Abolire i mezzi di contenzione ovunque

di Vito Totire (*)

Il 13 febbraio 2021 mobilitazione nazionale «no restraint»

Per una psichiatria (almeno!) dal volto umano

Per il superamento dei trattamenti sanitari obbligatori

Per una capacità di presa in carico “senza filo spinato”

Il 13 febbraio 2021 mobilitazione nazionale per eliminare i mezzi di contenzione; mobilitazione rilanciata dalla rete NO RESTRAINT sull’onda della tragica vicenda che ha visto morire la giovanissima Elena Casetto legata a Bergamo a un letto di contenzione.

Se riflettiamo su alcuni eventi storici del Settecento pare incredibile che il “problema” esista ancora oggi. Pussin e Pinel in Francia, Tuke in Gb e Chiarugi in Italia molti anni prima della “invenzione” degli psicofarmaci (spesso consolidatasi in forme di “contenzione chimica”) liberarono le persone da trattamenti disumani e degradanti come la contenzione con camice di forza e altri mezzi simili. Quell’approccio maturato con motivazioni umanitarie nell’alveo del secolo dei Lumi e della religiosità quaccquera ha poi purtroppo ceduto il passo alle pratiche manicomiali dell’Ottocento. A più di 40 anni dalla legge 180 del 1978 – che decreta formalmente il superamento dei manicomi – resistono dunque pratiche manicomiali inaccettabili e diffuse fra cui la contenzione fisica; gli SPDC (servizi psichiatrici diagnosi e cura) «no restraint» sono una minoranza nel panorama italiano.

La contenzione fisica è pratica venata di sadismo sopravvissuta nonostante ogni evidenza di inefficacia e nonostante la drammaticità degli effetti, a volta anche mortali. La campagna «no restraint» riparte oggi da Elena Casetto, diciannovenne morta ustionata a Bergamo mentre era legata al letto di contenzione in un spdc il 13 agosto del 2019. La mobilitazione avviata subito dopo questo tragico omicidio colposo (ma quantomeno “colposo con previsione”) fu frenata dal covid ma oggi viene rilanciata. Troppi riscontri ci dicono di situazioni locali che necessitano di cambiamenti urgenti. COME «RETE PER L’ECOLOGIA SOCIALE» CI INSERIAMO IN QUESTA CAMPAGNA PROPONENDO A CHI E’ SENSIBILE ALLA NECESSITA’ DI CAMBIAMENTO ALCUNI PUNTI DI RIFLESSIONE E ALCUNE AZIONI :

  1. Anzitutto alle vittime degli interventi coercitivi e ai loro familiari: parlare e denunciare i trattamenti subiti
  2. Agli operatori sensibili , in particolare a quelli che si sentono isolati e sono titubanti nell’andare controcorrente: “facciamo squadra”
  3. Evitiamo di sostituire alla contenzione fisica quella chimica; questo è doveroso e possibile; lo dimostra l’esperienza dell’SPDC di Ravenna (solo per fare un esempio) dalla cui esperienza è emerso che : A) abolire la contenzione fisica è possibile; B) l’abolizione della contenzione ha comportato la riduzione e non l’aumento dell’uso degli psicofarmaci; C) l’abolizione ha comportato un calo dei comportamenti aggressivi e degli infortuni
  4. Ai decisori politici e in particolare ai presidenti e assessori regionali: state gestendo e avallando una condizione in cui non vengono sostenute le pratiche di presa in carico adeguate ma in cui si tollerano e “legittimano” di fatto – per pigrizia e adesione a stereotipi di tipo manicomiale – pratiche custodialistiche inefficaci dal punto di vista della salute psicofisica della persona e solo apparentemente efficaci dal punto di vista della “sicurezza”; l’abolizione dei mezzi di contenzione (psichiatria, geriatria, carceri e ovunque) deve essere al centro di linee guida regionali associata a strategie per il superamento di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per una psichiatria che significhi capacità sociale di presa in carico del disagio con il superamento di interventi coatti; ci pare assurdo che esistano linee-guida su come “fare la contenzione” piuttosto che linee-guida su come non farla; da recenti indagini – frutto di proiezioni di dati a partenza da Lombardia ed Emilia-Romagna (che almeno monitorizzano il “fenomeno”) – risulta che gli episodi annui di contenzione fisica negli spdc siano nell’ordine di 8-9.000; gli spdc sono in Italia circa 90-100, facile fare deduzioni sulla frequenza del ricorso alla contenzione; occorre un’iniziativa pubblica per affrontare questa drammatica situazione in cui le persone in tutto il territorio nazionale possono contare su un approccio terapeutico più o meno adeguato non sulla base dei loro bisogni reali ma sulla base degli orientamenti soggettivi delle strutture in cui ognuno di loro ha la ventura di capitare. In alcune regioni i centri ufficialmente “No restraint” sono più d’uno (in EmiaRomagna: Ravenna già citato, Modena, San Giovanni in Persiceto). Ma in altre regioni no: pensiamo alla Sicilia (solo Caltagirone?) e alla Puglia (solo San Severo?). In altre ancora è “buio totale”. In sostanza la speranza di un trattamento più adeguato e quindi di una migliore speranza di salute ma anche di vita risente fortissimamente di inaccettabili variabili territoriali.
  5. Occorre che al centro di queste linee guida il Tso (trattamento sanitario obbligatorio) venga posto come disvalore o più precisamente come fallimento della capacità di presa in carico in funzione di una psichiatria di tipo relazionale e consensuale.
  6. In questo contesto che è la campagna «no restraint» – dopo una denuncia informale già fatta tempo fa e che ha riscontrato il massimo disinteresse da parte dei media – riproponiamo, questa volta formalmente, con un esposto al Tribunale di sorveglianza la “questione” del filo spinato alla Rems di Bologna, in via Terracini; si tratta di un “arredo” di infausta memoria il cui uso non è stato (e non sarà mai) giustificabile e la cui presenza costituisce un sinistro messaggio di minaccia e sfiducia nei confronti degli “ospiti” peraltro oggi penalizzati anche da altri eventi esterni (abbattimento di un bosco limitrofo, rumore ecc.); da lungo tempo sosteniamo che il sito dovrebbe essere visitato dalla Ausl ai sensi della legge di riforma carceraria del 1975 essendo un luogo in cui vivono e permangono persone private della libertà; ma la Ausl pare non percepire il nostro invito mentre il tema risulta scritto nella agenda del garante nazionale (come il tema delle RSA, le Residenze Sanitarie Assistenziali); questa discrepanza saranno altri a spiegarla se ne saranno capaci.

Invitiamo chiunque intenda mettersi in sinergia con la campagna in corso a contattarci – a questo indirizzo: vitototire@gmail.com – con osservazioni, critiche e proposte.

(*) Vito Totire è portavoce della Rete per l’ecologia sociale (Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria, circolo Chico Mendes, Antropologiainmovimento, Lega animalista Copparo, AEA)

 

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