A proposito di Lampedusa: appelli e ipocrisie

di David Lifodi

Ho firmato l’appello di Stefano Rodotà per cancellare la legge Bossi-Fini a seguito del naufragio dei migranti a poca distanza da Lampedusa, eppure mi trovo a disagio e temo che questa mobilitazione non servirà a molto. Provo a spiegare i motivi della mia sfiducia attraverso un breve ragionamento a voce alta.

Il mio disagio nasce nel vedere i nomi di alcune delle personalità che hanno aderito. Premetto che non sono uno di quelli che ama distinguersi e criticare per il gusto di farlo, anzi, mi auguro proprio di essere smentito e che le centomila firme raccolte da la Repubblica e consegnate dal direttore Ezio Mauro al presidente del Consiglio Enrico Letta servano per abolire la Bossi-Fini. Hanno subito inviato la loro adesione personalità della cultura, della società civile, della politica e dello spettacolo intellettualmente oneste e di alto valore morale: il loro impegno nel campo dell’antirazzismo è noto. Eppure non mancano le cattive compagnie che fanno presagire un trappolone. Ha firmato il sindaco di Firenze (e probabile futuro segretario del Pd) Matteo Renzi, sostenendo che la legge deve essere cambiata. Le parole sono importanti: ha parlato di modifiche, non di cancellazione. Tra i firmatari anche Livia Turco che, in qualità di ministro della Solidarietà Sociale del governo Prodi, nel 1998, si adoperò per la legge sull’immigrazione che poi prenderà il nome di Turco-Napolitano: insieme all’attuale Presidente della Repubblica, allora ministro dell’Interno, fu l’ideatrice dei Centri di Permanenza Temporanea, quei Cpt che nel corso del tempo hanno cambiato più volte nome fino agli attuali Centri di Identificazione ed Espulsione frutto della Bossi-Fini. Lo stesso quotidiano la Repubblica, che adesso si è reso disponibile a diffondere l’appello di una personalità come Stefano Rodotà, per anni ha pubblicato degli articoli quantomeno fuorvianti sul fenomeno migratorio, fin quando, nel 2007, pubblicò una lettera dal titolo “Sono di sinistra ma sto diventando razzista” tra le pagine che ospitavano la posta dei lettori, condividendone, tra le righe, i contenuti. In seguito, sempre la Repubblica, sposò la campagna sicuritaria a fini elettorali di Walter Veltroni. È per questo che non nutro grande fiducia, non sull’appello, ma su alcune personalità politiche che avrebbero davvero la possibilità di adoperarsi per la cancellazione di una legge odiosa come la Bossi-Fini, e ancora meno su alcuni organi d’informazione che pure potrebbero cambiare la percezione dei migranti nel nostro paese e invece non lo fanno. Passata l’ondata emotiva dei primi giorni, l’”emergenza-immigrazione”, così è chiamata da almeno un decennio, è tornata ad essere esclusivamente un problema di ordine pubblico. Ad esempio il governo italiano, la Repubblica o altri quotidiani, dovrebbero farsi perlomeno promotori di un ragionamento sulle politiche migratorie non in chiave soltanto repressiva: i “clandestini” che raggiungono il nostro paese sono tali perché questo è lo status che lo stato ha deciso di attribuire loro, non perché sono dei delinquenti o dei fuorilegge. Buona parte dei politici del Pd (più qualcuno della destra) che hanno aderito all’appello  di Rodotà, ma anche il presidente della Repubblica Napolitano, si guardano bene dal mettere in discussione i tanti muri di cui si è circondata l’Italia. L’accordo estivo dello scorso luglio tra la Libia e l’Italia prevede l’addestramento di almeno cinquemila militari libici nel controllo di quei centri di detenzione eretti con il consenso di Tripoli e la compiacenza di Roma per evitare che i migranti raggiungano il nostro paese. Nei centri libici si pratica la tortura e sono utilizzati come un buco nero in cui deportare e far sparire i migranti che provengono da tutta l’Africa. Lo stesso Enrico Letta, che chiede aiuto all’Europa affinché non si ripetano più tragedie come quella di Lampedusa, si è guardato bene dal mettere in discussione il trattato di amicizia italo-libica stipulato nel 2008 da Berlusconi e Gheddafi, in base al quale sono possibili i respingimenti dei migranti a cui contribuisce lo stesso sistema europeo Frontex, la missione di pattugliamento Ue nel Mediterraneo utilizzata come strumento per fermare l’immigrazione. In Italia, come del resto in tutto il vecchio continente, un vero programma di accoglienza dei migranti non è mai stato messo in atto, e ancor meno si è pensato ad un canale umanitario affinché “chi fugge dalla guerra possa chiedere asilo alle istituzioni europee in Libia, in Egitto, in Siria o lì dove è necessario (presso i consolati o altri uffici) senza doversi imbarcare alimentando il traffico di esseri umani e il bollettino dei naufragi” (è l’appello del Progetto Melting Pot Europa). L’appello affinché il premio Nobel per la Pace sia attribuito all’isola di Lampedusa, rilanciato nei giorni scorsi dal settimanale L’Espresso, rischia di trasformarsi in quello che Alessandro Dal Lago, in un editoriale pubblicato su il manifesto, ha definito “Premio Nobel dell’ipocrisia”: la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato più volte l’Italia per i respingimenti in  Libia e per l’inasprimento dei controlli di frontiera, ma nell’opinione pubblica gli unici responsabili dei morti di Lampedusa e, più in generale, degli sbarchi sulle nostre coste, sono gli scafisti. In realtà, sono proprio i controlli più rigidi alle frontiere a costringere i migranti a scegliere le strade più pericolose per giungere in Europa e ad affidarsi ai trafficanti di esseri umani: i veri scafisti sono i governi europei. Mai una parola sui Cie, i centri in cui sono inghiottiti i migranti senza avere nessuna colpa, se non quella di essere additati arbitrariamente come “clandestini”: il diritto d’asilo, semplicemente, non è contemplato, si parla solo di nuove missioni militari a scopo emergenziale.

Repubblica scrive che la raccolta di firme per cancellare la Bossi-Fini è stata un successo, oltre centomila, ma il resto “dovrà farlo la coscienza di ognuno e una classe dirigente chiamata ad allargare il proprio campo visivo”: bene, e che allora si cominci subito, a partire da una riforma del diritto d’asilo europeo e, contemporaneamente, da un Parlamento italiano che, in un sussulto di dignità potrebbe abolire quella che Stefano Rodotà ha definito “un compendio di inciviltà”, la legge di due tra i peggiori esponenti politici del nostro paese.

Redazione
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4 commenti

  • Completamente d’accordo, quanto ai centri di identificazione…chiamiamoli col giusto nome: sono delle vere prigioni e a volte prima dell’identificazione passano anche 24 mesi,,. con i relativi costi…ma la catena è lunga e le mani che rimangono impiastricciate dal dio denaro tante… dietro a tutto questo c’è una disonestà di fondo di cui il genere “umano” è intriso, e sono molti pochi gli uomini che di fronte alle tentazioni sanno resistere e non allungano la mano…
    tutti pronti a inorridire di fronte alle ingiustizie, mandare un sms alla solidarietà di turno e si tacita la coscienza; ma poi le stesse persone nel quotidiano infrangono le leggi chi più, chi meno, in modo diverso e per proprio tornaconto.

  • Voglio raccontare una piccola cosa che mi ha colpito nei mesi scorsi: il parlamento ha discusso e approvato una legge anticorruzione, limitata certamente e criticabile nei contenuti, ma che prima di tutto secondo me si è caratterizzata per tre aspetti positivi: essere slegata da avvenimenti ad “alto contenuto emotivo” (come praticamente tutte le norme su criminalità organizzata e illegalità, avvenute a seguito di delitti o stragi); avere visto un partecipazione attiva di tantissimi cittadini che hanno sostenuto una campagna che chiedeva alcuni punti di impegno ai neoparlamentari; avere visto un confronto e adesione diffusa e differente tra i gruppi parlamentari (chi più-chi meno). Ecco secondo me anche sull’immigrazione abbiamo bisogno di questo: meno consumo dell’emotività, recuperandone il valore per essere umani e veramente razionali tutti i giorni; più partecipazione e quindi comprensione comune delle questioni; meno ideologia. In questo senso, non mi preoccupo tanto delle “incoerenze” se sono incoerenze rispetto a logiche legate a paura e consenso: mi preoccupo che i nostri discorsi trovino il modo di smontare i pregiudizi sia sui problemi, sia sull’impossibilità di affrontarli, per cui diamo spazio ai begli esempi positivi -tanti tantissimi- sia dei migranti, sia di chi li accoglie e li rimette in gioco positivamente, sia delle politiche che cercano di percorrere strade differenti.

  • LEGGO IN RETE QUESTO COMMENTO DI DOMENICO STIMOLO E LO POSTO con la poesia di iGNAZIO BUTTITTA da lui ritrovata

    I vivi e i morti
    I VIVI. Enrico Letta, presidente del Consiglio: 9 ottobre, ore 12.25, solenne pubblica promessa in conferenza stampa – puntati gli occhi del mondo -, presente il Presidente della Commissione Ue Manuel Barroso : “ la decisione che posso qui annunciare è che sarà funerale di Stato quello che riguarda le vittime di quello che è avvenuto…….”
    I MORTI. Trecentosessantatre, affogati a pochi centinaia di metri da Lampedusa. Proprio in questi giorni è iniziata la tumulazione delle salme in diversi cimiteri siciliani…..in ordine sparso.

    I morti ripartono, in silenzio e in “clandestinità”. Non hanno ricevuto discorsi, fanfare, bandiere, stendardi e benedizioni.

    La promessa è stata vacua! Vanamente consumatosi in pochi giorni.

    Da buon “veggente”, il sommo poeta siciliano Ignazio Buttitta lo scrisse in versi:
    “L’emigranti ripartono”

    Ottu jorna di festa Otto giorni di festa

    e ora si vannu e ora se ne vanno

    ca non è chiù Natali perché non è più Natale

    e mancu Capudannu e nemmeno Capodanno

    Ritornanu nta vivi Ritornano nella neve

    unni c’è negghia e scuru, dove c’è nebbia e scuro,

    unni sunnu chiamati dove son chiamati

    e c’è un patruni strania e c’è un padrone straniero

    e c’è un travagghiu duru e il lavoro è duro

    Unni sunnu chiamati Dove sono chiamati

    pi ncìuria, terroni, per offesa, terroni,

    e l’òmini da Sicilia e dicono che noi siciliani

    non semu genti boni. non siamo gente buona.

    E partinu cu suli E partono con il sole

    nto trenu senza suli su un treno senza sole

    cu cori chi ci chianci con il cuore che gli fa male

    e un gruppu nni li guli e un groppo nella gola.

    Nto trenu senza suli Sul treno senza sole

    cu cori chi ci chianci col cuore che gli piange

    “ Addiu bedda Sicilia, “ Addio bella Sicilia,

    oh terra mia d’aranci! Oh terra mia d’arance!

    Oh terra mia d’aranci Oh terra mia d’arance

    d’aranci e di canzuni; d’ arance e di canzoni;

    u latti mi lu dasti il latte me l’hai dato

    ma pani un mi nni duni!. Ma il pane me l’hai tolto.

    Partinu a la vintura; Partono alla ventura;

    i trenu sunnu chini; i treni sono pieni;

    i manu chi salutanu le mani che salutano

    fora di finistrini. stanno fuori dai finestrini.

    Salutanu l’amici, Salutano gli amici,

    i matri e i picciriddi; le madri ei bambin;i

    e i stazioni o scuru le stazioni sono al buio

    e u celu senza stiddi. e il cielo senza stelle.

    Pari ca fussi a guerra Come ci fosse la guerra

    e iddi si u surdati e loro sono i soldati

    ca vannu a fari a guerra che vanno a fare la guerra

    chi zaini affardillati con gli zaini affardellati.

    Surdati disarmati Soldati disarmati

    e senza distintivi e senza distintivi

    ca partinu e non sannu che partono e non lo sanno

    si tornanu fra i vivi se tornano tra i vivi.

    Pi armi hannu i vrazza Per armi hanno le braccia

    e hannu i caddi e manu; hanno i calli alle mani;

    a patria non hannu la patria non hanno

    e né travagghiu e pani. che dia lavoro e pane.

    I vrazzi e i caddi hannu Hanno le braccia e i calli

    e i carini forti hanno le schiene forti

    pi fari i casi a l’àutri, per fare le case agli altri,

    palazzi e aeroporti. palazzi e aeroporti.

    Pi costruiri scoli Per costruire scuole

    fabbriche e arsenali fabbriche e arsenali

    autostradi, ponti autostrade, ponti

    grattaceli e spitali. grattacieli e ospedali.

    Pi l’autri, i terroni, Per gli altri, i terroni,

    a carni siciliana, la carne siciliana,

    nto furnu du travagghiu nel forno del lavoro

    sdivaca sangu e scana. Versa sangue e impasta.

    E cu l’occhi di figghi E con gli occhi di figli

    vidinu i luntanu vedono da lontano

    a Sicilia mpiccata la Sicilia impiccata

    e si mùzzicanu i manu. e si mordono le mani.

    da “Il poeta in piazza” Feltrinelli ed. 1974

    (postato in rete da Domenico Stimolo)

  • VI SEGNALO QUESTO
    Quello di Agrigento è uno strano rito funebre, nel quale sono assenti i corpi dei migranti annegati da respingimento e accanto ai rappresentanti del governo italiano siedono non i genitori e gli amati delle persone annegate ma i rappresentanti della dittatura eritrea, cioè gli aguzzini dalle due sponde. Nei “grandi” media si sono spese migliaia di parole per fare ipotesi su scafisti, navi madre e non si è quasi mai sentito pronunciare il nome “Isaias Afewerki” il dittatore che in Eritrea impone il servizio militare a vita, che ha il maggior numero di giornalisti al mondo ospiti delle sue prigioni e i cui arsenali sono rimpinguati dalle armi provenienti dall’industria bellica del fiorente nord–est italiano. Il paese è stato definito dalle più importanti associazioni per i diritti umani una prigione a cielo aperto. “Né si è fatta alcuna illazione sul perché sia stato consentito a rappresentanti e ufficiali eritrei di ispezionare e riconoscere le salme, proprio quelle di giovani provenienti da un paese per cui l’italia finisce per riconoscere lo status di rifugiato politico – scrive Pina Piccolo – Non si palesa nessuna contraddizione nel fatto che ai rappresentanti delle istituzioni eritree sia lecito curiosare tra i corpi dei morti e non ai parenti venuti con gran sacrificio da lontano per avere almeno la consolazione di dare l’ultimo saluto al proprio congiunto”. Se l’attività del tombarolo consiste nella cinica ed egoista raccolta dei frutti del rito funebre, allora questo non è che un governo tombarolo, di larghe intese naturalmente
    http://comune-info.net/2013/10/governo-tombarolo/

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