Scor-date: 14 gennaio 2011

Grazyna, Rosetta e Sharna (*)

di d. b.

Un giorno purtroppo come altri. Grazyna Tarkoowska, 46 anni, è uccisa con 10 colpi di pistola nel proprio appartamento a Civitanova Marche (Macerata). E’ il 14 gennaio dell’anno scorso. A spararle è il marito Maurizio Foresi. L’uomo aveva già aggredito la moglie nel dicembre 2011.

Lo stesso giorno a Scicli (Ragusa) Rosetta Trovato, 38 anni, è strangolata nel suo appartamento. Verrà rinviato a giudizio il marito Massimo La Terra.

Ancora il 14 gennaio: a Monza viene strangolata, nell’appartamento dello zio, la diciottenne Sharna Abdul Gafur. I carabinieri cercano un uomo di 26 anni, che aveva una relazione con Sharna, il quale pare sia scappato in Bangladesh.

Tre storie al Sud, al Nord, al Centro.

Un giorno qualunque in Italia.

Sono 80 le donne italiane assassinate fra gennaio e settembre del 2012 quando il giornalista Riccardo Iacona chiude «Se questi sono gli uomini» pubblicato da Chiare Lettere. Da questo libro ricavo nomi e storie, senza controllarle – come farei in altri casi – perché Iacona è un giornalista serio (uno dei pochi). E’ una ricerca importante, fatta a caldo, recandosi per mesi su molti dei luoghi, «da Enna a Milano», di quella «Italia 201, la strage delle donne» (così il sottotitolo) per cercare di capire qualcosa con l’aiuto di Sabrina Carreras, un’altra giornalista, che Iacona ringrazia perché è stata lei a fare il lavoro iniziale e più duro: «contattare le famiglie, i testimoni, le vittime» e «convincere le persone schiacciate da un dolore immenso a parlare in prima persona, rompere il muro di omertà e vergogna che circonda gli omicidi di donne in Italia», delitti che nel 2011 erano stati 137 ma pochi fra loro avevamo trovato risalto (e approfondimenti ancor meno) nei media. Uccisioni ma anche pestaggi quasi quotidiani: però «il 93 per cento delle violenze perpetrate dal coniuge o dall’ex non viene denunciato» conclude l’Istat nel 2007 dopo una indagine sull’anno precedente.

Prima di entrare nei dettagli del libro di Iacona accenno a una polemica: so che alcuni gruppi di donne hanno contestato le sue scelte soprattutto per lo spazio che lui ha dato al lavoro e/o al punto di vista di alcune persone e/o associazioni di donne rispetto ad altre. Può darsi che abbiano torto o ragione, non ho alcuna competenza per entrare nel merito. Ma le puntualizzazioni e i disaccordi, le critica per le imprecisioni sono, secondo me, del tutto secondarie nella valutazione di un libro che io vorrei tantissime persone leggessero. E che, a mio avviso, ha tre grandissimi meriti.

Nessuno uomo in Italia – che io sappia (se sbaglio spero di essere corretto) – aveva raccontato con tanta passione oltreché con la necessaria precisione giornalistica quello che giustamente viene definito «femminicidio». Spiega all’inizio Iacona: «Di guerra si tratta, di uomini che si armano per uccidere le loro donne, quelle con cui stanno e quelle con cui sono stati».

Secondo merito. Contrariamente al malcostume corrente della stragrande parte del giornalismo italiano, Iacona pone subito e non abbandona la questione centrale: questi delitti non sono casi isolati, non riguardano quella donna o l’altra, non si spiegano con la patologia di quell’assassino o con la biografia di quell’altro e dunque sono tutti parte dell’assalto – delle nuove forme di una antica violenza – che i maschi (una gran parte di loro con purtroppo una infinità di complici) portano alle donne “che amano”. Il titolo è crudele quanto chiaro: «Se questi sono gli uomini» non si può andare avanti, bisogna che i maschi cambino in modo radicale. Non può essere solo questione di leggi, di polizia o di (pur importantissimi) servizi. E anzi Iacona chiama in causa se stesso assieme a tutti noi: «Mi ci metto anch’io, dobbiamo fare un semplice esercizio: quanti di noi si riconoscono in questi racconti? Proviamoci veramente con sincerità e senza auto-assoluzioni. Le liti durate per ore. Le inutili scene di gelosia. L’incapacità di parlare, di rispondere durante le discussioni. La scorciatoia delle urla e delle grida. Le offese, le ingiurie, le parolacce. Le minacce e la mano alzata. Quanti di noi?». Non è “a affetto”, un richiamo forzato, il titolo «Se questi sono gli uomini» ma significa centrare la questione.

Il terzo valore del libro è nel riconoscere il lavoro di molte associazioni di donne e di alcune (ben poche purtroppo) istituzioni nel contrasto alla violenza maschile. La scelta di pubblicare in appendice l’elenco dei «Centri antiviolenza aderenti alla Rete nazionale 1522 e all’associazione nazionale DiRe (donne in rete contro la violenza)» non è un modo per riempire 30 pagine: significa ribadire che questi luoghi – ma anche altri evidentemente – sono importanti, la via da seguire mentre criminali sono le istituzioni che ne boicottano in ogni modo il lavoro e/o che solo ogni tanto sganciano qualche elemosina per “imbrodarsi” e poi rimuovere.

Le ultime righe del libro – non le riassumo anche perché davvero vorrei che molte e molti lo leggessero per intero – indicano un cammino possibile, difficile e necessario da intraprendere. Accenno solo, prima di lasciare Iacona e il suo prezioso lavoro, che purtroppo i fatti mostrano come l’Emilia-Romagna (dove da circa un ventennio abito) è ai primi posti nelle classifiche della violenza sessuata: parlando dell’anno precedente Iacona scrive «quando il 4 ottobre 2011 si viene a sapere del terzo omicidio di una donna, qui a Cesena non si stupisce più nessuno»; e l’anno dopo sarà peggio. Se una regione di grandi tradizioni sociali e culturali come questa è messa così, forse gli alibi sono finiti e bisogna ricominciare da capo (o quasi).

Due ultime questioni.

L’informazione è – o meglio – sarebbe importante. Ed è in primo luogo (come per altri argomenti) non questione di commenti ma in primo luogo di notizie “sparite” e di notizie “sparate”. Esagerate, inventate, “sparate” sono le cazzate che abitualmente vengono propinate anche intorno a questa tragedia, senza controlli, intelligenza, un minimo di amore per la verità. Nascoste, censurate, “sparite” sono le tante notizie scomode ai poteri, cioè all’antifemminismo del patriarcato, del capitalismo e delle grandi religioni organizzate.

Non aggiungo altro perché su codesto blog – uso “codesto” per indicare qualcosa che vorrei fosse a eguale distanza fra me e chi legge – sia l’avvocata Barbara Spinelli che Monica Lanfranco e, con frequenza quasi quotidiana, Maria G. Di Rienzo ne hanno parlato. Ma rimando anche a post con la voce di «Maschile plurale» e di «Uomini in cammino» cioè un diverso punto di vista – contro il patriarcato – degli uomini (pochi a me sembra ma di certo ne esistono anche in Italia).

E’ sulle reazioni che di recente vi sono rispetto agli articoli di Maria G. Di Rienzo in codesto blog che vorrei chiudere questo post; per la serie “io non credo che i panni sporchi si lavino in famiglia”. Nei commenti pubblici (insomma quelli postati) tutto tranquillo. Registro invece con sconcerto e con dolore che alcune persone – tutti maschi, non sarà un caso – mi scrivono privatamente per dire che ‘sta tipa «esagera», è di parte. Non mi dicono (pur se lo chiedo) in cosa «esagera». Nei fatti no, Maria è puntigliosissima, inattaccabile direi. Nei commenti a mio avviso no, però caso per caso se ne potrebbe discutere caso ed è magari utile. Strappo però a un paio di persone – sono amici e questo accalora la discussione ma in un certo senso la rende semplice – questa osservazione che riassumo alla buona: l’attuale femminicidio fa parte di un indiscriminato odio, che cresce nella società, di tutti e tutte contro tutto, cioè contro tutte/tutti. Drammaticamente interessante: avrei 100 obiezioni (statistiche in primo luogo) da fare ma chiedo: «perché non discuterne in blog?». Ed ecco un caro amico – chiamiamolo Zy – rispondermi all’incirca: «non voglio essere processato dall’ortodossia femminista». Se è una battuta, non la comprendo. Se invece Zy parla sul serio… non capisco lui e ciò mi agghiaccia perché è una di quelle persone con le quali condivido mondi e valori, storia e spero futuri.

Dovrei scrivere una bella frase finale. Non mi viene. Posso solo ringraziare tutte le persone (in testa Maria G. Di Rienzo) che mi aiutano a sapere ciò che davvero accade, a capire qualcosa, a cercare di costruire vie d’uscita anziché vie di fuga.

 

(*) IL SENSO DI QUESTA RUBRICA

Dall’11 gennaio, ogni giorno (salvo catastrofi sempre possibili) troverete in blog – a mezzanotte e un minuto – una «scordata» con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Una data che per qualche ragione la gente sedicente “per bene” ignora e/o preferisce dimenticare. Come vedrete le firme saranno varie (i post siglati db ovviamente sono miei) e molto diversi gli stili e le scelte. Anche quello di oggi è piuttosto lungo ma a volte ne troverete di brevissimi: magari solo una breve citazione, un disegno o una foto. La logica di fondo (beh ogni tanto ci sarà qualcosa di più leggerino…) è raccontare storie che il potere capitalista, patriarcale, razzista, omofobo, normodotatocentrico, integralista-talebano non gradisce. Spero che i termini siamo chiari: se «normodotato-centrico» vi lascia perplessi spiego che mi piacerebbe in questa rubrica trovassero spazio anche le «scordate» delle lotte per i diritti civili di chi è definito disabile come le ignobili storie di chi disprezza questa gran parte dell’umanità.

In che ambito storico o concettuale «scor-date»? Di genere molto vario. Per esempio oggi io, sulla data del 14 gennaio, avrei potuto scegliere (nel mio archivio babelico) di lavorare su una di queste date. Nel 1507 a Venezia nasce il ghetto; nel 1742 muore Edmund Halley; nel 1807 nasce Hilario Ascasubi; nel 1858 l’attentato di Felice Orsini; nel 1875 nasce Albert Schweitzer; nel 1912 nasce Tillie Olsen; nel 1945 nasce Peter Gechter (la più famosa vittima del muro di Berlino); nel 1960 «l’armadio della vergogna» viene chiuso; nel 1966 muore Sergej Korolev; nel 1967 l’«Human Be-In» con Allen Ginsberg; nel 1968 terremoto in Belice; nel 2007 condanne per Marzabotto. Solo per fare qualche esempio.

Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo che sta nascendo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. Grazie. (db)

 

Redazione
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  • “STRAGE DI DONNE” di Riccardo Iacona e di Francesca Barzini: su RAITRE domenica 24 FEBBRAIO 2013 ore 21:30

    In uno speciale viaggio durato due mesi Riccardo Iacona vi raccontera’ da vicino le storie delle tante donne uccise nel nostro Paese, un numero che negli ultimi anni non accenna a diminuire. E’ dal 2006, infatti, che la statistica delle donne uccise nel nostro paese e’ in continuo aumento fino alle centodieci donne uccise nel 2012 , quasi una ogni tre giorni. Quasi tutte uccise dai mariti, ex mariti, fidanzati, ex fidanzati, cioe’ dalle persone che gli stavano piu’ vicino, che conoscevano meglio, spesso dal padre dei loro figli. Di queste storie la cronaca ci racconta tutto, anche i dettagli piu’ terribili, le trenta coltellate, gli ottanta colpi di mattarello, le botte prima dell’annientamento fisico. Ma la cronaca non mette mai queste storie l’una a fianco all’altra, le tratta come fossero storie singole, nate dentro un rapporto d’amore sbagliato,donne morte per passione, per possesso, per gelosia. E cosi questa cronaca uccide le donne una seconda volta, perche’ cancella del tutto quello che queste morti ci stanno gridando , ogni tre giorni , dai marciapiedi delle nostre citta’ : “LIBERTA’”,“INDIPENDENZA”, “AUTONOMIA”, ecco cosa ci gridano queste storie. Tutte le donne vengono uccise infatti nel momento in cui vogliono riprendersi la vita in mano, lasciare l’uomo con cui stavano e riprendersi la liberta’. Martiri per la liberta’ sono le tante donne uccise nel nostro Paese, nell’indifferenza generale, nella rimozione e nell’assenza di politiche attive volte ad arginare l’endemica violenza di cui le donne italiane sono oggetto e ridurre la statistica delle donne uccise ogni anno .

    STRAGE DI DONNE e’ un racconto di Francesca Barzini, Giulia Bosetti, Sabrina Carreras e Riccardo Iacona.

  • Leggo solo ora questo intervento sul lavoro di Riccardo iacona e altre persone. Conosco Riccardo dal 1988 e mi unisco al’elogio della persona e del suo lavoro. Qualche volta posso non essere d’accordo su certe parti delle sue inchieste, ma ognuno può dire altrettanto di ciò che faccio o ho fatto. E’ una delle persone che mi dà fiducia nel lavoro di giornalista e nella speranza che abbia un futuro. Quanto al tema, come non essere d’accordo? Quando noi maschi accetteremo il fatto che una parte di noi è femmina ( quale che sia il nostro orientamento sessuale); che nostra figlia ( quando si ha la fortuna di averne) è esattamente persona come suo fratello; che la nostra (nostra?) compagna di vita ha gli stessi diritti nostri, anche quello, per noi certo anche dolorosissimo, di lasciarci. Troppe armi girano, certo, ma la più letale è quella che possiamo avere nel nostro cervello, che ci fa pensare di risolvere i problemi con la forza, specie se la controparte è meno forte di noi fisicamente e che magari ci sovrasta come intelligenza e comportamento.

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