A pochi passi da casa incontro l’ucraina Tania

98esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

Roberta mentre guida mi dice che non vuole sentire parlare di guerra in Ucraina in modo superficiale: «Come negli ultimi due anni si sono improvvisati tutti virologi e giuristi, adesso, in tanti, si improvviseranno statisti». Arriviamo alla cena a base di cous cous con mostra di foto – di Roberto Faidutti – sui migrati a Perugia. In questi incontri, diceva Roberta, ci dovrebbero essere immigrati. E infatti alla cena c’è un ragazzo marocchino che alla fine ci serve il vero thè alla menta fatto da lui e da un altro marocchino (mio coetaneo) che è il marito della signora che cucina il cous cous per noi.

Al ritorno ci fermiamo in un paese per salutare un amico. E’ una serata molto fredda e ventosa di fine febbraio. Io abitavo prima in questo borgo, in riva al lago. Faccio un tentativo di passeggiata digestiva ma il freddo mi spinge dentro il bar, almeno un paio di volte. La terza volta arrivo nel lungo lago, dove non c’è nessuno, tranne una donna con un cane. La riconosco e saluto. Pensavo in questi giorni a lei, perchè viene dall’Ucraina. Vive qui da un po’ di anni, è la moglie di Santo, un coetaneo e amico che mi affittò un appartamento. Le dico «Ben trovata».

Per capire cosa succede in un luogo lontano di cui oggi si parla per motivi di guerra, la prima cosa è contattare qualcuno che vive lì o che ha legami. Tania mi fa capire con una smorfia che non è molto serena, e questo era prevedibile. Lei viene da Rinev, che è vicino il confine con la Polonia.

Quando trovo una mappa dell’Ucraina su google scelgo quella colorata, più semplice da guardare. Credo si chiami carta geografica politica (è una reminiscenza delle scuole elementari) quella “fisica” è diversa con montagne, laghi eccetera.

Tania mi ha detto che anche a Rinev ci sono bombardamenti in questi giorni, con persone che si rifugiano nei bunker per proteggersi dai missili. Mi dice anche che figlia e nipote stanno per scappare e verranno da lei. Le chiedo quanto dista Rinev da Kiev, mi dice «circa 400 Km». Poi mi chiede se ho visto in tv il carro armato che ha schiacciato le macchine. Non ne so nulla. Il mio amico Vik mi aveva detto che è ucraino, altri (Tania compresa) dicono che è russo. «Sono preoccupata perché vicino ci sono due stazioni nucleari; se dovessero essere colpite, le radiazioni arriverebbero anche qui da voi». Poi accenna a Chernobyl, dove ci sono enormi quantità di scorie sepolte.

Mi sembra di capire, dalle sue parole, che ci sono modi diversi di avere “la guerra in casa”: quello dell’accoglienza dei profughi e quello più preoccupante delle radiazioni portate dal vento (era successo una cosa simile ai tempi di Chernobyl). Mi ricordo del grande Luca Rastello e del suo libro La guerra in casa.

Tania mi dice che arriveranno altri amici dall’Ukraina e sapendo le dimensioni della loro casa le chiedo come faranno: «Andremo ad abitare nell’altra casa», cioè quella dove abitavo io fino a due anni fa, mi dice Tania con un sorriso. Ci salutiamo e penso che se ognuno di noi parlasse più spesso con chi viene da lontano, a prescindere da contingenze ed emergenze, non sarebbe male. Penso anche che se ognuno di noi (come fece Luca Rastello) riuscisse a farsi carico di quello che succede lontano da noi sarebbe un bel collegamento umano, anche se potrebbe essere “fastidioso”, tipo dover cambiare casa per ospitare i profughi.

Non basta questo, è ovvio. Bisogna capire e raccontare quello che succede. La solidarietà, come dice il mio amico Pippo Gurrieri, è «mettersi nei panni di»; o come dice il Vangelo «farsi prossimo». Globalmente: intellettualmente, emotivamente, insomma umanamente. Non bisogna aspettare una catastrofe per conoscere chi ci sta accanto e viene da lontano. All’inizio del romanzo Rue des italiens (di cui sono traduttore dal francese, edizioni Gorèe, 2006) l’autore cioè Tony Santocono descrive il villaggio di minatori, uno dei paesaggi più tristi che ci possano essere, come “un paradiso”, aggiungendo: «per noi bambini poteva sembrare il paradiso, ma per gli adulti forse era un inferno». In tono giocoso (ma poi non dimentica di raccontare tutti gli aspetti “infernali” di quel periodo storico, compreso il crollo della miniera di Marcinelle) Santocono ci ricorda che non sono tanto le emergenze, le guerre o l’inferno del lavoro il danno, quanto quello che noi riusciamo a farne, cioè l’elaborazione. Santocono e altri ci dicono che bisogna tornare bambini, almeno nello sguardo, almeno ogni tanto.

Mi torna in mente Non voglio crescere mai, la canzone di Bobo Rondelli: «Quando i grandi fan la guerra non voglio crescere mai / coi bambini sotto terra non voglio crescere mai / quando s’alza la bandiera io mi butto giù / fattorie grande fratello io non li reggo più / a fare sopravvivenza mandateli a Kabul».

Ve la consiglio: https://www.youtube.com/watch?v=OHp9-mazM-8

 

QUESTO APPUNTAMENTO

Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]

 

Redazione
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