico-politica dell’anarchismo, si realizza allorché il singolo individuo sceglie di agire secondo la sua coscienza, spesso contro l’ordine costituito e diffuso,

facendo della propria azione singolare un’occasione di “rivoluzione” collettiva.

Un tentativo di unire i due estremi, quale appunto è il “cristianesimo anarchico” – o il corrispondente “anarchismo cristiano” – non è mai stato preso seriamente in considerazione né da parte cristiana né da parte anarchica: le due “opposte fazioni” (almeno nelle loro “posizioni ufficiali”) hanno infatti sempre considerato il cristianesimo anarchico – o l’anarchismo cristiano – non come la realizzazione autentica, ma al contrario come la negazione stessa dei rispettivi principi fondativi, e di conseguenza un ibrido inutile, quando non addirittura dannoso per la rispettiva “immagine pubblica”.

Tale critica appare giustificata, se ci si pone dal punto di vista del cristianesimo e dell’anarchismo “ortodossi”, proprio a motivo del fatto che sia il cristianesimo anarchico sia l’anarchismo cristiano mettono in risalto i temi della libertà (contro il potere), della giustizia (contro l’autorità e la gerarchia) e della pace (contro la violenza), là dove essi considerano potere, autorità, gerarchia e violenza come gli elementi fondativi dell’istituzione, sia essa religiosa o politica.

Nel concreto, tuttavia, ci sono state – e ci sono tuttora – diverse esperienze (o quantomeno tentativi) in cui “gli opposti coincidono”, poste in essere da chi ha ritenuto – e ritiene – che si possa essere, al tempo stesso, sia cristiani che anarchici. Queste esperienze e questi tentativi, pur essendo (stati) attuati da un numero molto ristretto di persone – fra le quali anche personaggi molto noti dell’ambiente culturale – si sono più volte ripetuti lungo l’arco dei secoli e hanno (avuto) una diffusione geografica a livello pressoché mondiale. Dal Medioevo all’Ottocento, passando per l’Età Moderna e poi lungo tutto il Novecento, dall’Europa alle Americhe fino al continente asiatico, le tracce che segnano il cammino del cristianesimo anarchico – e dell’anarchismo cristiano – giungono fino ai nostri giorni.

Di queste diverse realtà (vissute o solo immaginate) si tratta nella prima parte di questo lavoro, con brevi cenni riservati agli autori più rappresentativi del passato e del presente, oltre alle consonanze con le religioni non cristiane che il cristianesimo anarchico – o l’anarchismo cristiano – ha assunto via via, anche in tempi recenti.

Nella seconda parte, come caso di studio, si darà conto della vicenda editoriale (redazioni e redattori, temi principali e rapporti con i vari “movimenti”) della rivista D.M.C.D./CR.AN., che rappresenta uno dei rari esempi di elaborazione di un pensiero cristiano-anarchico in Italia, negli anni compresi fra la metà degli anni ‘70 e la metà degli anni ‘80.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Riflessioni interessanti ma, pur avendo conosciuto diversi anarchici-cristiani e cristiani-anarchici, sono convinto che siamo di fronte ad un’aporia, con buona pace di don Gallo.
    E’ innegabile che nel pensiero umano vi siano reciproche contaminazioni culturali e filosofiche, ma in questo caso mi sembra si vada oltre tale constatazione banale, in quanto le analogie sono superficiali quanto profonde le differenze.
    Fra i tre diversi orientamenti con presupposti di liberazione umana (cristiano, marxista, anarchico), escludendo quindi quello liberale e quello reazionario, credo che vi siano maggiori affinità tra cristianesimo e marxismo.
    Le ragioni sono diverse, ma forse quella più sostanziale è nella relazione col potere; cristiani e marxisti, infatti, credono che possa esistere un potere “buono”, se i suoi detentori sono ispirati dal vangelo di Cristo o dalla dottrina di Marx.
    E, tra l’altro, trovo pure qualche analogia tra le diverse chiese e confessioni sorte all’interno del cristianesimo e le diverse tendenze e partiti che si richiamano al comunismo, tanto che in entrambi i “movimenti” si ritrovano le categorie di “ortodossia” ed “eresia”.
    Inoltre, vi è l’accettazione e il rispetto delle rispettive gerarchie, temporali o spirituali che siano.
    Emblematico il caso di padre Ernesto Cardenal che dopo aver sostenuto che “il potere corrompe ogni cosa” e che “il potere è una tentazione”, da grande poeta si ridusse a diventare ministro in un governo di ispirazione marxista subito rivelatosi autoritario.
    Per cui, i presupposti e le conseguenti pratiche sono radicalmente diverse e alternative, non tanto guardando il cielo, ma quanto avviene sulla terra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *