Ad Haiti missioni poco umanitarie

Dalla Minustah al recente Bureau Intégré des Nations Unies en Haïti, la sensazione resta sempre quella di un’ingerenza coloniale

di David Lifodi

 

Haiti è un paese che raramente fa notizia, se non per i cataclismi naturali che fiaccano ogni volta di più un popolo costretto a vivere in estrema povertà. Da mesi si susseguono manifestazioni e tumulti. Al tempo stesso, lo stato caraibico sperimenta da tempo sulla propria pelle la faccia più feroce dell’ingerenza straniera. Le varie missioni di pace Onu, a partire dalla Minustah – Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti – non hanno fatto altro che rafforzare tra gli haitiani la sensazione di avere in casa un esercito di occupazione e, di fatto, così si sono comportati i contingenti militari a Port-au-Prince, a partire da quelli latinoamericani.

Adesso, dopo il termine di tre anni di mandato della Minujusth, la Missione delle Nazioni unite per la giustizia di Haiti, è la volta della Binuh (acronimo del francese Bureau Intégré des Nations Unies en Haïti), il cui compito principale sarà quello di promuovere la stabilità e la governabilità del paese e far rispettare lo stato di diritto. Il mandato della Binuh sarà di un anno, prorogabile. L’insediamento è avvenuto il 17 ottobre, proprio in corrispondenza dell’anniversario dell’assassinio di Jean Jacques Dessalines, leader rivoluzionario denominato il “Napoleone nero” ucciso il 17 ottobre 1806.

Lautaro Rivara, sociologo ed esponente della brigata di solidarietà con Haiti intitolata proprio a Dessalines, sottolinea che la nuova missione, come le altre, è fondata sull’assunto secondo il quale il paese caraibico rappresenta una presunta minaccia alla sicurezza internazionale. In effetti, c’è da chiedersi come faccia lo stato più impoverito dei Caraibi, che non ha mai aggredito altre nazioni, a rappresentare un pericolo, considerata anche l’adesione, grazie allo screditato presidente Jovenel Moïse, al Core Group, un’associazione dove siedono rappresentanti delle Nazioni unite, della poco credibile Organizzazione degli stati americani (Osa), di stati come Brasile e Stati uniti (i cui presidenti si commentano da soli), di Francia, Canada, Germania e Spagna, i cui interessi convergono quando si tratta di proseguire nell’opera di spoliazione di Haiti. Moïse è anche uno dei presidenti che si è schierato con il golpista venezuelano Juan Guaidó e, subito dopo, ha sottoscritto l’attivazione del Tiar, il Trattato americano di assistenza reciproca contro Maduro, il quale peraltro, nel 2016 e nel 2017, di fronte all’indebitamento dello stato haitiano aveva sostenuto che non occorreva pagarlo, quanto piuttosto concentrarsi su progetti sociali interni.

La missione della Binuh è ancora più dubbia se si pensa che il suo obiettivo sia quello di far rispettare la pace in un paese dove scuole, ospedali e attività commerciali sono al collasso, tanto da far dichiarare all’intellettuale Camille Chalmers che gli “Stati uniti si servono di Haiti per boicottare l’unità regionale”. Lo stesso Chalmers ha più volte evidenziato il ruolo di primo piano delle organizzazioni popolari haitiane e degli studenti contro il sistema di corruzione in cui è coinvolto il presidente Moïse, che sembra non godere più nemmeno del sostegno dei grandi imprenditori locali.

Nella difficile situazione che sta vivendo Haiti, due sono gli esempi di mobilitazione popolare dal basso. Il primo riguarda la già nominata brigata Dessalines, sorta sulla spinta dei movimenti contadini brasiliani per rimarcare che il Brasile non si identificava solo nella governativa Minustah, nell’ambito della quale il contingente militare inviato da Brasilia si distinse in negativo per diversi episodi di violenza e repressione contro la popolazione haitiana. Il secondo si riferisce alla scuola politica Charlemagne Peralta, uno spazio sociale dove si incontrano le organizzazioni sociali. È stato proprio grazie alla Charlemagne Peralta che le differenti anime della sinistra haitiana hanno iniziato a collaborare.

Tuttavia Haiti, almeno fin dagli anni Novanta, ha dovuto convivere con una serie di missioni internazionali, sia civili sia civico-militari, che non solo non hanno rappresentato un argine di fronte allo sviluppo del narcotraffico e dei gruppi criminali, spesso legati al potere, ma hanno rivestito uno scopo puramente repressivo. Per questi motivi il carattere “umanitario” della Minustah, della Binuh e di altre missioni simili resta nel migliore dei casi ambiguo e la popolazione haitiana non le ha mai percepite come un vero aiuto, bensì come un’occupazione coloniale. Come non ricordare la crescita del fenomeno della prostituzione minorile e il massacro di Cité Soleil, all’epoca della Minustah, per fidarsi ciecamente del Bureau Intégré des Nations Unies en Haïti?

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • Così le oligarchie hanno lasciato marcire Haiti
    Haiti è allo sbando. Le proteste contro gli scandali finanziari che hanno investito il governo si stanno trasformando in vandalismo organizzato. Di fronte a questa immagine angosciante, è ancora possibile nutrire speranze?
    Un articolo di Patrick Etienne
    https://frontierenews.it/author/patrick-etienne/

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