Solidarietà bretone per i curdi del campo autogestito di Lavrio in Grecia
di GIANNI SARTORI
Curdi e Bretoni: due popoli che in epoche diverse e con metodi talvolta simili, hanno lottato per difendere la propria dignità e libertà.
Si era parlato recentemente di militanti bretoni antifascisti andati a combattere con le YPG contro Isis. Meno noto invece l’impegno solidale e umanitario che la popolazione di Breizh ha indirizzato verso un campo di rifugiati in Grecia dove migliaia di donne, uomini e bambini curdi hanno trovato asilo. Gran parte di loro proviene dal Nord della Siria, in fuga dalle persecuzioni di Isis e dagli attacchi dell’esercito turco e delle milizie sue alleate. Soprattutto dopo l’attacco contro Afrin – poi invasa – avviato nel gennaio 2018 da Ankara.
Recentemente – fra il 21 e il 30 ottobre 2018 – un convoglio stipato di medicinali e apparecchiature sanitarie ha raggiunto il campo di Lavrio a una sessantina di chilometri da Atene. Il viaggio solidale era stato organizzato dal sindacato Sud-Education, da Solidaires e dalla CGT. A loro si era poi aggregata l’associazione Amitiès kurdes de Bretagne (in particolare per iniziativa del presidente dell’associazione Tony Rublont).
Il viaggio non era una tantum ma piuttosto una missione esplorativa, una risposta alle richieste partite dai responsabili e dai residenti del campo organizzati in assemblea. Con questo primo passo si voleva valutare la possibilità di un intervento stabile per rispondere sia alle necessità più urgenti, sia in maniera continuativa.
E le prime azioni concrete sono già state decise. Nel 2019 l’associazione Amitiés kurdes de Bretagne organizzerà varie attività culturali, in forma di laboratori, per i bambini e anche per gli adulti.
Quanto alle necessità materiali del campo, dai visitatori sono state classificate come “enormi”. In particolare quelle sanitarie.
Per Atene infatti non esiste nulla di equivalente agli aiuti economici che Ankara riceve dall’Unione europea (in base agli accordi del 18 marzo 2016 intesi a limitare l’arrivo di migranti sul suolo europeo) per trattenere i migranti nei territori sotto la sua amministrazione.
Eppure la Grecia (nonostante risenta ancora pesantemente della crisi economica) ospita attualmente parecchie migliaia di famiglie qui entrate più o meno clandestinamente.
Dagli inizi del 2018 almeno 20mila persone – in genere provenienti dalla Turchia – si sarebbero accampate nelle isole greche. Qui sorgono numerosi campi profughi di Stato (ma qualcuno li definisce di “detenzione”) come quello a Lesbo (oltre 9mila persone, mentre sarebbe stato previsto per 3mila).
Dopo l’attacco contro Afrin di gennaio, i flussi migratori dalla Turchia verso la Grecia si erano sensibilmente intensificati, in particolare dal mese di marzo. Ovviamente, Erdogan ha tutti gli interessi a favorire i flussi di migranti provenienti da Afrin nel loro tentativo di sbarcare in Europa. Sia per tenere comunque sotto pressione l’Ue, sia – soprattutto – per allontanare dai territori sotto amministrazione turca le popolazione di origine curda.
Tra i campi profughi insediati in Grecia (e di cui la più parte versa in condizioni non certo ottimali dal punto di vista umanitario) quello di Lavrio sembrerebbe costituire una sorta di eccezione.
La sua realizzazione risale ancora al 1947, quando venne costruito per ospitare i minatori assunti nelle miniere locali. In seguito – negli anni cinquanta – divenne un campo per ospitare fuggitivi da oltre Cortina.
Successivamente divenne un luogo dove si rifugiavano soprattutto i dissidenti turchi di sinistra e poi – dagli anni ottanta – anche gli indipendentisti curdi legati al PKK.
Oggi vi trovano ospitalità simpatizzanti, oltre che del PKK, di MLKP (un partito marxista-leninista turco), di MKP (maoisti) e di HDP.
Come era facile prevedere, la prosecuzione del conflitto in Siria e le purghe operate in Turchia dal governo dell’AKP hanno favorito un ulteriore aumento delle persone presenti nel campo, al punto da costringere nel 2015 le autorità greche ad aprirne un altro a qualche chilometro dalla cittadina.
Fino alla prima metà del 2017 il governo greco era stato in grado di fornire aiuti agli ospiti del campo, grazie anche alla presenza della Croce Rossa e di UNHCR (Alto-Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Ma successivamente – con l’intensificarsi delle pressioni di Ankara che bollava il campo come “luogo di formazione militare del PKK” – Atene ha preferito abbandonare le persone presenti nel campo praticamente a se stesse. Arrivando a chiederne la chiusura per timore di “disordini”.
Da allora i rifugiati sopravvivono – anche a livello puramente alimentare – soltanto grazie all’aiuto locale e internazionale.
La situazione si era aggravata nell’aprile di quest’anno con l’arrivo di migliaia di profughi in fuga da Afrin, proditoriamente bombardata dall’artiglieria turca. Si tratta di civili, sia curdi, sia di altri gruppi provenienti dalle aree colpite dall’esercito e dall’aviazione turca.
Provvisoriamente si era fatto fronte all’emergenza utilizzando container. Ma poi proprio nell’area occupata dai nuovi arrivati, l’amministrazione greca ha voluto installare una nuova discarica pubblica con l’intento evidente di allontanare i profughi curdi.
L’organizzazione del campo si basa sui princìpi del Confederalismo democratico (come in Rojava) ossia su autogestione, comitati e assemblea popolare. Garantendo sia la sicurezza che l’educazione e la distribuzione equa delle risorse alimentari.
L’organizzazione comunitaria – di natura orizzontale e libertaria – consente a ogni abitante del campo di partecipare al buon funzionamento della vita quotidiana, distribuendo compiti e responsabilità.
Ovviamente a Lavrio la messa in pratica del Confederalismo democratico assume aspetti particolari in quanto combinata con le problematiche migratorie. Ma è apparso comunque evidente a tutti coloro che lo hanno visitato che qui le condizioni di vita sono assolutamente migliori di quelle riscontrate nella maggior parte degli altri campi presenti in Grecia (compresi quelli gestiti direttamente dall’amministrazione locale). Inoltre il campo appare ben integrato nella vita economica e sociale del quartiere e della città. Favorito in questo dalla tradizionale amicizia che da sempre lega il popolo greco, memore dell’antica oppressione subita dalla Turchia, a quello curdo che tale oppressione la sperimenta tuttora.
Ma intanto le pressioni di Ankara sul governo greco per la chiusura del campo – dove il PKK eserciterebbe il suo “controllo ideologico” – si sono intensificate.
In contrapposizione a tali richieste, un collettivo bretone di “militanti e solidali con i rifugiati di Lavrio” ha lanciato una petizione rivolta al sindaco della città greca per protestare contro i ricorrenti tentativi di chiudere il campo dei rifugiati curdi.