15 febbraio 1999–2025: mobilitazione per Ocalan e …
.. .E PER I PRIGIONIERI POLITICI, IN SOLIDARIETA’ CON IL ROJAVA E IN ATTESA DI UNO STORICO MESSAGGIO DEL LEADER CURDO.
Venerdì 15 febbraio 2025 saranno 26 anni esatti dalla cattura del leader e confondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Abullah Ocalan, a Nairobi, Kenya.
Per la liberazione di Ocalan ci saranno mobilitazioni in tutta Europa, Rilanciamo gli appuntamenti di Roma e Milano (in “Bottega” ne abbiamo parlato qui https://www.labottegadelbarbieri.org/15-febbraio-per-ocalan/) e riprendiamo alcuni materiali sulle campagne di solidarietà e mobilitazione per la liberazione di Ocalan.l In coda la “versione di D’Alema” sulla mancata protezione italiana ad Ocalan nel 1999, in un’intervista a Chiara Cruciati del manifesto.
Da Radio Onda d’Urto
“Ocalan era diretto in Sud Africa perché Nelson Mandela gli aveva offerto asilo politico dopo che diversi paesi europei – Italia compresa – glielo avevano negato. Tuttavia, fu catturato da agenti della CIA, del Mossad e del MIT turco in un’operazione che coinvolse governi, diplomazie e servizi segreti di diversi stati; tra questi – oltre alla Turchia – Usa, Israele, Grecia e Kenya. Per questo motivo il movimento di liberazione curdo parla di “complotto internazionale”.
Da allora – era il 15 febbraio del 1999 – Abullah Ocalan è detenuto dalla Repubblica di Turchia sull’isola-carcere di Imrali. Si tratta di una prigione che, almeno in un primo momento, lo stato turco ha costruito e messo in funzione appositamente per l’isolamento del rivoluzionario curdo. Soltanto negli ultimi anni sono stati portati a Imrali altri 4 militanti del Pkk.
Ogni anno, il 15 febbraio – il “giorno nero” – le curde e i curdi che vedono in Ocalan la propria avanguardia politica scendono in piazza in Kurdistan, in Europa e nel mondo insieme alle persone solidali che condividono la loro causa.
Quest’anno la mobilitazione “per la liberazione di Abdullah Ocalan e di tutti i prigionieri e le prigioniere politiche e per una soluzione politica della questione curda” arriva proprio mentre è atteso un messaggio storico dello stesso Ocalan dall’isola-carcere di Imrali.
Tra dicembre 2024 e gennaio 2025, una delegazione di deputati del partito DEM, terza forza alla “Grande Assemblea nazionale turca”, ha potuto incontrare Ocalan in due diverse occasioni dopo circa quattro anni di isolamento totale del leader curdo, durante i quali non si sapeva nemmeno quali fossero le sue condizioni di salute. Durante questi incontri, Ocalan ha confermato la propria disponibilità all’apertura di un dialogo per un nuovo tentativo di processo di pace se verranno poste delle condizioni accettabili da parte di Ankara.
Una simile apertura, in realtà, non è una novità. Almeno per quanto riguarda il Partito dei Lavoratori del Kurdistan: negli ultimi tre decenni, il partito-movimento curdo ha dichiarato diversi cessate il fuoco con la Turchia in maniera unilaterale, e diversi tentativi di avviare un processo politico sono sempre stati interrotti da Ankara (l’ultimo da Erdogan, nel 2015). Difficile stabilire, per ora, se il governo turco sia realmente interessato all’apertura di un nuovo dialogo, anche perché nel frattempo proseguono, quotidiani, i bombardamenti in Rojava, l’offensiva contro la guerriglia del Pkk in nord-Iraq, arresti e commissariamenti dei sindaci eletti con il partito DEM nel sud-est della Turchia.
In Italia, sabato 15 febbraio 2025, saranno due gli appuntamenti di piazza organizzati dall’Ufficio Informazione sul Kurdistan in Italia e da Rete Kurdistan: per il centro-sud appuntamento a Roma, piazza Ugo La Malfa (Metro Circo Massimo) alle 14.30; per il nord concentramento a Milano, ore 14.30 in Largo Cairoli.
Su Radio Onda d’Urto abbiamo presentato i due appuntamenti, e fatto il punto verso l’atteso messaggio di Abdullah Ocalan, con Tiziano Saccucci (Ufficio informazione sul Kurdistan in Italia) e Serkan Xozatli (Rete Kurdistan Italia e Associazione Kurdistan – Confederalismo democratico di Milano).
radiondadurto 15-febbraio-1999-2025 La-mobilitazione-per-ocalan-
da Pressenza
Il 15 febbraio 2025, a Roma e Milano, manifestiamo per chiedere la libertà di Abdullah Öcalan, segregato dal 1999 nelle prigioni turche.
Öcalan ha influenzato una rivoluzione che mette al centro l’emancipazione delle donne, ispirata all’ecologia sociale e al municipalismo libertario dell’intellettuale americano Murray Bookchin.
Il 15 febbraio scendiamo in piazza per sostenere il Rojava e la sua rivoluzione fragile, imperfetta e precaria, messa a rischio dalla guerra. Una rivoluzione minacciata dagli attacchi indiscriminati di Erdogan.
Incontriamoci per far uscire questo tema dal cono d’ombra, perché quella del Rojava è una popolazione che è stata tradita troppo volte.
Tradita da chi evita di informarsi sui fatti del mondo.
Tradita da un Occidente che si ricorda del Rojava solo quando mette in agenda la lotta contro l’ISIS.
Tradita da un Occidente che fornisce armi alla Turchia, un Paese Nato, per consentire a Erdogan di compiere i suoi massacri.
Tradita da un Occidente che si riempie la bocca di “valori occidentali” e “superiorità morale” mentre fa guerre imperialiste e volta le spalle a un esperimento di società autogestita, egualitaria, femminista ed ecologista.
Tradita dai campisti rossobruni che considerano “radical chic” qualsiasi battaglia ecologista, femminista e antiautoritaria.
Tradita da chi non capisce che si può (e si dovrebbe, in un mondo ideale) essere contro tutte le ingiustizie, contro tutte le forme di capitalismo, contro l’imperialismo occidentale, contro l’imperialismo dei BRICS, dalla parte di chi si ribella alle teocrazie. Perché “il nemico del mio nemico è mio amico” è una logica assurda che ha fatto troppi danni.
Tradita dagli stalinisti che disprezzano l’esperimento del Rojava perché non possono piantare la loro bandiera su questa esperienza di emancipazione collettiva.
Tradita da Assad, dagli Stati Uniti, dall’Europa, dall’Italia, dalla Russia, dall’ONU, dai BRICS.
Tradita dai padroni delle piazze virtuali che spesso censurano chi affronta questo tema.
Tradita dal silenzio (rotto raramente) di radio, televisioni, giornali e intellettuali.
Tradita da chi non rinuncia a muri e confini.
Tradita dal benaltrismo, da chi ha passato gli ultimi anni a dirci “ci sono questioni più urgenti”, “ora non è il momento”, “magari un’altra volta”.
Tradita da chi sogna rivoluzioni e non si rende conto che proprio ora, davanti ai nostri occhi, è in corso una rivoluzione fragile e precaria che rischia di essere spazzata via anche a causa del disinteresse.
Il confederalismo democratico del Rojava è stato tradito troppe volte.
Questa volta cerchiamo di essere una moltitudine, perché i post su Facebook non faranno mai la differenza.
Il 15 febbraio è il 26esimo anniversario della cattura di Öcalan.
Quel giorno incontriamoci per manifestare.
pressenza difendiamo-il-rojava-manifestazioni-a-roma-e-milano/
Confederazione COBAS
Fermiamo lo Stato turco, criminale e genocida. 15 febbraio a Roma (Circo Massimo, ore 14.30) manifestazione nazionale in difesa del popolo curdo
L’UIKI (Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia), struttura che rappresenta in Italia la comunità curda, ha promosso per il 15 febbraio una manifestazione nazionale a Roma (e una a Milano) con un Appello (già ripreso in “bottega”) ove tra l’altro si legge:
“Il 15 febbraio 2025 segnerà il 26° anniversario della cattura di Abdullah Öcalan, il leader storico del movimento curdo…Dal 1999, Öcalan è detenuto in isolamento sull’isola-prigione di Imrali. La sua prigionia rappresenta un simbolo della più ampia repressione contro le rivendicazioni curde, ma anche della difficoltà della Turchia nell’affrontare una soluzione politica e pacifica a un conflitto che perdura da decenni.
La liberazione di Abdullah Öcalan non riguarda soltanto la giustizia per un uomo imprigionato in condizioni che violano il diritto internazionale e lo stesso sistema giuridico turco, ma costituisce anche un passo fondamentale per la costruzione di una pace duratura tra lo stato turco e il popolo curdo. Nel corso degli anni, Öcalan ha più volte espresso la sua disponibilità a negoziare e a promuovere la pace, avanzando proposte che prevedono il riconoscimento dei diritti dei curdi all’interno di una Turchia democratica e pluralista.
In tutto il paese, le pratiche utilizzate sull’isola di Imrali sono state estese per soffocare ogni forma di dissenso e di opposizione che veda nella soluzione politica della questione curda una possibile svolta verso una trasformazione democratica dell’intero Medio Oriente”.
Nel frattempo, il 5 e 6 febbraio 2025 a Bruxelles si è riunita la 54° Sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sul Rojava.
Nella sua dichiarazione il Tribunale Permanente ha affermato che lo Stato turco sta commettendo sistematicamente crimini di guerra e crimini contro l’umanità con l’obiettivo del genocidio.
La dichiarazione denuncia tra l’altro:
“Le testimonianze che abbiamo ascoltato dipingono un quadro di punizione diffusa e sistematica di un popolo.
I loro crimini? Essere curdi e creare una società fondata sui principi di uguaglianza, giustizia e solidarietà. L’obiettivo della punizione è lo sradicamento dell’identità, della presenza e della cultura curda. Gli abitanti di Afrin sono stati costretti ad abbandonare le loro case quando la città è stata occupata dalla Turchia nel 2018.
La popolazione curda è passata da oltre il 90% al 25%, poiché le loro case sono state sequestrate e offerte ad arabi sunniti e turkmeni. Le proprietà sono state sistematicamente saccheggiate, vetrine e cartelli stradali sostituiti con nomi turchi, il turco ha sostituito il curdo come lingua di insegnamento. Terreni e proprietà sequestrati, fabbriche smantellate, l’industria olearia confiscata….
Circa 120.000 persone sono state costrette ad andarsene: il 40% bambini, un altro 40% donne e molti altri anziani. Il totale attuale degli sfollati è stimato in 300.000 unità…Abbiamo sentito di esecuzioni sommarie di attivisti politici e soccorritori, sparizioni e di come le persone potessero capire l’ora dalle urla e dai pianti delle persone torturate, dalle 9 del mattino alle 5 di pomeriggio… Ci hanno raccontato di rapimenti, aggressioni sessuali e stupri di donne e ragazze, prigioni segrete ricavate da scuole, edifici agricoli e stazioni ferroviarie, e l’incapacità dei sopravvissuti di parlare per paura della detenzione e della tortura.. Abbiamo visto prove dell’uso di fosforo bianco… Abbiamo visto prove fotografiche di ripetuti bombardamenti di impianti di gas ed elettricità e di installazioni petrolifere, il che significa niente combustibile per il riscaldamento e la cucina, ma anche niente acqua, lasciando un milione di persone senza acqua corrente pulita, portando a dissenteria e colera…. Abbiamo sentito di attacchi a strutture mediche che curano decine di migliaia di pazienti a Kobani e Qamlişo…Gli attacchi contro le donne – il “femminicidio politico” delle donne che sfidano il patriarcato e si battono per l’uguaglianza di genere, gli stupri brutali delle donne curde da parte dei servizi segreti turchi nelle prigioni segrete – sono stati presentati come un attacco diretto al modello del Rojava… I bombardamenti, attacchi con droni e atrocità contro i civili, gli spostamenti forzati e la sostituzione delle popolazioni, la distruzione dell’energia elettrica e il danneggiamento delle riserve idriche, i danni ambientali, la distruzione del patrimonio culturale e delle istituzioni educative, l’uso di stupri, torture, detenzioni segrete costituiscono crimini contro l’umanità e crimini di guerra e sono indicativi di genocidio“.
E questo infine è un brano del commento dell’avvocata Margherita D’Andrea, dell’Esecutivo Giuristi Democratici, che con una delegazione dei Giuristi Democratici ha partecipato alla sessione:
“Quello che è emerso nel corso delle audizioni dei testimoni è che dal 2018 in Rojava è in atto un sistematico e pervicace tentativo di sradicare il popolo curdo dalla propria terra, di distruggerne non solo la vita ma l’identità, la cultura, l’economia, costringendo migliaia di persone a fuggire. Un tentativo che è stato definito dal Collegio dell’accusa proprio di una vera ingegneria demografica, al fine di attuare una politica di sostituzione nell’area del Nord Est Siria dei curdi con popolazioni arabe sunnite e turcomanne.
I giudici hanno scritto che la comunità internazionale è consapevole delle continue sofferenze del popolo curdo e dei crimini degli imputati… È dunque fondamentale che i responsabili dei crimini di guerra e crimini contro il popolo curdo siano portati davanti alla giustizia e che la comunità internazionale assicuri immediatamente la cessazione degli attacchi della Turchia in Rojava. Questo al fine di scongiurare il rischio di un vero e proprio genocidio”.
Di fronte a questa terrificante e feroce aggressione, è indispensabile che, nel quadro di una mobilitazione generale a livello europeo e internazionale per porre fine ai crimini di guerra, con scopi apertamente genocidi, nei confronti del popolo curdo nonché per ottenere quanto prima la liberazione di Abdullah Öcalan, il leader storico del movimento curdo, si garantisca la massima riuscita alle due manifestazioni nazionali di Roma e Milano, indette per sabato prossimo 15 febbraio dai rappresentanti del popolo curdo in Italia. La Confederazione COBAS è particolarmente impegnata alla riuscita della manifestazione di Roma, per la quale diamo appuntamento a tutti i difensori della causa del popolo curdo per il corteo che partirà da P. La Malfa (Circo Massimo) alle ore 14.30
Piero Bernocchi portavoce Confederazione COBAS
cobas.it/Notizie/Fermiamo-lo-Stato-turco-criminale
cobas.it I-COBAS-alla-manifestazione-nazionale-di-Roma-in-difesa-del-popolo-curdo
«Abdullah Ocalan fu catturato dai servizi israeliani»
Intervista Massimo D’Alema ricostruisce quanto avvenne tra il 1998 e il 1999: l’arrivo in Italia del leader curdo, il ruolo del governo, l’arresto.
di Chiara Cruciati
Il 12 novembre 1998 Abdullah Ocalan, fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), sbarca a Fiumicino da un aereo partito da Mosca. Aveva da poco lasciato la Siria, cacciato dopo anni di ospitalità. La polizia italiana lo arresta, primo atto di una delle vicende che ha più segnato la questione curda e il suo rapporto con l’Italia: nei due mesi trascorsi a Roma, intorno al leader si genera una mobilitazione senza precedenti e una presa di coscienza collettiva della lotta di liberazione curda.
Su una delle mensole nel suo ufficio romano, l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema conserva una targa: una stella rossa e sopra la sigla Pyd, Democratic Union Party, la forza politica della sinistra curda siriana fondata nel 2003 e da 13 anni una delle anime del confederalismo democratico in atto nella regione. Il primo governo D’Alema era nato poche settimane prima dell’arrivo di Ocalan. Resterà in carica per altri dieci mesi dopo la cattura del leader curdo, avvenuta a Nairobi il 15 febbraio 1999, esattamente un mese dopo aver lasciato l’Italia.
Il governo sapeva che Ocalan stava arrivando in Italia?
No. Fu Rifondazione ad avere un ruolo, in particolare Ramon Mantovani, ma non in accordo con il governo. Fui informato la notte in cui Ocalan arrivò in Italia. Su di lui pendeva un mandato di cattura tedesco. Noi eravamo e siamo tuttora vincolati alla Germania dal Trattato di Schengen, se una persona con un mandato di cattura europeo viene in Italia lo dobbiamo arrestare.
Ed è successo, Ocalan è stato arrestato a Fiumicino.
La mattina stessa parlai con il cancelliere Schroeder: la Germania non intendeva inoltrare la richiesta di estradizione per ragioni di sicurezza interna, c’era la preoccupazione che un processo a Ocalan in Germania avrebbe potuto creare tensioni tra comunità turca e comunità curda. Avremmo potuto fare una forzatura, metterlo su un aereo e mandarlo a Berlino, ma siamo persone sagge. Ocalan fu liberato e diventò ospite del governo italiano, condotto per ragioni di sicurezza in una villa protetto dalle forze dell’ordine, dove ricevette persone, ebbe incontri. Era un uomo libero, ma protetto. Si scatenò un inferno: ci fu un’immediata richiesta di estradizione da parte della Turchia. Noi la respingemmo sulla base del principio costituzionale per cui non consegniamo persone a paesi nei quali rischiano la pena di morte.
Che tipo di pressioni subì il governo?
Si aprì una crisi diplomatica molto pesante che coinvolse imprese italiane con investimenti in Turchia. Ci furono manifestazioni contro l’Italia ad Ankara, anche tentativi di assalto alla nostra ambasciata. Il presidente Usa Clinton mi chiamò dicendo che stavamo proteggendo un terrorista e che la Turchia era un paese membro della Nato, gli andava consegnato. Gli americani presero anche posizione pubblicamente, non fu solo una pressione privata.
Alcuni protagonisti dell’epoca parlano anche di pressioni di Confindustria.
Non dico pressioni, ma da Confindustria vennero da me delegazioni di imprenditori per gli interessi italiani minacciati in Turchia. E nel frattempo ci fu un’iniziativa per la concessione a Ocalan dell’asilo politico. Noi interrogammo la commissione per l’asilo che ci diede un parere contrario: a una persona con un mandato di cattura per omicidio all’interno dell’Unione europea non possiamo concederlo.
L’asilo però fu concesso, mesi dopo.
Il tribunale ha ritenuto che si potesse dare l’asilo. Ma nel frattempo lui se n’era andato.
Ma il governo si costituì parte civile contro la richiesta di protezione.
L’Avvocatura difese il parere che ci aveva fornito la commissione: sarebbe stato difficile riconoscere l’asilo a una persona considerata un terrorista a livello internazionale.
La decisione del tribunale avrebbe risolto il problema. Non si sarebbe trattato più di una decisione politica. Non avreste potuto aspettare?
Ci sarebbero stati problemi seri comunque. Anche con l’asilo avremmo dovuto proteggerlo, sarebbe stato un bersaglio. Avevamo un dialogo con Ocalan, attraverso persone, amici comuni, curdi, palestinesi, che ci aiutarono a dirgli che nella sua condizione avremmo potuto garantirgli l’uscita dall’Italia in condizioni di sicurezza. L’asilo non avrebbe cambiato la sua condizione.
Avrebbe permesso di tenerlo in Italia.
Ma lui era un uomo libero, nessuno gli ha impedito di rimanere qui. Poteva andare dove voleva. Vorrei essere chiaro: non lo abbiamo espulso, non è stato consegnato a nessuno. Intorno a quella villa c’erano servizi segreti di mezzo mondo, turchi, americani, israeliani. Era comunque in una condizione di pericolo, con o senza l’asilo politico. Alla fine lui si convinse che fosse ragionevole andarsene.
Ex avvocati di Ocalan hanno raccontato di un’opera di convincimento che ha riguardato anche i consiglieri stessi del leader curdo. Che ruolo ha avuto il governo?
Era giusto che lui andasse via, quello che è stato sbagliato è ciò che è accaduto dopo. Noi abbiamo fatto in modo che se ne potesse andare dall’Italia in condizioni di sicurezza, cosa che non era affatto banale dal punto di vista organizzativo.
Esisteva già una destinazione finale?
C’era una destinazione intermedia e c’era una destinazione finale. Gli americani non si accorsero di nulla. Attraverso determinati accorgimenti, risultò a tutti essere ancora qui quando in realtà se n’era già andato. Fu un’operazione abbastanza complessa e fu gestita borderline: un’operazione così non poteva essere interamente gestita dai nostri apparati senza che gli americani lo sapessero. Il capo della polizia mi disse che avrei dovuto trovare io la via. Organizzammo tutto molto bene: lui scomparve e arrivò in una base militare di un altro paese. Da lì doveva andare in Sudafrica.
Perché a vostro avviso il Sudafrica avrebbe dovuto essere più sicuro dell’Italia?
Nel nostro paese era stato individuato, era circondato. Nessuno avrebbe saputo che si trovava in Sudafrica.
Poteva restare qui sotto protezione.
Sarebbe stato un affare di Stato per tutta la vita. Avremmo dovuto creare un fortilizio in Italia. Ocalan l’ha capito, era una persona di buon senso. In nessun paese occidentale poteva essere al sicuro. Il Sudafrica era un paese amico, indipendente, meno condizionato dall’Occidente. Il vicepresidente sudafricano Mbeki era l’erede di Nelson Mandela, erano compagni e questa era una questione che poteva essere affrontata solo tra compagni. Al contrario la Grecia gli ha offerto una protezione molto meno limpida: noi lo abbiamo protetto alla luce del sole, ce ne siamo presi la responsabilità con crisi diplomatiche, danni economici, litigi con gli americani. Ci siamo presi la responsabilità di dire che non lo avremmo consegnato alla Turchia.
Tra Russia e Sudafrica, come si inserisce la Grecia?
Feci un accordo con il primo ministro russo Primakov e con il vicepresidente sudafricano Mbeki: Pretoria lo avrebbe accolto non ufficialmente, ma ospitato e protetto. Quando Ocalan arrivò a Mosca, però, decise diversamente: accettò un invito riservato del governo greco. O meglio, del ministro degli esteri greco Pangalos che controllava i servizi segreti esterni. Pangalos, mi raccontò il primo ministro socialista Simitis, aveva preso contatti con i curdi e invitato Ocalan senza informare il governo. Così il leader curdo fu ospitato in alcune ambasciate greche in Africa. A Nairobi gli dissero che doveva partire perché c’era un paese europeo che gli avrebbe dato l’asilo politico.
Invece?
Invece non era vero, Ocalan fu venduto da un ufficiale dei servizi greci. Sulla via per l’aeroporto fu preso, secondo quello che mi dissero i greci, dagli israeliani. Furono gli israeliani a catturarlo e consegnarlo ai turchi, così mi fu detto.
Ha parlato di litigi con gli americani. Che tipo di pressioni ha subito?
È chiaro che, quando viene un ambasciatore americano e quando ti telefona il presidente degli Stati Uniti la cosa ha un certo peso. Con garbo gli si può dire di no come è stato fatto: siamo un paese libero se vogliamo fare uso della nostra libertà. Credo che gli americani lo facessero perché questa vicenda aveva dei risvolti di carattere geopolitico: in quel momento c’era uno scontro tra Europa e Usa perché che gli europei volevano realizzare il South Stream, il gasdotto che dalla Russia doveva arrivare nell’Europa meridionale. Gli americani sostenevano un progetto alternativo, un gasdotto dall’Azerbaigian. Il paese chiave era la Turchia perché entrambi i progetti passavano per il Mar Nero. Creare una frattura tra Turchia e Unione europea era interesse americano. Mostrarsi amici della Turchia era interesse americano. Penso che a Clinton di Ocalan non importasse, ma il fatto che una tensione tra Turchia e Italia gli faceva gioco.
Era quello un periodo centrale per la questione curda. Dall’Italia Ocalan lanciò le basi per il processo di pace.
La questione riguarda la Turchia, la necessità di superare un nazionalismo turco che ha origini ottomane. Non credo che la presenza di Ocalan in Italia avrebbe potuto cambiare il corso della politica turca. Noi abbiamo fatto quello che si poteva fare nelle condizioni date. Abbiamo la coscienza tranquilla: non abbiamo consegnato Ocalan a nessuno e abbiamo sempre sostenuto la necessità di una soluzione politica al riconoscimento dei diritti del popolo curdo in Turchia, Siria, Iraq e Iran.
In quei due mesi ha mai incontrato Ocalan?
No, mai.
Non ci ha nemmeno parlato al telefono?
Non mi ricordo, ma era complicato. D’altro canto ci sono dei limiti entro cui si svolge il mandato del presidente del Consiglio. Non è un uomo libero.
ilmanifesto.it/abdullah-ocalan-fu-catturato-dai-servizi-israeliani
rivoluzioneanarchica 15-febbraio-1999-2025-la-mobilitazione-per-ocalan
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)
CASO OCALAN contro TURCHIA- SENTENZA del 12 marzo 2003 Ricorso n° 46221/99 http://dirittiuomo.it/caso-ocalan
A sorelle e fratelli Curdi
Roma 15 febbraio 2025
Sorelle e fratelli curdi vi porto il saluto della nostra organizzazione e della terra da cui vengo: la
Sardegna. Siamo qui con affetto, rabbia e onore.
Con affetto perché ci riconosciamo nella vostra lotta, perché da sempre appoggiamo la vostra
causa, la vostra orgogliosa ricerca di libertà, di autonomia, di democrazia, di
autodeterminazione.
Così per significare concretamente la nostra solidarietà, annualmente, nel primo giorno di
primavera, che tanti di noi hanno imparato a riconoscere come il Newroz, il capodanno della
Mesopotamia, organizziamo una marcia (Marcia Kurdistan Sardegna per la libertà di Öcalan),
che, muovendosi dalla costa orientale a quella occidentale della Sardegna, percorre il 40°
parallelo per mostrare la bandiera del popolo curdo con i suoi significati di ricerca di libertà per
i prigionieri in Turchia, per la libertà dei migranti reclusi in Bosnia, per la libertà del presidente
Abdullah Öcalan.
Siamo qui con rabbia anche per le ragioni recentemente esposte a Bruxelles dal Tribunale
permanente dei popoli sul Rojava contro la Turchia dove il nostro rappresentante Gianluigi
Deiana era presente per riportare e diffondere le accuse relative alle gravi violazioni dei diritti
umani e crimini di guerra commessi dal governo turco e dalle forze sostenute dalla Turchia nel
nord e nell’est della Siria, conosciuta anche come Rojava. Accuse che includono azioni che si
configurano come crimini contro l’umanità secondo il diritto internazionale. Crimini come la
deportazione forzata delle popolazioni, l’uso di gas proibiti, di armi devastanti, la pratica delle
torture, degli omicidi mirati e della distruzione programmata del patrimonio linguistico e
culturale delle popolazioni del Rojava. Fatti e crimini che si sono ripetuti, con atroce attualità,
nello sterminio delle popolazioni palestinesi di Gaza.
Siamo qui con orgoglio perché volevamo essere presenti in occasione del 26° anno di ingiusta e
feroce reclusione nell’isola-prigione di İmralı di Apo: il presidente Abdullah Öcalan. Siamo qui
con voi per richiederne l’immediata liberazione. Sappiamo come tutte e tutti voi che sarà una
lotta difficile perché Apo, tra l’altro, è stato l’ispiratore del confederalismo democratico e non
un terrorista come sostiene il governo turco attraverso il suo autocrate Erdogan.
Il presidente Abdullah Öcalan è “Una testa pensante” dunque sta subendo da 26 anni la stessa
sorte di Antonio Gramsci per il quale il pubblico ministero fascista Ingrò, nel motivare la sua
richiesta di condanna pronunciò la famosa frase: «Bisogna impedire a quel cervello di
funzionare per almeno vent’anni».
Nell’obiettivo del governo turco e di coloro che lo appoggiano non ci sono le presunte e mai
dimostrate azioni terroristiche di Apo, ma la sua mente. Le sue teorie e la pratica conseguente.
Uniti dunque per affinità e storia continueremo a marciare accanto a voi. Cobas Scuola Sardegna.
https://ilmanifesto.it/una-luce-nel-tunnel-migliaia-a-roma-per-ocalan?t=nEFJOBOqClRZakvEYLiGP
Attivisti curdi interrompono la sessione plenaria del Parlamento Europeo per chiedere la liberazione di Ocalan
https://video.corriere.it/esteri/attivisti-curdi-interrompono-sessione-plenaria-parlamento-europeo-chiedere-liberazione-ocalan/8911d946-ad26-11ed-a7b5-a0a1736d7fb9