709 violazioni in 6 mesi: l’assedio europeo alla stampa
Nel primo semestre del 2025 l’Europa ha contato 709 violazioni della libertà di stampa in 35 Paesi, con 1.249 persone o soggetti collegati ai media colpiti. Non è solo una questione di numeri: è il profilo degli attacchi a preoccupare, perché cresce il peso della politica e si saldano vecchie e nuove forme di censura — dalle denunce strumentali ai divieti di finanziamento, fino alle campagne di delegittimazione. È la fotografia scattata dal Media Freedom Rapid Response (MFRR) nel suo rapporto gennaio–giugno 2025, appena pubblicato.
Il terreno di caccia principale è l’ambiente digitale: qui si concentra il 23,1% degli episodi, tra molestie online, hacking, DDoS e sorveglianza. Sotto pressione anche la cronaca di piazza (13,5%), i tribunali (11,7%) e, più in generale, gli spazi pubblici. Il dato che fa rumore, però, è quello degli attacchi legali: più di un quarto di tutti i casi (26,4%) sono minacce giudiziarie, arresti, proposte di legge restrittive. Nel semestre si contano 59 arresti o detenzioni (soprattutto in Turchia). Le aggressioni fisiche sono 98 — quasi una su sette dell’intero campione — e 31 hanno causato feriti; all’estremo opposto, 40 minacce di morte in 23 episodi.
Chi colpisce? Non solo i “leoni da tastiera”. La quota più ampia resta quella dei privati (22,1%), ma subito dietro ci sono governanti e funzionari pubblici, responsabili di un episodio su cinque (20,6%, che nell’UE sale al 23,1%). Polizia e sicurezza di Stato compaiono in un caso su otto (12,6%), mentre il potere giudiziario pesa per il 10%. In breve: lo Stato — in diverse forme — è parte del problema, non solo la soluzione.
A fare da filo rosso è la metamorfosi delle leggi sugli “agenti stranieri”: tra gennaio e giugno il MFRR registra 45 violazioni legate a norme o narrazioni sul “finanziamento estero”, 63 i bersagli colpiti. Il pattern è chiaro: attacchi verbali (64,4%) e azioni legali (31,1%), con oltre metà degli episodi firmati da pubblici ufficiali. L’epicentro si sposta tra Georgia (legge-fotocopia del FARA e nuove strette su media e donazioni), Ungheria (disegni di legge per “trasparenza della vita pubblica” e ufficio per la “protezione della sovranità”), Bosnia ed Erzegovina (RS), Bulgaria e Slovacchia. Sullo sfondo, l’onda lunga della stretta statunitense sui fondi USAID offre pretesti propagandistici: “sei pagato dall’estero, non sei giornalismo”. Risultato: stigmatizzazione, restringimento dei canali di finanziamento, porte aperte a censure e sorveglianza.

Serbia è il caso-simbolo: il rapporto parla senza giri di parole di “situazione d’emergenza”. In sei mesi, 96 violazioni (più che in tutto il 2024), 199 i soggetti colpiti: aggressioni fisiche, attacchi alla strumentazione, minacce e campagne diffamatorie, interferenze redazionali e cause temerarie. La spirale si è inasprita con le proteste seguite al crollo della pensilina della stazione di Novi Sad (novembre 2024): la pressione di apparati statali e forze dell’ordine contro chi documenta è diventata sistemica.
Nell’UE il rapporto illumina in particolare Ungheria e Romania. A Budapest, oltre agli attacchi verbali di vertice — fino alla disumanizzazione dei giornalisti come “insetti” —, l’Ufficio per la Protezione della Sovranità allarga il raggio d’azione e un disegno di legge prova a blacklistare e sanzionare i media con fondi esteri, mentre corti e procura entrano in scena con un mix di querele, richieste di condanna e rettifiche che pesa sull’ecosistema indipendente. La Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione contro l’impianto normativo sulla “sovranità”.
In Romania, tra elezioni contestate e proteste, si moltiplicano campagne di discredito, cause bavaglio, perfino abusi di copyright per far sparire inchieste dai motori di ricerca. Un caso emblematico: articoli copiati, ripubblicati con data retrodatata e poi segnalati come “plagiati” per deindicizzare l’originale. In parallelo, emergono episodi di sorveglianza su investigativi e perquisizioni ai fotografi per ottenere immagini delicate. È la fotografia di un ambiente dove la pressione non è solo politica: è anche tecnica e giudiziaria.
In Ucraina, la guerra rende tutto più instabile: crescono gli attacchi verbali (quasi quanto l’intero 2024), proliferano minacce via email con allarmi bomba e compaiono deepfake contro giornaliste. Resta un’ombra lunga: quasi 30 reporter ucraini risultano ancora detenuti dalle autorità di occupazione russe, mentre il Paese piange nel 2024 la morte della reporter Victoria Roshchyna.
Il quadro complessivo chiude il cerchio: la libertà di stampa non arretra solo per colpa di haters, troll e piazze calde; arretra quando governi, funzionari e apparati normalizzano lo scontro con il giornalismo indipendente e norme elastiche (sovranità, agenti stranieri, sicurezza) diventano chiavi inglesi per stringere il bullone sulla finanza dei media, sulle fonti, sull’accesso ai luoghi e sui dati. Il MFRR chiede più monitoraggio del digitale, argini alle derive legislative e tutele concrete per chi documenta proteste e potere: in assenza di questi correttivi, la curva non si invertirà.
