Scordata: 4 febbraio 1906

Nasce Dietrich Bonhoeffer

Lo raccontano prima Remo Agnoletto e poi Paolo Ricca (*)  

Figlio di uno psichiatra e di una insegnante, Dietrich Bonhoeffer nacque da una famiglia molto in vista dell’alta borghesia. Manifestò sin da ragazzo la volontà di diventare un pastore evangelico. Studiò teologia a Tubinga dove conseguì il dottorato in teologia a soli 21 anni, discutendo una tesi in Ecclesiologia sulla Comunione dei santi. Per la sua formazione spirituale risultarono fondamentali i numerosi soggiorni all’estero: prestò servizio pastorale presso la chiesa luterana della comunità tedesca di Barcellona, poi si trasferì a New York per specializzarsi all’Union Theological Seminary, dove iniziò a frequentare le chiese della comunità afroamericana. Nel 1930 si spostò a Londra: qui iniziò un rapporto epistolare con Mahatma Gandi che sognò sempre di incontrare, senza riuscirci.

Tornò in Germania nel 1931 per dedicarsi all’insegnamento presso l’università di Berlino. Iniziò anche la sua opposizione attiva al nuovo regime nazista. Appena due giorni dopo la presa del potere di Hitler dovette tenere una conferenza sull’idea di Führer. In essa diceva che se il capo «permette al seguace che questi faccia di lui il suo idolo, allora la figura del capo si trasforma in quella di corruttore… Il capo e la funzione che divinizzano se stessi scherniscono Dio». Sulle prime leggi hitleriane del marzo 1933 non si registrano prese di posizione ufficiali da parte delle Chiese evangeliche. Queste leggi però annientarono la democrazia: l’Ordinanza del Presidente del Reich per la tutela del popolo e dello Stato offrì una giustificazione per misure contro le Chiese, rese possibili i campi di concentramento, revocò il diritto alla libera manifestazione del pensiero, la libertà di stampa, il diritto di riunione, il segreto postale, legalizzò perquisizioni e sequestri. La legge di lesa patria equiparò chi si opponeva al governo e al partito ai nemici della nazione; la legge sui pieni poteri dissolse i controlli del Parlamento e della Costituzione.

Quando la legge sui non ariani estromise dai pubblici uffici gli ebrei che vi erano impegnati, Bonhoeffer fu uno dei primi che affrontò pubblicamente il tema. Da buon luterano riconobbe allo Stato il diritto di decidere dal punto di vista legislativo sulla questione ebraica, ma sostenne che la Chiesa doveva interrogare lo Stato circa la legittimità del suo agire, cioè doveva responsabilizzare lo Stato. La Chiesa ha un obbligo incondizionato nei confronti delle vittime dell’ordine sociale, anche se non appartengono alla comunità cristiana. Se la Chiesa vede che lo Stato eccede, essa è nella condizione «non soltanto di fasciare le vittime che sono finite in mezzo agli ingranaggi della ruota, ma di arrestare gli ingranaggi stessi».

Non potendo più restare a Berlino, nel 1933 tornò a Londra per seguire due comunità evangeliche tedesche. Pacifista convinto, avanzò la proposta di un Concilio ecumenico (aperto a tutte le confessioni cristiane) sulla pace: «Solo il grande concilio ecumenico della santa Chiesa di Cristo da tutto il mondo può parlare in modo che il mondo, nel pianto e stridor di denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa Chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalle mani dei suoi figli e vieta loro di fare la guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante».

Rimase in Inghilterra fino al 1935, quando tornò a Berlino. Aderì alla Chiesa confessante, la comunità che si era distaccata dalla Chiesa evangelica ufficiale (la quale aveva riconosciuto l’autorità del regime). Ne sarà il principale esponente insieme a Martin Niemöller. Il 2 dicembre 1935 apparve l’ordinanza del ministro Kerrl per l’applicazione della legge sulla sicurezza sulla Chiesa evangelica. Essa dichiarava come inammissibili tutte le disposizioni ecclesiastiche emanate da associazioni o gruppi.

In seguito Bonhoeffer mise per iscritto «Vita comune», esperienza di questa religiosità vissuta comunitariamente. Questo libro, assieme alle lettere dal carcere di Tegel pubblicate con il titolo «Resistenza e resa», lo rese ancora più noto.

Continuò la sua dura opposizione alla politica antisemita nazista ma, per la recrudescenza delle persecuzioni ai danni della Chiesa confessante, nel 1939 Bonhoeffer dovette andarsene, accettando un incarico di insegnante negli Stati Uniti. Allo scoppio della guerra, decise di tornare in patria per condividere il destino del suo popolo. Fu iniziato ai piani della congiura del gruppo Oster, Dohnanyi, Müller, che volevano fermare Hitler prima dell’inizio della “Campagna di Francia”. Gli fu vietato di parlare a causa della sua «attività di disturbo per il popolo» e gli fu intimato di presentarsi regolarmente alla polizia. L’Abwehr (Servizio segreto militare) sotto la guida di Canaris liberò Bonhoeffer dall’obbligo di comunicare i propri spostamenti. In questo modo egli entrava a far parte della cerchia della resistenza attiva.

Bonhoeffer rimaneva ufficialmente al servizio della Chiesa confessante. I consigli dei fratelli, “suoi superiori”, erano a conoscenza in modo molto vago dei suoi incarichi militari. Questi erano di due tipi: da una parte doveva riportare notizie dall’estero — e questo come camuffamento; dall’altra doveva dare segnali all’estero della perdurante presenza di una resistenza tedesca. Su incarico dell’Abwehr, e grazie alla disponibilità di passaporti e visti, intraprese viaggi in Svizzera, Svezia, Norvegia e Italia. Nel 1941 portò a conoscenza degli amici all’estero che esisteva e operava un’organizzazione politica sotterranea. Eseguì anche una ricognizione degli obbiettivi di pace perseguiti dagli Alleati.

Nel 1942 incontrò Georg Bell, vescovo di Chichester nonché suo amico, e gli comunicò i singoli dettagli, compresi i nomi dei partecipanti, del colpo di Stato che si stava preparando. Il governo del Regno Unito avrebbe dovuto appoggiare, in caso di riuscita, gli autori del colpo di Stato, così da metterli in condizione di creare un nuovo governo tedesco.

Con il fratello Klaus e il cognato Hans von Dohnanyi entrò in contatto con l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del servizio segreto militare che stava – con altri ufficiali – organizzando una congiura per assassinare Hitler ma il 5 aprile 1943 il capo del tribunale militare Manfred Roeder e l’agente della Gestapo criminale Sonderegger lo arrestarono. La vita nella cella del carcere di Tegel, nei sobborghi di Berlino, fu un tormento.

Il procedimento contro Bonhoeffer si articolò durante la prigionia in tre fasi.

La prima iniziò con l’accusa e terminò con gli interrogatori di Roeder. Le indagini abbracciavano quattro elementi: 1) l’esenzione dal servizio militare disposta dall’Abwehr che gli aveva permesso di sottrarsi al controllo della polizia di Stato e di svolgere il suo lavoro ecclesiastico; 2) l’«Operazione 7», cioè il trasporto di un gruppo di ebrei in Svizzera; 3) i viaggi all’estero che avevano poco a che fare con compiti militari; 4) la mediazione esercitata dall’Abwehr a favore di alcuni esponenti di spicco della Chiesa confessante.

Bonhoeffer ha redatto in cella una nutrita serie di resoconti e note su questi interrogatori. Il tentativo di mettere allo scoperto i fatti cospirativi era fallito e per chi conduceva le indagini diveniva impossibile sollevare l’accusa di alto tradimento o di tradimento alla patria. Rimaneva solo l’accusa di disfattismo.

La seconda fase della prigionia fu caratterizzata dalla preparazione al processo (fino all’aprile 1944). I termini del processo furono spostati ripetutamente, finché gli amici del detenuto vennero a sapere che non ci sarebbe stato nessun processo e che non si poteva fare nulla se non lasciare che la cosa venisse “insabbiata” fino al colpo di Stato.

Nella terza fase iniziò in cella il lavoro più fruttuoso. Alcuni teologi considerano le lettere di contenuto teologico che Bonhoeffer spedì dal 30 aprile 1944 come inizio di una nuova epoca teologica. Egli seppe del fallimento del colpo di Stato già la sera del 20 luglio. Così il giorno successivo perse ogni speranza e si preparò al peggio. In questo periodo produsse una serie di scritti che verrà poi raccolta nel volume «Resistenza e resa», la sua opera più famosa, in cui rifletteva sul rapporto tra fede e azione, tra religione e mondo. A un compagno di prigionia italiano, che gli chiese come potesse un sacerdote partecipare a una cospirazione politica che prevedesse anche spargimento di sangue, disse: «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante».

In questo periodo prese in considerazione l’idea di fuggire dal carcere, con l’aiuto del suo guardiano, il sottufficiale Knobloch, un operaio di Berlino nord, che aveva collaborato nel periodo di prigionia di Bonhoeffer a far uscire la sua corrispondenza clandestina. Una settimana dopo però il fratello Klaus e Schleicher vennero arrestati a causa della loro partecipazione al complotto, così non dette seguito al piano di fuga per non compromettere ulteriormente il fratello e i parenti. Nel frattempo la Gestapo aveva trovato documenti dell’Abwehr che dimostravano la partecipazione alla congiura di Bonhoeffer fin dal 1938. Hitler era fuori di sé. Revocò l’ordine di eliminazione immediata dei cospiratori al fine di accertare ulteriori ramificazioni. Questo spiega perché le esecuzioni furono rimandate per lungo tempo. Insieme ad altri congiurati, venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg all’alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra.

Onnipotenza e fragilità: attributi dello stesso Dio?

di Paolo Ricca (**)

C’è una seconda ragione per cui si parla spesso del Dio debole: è che di questo Dio ha parlato con autenticità di accenti e profondità di pensiero, nel cuore del terribile secolo XX, un teologo e testimone di Cristo fino al martirio: Dietrich Bonhoeffer. Sono sue le parole tante volte citate e diventate famose: «… dobbiamo vivere nel mondo etsi deus non daretur. E appunto questo riconosciamo – davanti a Dio! Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento. Così il nostro diventare adulti ci porta a un vero riconoscimento della nostra situazione davanti a Dio. Dio ci fa sapere che dobbiamo vivere come uomini che se la cavano senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Marco 15,34)! [….] Con e al cospetto di Dio viviamo senza Dio. Dio si lascia cacciare fuori dal mondo, sulla croce. Dio è impotente e debole nel mondo, e così e soltanto così rimane con noi e ci aiuta». Per quanto enigmatiche queste affermazioni possano essere, è chiaro che non si tratta di un discorso a vanvera o stravagante, per il semplice motivo che esso sgorga da una meditazione sulla croce di Cristo. È un discorso cioè che va dritto al cuore della fede cristiana e perciò non può non essere preso sul serio liquidato come un discorso alla moda, destinato a finire presto nel dimenticatoio. Le due domande fondamentali che il tema della fragilità o debolezza di Dio» pone sono queste: (1) In che rapporto sta il Dio debole o fragile con il Dio onnipotente che confessiamo nel Credo ? (2) Che cosa dobbiamo intendere, esattamente, per «Dio debole» o «fragile» ? Che Dio è quello che chiamiamo «debole» ? La questione è serissima perché è in gioco l’identità stessa di Dio, quanto meno del Dio della fede cristiana.

[….]

Dio è fondamentalmente laico. C’è tutto un capitolo del discorso di Bonhoeffer sul Dio debole, che egli collega alla «disciplina dell’arcano», com’egli la chiama, mutuandola dal linguaggio e dall’esperienza della Chiesa antica. Che cosa intende Bonhoeffer con questa espressione ? In che rapporto sta con il Dio debole ? Che cos’è l’«arcano»? L’arcano è la certezza della fede che Dio e la realtà – non la realtà religiosa, ma la realtà profana del mondo che è «diventato adulto» uscendo dalla tutela di un Dio che ormai considera non necessario, che si è liberato di Dio come «ipotesi di lavoro», o come «Dio tappabuchi», o come deus ex machina, e vive «come se Dio non ci fosse» (la formula risale a Sant’Anselmo), crede cioè di essere senza Dio, ma non è senza Dio perché Dio non è senza il mondo – ecco l’«arcano» è la consapevolezza che Dio e la realtà mondana formano in Cristo sulla croce un’unità «indivisibile e polemica». Indivisibile nel senso che Dio si è legato al mondo senza Dio, e polemica nel senso che Dio contesta il mondo nella sua autosufficienza e nella sua incredulità. Ma questo legame di Dio con il mondo che vive senza Dio non è evidente, è nascosto, solo chi conosce Dio attraverso la croce ne è consapevole. Il cristiano, che sa che Dio è presente nel mondo che crede di essere senza Dio, si immerge a sua volta in questo mondo «sulle tracce di Dio», e con la sua testimonianza cercherà di far sì che il mondo scopra che non è senza Dio e la comunità cristiana scopra che Dio non è senza il mondo. «Disciplina dell’arcano» vuol anche dire un certo tipo di preghiera e una disciplina delle parole, che devono essere poche ma essenziali: Dio nel mondo, in croce. Trascendenza nell’al di qua. Dio nel cuore della realtà, la sequela di Gesù come essere-per-gli-altri. Il cristiano non vuole essere «uomo religioso», ma uomo, semplicemente. Come uomo non trionfa, ma serve, come Gesù, venuto non per essere servito, ma per servire. Come c’è un Dio nascosto, così c’è anche un cristiano nascosto.

Il terzo tratto caratteristico del Dio debole è la sua condivisione della nostra condizione di debolezza. E questa condivisione ha anch’essa, a sua volta, due aspetti. Il primo è che Dio, condividendo la nostra debolezza, non ne approfitta per imporsi come extrema ratio, come ultima risorsa quando tutte le altre hanno fallito, e allora ricorriamo a Dio, che però non vuol essere l’ultima risorsa, ma la prima; prima che nella malattia, vuol essere riconosciuto e invocato nella salute; non quando siamo in crisi, ma quando stiamo bene; non nei giorni difficili, ma in quelli felici; non quando siamo deboli, ma quando siamo forti.. Nella nostra debolezza, Dio non ci dice: «Adesso non puoi più fare a meno di me». No, Dio non ragiona così, non ci prende per il collo (se così si può dire); vuole che la fede sia un atto di libertà, non di necessità. Il secondo aspetto – decisivo – del Dio debole è la sua com-passione, nel senso letterale del termine: Dio soffre nel mondo. «La religiosità dell’uomo lo indirizza, nel bisogno, alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia indirizza l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare». In che modo ? Bonhoeffer lo accenna nella lettera del 21 luglio 1944: «Si impara a credere solo nel pieno essere-nell’aldiqua della vita. Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi – un santo, un peccatore pentito o un uomo di chiesa […] – e questo io chiamo essere-nell’aldiqua, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze acquisite e delle perplessità,allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si vegli con Cristo nel Getsemani, e, credo, questa è fede, questa è conversione, e così si diventa uomini, si diventa cristiani». Il cristiano porta con Dio il dolore del mondo. Il dolore del mondo è il dolore di Dio. La passione di Dio è la sua com-passione con il mondo: lo spazio di Dio nel mondo è il dolore del mondo. Non è difficile intuire che cosa questo potrebbe significare per il modo di essere chiesa nel mondo, per la sua opera di evangelizzazione e per la sua diaconia.

Se il Dio debole è tutte queste cose, esso reca i tratti inconfondibili del Dio della fede cristiana.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 4 febbraio fra l’altro avevo ipotizzato: 1212: battaglia decisiva per Gengis Khan; 1617: condanna al rogo per Caterina Medici; 1794: la Francia abolisce la schiavitù; 1831: sollevazione anti-papato in Emilia, Marche e Umbria; 1861: gli Stati secessionisti si riuniscono a Montgomery; 1869: nasce Big Bill Haywood; 1899: in Italia leggi eccezionali di Pelloux e lo stesso giorno inizia l’invasione Usa delle Filippine; 1913; nasce Rosa Parks (in blog se n’è raccontato); 1954: incontro Valletta-Boothe Luce; 1971: omicidio neofascista a Catanzaro; 1982: arrestato Luigino Scricciolo (più volte se n’è parlato in blog); 1987: uccisa Meena, fondatrice di Rawa; 1991: muore Rosanna Benzi; 1999: Amadou Diallo ucciso dalla polizia; 2004: muore Valery Melis per l’uranio «impoverito». E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo.

(**) Paolo Ricca, pastore valdese, ha insegnato Storia della Chiesa alla facoltà valdese di Teologia. Questo testo è tratto da «La fragilità di Dio. Contrappunti teologici sul terremoto» (recebsito anche qui in blog) pubblicato nel 2013 da EDB, a cura di Brunetto Salvarani. Le citazioni fanno riferimento a «Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere», a cura di Eberhard Bethge, San Paolo editrice.

 

Remo Agnoletto

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