«La macchina si ferma» di Forster

(ma occhio anche al PS con le tre leggi di Asinov; sì Asinov con la n)

«L’orrore dell’esperienza diretta». E poco dopo: «un tetto che limitava per sempre le visioni degli uomini» (nel senso: degli esseri umani). E ancora: «noi abbiamo creato la Macchina affinché ubbidisse al nostro volere ma noi ora non riusciamo a farle eseguire i nostri ordini».

Sono citazioni tratte da «La macchina si ferma», un lungo racconto del 1909, dell’inglese Edward Morgan Forster che è stato appena ristampato (in un simpatico libretto che si rovescia: da un lato l’originale e dall’altra la traduzione per complessive 154 pagine a 16 euri) nell’elegante collana Maudit delle edizioni Portaparole, curato da Maria Valentini, la quale nell’introduzione lo inquadra nel filone distopico e – citando Forster – come «reazione a uno dei primi paradisi di H. G. Wells».

Come d’abitudine non dirò troppo della trama. Solo che siamo in una città sotterranea automatizzata dove gli umani vivono isolati e accuditi. Sarà vero che l’esterno è inabitabile? E davvero la Macchina si sta guastando?

E’ evidente che siamo dalle parti dello scontro fra quelle opposte visioni (su scienza e progresso) che nel passaggio fra ‘800 e ‘900 si fanno più forti con molte, interessanti ricadute politiche e letterarie; chi volesse approfondire il tema potrebbe partire da «Il palazzo di cristallo» – sottotitolo «L’immaginario scientifico nell’epoca vittoriana» – una bella antologia curata da Carlo Pagetti nel 1991 per Oscar Mondadori.

E’ vero che le polemiche di fronte all’avanzare della scienza (e della sua cuginetta tecnologia) sono antiche – Maria Valentini ricorda Swift – ma all’inizio del ‘900 nessuno può ignorare che «la cultura industriale» sta radicalmente cambiando la vita degli esseri umani.

Chi conosce la letteratura fantascientifica ma anche un pochino il clima dell’epoca potrebbe – è facile farlo con gli occhi di oggi – subito accorgersi di quanto sia gli ottimisti che i pessimisti eludano il nodo politico. La direzione del “progresso” non dipende infatti da un’astratta umanità ma dalle scelte di fondo che vengono prese, da chi dunque controlla la direzione della scienza e gli usi delle “macchine”: ci si incammina verso il capitalismo (e in quale delle sue versioni?), verso un socialismo autoritario o libertario, oppure verso (ma questo solo adesso possiamo sognarlo con chiarezza) una terza via magari gandhiana-ecologista?

Tornando al lungo racconto di Forster il suo pregio è stare nel dibattito dei tempi: l’idea-base e in parte la scrittura ai giorni nostri lo fanno apparire datato ma si legge ancora con piacere misto alla curiosità (almeno per chi è appassionato del genere) di individuare chi e quando ha poi ripreso – o si dice copiato? – le idee di «La macchina si ferma»; mi pare di sentire una voce là in fondo sussurrare «La città e le stelle» (1956) di Arthur C. Clarke: calunnie senza dubbio.

In questa nuova edizione Maria Valentini sottolinea i viaggi, quasi danteschi, dei due protagonisti-antagonisti (madre e figlio, oltretutto) e l’alternarsi di speranze e terrori nel tornare ad «osservar le stelle» che qui però – al contrario di tanta fantascienza successiva – hanno a che vedere con lo spirito e non con l’idea di altri mondi da esplorare e/o conquistare.

Edward Morgan Forster (1879-1870) è noto oggi soprattutto per tre romanzi portati sullo schermo: «Passaggio in India», «Maurice» e «Casa Howard», buoni film che toccano temi attuali. Attuale resta (lo sappiamo bene) «La macchina si ferma». Delle citazioni che ho recuperato all’inizio la terza merita di essere ampliata: «Noi abbiamo creato la Macchina affinché ubbidisse al nostro volere ma noi ora non riusciamo a farle eseguire i nostri ordini. Ci ha privato del senso dello spazio e del tatto, ha offuscato ogni rapporto umano e ha ridotto l’amore a un atto carnale, ha paralizzato i nostri corpi e la nostra volontà, e adesso ci costringe a venerarla. La Macchina si evolve ma non secondo le nostre linee. La Macchina procede ma non verso la nostra meta. Noi esistiamo solo come globuli sanguigni che scorrono nelle sue arterie, e se lei potesse funzionare senza di noi ci lascerebbe morire». Se sostituissimo «capitalismo globale» alla parola «Macchina» saremmo al nodo centrale (ma oscurato) del nostro tempo, oltre 100 anni dopo Forster.

PS-1 SUL DISORDINE FECONDO

Se avessi una biblioteca e annesso archivio davvero ordinati forse avrei ritrovato la recensione di Erremme Dibbì (la sigla con cui Riccardo Mancini e io ci firmavano sul quotidiano «il manifesto») uscita nel 1985 per l’edizione Nord di questo libro: peccato non poter confrontare le impressioni di lettura, quasi 30 anni dopo…. roba da moschettieri.

PS-2 SULLE LEGGI DI “ASINOV”

Se vi fosse sfuggita la meravigliosa strip di Stefano Disegni (un cognome, un destino) su «Il fatto quotidiano» del 2 febbraio – è intitolata «Automazioni» – cercate di recuperarla. Io ovviamente non posso riassumervela, tantomeno emulare con le parole le immagini e soprattutto “le facce”. Vi dico solo che le minacce del “progresso” lì prendono la forma di un robot gestito da Silvio Berlusconi (qui in blog chiamato signor P2-1816 dal numero di una certa tessera che gli aprì la via). Nel finale Berlusconi deve spiegare a Bondi le tre leggi di Asinov (sì con la n). Eccole: «Un robot non può recare danno a Silvio Berlusconi. Due: un robot deve obbedire a Silvio Berlusconi. Tre: un robot deve proteggere la propria esistenza purché questa autodifesa non contrasti con la prima e la seconda legge». Lo so che non c’entra moltissimo con Forster… ma potevo evitare di dirvelo? (db)

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