Affacciarsi sul possibile

Informazione, apprendimento, pedagogia delle catastrofi: intervento di Enrico Euli al convegno Aspo-Italia (Firenze, 28 ottobre)

1. CASSANDRATE ?

Naturalmente non mancano neppure singoli individui capaci di prevedere il corso degli eventi, di lanciare moniti ed esortazioni. Ma, Dio mio, come si può distinguere in tempo il solito menagramo dal profeta chiaroveggente ? Il mondo è pieno di forze apparentemente assopite: come si fa a sapere in anticipo quale possa essere risvegliata senza pericolo e quale occorra lasciare assolutamente in pace ? Tra l’istante in cui l’allarme suonerebbe prematuro in modo ridicolo e l’attimo in cui ormai è troppo tardi per fare checchessia deve pur esserci il momento giusto, l’unico adatto a evitare la tragedia. Ma in mezzo a un simile frastuono, il più delle volte passa inavvertito. Del resto, qual è il momento giusto ? E come fare a riconoscerlo ? Credo si tratti dell’interrogativo più doloroso che la storia ponga agli uomini. (W.Szymborska)

La scala di Turner-Pidgeon (1) distingue sei stadi percettivi associati allo sviluppo di un disastro:

1. Punto di partenza apparentemente normale (convinzioni culturali condivise sul mondo e i suoi pericoli; norme precauzionali contenute in leggi, codici di comportamento, costumi e consuetudini)

2. Periodo di incubazione (accumularsi inosservato di un insieme di eventi in contrasto con le convinzioni e norme di cui al punto 1)

3. Evento precipitante (focalizza l’attenzione su di sé e trasforma le percezioni generali dello stadio 2)

4. Innesco (l‘improvviso collasso delle precauzioni culturali diventa evidente)

5. Operazioni di soccorso e recupero

6. Adeguamento culturale completo.

E gli stessi autori commentano: ‘ Nel corso del periodo di incubazione, eventi in contrasto con le convinzioni esistenti incominciano ad accumularsi senza produrre commenti od osservazioni di sorta: o perchè non vengono notati o perchè il loro significato viene frainteso…Non vengono avvertiti perchè nessuno se li aspettava o prestava attenzione a quel tipo di fenomeni, oppure perchè se ne dà un’interpretazione tranquillizzante, che ne snatura il senso mentre altri fenomeni ‘civetta’ monopolizzano l’attenzione. Questi eventi sono, per loro stessa natura, difficilmente osservabili se non con il senno di poi, ma è possibile rintracciarne indizi nel modo in cui vengono trattati coloro che dissentono dalla visione organizzativa dominante. Quando l’ortodossia vigente liquida automaticamente le proteste di estranei come rivendicazioni di maniaci inesperti, viene il sospetto che ci si trovi in presenza di alcune distorsioni e rigidità organizzative.’ (2)

La nostra specie è stata definita ‘neghentrofaga‘, famelica mangiatrice di ordine e informazione; essa esprime infatti una netta ed esasperata preferenza per l’ordine, il controllo, la sicurezza; questa tendenza epistemologica profonda è divenuta ancora più forte, direi ossessiva, in una civiltà scientifico-tecnologica come la nostra, caratterizzata da un rischio mitomanico di onnipotenza, in cui l’Uomo si erge a sostituto di Dio.

Non siamo allenati, quindi, a leggere e gestire il disordine, e non ne sosteniamo a lungo neppure la vista. Cerchiamo, più velocemente possibile, di ‘riportarlo all’ordine’.

La domanda che ci facciamo, anche rispetto al comportamento dei nostri consimili, non è certo ‘come mai si sta così tranquilli ?’, ma quasi sempre ‘come mai ci si agita tanto ?’. La passività ci preoccupa meno dell’azione, la stabilità meno del cambiamento, la quiete molto meno del conflitto.

In una visione complessa, invece, ordine e disordine si equivalgono e non può sussistere preferenza escludente e dualistica, in quanto entrambi appaiono costitutivi della vita e dei suoi processi: peraltro gli stati che chiamiamo ‘disordinati’ saranno sempre più frequenti e probabili di quelli che chiamiamo ‘ordinati’ (infatti abbiamo bisogno di una colf per togliere la polvere e non dobbiamo invece assumere nessuno per metterla) e sorgeranno continuamente conflitti, spesso non mediabili,’ proprio tra le diverse visioni su ‘ciò che riteniamo ordinato’ (infatti, quando la colf mette in ordine la nostra stanza spesso non troviamo più nulla e ci lamentiamo…). Gran parte dei problemi umani, infine, non nasce da un eccesso di disordine, ma proprio dai tentativi di imporre il nostro ordine (di specie, di gruppo, individuale) a sistemi che, se fossero lasciati liberi, ne sceglierebbero altri. Quel che si genera così è un disordine di secondo livello, generato proprio dai conflitti tra diversi e presunti ‘ordini’. (3)

Due pericoli minacciano il mondo, l’ordine e il disordine’, amava dire Paul Valery..

2. ORLO ?

Noi non siamo sognatori, siamo il risveglio da un sogno che si sta trasformando in un incubo. Conosciamo tutti la scena dei cartoni animati: il gatto raggiunge il precipizio ma continua a camminare, come se avesse ancora la terra sotto i piedi. Comincia a cadere solo quando guarda in basso e si accorge dell’abisso. (S.Zizek)

‘Mannheim sottolinea la differenza tra razionalità funzionale e sostanziale. La prima è vista come ‘una serie di azioni organizzate in modo tale da condurre a una meta predeterminata, e ogni elemento di questa serie di azioni riceve una posizione e un ruolo funzionali’…La seconda è invece caratterizzata da ‘un’intelligente comprensione delle interrrelazioni tra gli eventi in una data situazione’. Egli afferma che la nostra società industriale, per il solo fatto di presentare una grande quantità di razionalità funzionale, non per questo è caratterizzata da una grande quantità di razionalità sostanziale…Anzi, è chiaro che il comportamento razionale ha dei limiti, specialmente se si è portati ad accettare la razionalità funzionale come sostitutiva della razionalità sostanziale: l’esistenza di una grande organizzazione, con un’imponente struttura organizzativa, una pianificazione aziendale elaborata, compiti complessi e un ampio staff di specialisti non garantisce affatto una razionalità sostanziale.’ (4)

Da un punto di vista psichico, la paura e l’incessante rimozione del ‘disordine’ agiscono quali strategie di autoconservazione-autorassicurazione a breve termine; l’anestetizzazione e l‘immunizazione preventiva procedono ad ampie falcate al fine (dicono) di ‘proteggere la (nostra) vita’. (5)

Notate come, anche nel linguaggio attuale preferiamo ‘default’ a ‘fallimento’, ‘crisi’ a ‘catastrofe’: un imbarazzante modo di dire dei miei colleghi, davanti al tracollo dell’Università, è : ‘emergono delle criticità’ !

Ma, a lungo termine, proprio questi automatismi reattivi favoriscono, anziché la nostra sopravvivenza, proprio la nostra estinzione: ‘fare lo struzzo’ non ci salva più sull’orlo dell’abisso (a proposito di rimozione/negazione: quanto è grande questo orlo, quando sarà consumato nel linguaggio e ammetteremo di essere ‘andati oltre’ ? (6)

Il riccio continua a chiudersi tra i suoi aculei, come ha fatto da sempre. Ma non riesce a modificare il suo automatismo ora che esistono le automobili e viene schiacciato, ben chiuso, al loro passaggio.

3. IGNORANZA ?

Può essere, molto semplicemente, che non si voglia credere alla catastrofe, già ampiamente provata, perché è più comodo ingannarsi, illudersi. Oggi sembrano tutti sopraffatti dal fascino dell’autoinganno. E finiscono per voler lucrare anche sul proprio funerale (A. Zanzotto)

Le persone comuni percepiscono e pensano secondo modalità non popperiane: in genere, se un a nuova esperienza falsifica una nostra premessa preferiamo falsificare (manipolare, mistificare, negare) l’esperienza percettiva piuttosto che cambiare idea.

Inoltre, Simon ha mostrato come ‘la capacità della mente umana di formulare e risolvere problemi complessi è molto ridotta rispetto alle dimensioni dei problemi che è necessario risolvere per ottenere un comportamento oggettivamente razionale nel mondo reale o anche solo un’approssimazione ragionevole a questa razionalità‘. E commentano Turner e Pidgeon: ‘ Quindi, anche se le persone riescono ad evitare una pura razionalità funzionale e cercano di perseguire obiettivi ragionevoli ed appropriati…non possono sfuggire ai vincoli della razionalità limitata‘. (7)

E ancora:

‘Che cosa impedisce alle persone di acquisire ed utilizzare segnali di allarme e anticipazioni che permetterebbero di evitare disastri ? In termini generali, la risposta è che le informazioni non sono a disposizione delle persone giuste, al momento giusto, e in una forma tale che le renda utilizzabili…(Più in specifico) possiamo suddividere le informazioni necessarie per prevenire un disastro nelle seguenti categorie:

1. informazioni completamente sconosciute

2. informazioni note ma non completamente recepite

3. informazioni note a qualcuno, ma che non vengono combinate con altre informazioni al momento giusto, quando la loro importanza diventa palese e vi sarebbe la possibilità di agire in base al loro contenuto

4. informazioni disponibili, ma non comprese in quanto non è possibile collocarle nei quadri interpretativi esistenti.’ (8)

Possiamo chiudere citando anche le 4 cause di fallimento che conducono al collasso di un sistema, secondo Diamond (9):

non essere capaci di vedere,

essere capaci di vedere ma rimuovere/negare

essere capaci di vedere, di non rimuovere ma non di agire

essere capaci anche di agire, ma in modo sbagliato e non efficace.

Ci troviamo a descrivere qui quella che amo chiamare ignoranza 2: anche le persone colte, informate si sono trasformate in una nuova specie, quella dell”homo sapiens insapiens’, l’uomo che non sa di sapere, in una sorta di maieutica rovesciata, in cui si finge di non sapere quel che si sa.

L’ignoranza 2 rappresenta la strategia di sopravvivenza primaria per adattarsi all’apocatastasi, termine che la Scolastica utilizzava per definire la fine penultima, la fine che non finisce di finire (che pare essere, per ora, la forma assunta dalla catastrofe in corso).

Per la maggioranza degli esseri umani che la attuano (intellettuali e scienziati compresi) non indica quindi il problema, ma la soluzione. E, in quanto tale, andrebbe affrontata. Ben sapendo che correggere quella che si crede una soluzione è molto più complicato ed improbabile che correggere quel che si crede un errore.

Stiamo cercando di verificare se è ancora troppo presto per avere la certezza che abbiamo già fatto troppo tardi”. Insomma, il rischio sempre più probabile è che, a differenza dei dinosauri, ci estingueremo perfettamente informati e consapevoli, magari mentre ancora ne discutiamo!

4. TOSSICODIPENDENDO

Parliamo della politica della depressione. La depressione come atto politico. Lei ed io subiamo quotidianamente la pulsione irrefrenabile a comprare e spendere e vivere in fretta…La depressione è l’unico modo per mettere un freno a tutto questo. La depressione economica così come quella psicologica. Per cui, provi a supporre che la sua depressione e la mia siano atti politici di ribellione. Provi a supporre che la psiche stia dicendo NO. Non voglio questa accelerazione. Non voglio comprare niente. Le mie gambe non si vogliono muovere. Non mi interessa. Ora me ne sto qui nel letto e penso al passato…’ (J. Hillman)

Da vari esperimenti di laboratorio, concentrato premonitore di violenza verso esseri viventi inermi, sappiamo che se noi mettiamo dei topolini in gabbia e li lasciamo lì, a subire scariche elettriche senza possibilità di fuga, essi iniziano presto a deprimersi e, in un certo tempo, ad ammalarsi, sino a morire.

Come è possibile che il topo non si deprima e non si ammali, restando in una gabbia senza uscita ?

1. le punizioni possono essere alternate a premi, se il topo apprende a fare qualcosa che possa essere premiato o apprende che anche le punizioni possano avere un significato ed un’utilità (vedi alla voce: istruzione);

2. il topo può essere tenuto continuamente in attività, attraverso esercizi, occupazioni, compiti produttivi (vedi alla voce: lavoro);

3. il topo può essere anche curato, assistito, protetto e creare così legami di dipendenza strumentale ed ‘affettiva’ con i suoi ‘difensori’ (vedi alla voce: sicurezza);

4. può essere continuamente distratto e occupato attraverso divertimenti, svaghi, offerte di consumo e di servizi (vedi alla voce: spettacolo);

5. può essere messo a convivere con un suo simile: i due possono così competere-aggredirsi (e si possono far del male, anche uccidersi, ma non si deprimono e non si ammalano più…anzi, si sentono più vivi !..se restano vivi…) (vedi alla voce: guerra).

Lo so che non siamo (uguali a) topi, lo so che (forse) non ci sono sperimentatori malvagi sopra di noi, lo so che la storia umana non è solo questo ed è stata anche (quanto ?) capace di altro, lo so che i nostri spazi di libertà, di cambiamento e di gioco sono (potrebbero essere) più ampi…

Non sono un sostenitore della sociobiologia, né del determinismo genetico, culturale e ambientale…

Ma la catastrofe pare proprio avvicinarsi quando, per vari motivi, si riducono le possibilità di compensare e ricompensare:quando un sistema inizia a non poter più ridistribuire premi ( o questi perdono valore d’uso e di scambio), a non poter più garantire lavoro e occupazione, assistenza e protezione, restano solo spettacolo e guerra: essi sussumono, sostituendosi alle istituzioni sino a quel punto abilitate, le matrici stesse dell’istruzione, del lavoro e della sicurezza. Divengono le fonti primarie e pervasive di in-formazione, produzione, protezione.

Ed ora che anche lo spettacolo sta per finire, rischiamo di trovarci soltanto dentro la guerra, o forse la guerra come unico spettacolo…

E’ sempre un’impresa disperata tentare di uscire da una mitologia, da un’ideologia anti-ideologica, da una neo-religione che recita i suoi mantra, sempre attraenti seppure ossidati: + denaro, +crescita, + lavoro, +consumi, + energia…

E sappiamo bene che il dio petrolio è un problema anche quando c’è, non solo quando sparirà.

Ci troviamo dentro una sindrome di tossicodipendenza allucinatoria, grave e profonda, la cui prognosi è riservata.

Le persone che partecipavano ai recenti riots a Londra (e che svaligiavano i negozi di alta tecnologia) condividono gli stessi immaginari di quelle che abbiamo visto fare file oceaniche, rinunciando al sonno, per comprare da Trony a Roma e che hanno trasformato la morte di Saint Steve Jobs in una iper-reale cerimonia religiosa su scala globale: l’acquisizione di un Ipad si trasforma in una nuova cerimonia eucaristica, in un rito tra ‘civiltà’ ed ‘invasioni barbariche’, tra la cortesia ipocrita di chi ha e può ancora comprare e la violenza distruttiva di chi non ha e ruba. (10)

Come quella rana, descritta da Bateson, che continua a saltellare allegramente nell’acqua sempre più bollente, adattandosi sempre alle nuove condizioni di calore, ma -in un attimo- schiatta, senza riuscire più a saltar fuori dalla pentola.

Se questo non bastasse, siamo costretti ad aggiungere che affrontiamo l’attuale situazione tossico-dipendendo, concettualmente ed operativamente, da modelli di organizzazione dei processi di decisione e di gestione dei conflitti mutuati da logiche militari e statuali, basate quindi su accentramento, delega, obbedienza, repressione delle divergenze, procedure burocratiche…weick ), con i disastri conseguenti, derivanti anche dalle sedicenti soluzioni proposte da sedicenti esperti e nostri volenterosi rappresentanti (vedi i recenti casi del Golfo del Messico e di Fukushima) . (11)

Ma chi ha oggi la capacità e il coraggio di dire che siamo in una fase inedita, che nessuno sa cosa fare, che dobbiamo rivedere i nostri presupposti per provare ad uscirne vivi ?

E ammettendo che siamo non dentro semplici problemi da risolvere tecnicamente, ma dentro dilemmi: la distruzione del Pianeta è necessaria per la sopravvivenza del sistema, e la distruzione del sistema è necessaria per la sopravvivenza del Pianeta: cosa facciamo?

Nel mondo contemporaneo ci sono problemi senza soluzione che caratterizzano la complessità. Sono polarità tra le quali è impossibile scegliere, perché solo tenendole insieme si può garantire l’equilibrio di un sistema molto differenziato. Sono problemiche è impossibile non tentare di risolvere, ma la cui soluzione sposta solo temporaneamente l’incertezza…Le decisioni politiche tendono spesso a nascondere dietro tecniche e procedure il fatto che i grandi dilemmi della società contemporanea (ad es. il conflitto tra autonomia e controllo) non hanno soluzione. Essi possono solo trovare aggiustamenti temporanei, che saranno tanto più democratici quanto più saranno equi e aperti alla possibilità di cambiare…’ (12)

Ma chi, oggi, prenderebbe voti dicendo questo ?

5. NO FUTURE ?

-Vede, sta entrando in quel turbine che io chiamo ‘tutto in vacca, fuori dallo stallo’.

-Ma poi devo comunque tornare alla realtà .

-Non si ponga il problema ora; spazi, diventi lei l’orizzonte.

-E’ vero. Cosa mi aspetta, ora, mi fa meno paura. (A.Bergonzoni)

Gephart sostiene che ‘ i problemi di comunicazione e di non ascolto degli avvertimenti…sono visti sempre solo in modo retrospettivo…Un rumore considerevole si mischia con i potenziali segnali di pericolo per mascherarli, ed essi sono distinguibili da segnali ‘normali’ e falsi allarmi solo dopo l’evento. Inoltre i sistemi complessi non sono reattivi rispetto ai segnali inusuali. I disastri normali sono pertanto inevitabili.’ . (13)

E la conclusione radicale a cui arriva Perrow è che ‘ il solo modo per evitare  incidenti gravi …, in sistemi complessi e strettamente connessi, è di impedire che tali sistemi vengano costruiti’. (14

Sembra proprio che non potremo quindi evitare l’effetto-sorpresa della catastrofe.

L’inutilità delle informazioni di primo livello, infatti, appare evidente. La catastrofe non è evitabile, anche perchè non è qualcosa che deve ancora avvenire, ma è già in corso. possiamo solo iniziare a percepirla e prepararci ad essa, provare a conviverci e a ridurne i danni. (15)

E a viverla come opportunità di cambiamenti ed evoluzioni, verso nuovi apprendimenti e nuove premesse e modelli. (16)

La pedagogia delle catastrofi nasce proprio da questo assunti: un forte shock ed un alto livello di instabilità cognitiva appaiono quali passaggi obbligati per un salto gestaltico: quel che Bion chiama ‘cambiamento catastrofico’ (analogo al ‘paradigm breakdown’ in Kuhn o all”apprendimento 2′ in Bateson). (17)

Forse così potrebbe avvenire quel che possiamo chiamare, in generale, una potente e ristrutturazione cognitiva:

Secondo Platt questi salti hanno quattro caratteristiche:

I salti sono preceduti o accompagnati da una ‘dissonanza cognitiva’, o da quel che potremmo forse chiamare un aumento dello stato di incertezza, provocato dalla consapevolezza dell’esistenza di anomalie

Sia la dissonanza che i salti hanno un carattere globale

La ristrutturazione, quando avviene, è improvvisa

La nuova struttura garantisce un’organizzazione delle informazioni disponibili più generale e concettualmente più semplice delle precedenti.’ (18)

Quindi, la pedagogia delle catastrofi mi appare oggi quale unica chance: un ‘equivalente morale’ della shock economy (termine coniato da Naomi Klein (19)), forma che il tardocapitalismo assume oggi, prendendo atto (lui sì!) della catastrofe in corso, neutralizzando il negativo, rivalutandolo in termini economici (profitti da disinquinamento, trasporti più agevoli e diretti attraverso uno Stretto di Bering senza ghiacci, etc…) e preparandosi alla (illusoria ?) gestione militare delle rivolte e delle guerre civili interne: la catastrofe si traduce in ‘questione di ordine pubblico’ , ‘emergenza da protezione civile’ o ‘problema di interesse strategico nazionale’, come sta già accadendo di fatto anche nel nostro paese da almeno dieci anni (vedi: G8 a Genova, terremoto in Abruzzo, CPT a Lampedusa, rifiuti a Napoli, Tav in Val di Susa).

Ma se non abbiamo alternative rispetto all’assunzione di una posizione depressiva, e visto che la catastrofe sta avvenendo e non possiamo più evitarla, che fare ?

Possiamo abbatterci del tutto e restare catatonici, paralizzarci.

Possiamo agitarci, urlare, aggredire, distruggere.

Ma possiamo anche attraversarla creativamente e provare a farci nuove domande, vivendo la catastrofe come opportunità.

Potremmo seguire la logica scientifica della controdeduzione fattuale (del tipo: e se l’acqua bollisse a 80 gradi ?) e tentare di immaginarci ‘altri mondi possibili‘.

Alcune domande che dovremmo permetterci di farci finalmente, approfittando della catastrofe ?

Ci provo:

E se il reddito fosse svincolato dal lavoro ?

E se i beni non fossero solo e sempre merci ?

E se il lavoro non fosse più un valore ma un’attività come altre ?

E se la disoccupazione crescente si rivelasse anche come un successo ?

E se andassimo verso un’economia stazionaria, senza crescita, o decrescente ?

E se la formazione fosse più sganciata da produzione e occupazione ?

E se la democrazia rappresentativa e statuale non fosse l’unico regime politico possibile ?

E se la protesta pacifica non fosse più un metodo efficace per prendere potere ?

E se la guerra non fosse più una soluzione ai conflitti ?

Per poterci anche solo permettere domande come queste, credo sia suggestiva, infine, l’ipotesi di vivere come se la catastrofe fosse avvenuta e come se vivessimo già in un futuro anteriore (20).

Siamo sopraffatti da ciò che i francesi chiamano l’esprit d’escalier: lo stato d’animo retrospettivo sperimentato a serata finita, per le scale appunto, quando ormai è troppo tardi. Ebbene, il futuro anteriore è lo strumento grammaticale per esprimere fin da subito, prima ancora che la serata abbia inizio, l’esprit d’escalier di cui saremo preda dopo, a cose fatte: ‘sarò stato inadeguato’ o ‘avrò colto l’occasione di una vita’. Poiché si addossa per un istante il rammarico o il compiacimento che forse proveremo molto più tardi, il futuro anteriore consente di discernere in anticipi quante possibilità alternative coesistano, ancora impregiudicate, mentre ci si reca a casa degli amici. Collocandosi nell’attimo in cui dilagherà l’esprit d’escalier, il ‘sarò stato’ censisce i decorsi divergenti che ora ci stanno dinanzi, traduce l’acidulo ‘si sarebbe potuto’ in un più decente ‘si potrebbe’, riabilita per tempo quelli che, in seguito, rischiano di figurare come ‘futuri perduti’. Ciò che vale per la festa conviviale, vale a maggior ragione per ogni gesto politico radicale, per ogni condotta pubblica che strida con l’ordinamento statale. L’esprit d’escalier, e il futuro anteriore che se ne fa carico preventivamente, impediscono la compilazione di una storia in cui ogni tappa successiva sia spacciata per necessaria e inquestionabile.’ (21)

NOTE

  1. B. A. Turner – N. F. Pidgeon, Disastri. Dinamiche organizzative e responsabilità umane, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, p.108

  2. idem, pp.126-7

  3. G. Bateson, Perchè le cose finiscono sempre in disordine?, in Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, pp.33-38

  4. B.A.Turner-N.F.Pidgeon, op.cit., pp.158-9; vedi anche G.Bateson, Finalità cosciente e natura, in op.cit., pp.465-479

  5. cfr. R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino, 2002; S. Cohen, Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea, Carocci, Roma, 2002; La Sicurezza che ci Terrorizza, in E.Euli, Casca il mondo! Giocare con la catastrofe, la meridiana, Molfetta, 2007, pp. 258-275

  6. cfr. H. Jonas, Sull’orlo dell’abisso, Einaudi, Torino, 2000

  7. B.A.Turner-N.F.Pidgeon, p.163

  8. idem, p.233

  9. J. Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, Torino,2005

  10. G. Ritzer, La religione dei consumi. Cattedrali, pellegrinaggi e riti dell’iperconsumismo, Il Mulino, Bologna, 2005; V. Codeluppi, La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, Torino, 2007; J. G. Ballard, Regno a venire, Feltrinelli, Milano, 2009

  11. ‘Toft propone la distinzione tra apprendimento passivo e attivo: il primo è caratterizzato dalla mera presa di coscienza dei risultati o delle raccomandazioni prodotte dalle inchieste; il secondo da una consapevolezza più ampia e dal tentativo di generare attivamente una migliore capacità di previsione…’ , in Turner-Pidgeon, p.249

  12. A.Melucci, Passaggio d’epoca. Il futuro è adesso, Feltrinelli, Milano, 1994, p.68,; e cfr. E.Euli, I dilemmi (diletti) del gioco, la meridiana, Molfetta, 2004

  13. R. P. Gephart, in Turner-Pidgeon, p.252

  14. C. Perrow, in Turner-Pidgeon, p.260

  15. L. Mercalli, Prepariamoci a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia,meno abbondanza, e forse più felicità, Chiarelettere, Milano, 2011

  16. ‘Per usare un’espressione di Argyris e Schön, dobbiamo andare oltre un semplice modello cibernetico, a un solo anello, di cambiamento retroattivo del comportamento, per arrivare allo stadio del cosiddetto apprendimento a doppio anello, nel quale le procedure per cogliere e valutare i segnali d’allarme di possibili pericoli, insieme alle nostre teorie su come interpretare il mondo, sono messe direttamente e continuamente in discussione. Anche Levitt e March si sono allontanati dalla tradizionale visione cognitiva dell’apprendimento organizzativo per rivolgersi a quella che hanno definito ecologia dell’apprendimento…Hedberg ha inoltre attirato l’attenzione sull’importante processo del disapprendimento: un disapprendimento lento, infatti, sarebbe secondo lui un fattore di debolezza cruciale per molte organizzazioni. In ambienti stabili l’apprendimento può essere cumulativo, ma in ambienti che cambiano chi apprende deve lavorare attivamente per preservare tanto il proprio apprendimento quanto il proprio disapprendimento. (cfr. su questo tema anche Z. Bauman La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna, 2010) D’altro canto, Hedberg sottolinea anche che un’eccessiva stabilità ambientale inibisce la motivazione al disapprendimento’. (in Turner-Pidgeon, pp.282-283)

  17. cfr. W. R. Bion, Analisi degli schizofrenici e metodo psicanalitico, Armando, Roma, 1970; T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 2009,; G. Bateson, Le categorie logiche dell’apprendimento e della comunicazione, in op.cit, pp.324-356; M.R. Mancaniello, L’adolescenza come catastrofe. Modelli di interpretazione psicopedagogica, ETS, Firenze, 2002

  18. J. Platt, in Turner-Pidgeon, pp.189-190; e cfr. R.Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi, Torino, 1980; A. Koyrè, Dal mondo del pressapoco all’universo della precisione, Einaudi, Torino, 2000

  19. N. Klein, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, BUR, Milano, 2008

  20. J.Dupuy, Piccola metafisica degli tsunami. Male e responsabilità nelle catastrofi del nostro tempo, Donzelli, Napoli, 2006; J.Attali, Breve storia del futuro, Fazi, Roma, 2009;

21. P. Virilio, L’università del disastro, R.Cortina, Milano, 2008; A.Bosi-M.Deriu-V.Pellegrino (a cura di), Il dolce avvenire. Esercizi di immaginazione radicale del presente, Diabasis, Reggio Emilia, 2009; P. Virno, Esercizi di esodo. Linguaggio e azione politica, Ombre corte, Verona, 2002

UNA PICCOLA NOTA

Di sabato codesto blog per abitudine privilegia le narrazioni (e questa lo è sino a un certo punto); inoltre Euli si muove – soprattutto verso la fine – verso il “martedì” dei mondi all’incrocio fra il cosiddetto reale e le infinite possibilità. Insomma due buone ragioni per non mettere oggi questo denso, interessante intervento ma… le regole sono fatte per avere eccezioni, il blog è sempre pieno e bla-bla. E poi c’è un altro Euli “in sofferenza” che arriva domani. Se volete affiancare questo punto di vista con alcune considerazioni più esplicitamente sul versante delle fanta-scienze, trovate qui alcune indicazioni sotto il titolo Non spingete, scappiamo anche noi ma in generale il martedì del blog è ricco di esplorazioni nelle paure e nei desideri che si affacciano oltre la “solita” porta. (db)

Redazione
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