2 giugno: libertà e obbedienza

di Bozidar Stanisic

In questo periodo, per raggiungere il luogo della mia prestazione di lavoro (suona elegantemente?) mi fermo a bere caffè in qualche bar fra Udine e Trieste. Noto (stranamente?) che i manifesti per il 2 giugno pubblicati dai Comuni che si trovano sul mio percorso sono quasi simili nella retorica che invocano:

1 la dignità del lavoro;

2 la libertà delle persone;

3 la giustizia sociale.

Dico, fra me e me, che sono parole al vento.

Nel mondo dei precari e della precarietà che si sta stabilendo in Italia (e, più o meno, nel resto dell’Europa della banca di Francoforte) non esiste il punto uno, né il due, né il tre.

Certo, è bello pensare la dignità, la libertà, la giustizia.

Ma dove sono?

Nel silenzio dei precari? nella volontà dei potenti?

Sarà un 2 giugno della retorica? oppure un 2 giugno della memoria su coloro che hanno dato la loro vita per un’Italia più dignitosa, più libera, più giusta?

Ciò dipende dagli italiani, e non solo dei precari. Dipende da tutti quelli che non si sono chiusi nell’io-per-ora-sto-bene.

La precarietà è un ospite imprevedibile, potrebbe bussare sulla porta di ogni casa.

E dopo?

Viva il silenzio, viva l’obbedienza? o viva l’Italia e l’Europa fondati sul lavoro?


Redazione
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5 commenti

  • Aggiungo alcune considerazioni al bel ragionare di Bozidar.
    Da troppi (troppissimi, per una volta ci starebbe) anni si protesta contro l’idea che la festa della repubblica sia un’esibizione militaresca o forse uno spot, una parata pubblicitaria delle armi made in Italy.
    Da qualche anno c’è chi – “Sbilanciamoci” in testa – fa i conti alla (mala) parata militare del 2 giugno e chiede che quei miliardi vengano spesi in altro modo.
    Purtroppo sono due proteste e proposte che l’arroganza dei Palazzi non prende in considerazione.
    Ieri, di fronte alla tragedia del nuovo terremoto, Emergency ha scritto questo msg al signore che dovrebbe rappresentare tutti gli italiani e tutte le italiane:
    “Egregio Presidente Giorgio Napolitano
    Lei ha chiesto ai giovani di aprire porte e finestre, anche qualora le trovassero chiuse.
    Le chiediamo con tutto il rispetto di dare l’esempio: apra porte e finestre alla solidarietà; trasformi il 2 giugno da festa della Repubblica militare a festa della Repubblica solidale.
    Annulli la parata, che l’anno scorso era costata 4,4 milioni di euro e che secondo il ministero della Difesa quest’anno costerà quasi 3 milioni di euro.
    Quei denari siano investiti in opere di solidarietà con la popolazione stremata dal terremoto e quei contingenti chiamati a sfilare vengano utilizzati nelle zone bisognose di aiuti.
    Grazie con tutto il cuore”.
    La risposta di Napolitano – che ho riascoltata anche stamattina ai gr – è che la parata si farà ma verrà “dedicata” (vuol dire?) alle zone terremotate. Una frase che merita – commentava ieri il mio amico Danilo – di stare alla pari con quella di Maria Antonietta quando informata che il popolo aveva fame ma non c’era più pane rispose tranquillamente “mangino brioches”.
    (db)

  • Ritengo utile a quello di Daniele Barbieri sommare anche un mio commento (il tutto verrà trovato sul mio blog il 2 giugno, vedi: http://miglieruolo.wordpress.com/2012/06/02/2-giugno-liberta-e-obbedienza/). Lasciamo perdere la delusione Napolitano, sul quale non avevo mai risposto alcuna compiacenza, ma che purtroppo e dolorosamente si sta dimostrando organico al peggio di questa infelice Repubblica: il giusto accostamento alle parole di Maria Antonietta diventa ingiusto se contemporaneamente non si ricorda che quelle parole furono pronunciate per arroganza e soprattutto incoscienza, là dove il Presidente si pone coscientemente in prima linea a difesa dei privilegi, dei simboli e delle logiche del sistema. Lasciamo perdere Napolitano in quanto ben altra e grave la questione su cui porre attenzione. Lo ha fatto Bozidar Stanisc scrivendo il pezzo che pure io pubblico; ha ribadito Daniele Barbieri dandogli per primo ospitalità nel suo blog. Si tratta della questione delle questioni, superiore a ogni altra quanto a importanza per la ricostruzione di una opposizione di classe in Europa e nel Mondo. Il lavoro precario. E’ su di esso che si gioca la partita dei prossimi venti anni tra Lavoro e Capitale. E’ sulla lotta per superarlo che si fondano le speranze di possibili rotture sostanziali, sia pure nei soli assetti politici. Non a caso l’Arco Incostituzionale si è incamminato, fin dagli anni Novanta, su questa via (via aperta dalla “sinistra”) e il Capitale oppone strenue resistenze anche solo all’opposizione di semplici ritocchi alle norme di legge che invece (il lavoro precario) incoraggiano e incrementano.
    E’ nella lotta contro il lavoro precario che si può costruire quell’unità di popolo in grado di, nell’unità organica con il movimento delle donne, realizzare l’ambito di riferimento per il sempre più imminente e necessario partito della transizione.
    Mauro Antonio Miglieruolo

  • Si riempiono la bocca con la disperazione dei precari, dei suicidi, dei terremotati, del Sud senza prospettive, e di tanta “altruità”, altra da Loro appunto, e poi quando viene invocato un segno tacciono o blaterano ragioni senza vergogna. La verità è che questo stato di cose consente di pontificare senza erigere ponti umani.

  • Anche se non condivido la posizione del Presidente della Repubblica, ne capisco la logica e la retorica perversa. Prima di tutto esiste ormai un chiaro movimento di opinione che sta minando la Repubblica nei suoi principi e istituzioni (vedi Movimento 5 Stelle, Lega, parti del PDL, parti di SEL), ovviamente il Presidente della Repubblica non può avvallare questi modi, coerentemente come ha fatto fin ad ora, sta difendendo i simboli della Repubblica, come se questi possano in qualche modo ricordare agli italiani che siamo uno Stato, una Comunità che si regge su leggi e principi, che sono rappresentati da ruoli e istituzioni.
    Quello che mi lascia perplesso è l’incapacità di immaginare e pensare un modo diverso di essere Istituzione e Stato, nel momento della crisi, si pensa comunque a difendere i simboli. Ma i simboli hanno il valore che gli diamo noi. Oggi si potrebbe rispettare meglio lo Stato, le Istituzioni, la Repubblica, saltando quella cerimonia e chiedendo a tutti di sfilare insieme senza armi, spendendo solamente le suole delle scarpe. Ma ad ognuno il suo ruolo, a volte mal interpretato. Peppone e Don Camillo avrebbe saputo cosa fare. Insieme sarebbero andati a lavorare per il popolo.

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