«Abiti puliti»: Facciamo luce sullo sfruttamento

di Deborah Lucchetti (*)

La Campagna Abiti Puliti, membro del network della Clean Clothes Campaign, lancia un nuovo sito dedicato agli attivisti dei diritti dei lavoratori e ai consumatori. Mostra dove vengono fabbricati i nostri vestiti e le condizioni di lavoro in cui vengono prodotti, perché è proprio la mancanza di trasparenza che ha permesso ai marchi di prendere le distanze dai lavoratori lungo la filiera ed eludere le proprie responsabilità di garantire salari dignitosi e porre fine allo sfruttamento nelle catene di fornitura. La piattaforma Fashion Checker contiene informazioni su 108 brand e centinaia di interviste alle lavoratrici e ai lavoratori in cinque paesi produttori

A fronte di un forte aumento di richiesta di eticità e sostenibilità nel mondo della moda, i marchi hanno risposto con grandi campagne di marketing e corposi report di sostenibilità. Nel frattempo però hanno continuato a cercare in maniera spietata prezzi sempre più bassi per la produzione dei propri beni, costringendo i fornitori a lavorare con margini di profitto ridotti e comprimendo i salari dei lavoratori già costretti a vivere sulla soglia di povertà.

I salari da fame sono spesso nascosti in complesse e segrete catene di fornitura. Per decenni, marchi e distributori hanno realizzato profitti attraverso un modello a basso costo e ad alta intensità di manodopera. La mancanza di trasparenza ha permesso ai marchi di prendere le distanze dai lavoratori lungo la filiera ed eludere le proprie responsabilità di garantire salari dignitosi e porre fine allo sfruttamento nelle catene di fornitura. Inoltre ha impedito ai lavoratori di organizzarsi e chiedere una retribuzione equa per il loro lavoro.

Le aziende spesso non pubblicano informazioni sulla loro catena di fornitura perché ciò significherebbe associare il proprio brand ai salari di povertà che ricevono i lavoratori e le lavoratrici. Questo comportamento è irresponsabile e non può continuare: per questo motivo la necessità di avere dati precisi e aggiornati sui fornitori e sui salari effettivamente pagati lungo la filiera è ormai diventata urgente

Non abbiamo mai visto dati sui pagamenti dei marchi, sui prezzi che pagano davvero. Il nostro direttore dice sempre che siamo in perdita. Secondo lui dovremmo lavorare ancora di più” ci ha raccontato una lavoratrice dalla Croazia.

La pandemia di COVID-19 ha messo ulteriormente a nudo le disuguaglianze nel settore della moda: i marchi annullano gli ordini e unilateralmente impongono sconti ai fornitori, costringendo i lavoratori alla miseria. La crisi ha di fatto frantumato l’immagine illusoria di una moda sostenibile ed etica creata ad arte dai marchi negli ultimi anni. I consumatori si informano sempre di più sugli squilibri di potere nelle catene di fornitura che mantengono i lavoratori in condizioni di povertà. I lavoratori e le lavoratrici, senza risparmi accumulati, sono vittime delle chiusure delle fabbriche e dei licenziamenti di massa: la rivendicazione di un salario dignitoso non è mai stata più urgente.

Il sito Fashion Checker aumenterà la trasparenza nell’industria tessile, facendo luce sui bassi salari, sugli straordinari eccessivi e sullo sfruttamento endemico del settore. Il portale contiene informazioni dettagliate sui salari, sulle condizioni delle donne e dei migranti e in generale sulla situazione di tutti i lavoratori.

Si stima che l’industria tessile impieghi circa 60 milioni di lavoratori, di cui l’80% donne. I bassi salari hanno pesantemente condizionato le loro capacità di lottare per migliori condizioni di lavoro e salari più equi, mantenendo lo status quo.

Accanto alla pubblicazione dei dati, la Clean Clothes Campaign ha elaborato anche una serie di richieste per i brand e i decisori pubblici. Le richieste principali riguardano la necessità di utilizzare parametri trasparenti e affidabili per il calcolo dei salari e la promozione della dovuta diligenza obbligatoria in materia di diritti umani lungo tutta la filiera.

Nonostante un aumento della trasparenza negli ultimi anni, gli attivisti chiedono ai brand e ai decisori pubblici di pubblicare più dati e velocizzare i processi di trasparenza nelle filiere internazionali.

· Secondo i Principi Guida delle Nazioni Unite sulle imprese e i diritti umani i marchi sono obbligati ad assumersi le proprie responsabilità: e ciò nonostante, nel 2020 i lavoratori e le lavoratrici tessili stanno ancora lottando per diritti umani di base.

·     Nel 2019, su 200 brand intervistati dal Fashion Transparency Index solo il 35% ha pubblicato informazioni sulle fabbriche e i laboratori di primo livello delle loro filiere. 

La piattaforma contiene informazioni su 108 brand e centinaia di interviste alle lavoratrici e ai lavoratori in cinque Paesi produttori. Il sito verrà aggiornato costantemente con informazioni fornite da lavoratori e attivisti. Ciò consentirà ai consumatori, ai decisori pubblici e a tutti gli stakeholders di verificare se effettivamente le promesse e le iniziative che i marchi dichiarano di assumere contribuiscano al raggiungimento dei salari dignitosi per tutti e tutte.

(*) ripreso da comune-info.net

 

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