Olimpiadi: un affare per mafie e multinazionali?

Guido Viale e Alessio Di Florio riflettono su grandi eventi sportivi come le Olimpiadi, divenute albero della cuccagna per cricche di ogni tipo

La città degli eventi 

di Guido Viale

 Foto di Cristina Gottardi tratta da Unsplash

 

Perché le Olimpiadi sono cruciali rispetto all’emergenza climatica indetta dal Comune di Milano? Lo ha spiegato, involontariamente, l’assessore Marco Granelli nell’incontro che si è tenuto mercoledì scorso alla Casa della Carità. Queste Olimpiadi, per Milano, sono una replica dell’Expo (un grande successo; per l’assessore) e insieme concorrono a definire “il modello Milano”, a farne “una città degli eventi”Expo e Olimpiadi vanno ad aggiungersi a Moda, Mobile, Design, Cibo, tutte manifestazioni dove non si producono beni (i beni si producono altrove) ma immagine; e che concorrono a fare della città un polo di attrazione mondiale. Anche se la costruzione di quella immagine richiede pesanti e ingombranti investimenti “a perdere”, come gli “avanzi” dell’Expo, che avrebbe dovuto essere un grande orto da cui far partire la valorizzazione colturale di tutto il parco sud e che invece, sotto la direzionne di Beppe Sala – già allora “vero sindaco” di Milano dietro la maschera di Pisapia – è stato trasformato in una “piastra” (mai nome fu più appropriato) di cemento di un chilometro quadrato. Dove, dopo aver smantellato tutti i     padiglioni inutili – e costosi, sia in termini economici che ambientali – costruiti a beneficio delle multinazionali del cibo manipolato, non si sa più che cosa impiantare. Perché costruire un contenitore prima di sapere che cosa metterci dentro è il modo più stupido di procedere; è un po’ come costruire un’enorme galleria senza sapere che cosa farci correre dentro. Ma, come è noto, tutto fa PIL

Ma che cos’è un “polo di attrazione”? È un concentrato del lusso, che attira turismo di affari e di prestigio: viaggi aerei a sfare, sfolgorio di luci, di installazioni, di padiglioni, di scenografie, di costumi usa e getta. Palazzi dalle forme strane e prezzi mirabolanti destinati a rimanere vuoti per la maggior parte dell’anno, come city life (chi vi compra un appartamento per lo più ne ha altri cinque o sei in altre capitali dell’Occidente e dell’Oriente). L’apoteosi dello spreco e dell’insostenibilità. Ma tutto questo, dice Granelli, porta molto denaro, di cui beneficia tutta Milano. Non tutta: ne beneficia un ceto privilegiato che vive della città ma non nella città; o meglio, che vive separato da tutto il resto della città, a cui non arrivano che le briciole, perché quel ceto esclusivo ha bisogno non di lavoratori (quelli li va a cercare altrove), ma di servitori, che recluta nel popolo dei migranti: colf, badanti, portieri, fattorini, sguatteri, giardinieri e rider per portare la pappa a chi non vuol muovere più nemmeno il culo da casa per andare a mangiare; e poi edili che lavorano nel subappalto, stradini per tappare le buche delle strade e tuttofare per lavargli l’auto. Perché la produzione di quel che a Milano si pensa si fa per lo più a migliaia di chilometri e a decine di gradini sociali di distanza. È un sistema che produce e moltiplica differenze e ingiustizie sociali, ma soprattutto che allontana invece di avvicinare al traguardo da raggiungere per affrontare in modo adeguato l’emergenza climatica. Tutto quello spreco di risorse è destinato a crollare e dissolversi insieme alle persone che ne ricavano reddito e posizione sociale non appena la cittadinanza sarà costretta a prendere atto della gravità dei processi in corso.

Milano, come qualsiasi altra città, ha bisogno di tutt’altro: di opere e di lavoro che mettano in grado gli abitanti di far fronte ai tempi difficili che ci aspettano: un’agricoltura non distruttiva e di prossimità che valorizzi risorse locali come quelle del parco sud; un’alimentazione conseguente; un sistema di mobilità di merci e persone flessibile, che consenta di ridurre al minimo auto, furgoni e le loro emissioni; impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili diffuse su tutto il territorio; un’edilizia che valorizzi il già costruito invece di consumare nuovo suolo e che permetta di ridurre al minimo riscaldamento e raffrescamento artificiali; il recupero integrale degli scarti della produzione e del consumo; e poi, un sistema produttivo flessibile, gestito quanto più possibile dai lavoratori, che utilizzi in pieno le loro competenze soprattutto in campo scientifico e informatico, mettendo a frutto le produzioni di pezzi unici o piccole serie come quelle rese possibili dalle stampanti in 3D. Questo è il nostro progetto di città sostenibile, che non ha niente a che fare con le Olimpiadi, che rappresentano invece un progetto diametralmente opposto, che avvicina alla catastrofe climatica la sua popolazione insieme a quella di tutto il resto del pianeta.

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Olimpiadi, c’è poco da festeggiare

di Alessio Di Florio

 Foto tratta dalla pagina fb di Comitato No Expo

Dirette televisive, giubilo a reti e prime pagine unificate, esultanze sfrenate ovunque. Uno straniero distratto davanti a tutto questo penserebbe che lunedì 24 giugno sia accaduto qualcosa di epocale. Tipo l’inizio di una nuova età dell’oro, l’uscita dalla più grande epidemia della storia, la trasformazione di tutti i più poveri in ultraricchi, la cancellazione di ogni ingiustizia e sperequazione sociale, la scoperta che la disoccupazione è stata cancellata e dal giorno dopo ogni cittadino ha un lavoro con orari umani e alte retribuzioni. Nulla, invece, di tutto questo. Molto più banalmente, il Comitato Olimpico Internazionale ha designato l’Italia – o meglio due città in due regioni (su venti!) – come sede dei Giochi Olimpici invernali del 2026. In molte delle dirette e delle esultanze a reti unificate è stato posto l’accento su due aspetti. Il primo: è stata una “vittoria” bipartisan, dalla Lega al PD al CONI tutti uniti appassionatamente per un obiettivo. Il secondo: accanto al governo, alle Regioni Veneto e Lombardia e al sindaco Sala a Losanna hanno perorato la “causa” anche molti imprenditori. Un fronte spesso definito il “partito del pil” e della “crescita”. Ma, in politica e in economia, nulla è neutrale. Perché, molto banalmente, tutto ha uomini e donne che li promuovono e animano. E tutto ha conseguenze e obiettivi: il pil, la crescita, le grandi e piccole opere, i cantieri a tutto spiano non divergono da questa dinamica.Cento milioni per una bonifica ambientale utilizzati da una comunità per sanare il territorio non sono uguali a cento milioni forniti a multinazionali del cemento e dell’industria pesante. E piccole e grandi imprese sane, che fanno realmente impresa sociale, non sono uguali a (im)prenditori lobbisti e traffichini. Dovrebbe essere banale e scontato, ma nell’Italia di ieri, oggi e probabilmente domani non lo è.

Importante nota a margine. Negli stessi giorni in cui l’Italia trepidava (e poi esultava) per l’assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026 ci sono state, tra le altre, tre notizie. A Piacenza nuova raffica di arresti sulla ‘ndrangheta in Emilia Romagna, Grande Aracri, tra cui il presidente del Consiglio Comunale di Piacenza. A L’Aquila, la città che dopo dieci anni non ancora vede la fine della ricostruzione e che continua ad essere definito “il più grande cantiere d’Europa”, nuova inchiesta sullo sfruttamento dei lavoratori (mesi fa dopo un’inchiesta simile si parlò esplicitamente di “caporalato”) nei cantieri. A Genova arrestati i due responsabili di un’impresa impegnata sui cantieri del Ponte Morandi, sono vicini alla camorra. Sfogliate i giornali, aprite le testate web, accendete la tv. Quanti minuti e quanto spazio sono stati dedicati a queste tre (contro una) notizie? La risposta è che, messe tutte insieme, non sono minimamente paragonabili allo spazio dato al giubilo e all’esultanza bipartisan per l’assegnazione delle Olimpiadi 2026. In tutto questo spazio però sono mancati due racconti. Quello sulla storia dei “Grandi Eventi” in Italia. E le conseguenze, in Italia ma non solo, sui bilanci pubblici degli eventi stessi. Un po’ come, ormai da anni, si fa sulla “Trattativa Stato Mafia”, i processi che si sono succeduti e – per esempio – il dossier “Mafia Appalti”. Li raccontano come nomi sic et simpliciter, prima di trattativa aggiungono “presunta” e su “Mafia Appalti” dimenticano di citare dati, fatti e nomi (non può certo essere considerato casuale che gli stessi che sbandierano “Mafia Appalti” si “dimenticano” sempre, per esempio, di citare i nomi di chi fu coinvolto e poi partecipò al grande banchetto del TAV Torino-Lione). E quindi alla fine la verità diventa di comodo, addomesticata, modellata sulla narrazione di certi partiti, gruppi di potere e grande stampa. Arrivano i giochi olimpici, ci saranno tanti lavori. E nulla più. E quindi il lettore e telespettatore si convince che sta arrivando una nuova età dell’oro, che il Paese avrà benefici infiniti, dal Trentino a Lampedusa il cittadino comincerà già a controllare le proprie tasche convinto che tutti vivremo meglio e ci arricchiremo.

Entrambi gli articoli (e foto) sono ripresi da Comune-Info

Redazione
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